8
Capitolo 1. La prosocialità
1.1 Aspetti teorici della prosocialità
“La scintilla che fa scaturire la preoccupazione umana per gli altri, la colla che
rende possibile la vita sociale” – Hoffmann
Per spiegare cos’è la prosocialità, vista l’assenza di questo termine all’interno dei
vocabolari malgrado l’utilizzo sempre più frequente nel nostro quotidiano,
possiamo innanzitutto chiarire cosa non è: sarebbe errato considerare questo
concetto come il contrario di antisociale, cioè qualcosa di pericoloso ed ostile alla
società e allo stesso modo è troppo semplicistico considerarlo come sinonimo di
altruismo, l’amore incondizionato per il prossimo; i propositi altruistici infatti non
sempre riescono a tradursi in condotte prosociali efficaci.
La volontà di modificare gli atteggiamenti dell’odierna società sempre più protesa
alla discordia, all’individualismo e alla competizione potrebbe partire dal nocciolo
del concetto stesso di prosocialità: fare del bene agli altri fa bene anche a sé stessi,
contribuisce al benessere individuale e ad un sano funzionamento della società che
si abita.
Per prosocialità si intende l’insieme di atteggiamenti e comportamenti volontari,
che si contraddistinguono per gli effetti benefici che producono negli altri senza la
ricerca di una ricompensa immediata; appartiene alla sfera delle abitudini, delle
pratiche e delle modalità abituali di interazione sociale ed implica comportamenti
come il dare aiuto, conforto, condividere e prendersi cura.
Le competenze prosociali però sono differenti dalla messa in atto di comportamenti
prosociali, un individuo può essere in possesso di tutte le competenze necessarie
all’aiuto e al conforto, ma non è ovvio che dia effettivamente un valore positivo a
tali comportamenti prestando poi concretamente aiuto e conforto. Comprendere i
meccanismi che governano questi comportamenti diventa priorità dal momento che
il nostro intento è quello di promuovere forme di convivenza sostenute dalla
collaborazione e dall’aiuto reciproco.
9
Spesso ci interroghiamo su quali siano le necessità della nostra società, una società
che sarà abitata e trasformata dalle nuove generazioni, è proprio da queste giovani
menti quindi che si intende partire, spesso infatti bambini e adolescenti pur essendo
orientati verso ciò che ritengono giusto non riescono a strutturare un piano di azione
o credono di non essere capaci di raggiungerlo.
1.1.1 La prosocialità e il suo sviluppo
Dal punto di vista temporale è possibile periodizzare le ricerche sul tema della
prosocialità: nel corso degli gli anni ’50 diversi studiosi, con l’impiego di giochi di
coordinazione ed altre sperimentazioni esplorano i moventi della cooperazione e
della competizione in quanto temi cruciali per lo studio delle interazioni e per
l’analisi di un’ampia gamma di processi cognitivo-decisionali individuali. Durante
gli anni ’60 l’accento da un lato si dirige sul tema della competizione specularmente
all’incremento dell’attenzione ai problemi di ostilità interpersonale, e dall’altro sul
comportamento sociale e sull’approccio cognitivista alle risposte alle richieste di
aiuto in situazione d’emergenza
1
. Durante gli anni ’70 si fa sempre più intensa e
focalizzata la ricerca sul comportamento morale ed in particolare sulle variabili
implicate nella prosocialità al fine di operare meglio sui fattori che facilitano la
promozione sociale delle condotte positive. Gli anni ottanta e novanta sono invece
caratterizzati da un più vasto impegno applicativo delle conoscenze in campo socio-
politico, per la promozione della pace e della mediazione dei conflitti, della
cooperazione fra le persone e i popoli ed in campo educativo per l’incremento delle
skills socio-affettive e di helping fra pari.
Dal punto di vista evolutivo ed umano, sappiamo che esistono delle influenze
genetiche sulla socievolezza generale e nell’empatia dei bambini (Knafo et al.
2008)
2
e che ci possono essere quindi influenze genetiche anche nelle tendenze
prosociali, come si è visto in studi su gemelli omozigoti,
1
Ciò a partire da un drammatico evento di cronaca verificatosi a New York nel marzo del
1964.
