3
Questa pittura si distingueva allora da quella detta « profana », come, per esempio, in
Veronese. Nella Guidacci, invece, le due tendenze sono intrecciate e l’insieme è sempre
ambiguo. Ma l’ambiguità non è, semplicemente, la caratteristica della poesia ?
È logico che l’opera non sia all’immagine del suo autore, non lo rappresenti come vorrebbe
mostrarsi nei rapporti sociali. L’opera rivela allora quel che è nascosto dietro la barriera delle
convenzioni.
Dovremo, nei versi di Margherita Guidacci, essere attenti al significato di parole che
sembrano evidenti, come nel caso del termine « misticismo ».
Citiamo a questo proposito quanto è scritto nei confronti di Paul Celan, nell’Encyclopédie
philosophique universelle :
« La poésie de Paul Celan offre de nos jours l’exemple particulièrement suggestif d’une poésie, qui sans être
mystique au sens traditionnel, reprend les grands thèmes de la mystique juive et chrétienne, mais les ordonnant à
une problématique proprement poétique de l’énonciation »
2
.
Questa visione potrebbe applicarsi ad un passaggio di La sabbia e l’Angelo :
E quando l'Angelo ci chiese :
"Volete ancora ricordare ?"
Noi stessi l'implorammo : Lascia che venga il silenzio
3
.
Questi versi sono interessanti per una duplice ragione : permettono d’intravedere un tratto
singolare di misticismo e allo stesso tempo precisano l’importanza della « memoria » in
questa problematica, memoria che d’altra parte ha anche un’immensa importanza in Celan.
La memoria, in effetti, rinforza la fede e allo stesso tempo le si oppone. Vediamo in questi
versi che l’Angelo propone di ravvivare la memoria, ma riceve un richiamo al silenzio.
Perché ? Se i ricordi sono capaci di rafforzare il dubbio, possono anche attingere alle
profondità intime. La Guidacci lotta forse - altra analogia con Celan - contro una parte della
propria memoria, come se quanto si colloca nel passato fosse un freno al richiamo di
speranza verso l’avvenire.
Soffermiamoci ora sull’espressione « pessimismo esistenziale ». Constatiamo che la
poetessa si riferisce molto raramente, sul piano illustrativo, a fatti che riguardano la sua vita
privata, benché, evidentemente, la sua vita orienti l’opera.
Il suo pessimismo esistenziale è curiosamente (ancora un paradosso !) trascendentale.
2
Encyclopédie philosophique universelle, sous la dir. de Pierre Jacob, Paris, PUF, 1989. p.29.
« La poesia di Paul Celan offre ai giorni nostri l’esempio particolarmente sugestivo di una poesia che, senza
essere mistica nel senso tradizionale, riprende i grandi temi della mistica giudaica e cristiana, ma adattandoli ad
una problematica puramente poetica dell’enunciazione”.
3
M. GUIDACCI, La sabbia e l’Angelo, Firenze, Vallecchi, 1946, p.16.
4
In effetti niente è chiaro. Pensiamo all’osservazione di André du Bouchet :
« […] nous nous trouvons devant ceci : un infini verbal
qui nous donne accès à quelque chose qui reste à dire -,
bien qu’il ne soit nullement indispensable de le dire »
4
.
Particolarità della Guidacci, e che tormenta molti autori, è questo « vuoto » del non-detto, del
semplice suggerimento, di quello che è presente ma che non è stato notato, benché
costituisca la sostanza, assente e tuttavia presente, della poesia.
Si dovrebbe dunque andare al di là delle stesse parole, questo « aldilà » che la Guidacci
evita di definire, utilizzando termini appartenenti a due piani distinti che nel suo caso
s’intrecciano : quelli che fanno parte dei grandi misteri dell’escatologia cristiana come
« Grazia », « Resurrezione », « Santi », « Angelo », « Dio » e quelli inerenti alla simbolica
poetica come « silenzio », « niente », « vuoto », « sabbia », « morte », ecc. ….che avremmo
torto d’interpretare strictu sensu. Se la speranza, infatti, porta dei nomi convenzionali, l’aldilà
rimane ineffabile e dunque suscettibile d’esporsi all’incertezza.
