Introduzione
Introduzione
“Ci sono pochissime cose che si imparano attraverso l’ascolto di qualcuno che
ce le insegna. La teologia, forse; forse la filosofia teoretica o la meccanica
quantistica. Quasi tutte le altre si imparano provando a farle”
(Celi e Fontana, 2007, p.3)
Celi e Fontana in questo passo ci mostrano la concezione che sta alla base
degli interventi che vengono applicati all’interno della scuola: la teoria è
importante, ma senza un’applicazione pratica è difficile riuscire a metter in atto
ciò che si è imparato; questo vale per quasi tutte le professioni, per i medici, gli
psicologi, e anche per le insegnanti.
Nel tempo si è visto che le modalità tradizionali di tenere un corso di
aggiornamento per insegnanti, in particolare sui metodi e le strategie cognitivo-
comportamentali, potevano produrre due esiti: alcuni insegnanti pensavano
fossero metodi troppo freddi e meccanici, altri li apprezzavano ma pensavano
fossero troppo difficili da mettere in pratica. Da qui la volontà di rispondere in
maniera costruttiva a questa esigenza e tentare un modo diverso di presentare
il corso, in modo che potesse diventare un’esperienza veramente formativa per
chi vi partecipava (Celi e Fontana, 2007).
Gli interventi che vengono proposti all’interno delle scuole si presentano come
corsi di aggiornamento per le insegnanti, che, però, non si limitano alla
spiegazione teorica delle tecniche cognitivo-comportamentali che si possono
applicare in classe, ma le mettono in atto concretamente.
Il corso, quindi, si propone come un intervento che cerca di insegnare a chi vi
partecipa alcune strategie cognitivo-comportamentali, provando a metterle in
atto in un contesto reale, per vedere se, come e quando funzionano, nel
tentativo di aiutare chi si trova in difficoltà (Celi e Fontana, 2007).
Per ottenere questi obiettivi però gli insegnanti non sono lasciati soli, sono
seguiti con incontri periodici di supervisione e sono accompagnati da una
tesista che li supporta nell’applicazione delle tecniche in classe.
7
Introduzione
Il progetto che sarà presentato in questa tesi fa parte di un percorso di questo
tipo, realizzato nell’anno scolastico 2007/2008 all’interno di due classi di una
scuola primaria, grazie alla collaborazione del C.T.R.H. di Brescia (Centro
Territoriale Risorse e Servizi per l’Handicap).
Attraverso il C.T.R.H. sono stati attuati a Brescia diversi progetti di questo tipo,
negli anni precedenti, però, il corso si proponeva di ascoltare le problematiche
degli insegnanti e valutare insieme con loro la strategia d’intervento piø efficace
in base alle loro richieste. Nel progetto attuato nell’anno scolastico 2007/2008,
invece, il corso prevedeva sin dal principio l’attuazione di progetti di
Cooperative Learning, che promuovessero l’integrazione e la collaborazione
all’interno di tutta la classe.
Questo quindi si configura come un cammino di apprendimento, di condivisione,
un percorso di crescita che coinvolge tesiste, insegnanti, bambini, psicologi e le
tante persone che vi partecipano.
Il Capitolo 1 è dedicato alla presentazione dell’approccio cognitivo-
comportamentale, come presupposto del Cooperative Learning e degli
interventi che abbiamo svolto all’interno delle classi. Nel Capitolo 2 viene
presentato l’apprendimento cooperativo con una breve descrizione delle diverse
forme di interdipendenza positiva che si attivano grazie a questa metodologia.
Nel capitolo 3 vengono brevemente descritte le modalità per progettare un’unità
didattica di apprendimento cooperativo e alcune strutture di Cooperative
Learning che è possibile utilizzare in classe. Il capitolo 4 è dedicato alle abilità
sociali e all’importanza che ci siano, all’interno della scuola, dei momenti
dedicati al loro insegnamento. Il capitolo 5 presenta brevemente i vantaggi
dell’apprendimento cooperativo riportando i risultati che diversi autori hanno
ottenuto attraverso questa metodologia. I capitoli 6, 7 e 8 rappresentano il cuore
di questa tesi, e sono relativi ai progetti di Cooperative Learning attuati
nell’anno scolastico 2007-2008. Nel capitolo 6 è presentata solo la prima parte
di un intervento all’interno di una classe prima della scuola primaria, che
abbiamo dovuto interrompere perchØ il bambino su cui ci eravamo concentrate
ha improvvisamente dovuto lasciare la scuola per problemi familiari; nel capitolo
8
Introduzione
7 è presentato l’intervento svolto con un’altra prima e in particolare con Daniel e
nel capitolo 8 viene descritto il percorso di Giada e della 2° B. Infine, nel capitolo
9, vengono descritti brevemente i limiti e i punti forza di questo percorso e sono
riportate alcune riflessioni delle insegnanti e dei bambini che vi hanno
partecipato.
