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Un‘affinità molto interessante la troviamo, considerando la solidità
incrollabile dei personaggi di Ibsen, personaggi coerenti in un contesto senza
possibilità di scelta, in quanto non esistono incertezze e non esistono
alternative. Stessa solidità di costruzione, stessa impossibilità di essere
altrimenti che ci suscita Munch come prima impressione. E la tragedia
ibseniana, che scaturisce dal coraggio di calarsi nel profondo per giungere
all‘essenza delle cose, senza compromessi, alla ricerca solo di una verità
assoluta, qualsiasi ne siano le conseguenze, non è la stessa che fa scaturire
L'urlo di Munch che, in quanto manifestazione di una piena coscienza,
diventa panico costringendo tutto l'universo ad urlare con lui, perché ormai
conscio della realtà umana? E tutte queste figure di Munch sono come una
continua rappresentazione grafica dei personaggi creati dalla penna di Ibsen,
e tutti si potrebbero riconoscere ad un attento esame, tutti ritrovarsi nelle
loro sofferenze, nelle loro ricerche, nelle loro tragiche prese di coscienza,
queste figure-personaggi nate nei secoli, dalla spietata terra norvegese.
Certo in Ibsen si può riconoscere una tragedia umana più personale e più
inquadrata, in un mondo di razionalismo, ancora integro di un senso di
socialità, mentre in Munch vi sono già la presa di coscienza di una paura
sollecitata dall'esterno e un più esasperato isolamento individuale, ma questo
è dovuto solo alla proiezione storica del quarantennio che li separa.
Munch è intensamente attratto ed influenzato da Ibsen, e nella mia tesi,
affronto questa comparazione tra i drammi ibseniani e i lavori munchiani.
Ho suddiviso la mia trattazione in tre capitoli, ai quali seguono, in
appendice, i materiali divisi in due sezioni, una per gli ambienti esterni ed
interni, citati nei drammi analizzati, ed una per le immagini munchiane, a cui
faccio riferimento nella tesi.
Ho deciso di analizzare in primis, i drammi di Ibsen: drammi storici, drammi
civili e drammi sociali facendo particolare attenzione sia allo spazio esterno,
geografico e a quello interno dell‘inconscio, sia alle caratterizzazioni dei
personaggi, prima maggiormente legati al fiabesco, al leggendario, al
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fantasioso, poi via via più introspettivi, fino ad arrivare agli ultimi drammi,
intrisi d‘angoscia, d‘inquietudine più profonda.
Parallelamente ho affrontato le relazioni con Munch. È interessante osservare
la completa corrispondenza tra le donne ibseniane e quelle di Munch, donne
perfide ed ammaliatrici, proprio come Il vampiro munchiano, o come la
maggioranza delle raffigurazioni di donne. Ma non solo, anche lo spazio, il
paesaggio descritto da Ibsen nei primi drammi, è lo stesso di Munch, la
motivazione è data dal fatto che entrambi gli autori sono cresciuti in
Norvegia, quindi hanno la stessa visione dello spazio eccessivo della natura
norvegese che sovrasta tutto e tutti.
Nei drammi successivi, lo spazio subisce una contrazione che corrisponde al
senso di oppressione che grava sui personaggi e che vivono nel loro
inconscio, sensazione che si traduce in angoscia ed inquietudine, sentimenti
presenti in molte opere munchiane come Angoscia [I 4], L’Urlo [I 5], Sera sulla
via Karl Johan [I 22].
Dunque, vi è grande affinità tra la visione interiore dello scrittore e quella del
pittore, entrambi hanno nell‘occhio della loro mente una visione oscura o
luminosa di ciò che vogliono creare: le parole, le linee, i colori.
La visione del pittore è una visione poetica e quella del poeta è una scrittura
visuale; Ibsen infatti, aveva un‘immagine chiarissima dei suoi personaggi,
come erano vestiti, com‘era arredata la loro casa, com‘era colorato lo spazio
intorno a loro. Le sue direttive nella scena erano insolitamente precise nei
dettagli, quasi come un quadro.