Questa introduzione pone la problematica del nostro studio, confrontando le due tendenze
fondamentali dell’opera guidacciana : il pessimismo esistenziale e la speranza mistica, intesa
come riscatto alle pene della vita.
Il misticismo è dunque al centro della sua opera, misticismo che l’accompagnerà nella vita e
nella creazione poetica : sboccerà timidamente nell’infanzia e nella giovinezza, per poi
orientare, non senza incertezze e difficoltà, i suoi studi.
La sua personalità poetica emerge in un approfondimento religioso alla base delle sue prime
raccolte in versi, e si cristallizzerà nel confronto che marca tutta la sua opera e sarà
generatore di sofferenza, ossimoro che Margherita Guidacci non riuscirà mai a risolvere.
Una straziante esperienza psichiatrica segna una svolta nell’opera, che diviene più compatta,
più stilisticamente incisiva e sferzante. Neppure il ricorso alla pittura ed alle arti plastiche
attenua un pessimismo che lo choc dell’attualità rinforza.
Con gli anni, gli impulsi si attenuano, una certa serenità accompagna l’affermarsi di pacate e
consolanti certezze.
Sono questi i quattro elementi che abbiamo cercato di analizzare, benché nella Guidacci gli
stati d’animo si contraddicano, siano ambigui, esenti da ogni definitiva certezza. L’ossimoro
punteggia costantemente l’opera e la rende avvincente.
4
A. DU BOUCHET, Le Dépassement de la représentation, Carnets…, 53 in Ontologie et poésie, par Serge
Champreau, Vrin, 1955, p.101
“ […] Ci troviamo di fronte a questo : un infinito verbale che ci dà accesso a qualche cosa che resta da dire –
benché non sia affatto indispensabile dirlo”.
5
Capitolo 1 : La dimensione mistica nella formazione
1.1 Il contesto familiare
Margherita Guidacci nasce a Firenze il 25 aprile 1921, vicino alla « bella chiesa romanica »
dei SS. Apostoli. A tre anni si trasferisce con i genitori in via Santa Reparata, un’altra strada
del centro storico.
« Era una casa strana e scomoda, ramificata come un albero, ma con una terrazza sul tetto che era il
mio regno. Di là si vedeva tutta la città e tutto il giro dei colli, e quando mi sdraiavo sul pavimento,
come spesso facevo, vedevo solo il cielo ed il passare e trasformarsi delle nuvole[…]»
1
.
Il padre, Antonio, avvocato, divide lo studio con Piero Calamandrei. La madre si chiama
Leonella Cartacci.
« Ero figlia unica, in una famiglia composta, oltre che dai miei genitori, da molte persone anziane[…]
Naturalmente non vi era in casa molta allegria : le malattie erano frequenti, il senso del declino, diffuso
nell’atmosfera, era più forte di quello della mia crescita »
2
.
Nel 1931, muore il padre, ancor giovane, di un tumore.
« Io avevo allora dieci anni, e ritengo che la fine di quel poco di fanciullezza che avevo avuto sia stata
segnata da quella morte, alla quale assistei. Poi, uno ad uno, se ne andarono anche tutti i vecchi, e
rimanemmo solo mia madre ed io : molto sole e molto unite »
3
.
Questa atmosfera di lutto ebbe sicuramente un’influenza sul suo temperamento e si trova in
parte alla base del suo pessimismo. Anche se Margherita non subì gravi trauma, la tristezza
s’insinua nei suoi anni infantili. La morte, tema centrale della sua opera futura, bussa di
frequente alla porta della sua casa. D’altra parte l’educazione cattolica sviluppò certamente
in lei una grande sensibilità ed un’attenzione particolare nei confronti dell’ingiustizia e delle
sofferenze della vita.
La sua fede religiosa si basa su una speranza mistica che non diverrà mai certezza, e fu
questo il suo dramma.
Se il suo stato d’animo conflittuale resta sottogiacente nei primi anni, si manifesta in un certo
isolamento incline all’introspezione.