2
Knafo A, Zahn-Waxler C, Van Hulle C, Robinson JL, Rhee SH. (2008) The
developmental origins of a disposition toward empathy: Genetic and environmental
contributions. in Emotion. 2008 Vol. 8 N.6 737-52. cit. da Knafo, 2016
10
Manifestazioni di comportamenti prosociali emergono già in giovane età, le stesse
forme di base sono riscontrabili in tutte le culture, neonati di 18 mesi mostrano
forme precoci di comportamenti prosociali che intorno ai tre e quattro anni
aumentano per complessità. Durante questo periodo di sviluppo, i bambini iniziano
anche a dimostrare un favoritismo all'interno del gruppo, che si manifesta con una
tendenza a mostrare comportamenti più prosociali verso individui che
appartengono allo stesso gruppo. Tuttavia, man mano che i bambini sviluppano
competenze socio-cognitive più avanzate e passano più tempo ad interagire con i
loro coetanei, diventano sempre più consapevoli delle ragioni per cui è importante
aiutare gli altri, il che a sua volta li motiva ad impegnarsi in ulteriori comportamenti
prosociali.
Diversi fattori preannunciano e/o rafforzano i comportamenti prosociali, nei
bambini piccoli oltre alle differenze genetiche, lo sviluppo morale precoce durante
i primi cinque anni di vita è risultata una base importante, per esempio, i bambini
che sperimentano il senso di colpa a seguito di trasgressioni hanno maggiori
probabilità di impegnarsi in comportamenti prosociali rispetto a quelli che non lo
fanno, poiché sono sempre più consapevoli delle conseguenze delle loro azioni per
se stessi e per gli altri.
In quest’ottica, nel corso degli ultimi venti anni, Eisenberg ha studiato il
ragionamento morale in relazione ai comportamenti prosociali manifestati nel corso
dello sviluppo. Lo sviluppo morale precoce è una base importante e le emozioni
morali che facilitano i comportamenti prosociali, si manifestano attraverso la
riflessione sulle conseguenze delle proprie azioni, la preoccupazione affettiva per
gli altri o semplicemente acquisendo consapevolezza delle ragioni per cui è
importante aiutare gli altri.
La morale si sviluppa intorno ai primi cinque anni di vita, anche se già da neonati
si posseggono le capacità di base per distinguere il giusto dallo sbagliato. Intorno
ai 3 anni i bambini capiscono che è sbagliato violare le regole morali e mostrano
una maggiore reattività al disagio emotivo evocato dalle trasgressioni morali
rispetto alle trasgressioni sociali-convenzionali (che coinvolgono tradizioni o usi e
costumi).
11
Bandura, a questo proposito, studiò in che modo i processi di autoregolazione
intervengono nel mantenere una coerenza tra la propria condotta e i propri principi
o standard morali e quali meccanismi al contrario possono predisporre a
comportarsi in modo difforme da tali principi. Egli sostiene che il ragionamento
morale si associa alla condotta morale grazie all’esercizio dell’agentività morale
(moral agency), ovvero la capacità di agire moralmente.
Le capacità autoregolatorie del bambino si sviluppano gradualmente grazie alle
azioni educative genitoriali che, nel rendere esplicite le regole di comportamento,
stabiliscono ciò che è giusto e ciò che è sbagliato (Bandura, 1986)
3
. I meccanismi
di regolazione della condotta operano in maniera differente a seconda delle fasi
evolutive: in età prescolare e scolare la paura delle conseguenze e delle sanzioni
esterne svolge un ruolo cruciale nella regolazione della condotta morale, nelle età
successive è invece soprattutto la paura delle sanzioni interne (Bandura, 1986). In
fasi di sviluppo avanzate gli standard morali interni fanno da argine alla messa in
atto di condotte immorali e sono dunque importanti regolatori del comportamento,
è soprattutto l’anticipazione delle autosanzioni interne, ovvero delle sanzioni che la
persona impartisce a sé stessa in termini di autocondanna, che interviene e consente
all’individuo di comportarsi coerentemente con i propri standard morali.
La sofisticatezza del ragionamento morale è stata collegata alla qualità
dell'interazione con genitori e pari, ad esempio tramite la partecipazione ai discorsi
in famiglia su questioni morali o con un basso uso della disciplina basata sul potere.
1.1.2 La teoria del Sé
Il Sé viene costantemente rivisitato durante l’infanzia, sia durante lo sviluppo
cognitivo che nelle esperienze sociali: da una parte i bambini acquistano più
consapevolezza di sé e diventano più realistici, dall’altra le reazioni e le percezioni
dell’altro avranno un ruolo centrale nel modellare la natura di quella
consapevolezza. La personalità non raggiunge mai una condizione di completezza,
3
Bandura A. (1986), Social fondations of through and action: A social cognitive theory,
Engelwood Cliffs, NJ: Prentice-Hall. Cit. in Shaffer H.R. (2005).
