INTRODUZIONE
La presente tesi è frutto di un’attività di stage svolta presso Coldiretti
Veneto allo scopo di individuare delle soluzioni migliorative al progetto Km Zero
nell’ottica di un suo aumento di scala. In particolare, valutati quali potenziali clienti
il consumatore, la ristorazione commerciale e collettiva, la Gdo e i dettaglianti
operanti nei mercati rionali e considerata la fase distributiva, l’anello debole che ne
ostacola l’ampliamento, lo studio si propone di avanzare alcune ipotesi di sviluppo
di una piattaforma logistica volta al superamento di tale limite. Tale opportunità è
stata approfondita prendendo a riferimento la produzione ortofrutticola e la
ristorazione commerciale, pur lasciando aperte le opzioni relative agli altri canali
commerciali.
Piø in generale, la possibilità di consolidare il progetto Km Zero nasce da un
lato dall’impressione che all’interno della filiera ortofrutticola a volte operino
troppi attori che, dilatando eccessivamente il canale distributivo, siano causa di
attività a scarso valore aggiunto e di significativi impatti ambientali; dall’altro da
una riflessione sul potenziale ruolo delle filiere corte quali generatori di
innovazione e di trasformazioni nell’ambito del sistema tradizionale.
Il fenomeno della filiera corta racchiude una varietà di esperienze mosse
dalla volontà di creare delle alternative al sistema agroalimentare prevalente, nella
direzione di un riavvicinamento, di un accorciamento delle distanze fisiche, sociali,
culturali, economiche tra mondo della produzione e mondo del consumo e si colloca
nell’ambito di quel paradigma di impresa agricola multifunzionale in cui la sostenibilità
ambientale e sociale non sono piø considerati vincoli, ma potenziali fonti di vantaggio
competitivo (Rossi et al., 2008). Alla base vi è infatti il desiderio di rilocalizzare i
processi di produzione e consumo spostando l’attività economica nelle mani delle
piccole e medie imprese locali, incentivando la diversificazione, creando spazi per le
varietà autoctone, implementando metodi di agricoltura sostenibile e accorciando la
distanza tra i produttori e i consumatori (Guidi, 2009).
La considerazione tuttavia che tali progetti vivano ancora un periodo di fermento
e abbiano raggiunto solamente un parziale consolidamento suggerisce di valutarne la
Introduzione
2
sostenibilità nel medio-lungo periodo e di individuarne i possibili ambiti di
miglioramento. In tale contesto, il riconoscimento che l’accorciamento delle filiere in
termini di riduzione del numero di intermediari e delle distanze fisiche imponga dei
trade-off nelle sfere economica, ambientale e sociale, motiva il tentativo di questo
lavoro di delineare alcune ipotesi di miglioramento in una particolare iniziativa di
filiera, il progetto Km Zero Coldiretti Veneto.
A questo fine, la tesi è stata così articolata:
Nel primo capitolo viene fornito un possibile quadro di riferimento per i
successivi ed è dedicato al ruolo che la sostenibilità può rivestire nella costruzione del
vantaggio competitivo d’impresa. In questa prospettiva il primo paragrafo cerca,
attraverso un’analisi della letteratura manageriale, di dimostrare che le imprese devono
iniziare a riconoscere la sostenibilità quale opportunità economica e competitiva e non
come un costo o una minaccia inevitabile. Rappresenta lo sfondo a tali riflessioni il
pensiero che a fronte dei benefici ottenuti, l’attuale modello di sviluppo socio-
economico stia progressivamente mostrando alcuni limiti; la strada della sostenibilità
verosimilmente costituirà un processo se non obbligatorio quanto meno fortemente
auspicabile. Il paragrafo successivo propone di giustificare tale considerazione passando
in rassegna alcuni dati circa l’impatto umano sul pianeta e gli squilibri sociali generatisi.
Il capitolo si conclude con la presentazione di una possibile metodologia per la
pianificazione strategica verso la sostenibilità.
Il secondo capitolo rappresenta la prosecuzione di tali ragionamenti declinando
la sostenibilità nell’impresa agricola. Per questo motivo, dopo una presentazione del
settore e dell’impresa agricola italiana viene esplorato il ruolo multifunzionale di tale
attività esaminandone la dimensioni ambientali e sociali. Il capitolo termina proponendo
le opportunità competitive conseguenti al riconoscimento di questo ruolo e attraverso la
presentazione del metodo produttivo biologico, della filiera corta e delle agroenergie ne
offre una concreta dimostrazione.