1
Margherita Guidacci, La parola e le immagini, Mostra documentaria e catalogo a cura di Margherita Ghilardi,
Firenze, Polistampa, 1999, p. 11.
2
Ibid., p. 13.
3
Ibid., p. 14.
6
La difficoltà di vivere maturerà col tempo per divenire, se possiamo utilizzare questo termine,
« cosmica », alimentata dalle vicende che scuotono il mondo : guerre, attentati sanguinosi,
fame e miseria per gli uni, ricchezza e sperpero per gli altri.
Margherita scrive :
« Fra i coetanei mi sentivo spersa, incapace di quell’affiatamento immediato e spensierato che
invidiavo agli altri bambini. La mia vita di relazione era molto scarsa, praticamente inesistente. In
compenso intensa era la mia vita di studio, di letture. I libri mi offrivano, in un certo senso, un
surrogato di quegli incontri di cui non ero capace nella vita quotidiana»
4
.
1.2 L’infanzia e la scuola
Tra i suoi carteggi è stato trovato uno scritto, in cui ci svela una scoperta infantile e recondita,
che ha influenzato più tardi una sua tematica, legata ad uno dei suoi primi ricordi. Una sera
della fine del 1925 (Margherita nacque nel 1921), dopo Natale ma ancora nell’atmosfera
festiva di quel giorno, sedeva su un panchettino imbottito ai piedi della nonna seduta in una
poltrona accanto al camino, la schiena appoggiata contro le sue gonne… e fu la rivelazione
del fluire del tempo, ma anche della continuità della vita, di generazione in generazione :
« A un tratto, non so come né perché, parve che le frontiere del mio mondo infantile – fino allora eterno,
incomunicabile e immutabile, di fronte al mondo anch’esso eterno, incomunicabile ed immutabile degli adulti –
cadessero polverizzate. Sentii allora, con una violenza che mi fece paura, la continuità fra mia nonna e me,
l’unicità della corrente – sangue e tempo - che ci attraversava.[…] Per un attimo mia nonna […] era un’altra me
stessa, che mi aspettava al termine di un’esperienza sconosciuta. O - faceva lo stesso - io ero lei, prima di
quell’esperienza. E tra i due momenti, che ormai mi apparivano drammaticamente intercambiabili, si svolgeva la
legge di crescita e decadenza, legge ineluttabile a cui nessuno poteva sfuggire, che aveva nome Tempo […] »
5
.
Pare che quel ricordo sia stato il primo impulso e il tema in senso profondo dei suoi tentativi
poetici. Incominciò a scrivere prestissimo e non solo poesie. A otto anni contava varie
novelle e un paio di commedie.
Le vacanze nel Mugello, a Scarperia, restano un ricordo molto sereno, perché aprivano al
suo mondo la dimensione della campagna. Quivi i parenti possedevano una casa che
risaliva all’epoca dei Medici. I membri della sua famiglia erano sepolti da tempo in Santa
Croce :« Come quei miei antenati che in un angolo di questo tempio dormono da secoli sotto
le loro cinque losanghe azzurre »
6
.
4
Margherita Guidacci, la parola e le immagini, op. cit., p.50.
5
M. GUIDACCI, Breve carme a Ugo Foscolo, in Poesia per poeti, Milano, IPL, 1987, p. 30.
6
M. PIERACCI HARWELL, Un cristiano senza chiesa e altri saggi, Roma, Edizioni Studium, 1991, p.155.
7
Le lunghe estati dell’infanzia e della giovinezza passate in compagnia di poeti e letterati dai
nomi di Carlo Berlocchi, Piero Bargellini, Piero Parigi, ed in particolare di Nicola Lisi, cugino
della madre di Margherita e sacerdote, rimangono tra i suoi migliori ricordi:
« Le immagini più gradite e serene del Mugello […] sono legate a Nicola […] per le indimenticabili passeggiate sui
monti che facevamo durante le vacanze estive della mia adolescenza […] »
7
.
Di Lisi, dunque, respirò l’aria fin dall’infanzia. E la sua presenza trasparirà anche da una
poesia La Morenita nella raccolta L’Inno alla gioia :
.