Edvard Munch, dal canto suo, fu chiamato pittore letterario, non perché
illustrasse testi letterari, o perché cercasse i suoi temi nei libri, piuttosto
perché i motivi letterari lo perseguitavano; questi portarono alla luce le
minacce del destino della sua stessa vita, che poi Munch raffigura nella
pittura in cui le sue impressioni letterarie e la sua esperienza personale
raggiungono un‘unità più alta. In questo senso, la scrittura di Ibsen diventa
una delle fonti dalle quali l‘immaginazione pittorica di Munch prende
7
spunto, attraverso tutta la sua vita. È caratteristico, infatti, che nel Munch
Museum troviamo circa cinquecento lavori considerati legati ai temi
ibseniani. Vedere era il senso più importante sia per Munch che per Ibsen,
ovviamente non nel senso fotografico ed esterno del termine. L‘abilità e il
compito dell‘artista erano di vedere all‘interno, di modo che, i motivi esterni
e l‘interna agitazione mentale, fossero fusi insieme in una valida espressione.
―Scrivere è vedere‖ sosteneva Ibsen: vedere l‘essere umano nella sua
complessità, analizzare la società nei suoi preconcetti e tabù.
Munch dichiara“I paint not what i see, but what i saw”1.
AVVERTENZE
1. Nelle note riguardanti i drammi di Ibsen, dopo la prima indicazione
completa della fonte in traduzione italiana, viene indicato solo il titolo di
ciascun dramma, seguito da numero dell‘atto e della scena e dal numero
romano del volume.
2. Nella Sezione Materiali, Ambienti, dell‘Appendice, le didascalie relative
agli ambienti citati nel testo, distinte per drammi, sono indicate in parentesi
quadra, con l‘abbreviazione A per Ambiente, seguita dal numero in
successione, l‘indicazione dell‘atto in numero romano, e dal numero della
didascalia, quest‘ultimo contrassegnato con il numero romano in corsivo: [A
2, a. I, II].
3. Le immagini citate nel testo, sono indicate in parentesi quadra, con
l‘abbreviazione I per Immagine, seguita dal numero in successione: [I 6].
Esse rimandano alla Sezione Materiali, Immagini, dell‘Appendice, dove sono
state numerate progressivamente con numero arabo.
1
Munch, Edvard, Frammenti sull’arte, Milano, Abscondita, 2007, p. 23.
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PREMESSA
Entrambi gli artisti, analizzati nella mia tesi, provengono dalla Norvegia e la
loro visione del mondo riflette l‘inconfondibile personalità dei norvegesi
totalmente differente, sia dagli altri popoli delle regioni scandinave, sia da
tedeschi e europei del centro. È il popolo incapace di compromessi e di
mezze misure, perché è il riflesso dei suoi tristi e grandiosi paesaggi, dove
l'occhio e lo spirito non possono mai riposare in una natura eccessiva, che
scandisce l'anno con una sola notte e con un solo giorno, dove tutto è
smisurato e disumano.
La Norvegia, paese in cui il drago – motivo ricorrente in tutte le raffigurazioni
norvegesi - non proviene né dalla Cina né dalle Grandi Migrazioni; ma è la
raffigurazione del fiordo norvegese che terribile e incombente penetra nella terra
rocciosa per insinuarsi con mille e svariate sinuosità, con le sue multiple zampe e
perfino con le sue unghie fin nelle più piccole e remote baie. È il popolo
eternamente in lotta con il drago che è la sua terra. 2
Il drammaturgo Ibsen, nel primo periodo della sua produzione,
caratterizzata dai drammi storici e dai drammi civili, riprende l‘immagine
dell‘esteso paesaggio norvegese, rendendolo scenario dei suoi drammi, con
un intento non simbolico ma romantico, in linea con gli effetti del sublime.
Spesso in Ibsen osserviamo la presenza di bufere, temporali.