9
Introduzione
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Prima parte: l’inquadramento teorico
PRIMA PARTE:
L’INQUADRAMENTO TEORICO
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1. L’Approccio Cognitivo-Comportamentale
1. L’APPROCCIO COGNITIVO -
COMPORTAMENTALE
1.1 Le premesse
I principi generali e il significato dell’approccio cognitivo-comportamentale
possono essere riassunti in due temi fondamentali: la gradualità e la
gratificazione (Celi e Fontana, 2007).
Gradualità significa raggiungere un obiettivo per piccoli passi, riducendo al
minimo le possibilità di errore. Questo si può ottenere attraverso alcune
tecniche come l’analisi del compito, che consiste nello scomporre un compito
complesso nelle sue piccole parti piø semplici, o l’apprendimento senza errori,
che, attraverso un aiuto (prompt) che viene poi attenuato (fading), limita al
minimo le possibilità di errore (Celi, 2002; Celi, Alberti e Laganà, 1996;
Lancioni, 1992; Perini, 1997). ¨ chiaro, però, che le tecniche non sono
sufficienti, bisogna accompagnarle con interventi di tipo cognitivo, a volte
nemmeno esplicitati, ma che modifichino i modi di pensare di chi è coinvolto in
questi percorsi (Celi e Fontana, 2007).
Gratificare significa rinforzare; il rinforzo è la conseguenza positiva a una
risposta che ne aumenta le probabilità di ricomparsa in situazioni e circostanze
analoghe (Perini, 1997). I rinforzi possono essere suddivisi in primari e
secondari, quelli primari sono legati alla sopravvivenza e non sono mai utilizzati,
quelli secondari, invece, sono appresi nel corso della vita e possono essere
suddivisi in molte categorie, per esempio il sorriso e l’attenzione sono
rinforzatori sociali, un premio è un rinforzatore tangibile, il denaro è un
rinforzatore simbolico (Trubini e Pinelli, 2005).
Il rinforzo, per essere efficace, deve essere utilizzato seguendo alcune regole:
innanzitutto deve essere significativo per il soggetto, deve seguire
13
Capitolo 1
immediatamente il comportamento e non deve portare a saturazione o
abituazione (Trubini e Pinelli, 2005).
Il rinforzo è complementare alla gradualità, insieme consentono a chi li utilizza
di vedere i piccoli progressi quotidiani; il rinforzatore, quindi, non è
semplicemente una caramella o un premio, è innanzitutto “una modalità
relazionale positiva, attenta a cogliere ciò che di positivo c’è nell’altro, a
evidenziarlo, e a rimandarlo indietro… Il suo significato piø profondo non è ti
gratifico perchØ te lo sei meritato, ma ti gratifico perchØ sono stato gratificato da
te e perchØ questo è ciò di cui credo che adesso tu abbia bisogno…” (Celi e
Fontana, 2007, p.12).
Tutto questo è estremamente difficile da mettere in atto in una classe, che non
è un laboratorio di psicologia, e che ha una sua storia, le sue difficoltà
quotidiane ed è piena di bambini, ognuno con le sue necessità ed esigenze.
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1. L’Approccio Cognitivo-Comportamentale
1.2 Gli interventi all’interno delle scuole
Un dirigente scolastico di solito si rivolge a un professionista per problemi
relativi al comportamento e all’apprendimento all’interno delle sue classi;
l’intervento che gli viene proposto è di tipo cognitivo-comportamentale e si
colloca direttamente all’interno della scuola, con il vantaggio di poter lavorare
direttamente in uno dei contesti piø significativi per i bambini e gli adolescenti
(Celi, Fontana e Trubini, 2006; Rovetto e Moderato, 2006).