« La mia piccola anima corre su per la collina./ È una bambina bruna, che solleva le braccia : leggera
e ansante, incontro al vento che l’avvolge. / In cima alla collina, se il Signore la chiama, /possa Egli
(così per i redenti / avveniva nei quadri degli antichi pittori )/ accoglierla nel cavo della Sua mano, /
come un passero che appena vi è posato, / non impaurito né triste, solo un po‘ stanco : / molto
tranquillo, del resto, al termine del volo»
8
.
Non più la bimba triste e pensosa, ma una nuova, leggera, gaia, che corre incontro al
vento…
Nicola Lisi era prete e scrittore. Margherita, con profondo affetto, lo ricorda in un semplice
aneddoto, avvenuto all’occasione di una messa celebrata alla morte di Federico Garcia
Lorca.
« Mi aspettavo che Don Antonio salisse all’altare rivestito dei lugubri paramenti delle messe per i defunti, e
invece me lo vidi comparire davanti rivestito di una mirabile pianeta, della quale non ho mai visto l’uguale, dove
uno accanto all’altro splendevano tutti i colori dell’arcobaleno ; una pianeta che non faceva certo pensare alla
morte, ma a tutta un’effusione di gloria e di gioia. “ Non trovavo lì per lì la pianeta nera” disse […] notando il mio
incantato stupore “e allora ho preso questa”. Così pregammo insieme, due “semplici”, si potrebbe dire, usciti
dall’Arca lisiana, e me ne venne una grande consolazione che si rinnova ogni volta che ripenso a Don Antonio in
quella luminosa veste iridata, che pareva un poetico emblema del Paradiso»
9
.
Dopo le elementari e il ginnasio inferiore in una scuola di suore, l’Istituto Inglese Italiano di
via Santa Reparata, s’iscrive al Liceo Michelangelo, dove nel 1939 ottiene il diploma di
maturità con voti altissimi in tutte le materie.
« Negli anni di liceo ricevei quella che ritengo sia stata per me la più forte influenza formativa nel
campo intellettuale. Essa mi venne da un professore di matematica, Giuseppe Gheraldelli, che rimane
per me il più alto esempio di “maestro”. Credo di dovere al suo insegnamento certe esigenze a cui
sono rimasta fedele tutta la vita [… ]»
10
.
7
ibid., p.160.
8
M. GUIDACCI, La Morenita in Inno alla gioia, Firenze, Centro Internazionale del Libro, 1983.
9
M. PIERACCI HARWELL, Un cristiano senza chiesa e altri saggi, op. cit., p. 157.
10
Margherita Guidacci, la parola e le immagini, op. cit. , p.10.
8
1.3 Gli studi superiori : la tesi su Ungaretti
Tra gli scrittori che le furono accanto e contribuirono alla sua formazione, possiamo citare
Nicola Lisi, Giuseppe De Robertis e, anche se indirettamente ma attraverso l’opera,
Giuseppe Ungaretti.
Il primo, come già abbiamo potuto intuire, ha lasciato in lei trace sotterranee di affinità, come
piante nutrite dalla medesima linfa :
« […] Negli scritti di Nicola persone e fatti diventavano « altro » […] si coprivano di un velo enigmatico che pareva
rimandare a più profonde realtà. […] Per me era interessante constatare così molto da vicino come l’arte sia
inevitabilmente un processo di trasformazione e di trasfigurazione. In un caso però il vero parroco era un essere
« naturaliter » lisiano se mai ve ne fu uno, per la sua semplicità, il suo candore, il suo senso misterioso e
incantato ma sempre intensamente religioso della natura e della vita […] »
11
.
Queste poche righe fanno già apparire la religiosità di Margherita, una qualità « lisiana » che
la richiama a fonti ben più lontane. In certe sue opere giovanili, per esempio, risentiamo
quel bisogno di chiarezza e di semplicità, che alcuni critici come Margherita Pieracci Harwell,
fanno risalire agli scrittori fiorentini del Trecento.