Prendiamo come esempio figurativo le didascalie presenti agli esordi dei vari
atti dei suoi drammi; nel primo atto di Guerrieri a Helgeland, è in questo modo
che descrive l‘ambiente esterno:
2
Tabarroni, Lucia, La dimensione del sogno e della storia. Per una collezione di grafica
contemporanea europea, Milano, All‘insegna del pesce d‘oro, 1979, p. 2.
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Un’alta costa, che in fondo scende ripida al mare. A sinistra un capanno di legno, a destra
rocce e boschi di conifere. Giù nella baia si vedono gli alberi di due navi da guerra; a destra
in lontananza isolotti scogliosi; il mare è molto agitato. È inverno; nevischio e bufera. [A 2,
a. I, I]
È evidente la corrispondenza con il paesaggio norvegese in cui è cresciuto,
dove è normale vedere grandiose estensioni semi-disabitate, le quali
sembrano non concedere spazio all'uomo; rocce che scendono impervie sulla
costa, prati sottratti con fatica alle rocce e al mare divorante la terra. Alle
spalle, boschi dell'estremo Nord che vogliono vivere pur in un terreno arido
e roccioso, ad una latitudine confinante con i ghiacciai eterni, lottando
tenacemente avvinghiati contro le quasi quotidiane frane, contro le valanghe
dei lunghissimi inverni. Questi boschi vogliono vivere per solo atto di
volontà, di forza, di coraggio, come i nordici abitatori umani che sembrano
veramente il riflesso della loro natura.
Troviamo la stessa connessione in altri drammi ibseniani, come Brand, Peer
Gynt, di cui riporto alcune didascalie significative, legate al loro ambiente
esterno.
In riva al fiordo, un luogo cinto da pareti di rocce a strapiombo. Su una piccola altura
l’antica chiesa in rovina. Si prepara un temporale. Una folla di uomini, donne e bambini è
raccolta a gruppi sulla spiaggia e sui pendii. [A 3, a. II, I]
Presso un lago di montagna. Terreno molle e paludoso. Si sta addensando un temporale.
[A 4, a. II, II]
Nel folto di un bosco di conifere. Tempo grigio, autunnale. Nevica. [A 4, a. III, I]
Dunque si tratta di un ambiente impervio, rigido, con cui l‘uomo si ritrova
continuamente a lottare, notte e giorno. Un paesaggio spettacolare, con i suoi
suggestivi e caratteristici scenari naturali, come i laghi, i fiordi, le montagne.
Ibsen però, contiene dentro di sé, anche in questa prima produzione, l‘idea di
uno spazio chiuso, ristretto. Due sono i momenti in cui si individua questa
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concezione: da un lato la tensione tra lo spazio esterno, esteso e smisurato e
tra lo spazio interno, serrato e soffocante, e dall‘altro la doppia designazione
del fiordo, di cui parleremo tra breve.
Riguardo alla presenza dei due spazi, vorrei solo dare un esempio presente
in Guerrieri a Helgeland, gli altri verranno approfonditi nel corso della tesi.
In questo dramma, è evidente la tensione tra i due spazi, in quanto da un lato
notiamo l‘esterno caratterizzato dall‘immensa estensione del territorio in cui
vive Hjördis, una cittadina nordica, con tutte le sue caratteristiche già citate,
dall‘altro invece vediamo la casa di Hjördis, nella quale si sente chiusa in
gabbia, una casa fredda, tetra, minacciosa, proprio come la stessa personalità
della protagonista. L‘esterno rappresenta la libertà, l‘interno la prigione,
l‘oppressione dei propri istinti più forti. Questa tensione, che nei primi
drammi è decisamente vinta dalla fuga verso l‘esterno, dal forte desiderio di
fuggire nell‘immensità del paesaggio, è nei successivi drammi, vinta
piuttosto dall‘imposizione a restare chiusi tra le pareti di una casa che soffoca
ogni ambizione, ogni smania di evasione.
Altro elemento da prendere in considerazione è il fiordo, il quale è sempre
presente nei drammi di Ibsen, ambientati nel cosiddetto ―paese dei fiordi‖,
tanto essi sono elemento dominante.
