2 Per quanto riguarda la principale avversità crittogamica del pomodoro, costituita dalla
Phytophthora infestans, è ormai convinzione generale che non si possono migliorare i metodi di
lotta chimica senza l’acquisizione di idonei mezzi di previsione dell’evolversi della malattia.
In mancanza di tali conoscenze, la difesa del pomodoro è affidata ad una serie di interventi
che prevedono la costante copertura degli organi della pianta con un numero di interventi che
superano ogni logica sia sotto il profilo del rispetto ambientale, sia valutando l’aspetto economico.
E poiché una buona parte di tali interventi risulta superflua, ne consegue che un sistema di
lotta basato su interventi a calendario fisso risulta inadeguato e per tali motivi in numerosi Paesi
negli ultimi 50 anni si è operato per mettere a punto delle linee di difesa antiperonosporica più
corrette.
Tali linee si basano sull’individuazione dei parametri climatici (pioggia, umidità e
temperatura) che influenzano lo sviluppo del parassita nei vari ambienti agronomici.
Di seguito verranno esposte brevemente alcune linee o “modelli epidemiologici” sviluppati
nei vari Paesi e riguardanti soprattutto le infezioni sulla patata.
In Olanda, VAN EVERDINGEN (1926) considerò favorevoli per lo sviluppo della
peronospora le seguenti condizioni:
• rugiada notturna persistente per almeno 4 ore;
• temperatura minima > = 10 °C;
• nuvolosità media del giorno seguente dello 0,8 almeno;
• pioggia nel corso delle 24 ore seguenti, di almeno 0,1 mm.
Dopo il verificarsi di tali condizioni, la comparsa dell’infezione è da attendersi in un arco di 15
giorni.
POST e RICHEL (1951), considerato che la regola di VAN EVERDINGEN (l. c.) aveva il
limite di essere concepita per situazioni specificatamente locali, tentarono di adattare il modello di
BEAUMONT (1947) alle condizioni olandesi e proposero tale sistema:
3• due giorni consecutivi con umidità relativa media (media dei valori registrati alle ore 8, 14 e 19)
di almeno l’82% (in uno dei due giorni l’umidità relativa poteva abbassarsi al 79% senza che per
questo fosse impedita l’infezione);
• temperatura > = 10 °C in almeno un giorno.
VAN DERZAAG (1956) nel confermare la capacità del patogeno di ibernare sui tuberi da
seme infetti e di svilupparsi sui nuovi germogli, constatava che erano necessari da 3 a 5 periodi
favorevoli caratterizzati da umidità relativa elevata prima di arrivare alla soglia epidemica.
Successivamente, DE WEILLE (1963) giunse alla constatazione che la formazione dei
conidi si realizza nell’oscurità quando l’umidità raggiunge livelli vicini alla saturazione. Il mattino
seguente i conidi maturerebbero per raggiungere il massimo potere germinativo nel pomeriggio od
alla sera, a condizione che l’insolazione sia limitata e che l’umidità risulti elevata (con una
diminuzione di umidità non si verifica la maturazione dei conidi attaccati ai conidiofori e
diminuisce pure il potere germinativo dei conidi già staccati. Questi ultimi sono danneggiati più
dalle radiazioni ultraviolette che dalla diminuzione di umidità). Una bagnatura delle foglie per
almeno due ore nel pomeriggio od alla sera, rende possibile l’infezione.
Successivamente, BOUCHET (1962, cfr. Casarini), con riferimento al pomodoro,
considerava favorevole per il verificarsi della malattia un periodo di 5 giorni avente:
• temperatura media < 25 °C;
• media delle temperature minime > 10 °C;
• temperatura massima < 30 °C;
• pioggia totale > 13 mm..
La comparsa della malattia era da attendersi dopo 3-4 cicli favorevoli.
MESSIAEN e PROUT (1964, cfr. Casarini), sempre con riferimento alla coltura del
pomodoro, hanno invece considerato favorevole alla peronospora un periodo di 7 giorni con:
• pioggia > 20 mm.;
• media delle temperature minime > 10 °C;
4• temperature massime < 30 °C.
I periodi “favorevoli” che cadono in aprile non vengono da essi presi in considerazione. Inoltre,
quando nel corso dell’estate si realizzano per più di 40 giorni “caldi sfavorevoli” caratterizzati da
temperatura > 29 °C ed assenza di pioggia, dal conteggio dei periodi favorevoli se ne detrae uno.
Con questo metodo l’attacco peronosporico è da attendersi al quarto ciclo.