Altro « maestro » determinante è Giuseppe De Robertis. Margherita Guidacci ricorderà con
queste parole il loro incontro :
« Arrivai alla facoltà di Lettere dopo un duro combattimento con me stessa. Amavo la letteratura, ma amavo
immensamente anche la matematica e, presa la maturità, non sapevo decidermi tra questi due amori. Scelsi,
infine, Lettere e lì ebbi un altro combattimento, ma più facile. Mi ero, infatti, iscritta col proposito di seguire il ramo
classico, ma dopo pochi mesi ero già passata al moderno. E questo io lo dovetti a Giuseppe De Robertis, alla
novità del suo insegnamento che subito mi attirò (quello spalancare tutte le finestre e dare al presente, così
inattesamente per noi, ex-liceali di allora, la stessa attenzione che al passato) […] »
12
.
.
De Robertis fu suo docente di letteratura all’università. I loro rapporti erano contradditori, ma
sempre fonti di animati e positivi dibattiti. Margherita non era un’allieva docile, ma il
professore, lungi dall’esigere l’adesione completa al suo insegnamento, motivava i suoi
giovani alla riflessione e alla critica personale :
« C’era in lui, se posso usare questa espressione, un’allegria dell’intelligenza […] un’allegria che
nasceva proprio dal suo felice e continuo esercizio e sembrava quasi materializzarsi nello scintillio di
uno sguardo che rimane per me tra i più vivi che abbia incontrato […] »
13
.
De Robertis orienta Margherita nell’espressione formale della sua arte, sottolineando
l’esigenza della disciplina dello stile, l’ascolto attento alla risonanza di ogni parola, di ogni
cadenza dentro di sé, poi sulla pagina. È questo l’elemento essenziale, a parer nostro, che
lascia la sua impronta nella formazione della poetessa.
11
ivi., p.159.
12
Margherita Guidacci,le parole e le immagini, op. cit., p. 9.
13
Ivi, p. 12.
9
Il terzo « incontro » determinante fu Ungaretti. Siamo nel 1943 e il poeta aveva pubblicato
L’Allegria, Il Sentimento del tempo, e alcune poesie di Il Dolore. La sua scoperta, scrive
Margherita, « mi affascinò e mi travolse », donde la decisione di fare la tesi di laurea su
Ungaretti. De Robertis esitò ad accettare, poiché, nel contesto storico dell’epoca era una
decisione « audace ».
L’Ungaretti della tesi di Margherita fu il primo Ungaretti, il poeta di Allegria e di Sentimento
del tempo, ma come trovare libri e riviste del primo Novecento in quell’inizio degli anni
Quaranta ?
L’intervento di Nicola Lisi le aprì le porte della fornitissima biblioteca di Papini ove la giovane
laureanda svolse le sue ricerche. Gliene rimase un ricordo indelebile :
« La biblioteca di Papini mi pareva un sogno. Vi trovai molte cose utili per la mia tesi ed altre che non c’entravano
affatto ma che m’incuriosivano e che io seguivo beata ampliando i miei interessi ed anche disperdendoli in mille
rivoli ».
Per di più si era in guerra, c’era il coprifuoco, e la studentessa se ne tornava a casa la sera
per strade nere come pece col cuore che le sobbalzava in petto ad ogni minimo rumore. Ma
nel ricordo tutto questo diveniva avventura e lasciava un sentimento di nostalgia.
Nel Diario di Giovanni Papini lo scrittore accenna alle visite pomeridiane della giovane
cugina di Lisi, che definisce « timida, silenziosa, quasi astratta ».
« Impostai la mia tesi sulla dialettica di " innocenza " e " memoria" di Giuseppe Ungaretti, partendo da uno scritto
che avevo trovato in una delle riviste di Papini […] Vedevo la parola ungarettiana confrontarsi col silenzio, tuffarsi
in esso e riemergere vergine, in una novità primigenia ed in uno stupore quasi religioso »
14
.
Accennando alla raccolta Allegria, scrive : «Ed è sullo spartiacque della parola e del silenzio
che si muove Allegria, i due versanti a continuo contatto e confronto in quei brevissimi versi
che s’incuneano sulla pagina come in una fenditura del bianco che li circonda»
15
.
.