Il fiordo ha un doppio significato: uno legato al paesaggio norvegese nella
sua inaccessibilità, l‘altro legato alla questione della restrizione dello spazio
presente nelle opere del tardo Ibsen, in particolare nei drammi sociali. Il
fiordo è un‘anticipazione di quella contrazione spaziale che avverrà
successivamente.
Esso, chiuso e stretto, rende impervio il cammino dell‘uomo, costretto a
procedere lentamente e con attenzione, altrimenti rischierebbe di cadere nel
precipizio. Dunque è rilevante questa immagine labirintica, stretta,
soffocante, angusta che offre il fiordo, in linea anche con le opere munchiane
in cui lo spazio è oppressivo, proprio come la vita dei personaggi che egli
ritrae.
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Io cammino lungo un sentiero stretto. Da un lato un precipizio scosceso, un abisso
dal fondo senza fine, un fondo di profondità abissale. Dall‘altro lato i prati, le
montagne, le case, la gente. Io cammino e vacillo su quel crinale. Sono sempre sul
punto di cadere dal precipizio. […] Quella è la mia via, devo percorrerla. Resto in
allerta per paura di cadere. […] E‘ il mio sentiero, fino a quando precipiterò
nell‘abisso3.
Ma questa immagine del fiordo che ci rimanda all‘idea della riduzione
spaziale, è solo un‘anticipazione del mutamento scenico del drammaturgo,
che avverrà da Casa di bambola, in poi.
Ritornando al periodo di produzione ibseniana sinora analizzato, è
importante aggiungere che non solo Ibsen, ma anche molti altri artisti
norvegesi del suo tempo, utilizzavano questi ampi paesaggi, come soggetto
per i loro scritti o per le loro tele.
L‘intento di molti pittori del primo Ottocento fu quello di rappresentare, con
enfasi e gusto romantico, il paesaggio spettacolare dell‘amata patria; un
esempio famoso risiede in Johan Christian Dahl4, il più grande maestro
dell'arte romantica norvegese, il quale è riuscito a darci testimonianza del
grandissimo scenario che è la natura norvegese. Lyshornet nei pressi di Bergen
(1836) [I 1], rende benissimo l‘idea della grandezza smisurata della natura
norvegese, la quale minaccia fortemente sia l‘uomo che vi vive, sia colui la
osserva.
Il sentimento comune di questi pittori era quel nazionalismo, sorto in
Norvegia dopo l‘indipendenza dalla Danimarca, nel 1814, in seguito alle
guerre napoleoniche. Questo sentimento alimentò anche lo sviluppo di un
particolare interesse per la cultura popolare, per la musica tradizionale e per
l‘illustrazione di paesaggi leggendari, che ben si accordavano con la ricerca
romantica dell‘effetto del sublime. Alcuni artisti della seconda metà del
3
Munch, Edvard, Frammenti sull’arte, cit., p. 52.
4
Nato a Bergen, 24 febbraio 1788, morto a Dresda, 14 ottobre 1857.
12
secolo, come Theodor Kittelsen5, si dedicarono ad illustrare le famose Saghe
dei re norvegesi, un‘opera letteraria che aveva un valore nazionalistico ed
epico. Kittelsen avrebbe anche illustrato l‘edizione popolare delle fiabe
norvegesi, diventando famoso soprattutto per i suoi troll [I 2], gli ingenui
giganti del folklore norvegese.
Anche il drammaturgo Ibsen è in linea con questi artisti della metà
dell‘Ottocento, difatti, soprattutto in Guerrieri a Helgeland e nel Peer Gynt,
ritroviamo molte connessioni con le Saghe dei re norvegesi e con la tradizione
nazional-popolare delle fiabe e del folklore norvegese; osserviamo anche
l‘assidua presenza dei troll nel Peer Gynt.
Ma con lo scorrere del tempo, sia i pittori norvegesi che lo stesso Ibsen,
subirono un sostanziale cambiamento.