In Germania, MULLER (1931) accertò che le condizioni ambientali (umidità, temperatura,
pioggia) erano elemento primario per la biologia del fungo e, di conseguenza, determinavano sia il
momento di comparsa che l’intensità della malattia. Inoltre, egli osservò che le condizioni
atmosferiche che precedono la comparsa della malattia avevano una particolare importanza, essendo
i primi attacchi improvvisi di peronospora preceduti da un periodo nel quale si verificava un
accumulo di inoculo.
Sempre in Germania, ORTH (1937) verificò l’importanza dell’umidità relativa per la
germinabilità dei conidi: una diminuzione dell’ umidità relativa del 5% rispetto alla saturazione
determinava una diminuzione di germinabilità ed una riduzione dell’umidità relativa al 76%
devitalizzava i conidi in un’ora.
In generale, per le fruttificazioni conidiche erano più dannose variazioni dell’umidità
relativa del 5%, piuttosto di fluttuazioni di temperatura (da 2 °C a 34 °C).
Inoltre, JOHANNES (1953), dopo aver constatato che l’instaurarsi della malattia dipendeva
dai fattori ecoclimatici, giunse alla conclusione che lo scoppio epidemico della peronospora si
realizza con una temperatura compresa tra i 10 °C ed i 20 °C dopo che si siano verificati due periodi
favorevoli, ognuno dei quali caratterizzato da un periodo di 33 ore durante il quale l’umidità relativa
(registrata in corrispondenza del terzo superiore delle piante) supera il 90% (con possibilità di
abbassarsi fino all’82% al massimo per 4-5 ore).
RAUBER (1957) infine, osservò che esiste una correlazione tra condizioni climatiche
critiche, aumento dei conidi presenti nell’aria e successivi attacchi di peronospora. In base a queste
osservazioni considerò di primaria importanza l’individuazione di una “data 0” o “soglia
5epidemica” con l’ausilio dei dati fenologici ed il ricorso alle indicazioni fornite da captaspore
opportunamente installati.
Pure in Russia si è molto operato, sia sperimentando i criteri adottati all’estero, che mediante
l’elaborazione di criteri propri.
RUDENKO e GAVRYUSHENKO (1958, cfr. Casarini) individuarono le seguenti
“condizioni critiche”:
• temperatura media 15-20 °C (con massimo di 25 °C e minimo di 10 °C);
• umidità relativa > = 75%;
• pioggia > = 20 mm. in un periodo di 10 giorni.
In Inghilterra, dopo che per il decennio successivo al lavoro di VAN EVERDINGEN (l.c.)
vennero provati i modelli olandesi, BEAUMONT (l.c.) attribuì molta importanza al realizzarsi di
queste due condizioni:
• temperatura minima > = 10 °C;
• umidità relativa a livello delle piante > = 75% per due giorni.
SMITH (1956), pur ammettendo che il criterio BEAUMONT (l.c.) forniva previsioni per la
maggior parte esatte, riteneva tuttavia inadeguato il riferimento all’umidità relativa > = 75% e
proponeva di considerare favorevoli all’infezione peronosporica due giorni consecutivi, ciascuno
con temperatura minima > = 10 °C e umidità relativa > = 90 °C per almeno 10-11 ore.
In Irlanda, BOURKE (1953, cfr. Casarini) considerò che per lo sviluppo della peronospora
fosse necessario un “periodo favorevole” caratterizzato dalle seguenti condizioni minime:
• almeno 12 ore consecutive con temperatura > = 10 °C ed umidità > = 90%;
• bagnatura delle foglie per almeno 4 ore (oppure in alternativa, persistenza dell’umidità relativa
superiore al 90% per altre 4 ore, oltre le 12 già indicate).
Anche nel Nord-America numerose sono state le ricerche volte a mettere a punto criteri
idonei per la previsione della comparsa della malattia fin dal 1946, anno nel quale si verificò un
gravissimo attacco di peronospora sul pomodoro.
6 Tra i vari criteri proposti citiamo quelli di WALLIN, EIDE e THURSTON (1955), che
riferirono di aver ottenuto previsioni corrette considerando come favorevoli il verificarsi di periodi
di almeno 10 ore caratterizzati da temperatura < = 24 °C e da umidità relativa > = 90% con
temperatura successiva < = 35 °C.
In tali condizioni, un periodo favorevole per settimana era ritenuto sufficiente per la sopravvivenza
del patogeno e per una esigua diffusione dell’infezione.