Il terzo capitolo è dedicato alla filiera ortofrutticola, esso costituisce dunque
un restringimento nel focus di questo lavoro passando dalla considerazione della
generica impresa agricola a quella ortofrutticola e all’approfondimento degli altri
anelli della catena. L’analisi, oltre all’intento di fornire una maggior conoscenza circa
le fasi di lavorazione e commerciali interessate dall’ortofrutta, si pone l’obiettivo di
Introduzione
3
valutare quelli che possono essere eventuali punti di forza e di debolezza del sistema.
Supportata anche da un’indagine empirica, nella conclusione matura la considerazione
che uno dei maggiori problemi sia l’eccessiva lunghezza dei canali ortofrutticoli,
suggerendo l’ipotesi di un loro accorciamento e della costruzione di filiere piø corte.
Aspetto, quest’ultimo, a cui viene indirizzato il capitolo successivo.
Il quarto capitolo esamina specificatamente la filiera a Km Zero operando una
rassegna delle diverse iniziative nazionali ed estere e collocandole all'interno di un piø
ampio processo di rilocalizzazione dei sistemi di produzione e consumo alimentare
originato dalle criticità connesse alla nascita e al consolidamento di filiere lunghe sia in
termini relazionali (numero di intermediari coinvolti) che spaziali (distanze percorse).
Nella conclusione, allo scopo di individuarne eventuali criticità e spazi di
miglioramento, viene affrontata una valutazione della sostenibilità della filiera corta
attraverso la discussione dei risultati di alcune ricerche.
Il quinto capitolo costituisce la dimensione empirica del lavoro e si propone
come nucleo dello stesso in quanto derivante dalle considerazioni emerse nel corso
degli altri. La proposta di una piattaforma logistica a supporto del Km Zero in
Veneto origina infatti dall’opportunità di riqualificare l’impresa e segnatamente
quella agricola in ottica di sostenibilità attraverso lo sviluppo di un progetto di
filiera corta che contribuisca al superamento di alcuni dei limiti attualmente
riscontrati nelle filiere ortofrutticole tradizionali e in quelle corte. Tale ipotesi viene
indagata attraverso i risultati di alcune interviste rivolte a un campione di produttori
ortofrutticoli e ristoratori commerciali regionali nonché dall’analisi di alcuni
benchmark su scala nazionale, anch’essi studiati intervistandone i relativi
responsabili. Lo studio si conclude con l’individuazione e la proposizione di tre
opzioni di piattaforma, ognuna delle quali presenta vantaggi e svantaggi e un grado
crescente di complessità.
CAPITOLO I
SOSTENIBILITÀ E VANTAGGIO COMPETITIVO
1.1. Impresa, ambiente, sostenibilità
Il termine sostenibilità viene impiegato in molteplici contesti e con differenti
sfumature, varie possono dunque essere le definizioni individuabili. Intuitivamente,
sostenibile è un’attività che ritenuta di successo in un certo momento può godere di
analogo successo in futuro (Parnell, 2008).
Come noto, la definizione di sostenibilità probabilmente piø diffusa è quella
rinvenibile dal Rapporto Brundtland (Our Common Future) che, nel 1987, qualifica lo
sviluppo sostenibile come quello sviluppo che “soddisfa i bisogni del presente senza
compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri”. L’elemento
centrale di tale definizione è la necessità di cercare una equità di tipo
intergenerazionale: le generazioni future hanno gli stessi diritti di quelle attuali.
Nonostante la sua generale accettazione, questa formulazione risulta però abbastanza
generica da lasciar spazio a diverse interpretazioni. Una definizione, pur sempre
sintetica ma piø precisa, è invece quella utilizzata successivamente (1991) da IUCN,
UNEP e WWF
1
nella Strategia per un vivere sostenibile (Caring for the Earth. A
Strategy for Sustainable Living) dove per sviluppo sostenibile si intende “il
soddisfacimento della qualità della vita mantenendosi entro i limiti della capacità di
carico degli ecosistemi che ci sostengono”. In questa definizione, dal concetto di limite
traspare l’immagine di un sistema naturale limitato contenente la società e l’economia
come sub-sistemi e, conseguentemente, l’impossibilità che l’economia cresca oltre i
limiti imposti dal pianeta (Costanza, Daly, 1992).
1
IUCN, UNEP e WWF sono rispettivamente gli acronimi di International Union for Conservation of
Nature, United Nations Environment Programme e World Wildlife Fund; per maggiori informazioni si
rimanda agli indirizzi www.iucn.org, www.unep.org, www.wwf.org.