12
il sé non è un sistema completamente chiuso ma costantemente influenzato
dall’esperienza e dalla valutazione degli altri.
Possiamo suddividere le componenti del sé in: consapevolezza di sé, la prima
componente ad emergere, che si riferisce alla comprensione che ognuno è un’entità
separata da tutte le altre e il concetto di sé ovvero l’immagine che si costruisce di
sé stessi.
Quando parliamo del Sé non ci riferiamo però solo al modo in cui percepiamo noi
stessi, ma anche al modo in cui ci valutiamo, la stima che abbiamo di noi stessi.
Il termine autostima si riferisce alla valutazione che l’individuo dà di sé stesso, di
solito si conserva nel tempo, esprime un atteggiamento di approvazione o
disapprovazione e indica la misura in cui la persona si ritiene capace, apprezzabile,
meritevole.
La stima di sé corrisponde al divario tra Sé ideale e Sé reale percepita dall’individuo
stesso: se il divario è minimo l’individuo sperimenta sentimenti di soddisfazione,
al contrario emerge frustrazione, inadeguatezza.
Ciò che l’individuo pensa di sè stesso è cruciale nell’orientamento delle azioni, ma
anche le aspettative e le percezioni dell’ambiente, in particolare di coloro che
rivestono una grande importanza, hanno un peso significativo; il senso di sé è
correlato strettamente alla qualità dei rapporti interpersonali e, soprattutto nel
contesto scolastico, l’approvazione dei pari diventa fondamentale.
La prosocialità è sicuramente una qualità auspicabile del sé, senza la quale cioè
viene meno il rispetto di sé.
1.1.3 La teoria sottostante. Temperamento e personalità
I segni dell’individualità del bambino inizialmente si riscontrano nel temperamento,
questo indica gli aspetti comportamentali che descrivono lo stile generale di
risposta all’ambiente, specialmente la forza emotiva, la rapidità e la regolarità con
cui si eseguono le attività. Fa parte della struttura innata di ogni individuo ed è
determinato a livello biologico anche se risente delle influenze ambientali. Nel
concetto di Godness of fit
4
di Thomas e Chess si definisce il temperamento come
4
Questo concetto descrive le circostanze in cui le proprietà dell’ambiente si adattano alle
caratteristiche generali del bambino permettendo uno sviluppo ottimale.
13
l’interazione e la combinazione tra componenti genetiche e forze ambientali volte
a produrre risultati di sviluppo positivo o negativo.
Le qualità del temperamento si possono riconoscere già nelle prime settimane di
vita e, almeno in parte, esercitano la loro influenza anche in seguito.
Indipendentemente dalle origini innate dell’individualità, la natura della personalità
è anch’essa soggetta a variazioni durante lo sviluppo: la personalità è qualcosa di
più complesso di un insieme di tratti, con l’età i bambini acquisiscono sempre
maggior consapevolezza di sé stessi, compare la capacità di autovalutazione
confrontandosi con i pari e la capacità di introspezione, l’osservazione e l’analisi
del proprio sé.
Mentre la maggior parte dei ricercatori si è tradizionalmente concentrata sui
determinanti situazionali del comportamento prosociale e sulle pratiche di
socializzazione che favoriscono le abitudini prosociali (Batson, 1998)
5
altri
ricercatori hanno affrontato il ruolo della personalità nel predisporre gli individui
alla prosocialità. Se studi sui bambini gemelli omozigoti indicano che c'è un
contributo significativo dell'eredità (Knafo & Plomin, 2006) è improbabile che i
geni individuali siano l’unica causa diretta della manifestazione di comportamenti
prosociali.
Possiamo quindi definire la personalità come il frutto dell’influenza reciproca tra
natura ed esperienza, quindi mutabile nel tempo; più precisamente è un complesso
sistema di strutture e processi psicologici tramite i quali le persone regolano le
proprie azioni e le proprie esperienze: le persone non sono ricettori passivi,
plasmano e interpretano proattivamente ciò che gli accade.
Un modello che fornisce informazioni relative a come i tratti di personalità operino
è quello dei Big Five di Mc Crae e Costa, un modello a cinque fattori.
5
Batson C.D. (1998), Altruism and prosocial behavior. In D.T. Gilbert, S.T. Fiske e G.
Lindzey (a cura di), Handbook of social psychology, Boston, MA, McGraw Hill, vol. 2,
pp. 282-316. Cit. in Vecchio G.M. et al. (2008).
