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Questo è possibile con l’impiego sempre crescente della meccanizzazione
anche se per la giacitura di certi vigneti questa sembra più difficile.
L’introduzione di nuove tecniche e la conoscenza sempre più
dettagliata di esse possono migliorare il prodotto; dall’altro lato, però,
tendono ad uniformare lo stesso. Negli ultimi anni si è cercato di puntare
molto sul legame stretto fra prodotto e territorio per resistere alla
concorrenza sia nazionale sia estera.
Oggi il vigneto Italia può vantare 32 DOCG (denominazione di
origine controllata e garantita), 312 DOC (denominazione di origine
controllata) e 120 IGT (indicazione geografica tipica), che tutelano la
tipicità di più di 150 vitigni.
Studi recenti tendono ad affermare che ottenere un prodotto
veramente tipico è difficile: bisogna conoscere il valore dei diversi
territori, l’analisi di essi, i diversi fattori naturali ed umani che influenzano
la qualità del vino. Spesso le DOC abbracciano territori troppi ampi e
norme generalizzate, per tanto molte aziende cercano di tutelarsi con dei
marchi.
1.2 Quadro viticolo regionale
Il paesaggio della nostra regione che si estende tra l’Appennino ed
il mare Adriatico è veramente tipico, caratterizzato dalla lavorazione a
rittochino e da una estrema variabilità di colture che lo rendono unico. Il
sistema a rittochino consiste nel sistemare la direzione delle arature, dei
filari e dei fossi seguendo le linee di massima pendenza. Questa tecnica è
nata e si è sviluppata in questa regione, dove è preferibile allontanare
l’acqua e provocare una leggera erosione superficiale piuttosto che far
infiltrare la stessa, provocando dei fenomeni di erosione o smottamenti.
Inoltre, questa sistemazione è l’unica possibilità per far lavorare e
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transitare le trattrici ed evitare pericoli di ribaltamento. La collina di medio
impasto e sciolta, riparata dai venti di mare, favorita dalla luminosità e
dalla buona esposizione, è particolarmente vocata per la vite che ha
avuto grande diffusione con prodotti anche di pregio e per l’importante
ruolo socio-economico che ha rivestito, si è spinta anche oltre le zone di
elezione. Fin dai tempi della mezzadria la produzione era atta a
soddisfare la sussistenza famigliare e il vino era considerato un alimento
indispensabile. Le viti venivano maritate all’acero (usuale ascoltare
qualche viticoltore maturo che nomina l’acero ancora albero); i sistemi di
vite alberate sono diversificati: a testucchi, che non sacrificava l’acero ma
adombrava i grappoli, a festoni nelle quali si lasciavano lunghi tralci
provenienti da due aceri vicini che si estendevano lungo un filo di ferro.
Figura 1: Alberate marchigiane.
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La gamma dei vitigni era estesa e diversificata, non tutti di qualità
e le viti venivano allevate nelle forme più atte alla quantità che alla
qualità; si trattava della viticoltura promiscua, che veniva espressa con
modelli estremamente differenziati. La peculiarità dei vigneti marchigiani
è la sua disposizione in filari che si sviluppano lungo le linee di massima
pendenza, adatti per l’utilizzo ottimale delle macchine per il controllo delle
erbe infestanti. Questo modo di gestire il suolo provoca erosione, che è
uno dei problemi della viticoltura marchigiana e tema di studio da parte
degli esperti. La coltura della vite da vino nel territorio è stata presente
fin nell’antichità, date le sue favorevoli condizioni ambientali ideali per
ottenere prodotti eccelsi. I suoli argillosi-calcarei e la giusta piovosità
contribuiscono a rendere il prodotto di ottima qualità. Le forme di
allevamento predominanti sono le controspalliere, in particolare il doppio
capovolto, caratterizzato da potatura lunga e tralcio rinnovato. Negli
ultimi anni questo modo di allevare la vite è in discussione per venire
incontro a una meccanizzazione sempre più importante e per ridurre i
costi di gestione.
La coltura della vite è da sempre presente nel territorio
marchigiano; tuttavia, la sua valorizzazione è iniziata in tempi
relativamente recenti, a partire dagli anni ’60 con l’applicazione della
disciplina che regola le DOC e cerca di fotografare la situazione esistente.
Tale disciplina ha portato alla riduzione delle superfici vitate per la
difficoltà di collocare un prodotto non qualificato. Anche in questo
frangente le aziende marchigiane hanno cercato di migliorare gli impianti
per diminuire le rese (produrre di meno per produrre meglio).
Recentemente sono stati modificati tre disciplinari di produzione e sono
state istituite due nuove DOC e le prime due DOCG (pag. 2) delle Marche.