La tesi fu discussa il 3 dicembre 1943 con il titolo « La poesia di Giuseppe Ungaretti ».
Ne citiamo ancora un frammento che anticipa le future scelte poetiche della Guidacci :
« È necessaria la presenza simultanea di questi due elementi, suono e senso, e così
strettamente associati, che ciascuno sia quasi il rispecchiamento dell’altro nella propria
sfera”.
Margherita racconta che De Robertis la esortò a far leggere ad Ungaretti quello che aveva
scritto su di lui. Lo incontrò nella sua casa di allora, in piazza Remuria, a Roma. Ungaretti
lesse la tesi e la elogiò. Ma l’espressione ricorrente « Curioso ! » con quella sua voce
« frusciante che faceva pensare a un cespuglio dove frascasse un uccello » le fece capire
che il poeta non vi si era riconosciuto.
14
Margherita Guidacci, le parole e le immagini, op. cit., p. 13.
15
Ibid, p. 19.
10
Dal Quaderno di poesie, un autografo che data del 1939 :
“I miei inizi videro un mio tentativo fallito d'imparare la poetica dell'ermetismo. Tre o quattro poesie mi bastarono a
capire di esservi costituzionalmente negata, ma non sapevo da che altra parte continuare, e così decisi
d'aspettare in silenzio. (Il silenzio mi è sempre parso la soluzione migliore quando non avevo niente da dire)”
16
.
Eppure, nonostante la decisione « d’aspettare in silenzio », abbiamo trovato la sua prima
poesia pubblicata in «Rivoluzione» nel 1940 :
« Segreto l’odor delle serre / dimenticate in fondo ai pomari / t’insegue, librato nell’aria / notturna come foglia.
Impotenti le mie dita si annodano / nell’ombra. Negli occhi, taciuto / grido, racchiudi lo stupore / che piega le
campanule sull’acqua / presso il ponte dei giunchi. Come un dolce / soffio, sottile la tua mano sfiora / la notte.
Fuggono gli uccelli / nei boschi, lungo le colline azzurre / quando persa tra fosfori di stelle / la Terra, nave,
scende nei silenzi, / recando la frescura delle strade / allentate dal vento ».
In questi versi, ove la poetessa canta la natura senza ombra di pessimismo, troviamo termini
che riverranno spesso nella sua opera, assumendo simboliche diverse: segreto, foglia, dita,
ombra, grido, stupore, acqua, soffio, mano, notte, uccelli, colline, stelle, terra, silenzio,
vento…
1.4 Le affinità letterarie
Margherita Guidacci si orienta in seguito verso lo studio della letteratura inglese e anglo-
americana. Studia al British Institute di Firenze, e inizia a collaborare, con recensioni,
traduzioni e saggi, a numerose riviste letterarie.
Legge e traduce poesie e prose di scrittori quali Emily Dickinson, Rainer Maria Rilke,
Thomas Stearn Eliot, John Donne, Herman Melville, Franz Kafka. Le opere di Leopardi
restano le sue letture predilette.
La maggior parte di questi autori hanno in comune quel sentimento del divino, che si può
definire : “misticismo”, e che assume sovente la figura di un “ossimoro”. Questa figura
consiste nell’unire due parole di senso contradditorio per conferir loro una più forte
espressività. Ne diamo un esempio che risale molto lontano nel tempo : “le bruit d’une brise
légère”, che si riferisce all’apparizione di Dio ad Elia sulla montagna dell’Horeb (1 R 9, 12-13),
fu tradotto dall’ebraico: “Le bruit d’un silence tenu”. Più vicino a noi, ecco come l’oxymoron è
utilizzato da René Char, per il quale la poesia è l’ineffabile della sua esperienza mistica atea,
percezione senza visione, estasi che non è un oscuramento ma un aldilà: “Le cœur d’eau
noire du soleil a pris la / place du soleil, a pris la place de mon cœur”
18
.
16
M. GUIDACCI, in Poeti a Roma (1845-1980), a cura di A.Frattini e M.Uffreduzzi, Roma, Bonacci, 1980.
18
R. CHAR, Fureur et mystère, ″La Pléiade″, Paris, Gallimard, 1983.