Il modello di formazione, intervento e ricerca in classe nasce dall’esigenza di
insegnare qualcosa ma non solo da un punto di vista teorico ma attraverso
un’esperienza realmente formativa che permetta di apprendere ciò che si
ascolta mettendolo in atto concretamente all’interno della scuola (Celi e
Fontana, 2007). Se un insegnante mette in atto un intervento in collaborazione
con degli esperti, finirà per imparare alcune metodologie in modo molto piø
completo di quanto non farebbe ascoltandole a un corso di aggiornamento,
inoltre potrà modificare il proprio modo di vedere gli alunni, i loro progressi e di
relazionarsi con loro (Celi, 2006; Celi, Fontana e Trubini, 2006).
Il percorso in genere prevede un primo momento d’insegnamento delle tecniche
cognitivo-comportamentali e un secondo momento, piø pratico, dove avviene
l’applicazione delle tecniche apprese.
Gli insegnanti, quindi, apprendono quali sono le tecniche e come applicarle
all’interno della classe di cui loro sono i piø grandi esperti e in questo percorso
sono accompagnati da tesisti che, al contrario, possiedono una conoscenza
teorica che però non hanno mai avuto modo di applicare concretamente.
Queste esperienze si propongono come progetti di ricerca applicata e quindi
sono finalizzate alla risoluzione di problemi concreti e al raggiungimento di
obiettivi pratici; introdurre elementi di ricerca è importante perchØ permette a chi
vi partecipa di avere dei feedback sul lavoro svolto e di verificare l’efficacia degli
interventi (Celi e Fontana, 2003; Celi, Fontana e Salardini, 2007).
Le regole e le metodologie sono quelle proprie della ricerca sperimentale,
questa però non viene applicata in modo “puro”, perchØ sarebbe impossibile
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Capitolo 1
creare le condizioni perfette all’interno di un contesto così complesso come la
scuola. Tuttavia è giusto così, perchØ lo scopo non è quello della ricerca di base
che cerca una conferma a un’ipotesi, lo scopo è quello di valutare ciò che è
possibile fare all’interno di una classe, cosa succede quando è un insegnante
ad applicare una metodologia, se i risultati ottenuti dalla ricerca di base
possono essere replicati anche in ambienti “sporchi”, con molte variabili
impossibili da controllare e che possono alterare il setting (Celi e Fontana,
2007).
Queste esperienze non sono comunque prive di rigore metodologico e
prevedono l’applicazione di alcuni principi fondamentali (Celi e Fontana, 2007).
Il primo passo consiste nell’osservazione occasionale che è una modalità di
osservazione libera in cui chi osserva non ha griglie, limiti o obiettivi precisi ma
registra semplicemente ciò che avviene nel contesto in cui è immerso. ¨ un tipo
di osservazione molto utile perchØ permette di farsi un’idea iniziale della
situazione in cui ci si trova, della classe, dei possibili obiettivi (Martin e Pear,
2000).
Dopo un periodo di osservazione occasionale si tenterà di definire un obiettivo
in modo operazionale. Spesso, infatti, gli obiettivi all’interno della scuola sono
definiti con termini generici, che non possono essere tradotti in comportamenti
concreti e oggettivi, per esempio “migliorare le abilità di lettura di Marta”.
Definire gli obiettivi in modo operazionale significa tradurre un comportamento
in operazioni che possano essere osservate oggettivamente e misurate, in
questo modo sarà piø facile controllare, valutare e anche raggiungere
quell’obiettivo, per esempio “imparare a discriminare la M dalla N”.
Un altro problema che spesso si riscontra nelle richieste della scuola, è che
spesso ci sono aspettative molto elevate sulle possibilità dell’intervento.
Nell’approccio psicoeducativo – comportamentale la scelta degli obiettivi è,
però, talmente rigorosa e precisa che c’è un prezzo da pagare, ed è quello di
perdere molti altri obiettivi, forse anche piø importanti da un punto di vista
ecologico/qualitativo. Il motivo di questa scelta allora qual è? ¨ la maggiore
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1. L’Approccio Cognitivo-Comportamentale
probabilità di successo che si ha adottando obiettivi realistici, alla portata di chi
li deve raggiungere, e dalla convinzione che a partire da un esito positivo nelle
piccole sfide quotidiane potrebbero giungere grandi risultati.