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Le due DOCG delle Marche:
• Vernaccia di Serrapetrona
• Conero
Le quattordici D.O.C. delle Marche:
• Pergola
• Colli Pesaresi
• Bianchello del Metauro
• Verdicchio dei Castelli di Jesi
• Esino
• Lacrima di Morro d’Alba
• Rosso Conero
• Verdicchio di Matelica
• Colli Maceratesi
• Serrapetrona
• I Terreni di Sanseverino
• Rosso Piceno
• Offida
• Falerio dei Colli Ascolani
L’elevato numero di DOC che rispondono alle diverse vocazioni e
caratterizzazioni territoriali testimoniano che la produzione marchigiana
ha raggiunto dei livelli soddisfacenti. Se torniamo indietro con la memoria
dobbiamo ricordare che la nostra produzione spesso veniva utilizzata per
rinforzare, migliorare la qualità e la gradazione di vini più famosi, facendo
perdere alla stessa la sua identità. Il viticoltore marchigiano, attaccato
alla sua terra e alla tradizione, ha voluto dare valore al prodotto da lui
realizzato.
La superficie coltivata a vite nelle Marche negli ultimi anni è
diminuita, in compenso però c’è stato un rinnovo degli impianti e una
riqualificazione degli stessi facilitati dai regolamenti CE. Logicamente i
primi vigneti estirpati sono stati quelli anonimi. Dai dati rilevati dal
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censimento ISTAT, nel 1990 la coltivazione della vite si estendeva su una
superficie di circa 26 mila ettari distribuita per il 45% nel territorio di
Ascoli Piceno, per il 14% in provincia di Macerata, per il 14% in provincia
di Pesaro e per il 27% in provincia di Ancona. Attualmente la superficie
vitata si aggira sui 20.000 ettari così distribuiti: 48% per la provincia di
Ascoli Piceno, 13% per la provincia di Macerata 11% per la provincia di
Pesaro e Urbino e 28% per la provincia di Ancona, distribuita
generalmente in aree collinari. La PLV marchigiana per il settore
vitivinicolo è in linea con quella nazionale (9%). I vigneti iscritti negli albi
delle DOC rappresentano il 36% del totale. Le varietà presenti sul nostro
territorio sono numerose anche se il Sangiovese, il Verdicchio, il
Montepulciano e il Trebbiano toscano sono le più diffuse, rappresentando
i tre quarti dell’investimento complessivo.
La viticoltura ha sempre rappresentato per le Marche una delle
principali attività agricole, e va acquistando sempre maggior rilievo. Le
aziende impegnate nel settore sono circa 42.000 su un totale di 80.000
aziende agricole. Negli ultimi tempi si è cercato di portare dei
miglioramenti nel modo di lavorare, un ammodernamento delle tecniche,
volto a migliorare la qualità del prodotto finale. Dall’uso di queste nuove
tecniche si può considerare che i prodotti già affermati hanno raggiunto
più alti livelli e quelli meno conosciuti stanno acquisendo
progressivamente i riconoscimenti adeguati.
1.3 Viticoltura provinciale
La viticoltura Picena è stata conosciuta fin dall’antichità; infatti, in
alcune opere degli autori latini la troviamo nominata e questa
considerazione continua anche negli scritti Del ‘500. Nel 1877 l’allora
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ministro Stefano Jacini nella sua Inchiesta Agraria fa menzione della vite
nell’Ascolano. Ne risulta una viticoltura vocata più alle alte rese che alla
qualità sia per i sistemi di allevamento (l’alberata) sia per le esigenze di
sussistenza di quel tempo.
Le ampelopatie causate dalla fillossera alla fine dell’Ottocento,
diffusasi ad ampio livello, cambiarono radicalmente il modo di interpretare
la viticoltura: le alberate vennero sostituite dalle forme a spalliera. Anche
la conservazione del vino non era ottimale; infatti, era usanza per il
mantenimento “scottare” il mosto. Con l’avvento delle pratiche enologiche
moderne questa usanza rimane soltanto come un prodotto tipico delle
tradizioni (vino cotto).
I vitigni presenti in provincia sono: il Sangiovese, il Montepulciano,
il Trebbiano toscano coltivati anche a carattere regionale e nazionale e le
varietà autoctone; il Pecorino e il Passerina.
Ai giorni nostri la viticoltura ascolana rappresenta circa il 50% della
intera produzione regionale; con circa 9000 ettari in produzione di cui
3000 sono impegnati nelle 5 DOC provinciali: Rosso Piceno Superiore,
Rosso Piceno Sangiovese, Rosso Piceno Classico, Falerio dei Colli Ascolani
e Offida. Le norme viticole contenute nei disciplinari delle denominazione
di origine sono molto rigide perché volte a conferire all’uva le
caratteristiche di tipicità e di qualità. Esse sono: vigneti situati in terreni
non eccessivamente umidi, esclusione dei fondo valle, sesti d’impianto,
sistemi di allevamento e forme di potatura devono essere adatti a non
modificare le caratteristiche dell’uva; sono vietate inoltre ogni forma di
forzature e l’irrigazione ammessa solamente quella di soccorso. In più,
sono previsti tetti di produzione.
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