WALLIN (1957, cfr. Wallin e Riley, 1960) enunciava un criterio per la valutazione del
grado di importanza dei singoli periodi favorevoli (individuati sulla base della umidità relativa
> = 90% al livello delle piante) correlati sia con la durata del periodo di umidità relativa, che con la
temperatura ambientale. Più precisamente, l’autore considerava i seguenti “indici di gravità”:
________________________________________________________________________________
Durata in ore dell’U.R. > = 90%
Temperatura in °C ________________________________________________________________
gravità 1 gravità 2 gravità 3 gravità 4
_______________________________________________________________________________
7,2-11,7 16-18 19-21 22-24 > 24
12,2-15,0 13-15 16-18 19-21 > 21
15,6-26,7 10-12 13-15 16-18 > 18
_______________________________________________________________________________
In seguito, WALLIN e SCHUSTER (1960) e WALLIN (1962), in base alle osservazioni
eseguite per vari anni, proposero di considerare possibili le prime comparse della malattia dopo il
realizzarsi, dall’emergenza delle piante, di un indice cumulativo di gravità di 18-20. Quando tale
indice era raggiunto, si raccomandava di eseguire un trattamento anticrittogamico al verificarsi di
un valore cumulativo di 3 per settimana. Ad un valore di 1-2 per settimana, non erano giustificati
interventi antiperonosporici, causa il limitato evolversi della malattia. Infine, l’assenza di un
periodo favorevole per 3 settimane era sufficiente per l’estinzione delle infezioni pregresse.
7 Per quanto riguarda la situazione in Italia, CASARINI (1969) ha proposto un modello di
previsione per l’Emilia-Romagna (per questo siglato E. R.) che considera favorevoli alla malattia
precipitazioni di almeno 20 mm. realizzatesi in un arco massimo di 5 giorni. Nel giorno in cui tale
livello di piovosità è raggiunto, si considera iniziato un “ciclo di sviluppo” del patogeno.
La comparsa epidemica della malattia avviene dopo almeno 3-4 cicli di sviluppo del
patogeno considerati della durata di 5 giorni ciascuno.
Successivamente, PONTI et al. (1990) hanno formulato, sempre in Emilia-Romagna, un
modello ad “indice” (modello I.P.I. o Indice Potenziale Infettivo) nel quale i parametri pioggia,
umidità relativa e temperatura sono utilizzati mediante specifiche funzioni definite in base alla
relazione che lega i suddetti fattori climatici al patogeno e, più precisamente, il modello determina,
dopo che i dati climatici sono stati elaborati mediante relazioni matematiche, il probabile sviluppo
del potenziale infettivo della Phytophthora infestans nell’ambiente.
Il modello prevede due fasi di rischio: la prima, a basso rischio è quella che inizia dal 1°
maggio e termina quando l’indice raggiunge il valore 15. Al superamento di tale valore inizia la
fase ad alto rischio (il valore 15 è stato definito dall’analisi dei dati storici). Nella fase di alto
rischio, attraverso l’andamento dell’I.P.I. si può prevedere con buona approssimazione il verificarsi
delle infezioni.
Nei casi osservati, le infezioni sono sempre state precedute da improvvisi innalzamenti
dell’I.P.I. superiori a 5 punti nell’arco di 2-5 giorni. Di questi “periodi critici” è stato osservato che
ne potrebbero occorrere anche più di uno, in ogni caso la loro assenza rende improbabile la
comparsa della malattia.
I modelli previsionali passati in rassegna rappresentano soltanto una piccola parte rispetto
sia alle ricerche effettuate nei Paesi citati che nei riguardi di altri Paesi pataticoli e, pur ritenendo
validi ciascuno dei modelli esaminati, tuttavia nessuno di essi è risultato dominante sugli altri e
generalizzabile in quanto ciascuno è stato formulato in particolari condizioni ambientali.
8 Allo stato attuale quindi, la soluzione ideale è da ricercarsi nelle caratteristiche particolari di
ogni ambiente climatico.
OBIETTIVI DELLA RICERCA
Nonostante che, come visto, la letteratura mondiale nei riguardi della Phytophthora infestans
proponga numerosi modelli epidemiologici, risulta difficile consigliare nei nostri ambienti un
modello ben definito in grado di prevedere sempre e con adeguata precisione la comparsa dei primi
attacchi della malattia (Ponti et al., 1985). Ciò dipende dal fatto che alcuni modelli considerano
esclusivamente il fattore precipitazione, altri unicamente l’umidità relativa e tutti sono stati ricavati
e sperimentati in ambienti particolari solo ai quali risultano adeguati.
L’obiettivo di questa ricerca è stato quello di verificare in un ambiente Veneto, i modelli
epidemiologici realizzati da ricercatori stranieri ed italiani che negli ambienti di origine si sono
dimostrati affidabili.