Negli anni novanta dell‘Ottocento, influssi tedeschi e francesi si fondevano
con il sintetismo decorativo del simbolismo internazionale, così come
dimostrano i paesaggi di Edvard Munch che, privi di retorica nazionalistica e
romantica, sono già intrisi di un sintetismo formale ed espressivo e di uno
spontaneo naturalismo emozionale e soggettivo, già simbolista. Nei pochi
paesaggi ―puri‖ di Munch, ciò che emerge è l‘ossessionante assenza di figure,
come un palcoscenico vuoto che attende l‘ingresso degli attori. Ciò poiché
egli aveva sempre attribuito agli sfondi naturalistici dei suoi dipinti, un
carattere enfatico e psicologico riferito alle figure presenti sul primo piano.
La natura per Munch sarà sempre una sorta di cassa di risonanza degli stati
d‘animo dell‘essere umano. Dunque, una pittura che indaga più l'anima che
la realtà, o meglio filtra la realtà attraverso il proprio stato d'animo. Munch
fu il primo che andò oltre, che superò le conquiste del naturalismo e
trasformò la natura in psicologia, la tradusse in simbolo di un'analisi
interiore.
5
Nato a Kragerø, 27 aprile 1857, morto a Jeløya, 21 gennaio 1914.
13
―Copiare la natura. Di certo non riusciamo in alcun modo a catturarla –
meglio offrire il sentimento – di per se stesso‖6.
Nella maggior parte delle sue opere, come Malinconia [I 3], Angoscia [I 4], il
Grido [I 5], e tutta la serie dei Chiari di luna, costruiti nella sua amata
Åsgårdstrand, villaggio di pescatori a circa ottanta chilometri da Oslo, dove
la natura si riduce in formule geometriche, è evidente come essa faccia eco
all‘angoscia dei personaggi del quadro.
Nel Grido, l‘universo urla insieme all‘uomo a tal punto da subire una
deformazione: il cielo diventa rosso sangue, il mare blu intenso che ruota in
tornanti ondosi intorno al fiordo e persino il ponte sembra scorrere via come
un treno in corsa sotto i piedi delle figure spettrali.
Più che un paesaggista naturalista, Munch è un paesaggista d'anime.
Nell‘Ibsen della seconda metà dell‘Ottocento, si scorge un mutamento nella
sua concezione dello spazio: dalla dilatazione assoluta con Guerrieri a
Helgeland, Catilina, ad una contrazione, un irrigidimento, che corrisponde alle
inquietudini, alle angosce e ai tormenti che soffocano i personaggi dei suoi
drammi sociali.
È possibile affermare che ciò che unisce i due maestri norvegesi, Ibsen e
Munch, è il modo di rappresentare e di concepire lo spazio dove si consuma
il dramma, che è luogo fisico e spazio psicologico. Munch sintetizza gli
eventi in pochi personaggi racchiusi spesso in un piccolo spazio saturo e
angosciante, nel quale noi spettatori possiamo sbirciare dentro, in contatto
diretto con un luogo domestico dove risiedono la colpa, l‘angoscia e l‘amaro
destino dell‘uomo. Allo stesso modo il teatro di Ibsen, definito ―teatro del
salotto‖, poiché la crudeltà dei rapporti interpersonali e la durezza
psicologica dei personaggi vengono fotografate nel salotto borghese,
possiede il medesimo modo di associare i personaggi allo spazio che li
contiene, cassa di risonanza dei loro conflitti interiori e affettivi. Osserviamo
come la personalità di Rosmer in Rosmersholm, sia identificabile con la casa e
6
Munch, Edvard, Frammenti sull’arte, cit., p. 18.
14
la cittadina in cui egli vive; stessa coincidenza avviene tra Osvald e
l‘atmosfera tetra di Spettri, tra Hedda e la casa in cui vive e dalla quale non
esce mai. Ciò avviene perché Ibsen vuole rendere lo spazio eco dei tormenti
dei suoi personaggi, proprio come fa Munch nei suoi quadri; e sono
moltissime le affinità tra i soggetti, gli spazi munchiani e quelli di Ibsen,
affinità che saranno pian piano affrontate nel corso della tesi.