Dopo aver scelto e definito un obiettivo si procederà con l’osservazione
sistematica che consiste nel misurare un comportamento in frequenza, durata o
intensità per un periodo di tempo definito (Pinelli, Rollo e Santelli, 2004). PerchØ
l’osservazione diretta del comportamento? Meazzini (1997) individua almeno tre
motivazioni, la prima è che questo tipo di osservazione tenta di escludere, nei
limiti del possibile, ogni forma d’inferenza cercando di mantenere un’oggettività
di base; la seconda è che fornisce dati, utilizzabili prontamente e la terza è che
è lo strumento piø indicato per quanto riguarda la valutazione di un intervento.
L’osservazione sistematica permette di tracciare la linea di base del
comportamento prima dell’intervento, durante la fase di trattamento e nel
momento in cui lo si sospende per un eventuale follow up, in questo modo si
potranno rilevare anche le piø piccole modificazioni come con una lente di
ingrandimento (Celi e Fontana, 2007). Arrivare ad avere un buon numero di dati
in osservazione sistematica è importante perchØ permette innanzitutto di
valutare l’efficacia di un intervento, ma anche, eventualmente, di rivalutare un
comportamento che dall’osservazione occasionale poteva sembrare
problematico ma in realtà non lo era e viceversa (Rollo e Perini, 2003).
Quando l’obiettivo scelto è di tipo comportamentale si può utilizzare l’analisi
funzionale, che è una particolare forma di osservazione sistematica che non si
limita a valutare il comportamento manifesto del soggetto ma cerca di metterlo
in relazione con le situazioni antecedenti che potrebbero averlo causato e le
conseguenze che presumibilmente lo mantengono (Celi, 2002; Celi e Fontana,
2007). Spesso i comportamenti problematici sono definiti come disadattivi, ma
in realtà sono invece adattivi perchØ hanno, quasi sempre, uno scopo per chi li
manifesta: se un bambino impara che l’unico modo per avere l’attenzione della
maestra è correre per la classe urlando allora il correre urlando diventa una
risposta adattiva perchØ gli garantisce che continuerà ad avere attenzioni (Carr
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Capitolo 1
et al., 1998). Dato che il comportamento problematico ha uno scopo se non si
cerca di scoprire qual è non si può ottenere un cambiamento stabile a lungo
termine, e l’analisi funzionale è un metodo che ci fornisce un grande aiuto in
questo.
Nella sua forma piø tradizionale l’analisi funzionale è rappresentata da uno
schema a tre colonne, dove nella prima si collocano gli antecedenti (A), nella
seconda il comportamento o behavior (B) e nella terza le conseguenze (C).
Esempio:
Tab. 1.1 Tabella per l’analisi funzionale
A B C
Antecedenti Behavior Conseguenze
Un’analisi funzionale fatta in modo corretto è molto utile perchØ ci permette di
scegliere un trattamento adeguato e personalizzato.
Con la ricerca applicata in classe assume una fondamentale importanza il
contesto: le diverse fasi di osservazione e trattamento vengono, infatti, inserite
nell’ambiente scolastico quotidiano. Oltre a questo è prevista un’interazione
diretta con la classe e l’esperienza spesso coinvolge tutti gli alunni.
PoichØ il comportamento problematico ha un funzione, l’obiettivo principale
dell’intervento non sarà solamente quello di diminuire o eliminare il
comportamento problematico, ma si cercheranno di insegnare modalità
alternative di risposta e nuovi comportamenti precedentemente non posseduti.
Durante l’intervento si continuerà l’osservazione sistematica in modo da avere
sotto controllo i dati ed effettuare delle modifiche qualora non si avessero degli
sviluppi (Celi e Fontana, 2007). Alla fine del percorso si dovranno valutare i dati
in modo complessivo per avere una conferma dei progressi avvenuti e
dell’efficacia dell’intervento o, al contrario, della sua incompletezza.