14
Come per l’autostima anche i Big Five presentano una stabilità nel tempo, se però
l’autostima riguarda la sfera di attribuzione di un valore connesso alla
rappresentazione del sé, la personalità riguarda la sfera dell’agire con gli altri.
Il primo fattore è l’estroversione o emotività positiva: punteggi alti nel tratto
estroversione indicano ricerca di nuove sensazioni, assertività, calorosità, al
contrario riservatezza, timidezza.
Il secondo fattore riguarda il nevroticismo: la facilità e la frequenza con la quale
una persona tende ad essere angosciata, irritabile, al contrario un basso punteggio
indica moderatezza, stabilità emotiva.
Il terzo fattore è la gradevolezza o amicalità, punteggi positivi sono collegati alla
cooperazione, empatia e gentilezza, per questo è fortemente legato alla prosocialità
(Caspi et al, 2005). Amicalità e prosocialità però devono essere considerate
dimensioni differenti, soprattutto per il loro grado di specificità, l’amicalità è una
dimensione generale che comprende sia aspetti collegabili alla prosocialità come
dividere con gli altri, prendersi cura, sia aspetti differenti, ad esempio la fiducia
interpersonale. La prosocialità è quindi una dimensione più specifica che riguarda
soprattutto fornire aiuto e sostegno.
Il quarto fattore è la coscienziosità: i soggetti coscienziosi sono responsabili, attenti,
prudenti, perseguono in modo determinato i propri obiettivi.
L’ultimo fattore è l’apertura mentale, l’essere fantasioso, creativo, veloce ad
imparare.
I tratti dell’estroversione e dell’apertura mentale rispondono alla prima necessità
fondamentale dell’uomo, quella di agency, essere agente proattivo capace di
operare trasformazioni sul mondo, i tratti di amicalità, coscienziosità e stabilità
emotiva rispondono alla seconda necessità fondamentale, la communion, l’essere e
il sentirsi parte di una comunità collaborativa (Batson, 1998).
I tratti di personalità incidono sulle relazioni influenzando i processi di interazione,
gli individui scelgono i loro contesti di interazione prediligendo interlocutori che
somigliano a loro.
15
1.1.4 Valori individuali
Con i valori, si manifesta il ruolo della cultura nel collegamento tra prosocialità e
stima di sé, sono infatti i principi trasmessi di generazione in generazione, che
dettano priorità e standard e motivano l’azione, sono quindi fondamentali per la
costruzione dell’identità personale.
Per i valori di base ci avvaliamo di una classificazione basata sul modello di Shalom
Schwartz, che ne individua dieci: nella prima dimensione troviamo opposti i valori
di apertura al cambiamento e conformismo: l’autodirezione e la stimolazione da un
lato che riflettono l’indipendenza di pensiero, sentimenti ed azioni e dall’altro la
sicurezza e la tradizione, caratterizzati dalla conservazione delle pratiche
tradizionali e dalla promozione della stabilità.
La seconda dimensione oppone i valori di autotrascendenza a quelli di
autoaffermazione: da un lato troviamo il valore dell’universalismo e della
benevolenza che sottolineano l’accettazione degli altri come uguali e la
preoccupazione per il loro benessere e dall’altro i valori di potere e realizzazione
che incoraggiano a perseguire il proprio successo e il dominio sugli altri.
Sicuramente i valori di universalismo e benevolenza sono i più legati alla
prosocialità: l’universalismo riguarda l’altruismo più generale e, appunto,
universale, mentre la benevolenza riguarda la preoccupazione e premura nei
confronti dei propri cari, del proprio gruppo di appartenenza (Caprara & Steca,
2007).
6
L’universalismo e la benevolenza sono correlati al tratto di personalità
dell’amicalità, contribuiscono quindi a rafforzarne i legami con la prosocialità, dal
punto di vista evolutivo. I valori compaiono dopo i tratti di personalità, quindi
l’amicalità predispone sicuramente all’universalismo e alla benevolenza. Durante
il corso della crescita però si instaura un circolo virtuoso, quanto più i valori di
universalismo e benevolenza diventano parte della propria identità, tanto ci si
preoccuperà per il bene altrui, per preservare e rafforzare la propria autostima.
6
Caprara G.V. e Steca P. (2007), Prosocial Agency: The Contribution of Values and Self-
Efficacy Beliefs to Prosocial Behavior Across Ages in Journal of Social and Clinical
Psychology, vol 2. Cit. in Vecchio G.M. et al. (2008)