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1. L’Approccio Cognitivo-Comportamentale
Il raffronto tra i dati della linea di base e quelli dell’intervento rappresenta la
forma piø semplice di disegno sperimentale (disegno AB), che ha molti limiti in
quanto non può verificare l’effetto di variabili che potrebbero aver influenzato il
comportamento e di cui non si è a conoscenza (Celi e Fontana, 2007).
Il disegno sperimentale A-B-A' cerca una soluzione a questi limiti introducendo
dopo la fase di osservazione (A) e di trattamento (B) una nuova fase di
inversione (A'), in cui avviene una sospensione del trattamento continuando
l’osservazione sistematica, in modo da verificare se i cambiamenti siano
effettivamente da attribuire all’intervento. Spesso viene aggiunta una seconda
fase di trattamento in modo da terminare l’intervento nelle condizioni di
massimo beneficio per il soggetto (disegno A-B-A-B). Questo tipo di disegno
sperimentale però comporta diversi problemi, soprattutto da un punto di vista
etico: sospendere il trattamento significa sacrificare le necessità del soggetto a
quelle della ricerca, interrompendo un intervento proprio nel momento in cui si
sta dimostrando efficace. Oltre a questo, qualora la fase d’inversione non
producesse una regressione, potrebbe anche essere dovuto a un effetto carry-
over, di trascinamento dei risultati dell’intervento e quindi sarebbe difficile
interpretare correttamente i dati (Celi e Fontana, 2003).
Un modo per ovviare a questi limiti di natura tecnica, etica e pratica (Hersen e
Barlow, 1976) è utilizzare un disegno sperimentale a linee di base multiple
(Luiselli et al., 1978; Lancioni, 1995) in cui s’introducono piø variabili dipendenti
che saranno trattate in tempi differenti per valutare se è avvenuto un
cambiamento indicativo (Maslovaric, Fontana e Celi, 2007).
Esistono tre diverse varianti di questo disegno (Celi e Fontana, 2003):
1. Disegno across subjects o intersoggetto: quando si valutano
comportamenti diversi nello stesso soggetto.
2. Disegno across behaviors o intercomportamentale: quando vengono
valutati gli stessi comportamenti in soggetti diversi.
3. Disegno across situations o intersituazionale: quando viene valutato lo
stesso comportamento nello stesso individuo ma in contesti diversi
(McBurney, 1994; Meazzini, 1997).
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Capitolo 1
Nel momento in cui si sospende il trattamento, è utile disporre di alcuni dati di
follow up che ci indicano se gli effetti dell’intervento si sono mantenuti anche
dopo la sua sospensione.
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2. Il Cooperative Learning
2. IL COOPERATIVE LEARNING
“Niente di nuovo che sia realmente interessante nasce senza collaborazione”
“Il nostro… vantaggio stava nel fatto che avevamo sviluppato metodi di
collaborazione nuovi ma fruttuosi… se uno di noi due suggeriva una nuova
idea, l’altro, pur prendendola in seria considerazione, provava a demolirla con
convinzione, ma senza ostilità”
James Watson e Francis Crick
Premi Nobel (co-scopritori della doppia elica del DNA)
2.1 Che cos’è l’apprendimento cooperativo?
Cooperare significa operare insieme per giungere a obiettivi comuni.
L’apprendimento cooperativo è un metodo educativo particolare che prevede
l’impiego di “piccoli gruppi in cui gli alunni lavorano insieme per migliorare
reciprocamente il loro apprendimento” (Johnson, Johnson e Holubec, 1996,
p.19).
Il Cooperative Learning ha avuto un forte sviluppo nelle scuole americane dagli
anni sessanta del novecento e da lì si è diffuso velocemente in altre parti del
mondo (Canada, Australia, Israele e Regno Unito le principali aree di ricerca) e
in Italia verso la fine degli anni ottanta (Cacciamani, 2008; Trubini e Pinelli,
2005).
Il Cooperative Learning è una metodologia molto piø complessa del semplice
utilizzo dei gruppi all’interno di una lezione scolastica, si articola in una serie di
principi educativi che fanno sì che gli alunni possano imparare gli uni dagli altri
mentre lavorano insieme nella realizzazione dei compiti (Hijzen, Boekaerts e
Vedder, 2006).
Questa metodologia è nata per creare una situazione di gruppo che sia
veramente prosociale: spesso, quando si lavora in gruppo, sorgono delle
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