Sostenibilità e competitività in agricoltura
6
In quest’ottica, un modo per rendere concretamente applicabile il concetto di
sviluppo sostenibile è quindi quello di identificare dei principi che guidino verso uno
sviluppo socio-economico rispettoso dei limiti del sistema naturale. Nonostante le
difficoltà nel far questo, un passo in questa direzione è stato compiuto dall’economista
Herman E. Daly che ha proposto alcune condizioni generali circa l’uso delle risorse
naturali (Daly, 1990):
- il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro
tasso di rigenerazione;
- il tasso di emissione di rifiuti nell'ambiente non deve superare la capacità
assimilativa dell'ambiente stesso;
- il tasso di esaurimento delle risorse non rinnovabili non deve essere superiore al
tasso di creazione di alternative rinnovabili.
Le prime due condizioni vengono chiamate capacità rigenerativa e assimilativa e
assieme devono essere trattate come capitale naturale, il fallimento nel mantenimento di
queste capacità corrisponde al consumo di capitale e, quindi, non è sostenibile. La terza
condizione invece viene detta uso “quasi sostenibile” delle risorse non rinnovabili e
implica che il loro sfruttamento venga accompagnato da investimenti in sostituti
rinnovabili (Daly, 1990).
Come vedremo piø approfonditamente nel paragrafo 1.3., un altro approccio
operativo alla definizione di sostenibilità è stato sviluppato da The Natural Step
attraverso l’individuazione di un set di principi complementari (cd. condizioni di
sistema) che tengono conto sia degli aspetti ecologici che di quelli sociali. Queste
condizioni sono quattro e se rispettate, concorrono a formare una società sostenibile.
Seguendo questo modello, è sostenibile una società in cui la natura non è soggetta a
sistematicamente crescenti…
1. concentrazioni di sostanze estratte dalla crosta terrestre;
2. concentrazioni di sostanze prodotte dalla società;
3. degradazione per mezzi fisici
e le persone non sono soggette a condizioni che sistematicamente
4. compromettono la loro capacità di soddisfare i propri bisogni.
Dalle osservazioni proposte precedentemente, ci pare che lo sviluppo sostenibile
possa essere visto come un’estensione dello sviluppo socio-economico che, attraverso la
Sostenibilità e vantaggio competitivo
7
considerazione dei limiti fisici della Terra, includa anche la dimensione ambientale. Lo
sviluppo sostenibile dunque, persegue simultaneamente tre ordini di obiettivi: benessere
sociale, sviluppo economico e integrità ambientale. Coerentemente, tre sono le
dimensioni della sostenibilità tradizionalmente considerate (v. fig. 1.1):
- sostenibilità economica, capacità di un sistema economico di massimizzare nel
tempo gli indicatori economici, in particolare reddito e lavoro;
- sostenibilità ambientale, abilità di garantire l’integrità dell’ecosistema e dei
servizi da esso resi;
- sostenibilità sociale, possibilità di assicurare condizioni di benessere umano
relative alla sicurezza, alla salute, all’istruzione, alle pari opportunità, al
consolidamento e allo sviluppo dei diritti fondamentali.
L’obiettivo è soddisfare i nostri bisogni senza precludere alle prossime
generazioni di fare altrettanto. Dietro la sostenibilità giace un’appassionante sfida e
un’enorme opportunità. La sfida è creare un’economia globale sostenibile, un’economia
che il pianeta è capace di sostenere indefinitamente. Come avremo modo di osservare
meglio nel prossimo paragrafo, le cause dell’attuale crisi socio-ambientale sono
numerose, la loro soluzione necessita un impegno politico e sociale non secondario che
probabilmente eccede le capacità di ogni singola impresa. Al tempo stesso però, le
imprese sono le uniche organizzazioni con le risorse, la tecnologia e la motivazione per
raggiungere la sostenibilità. Se da un lato è il ruolo ricoperto all’interno della società ad
attribuire alle imprese la responsabilità di contribuire alla sostenibilità, dall’altro è la
stessa natura di “istituti economici atti a perdurare nel tempo” a richieder loro uno
sforzo su questo fronte.
Fig. 1.1. – Le tre dimensioni della sostenibilità
ECONOMICA
SOCIALE AMBIENTALE
Equità Eco-efficienza
Vivibilità
Sostenibile
Sostenibilità e competitività in agricoltura
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Nel ventesimo secolo, le imprese si sono concentrate prevalentemente sulla sfera
economica, ignorando la scarsità delle risorse e l’impatto ambientale e sociale delle loro
attività. Come evidenziato nella figura seguente, oggi è richiesto un duplice impegno:
oltre a continuare a perseguire obiettivi economici (asse x), le imprese devono orientarsi
maggiormente verso le dimensioni ambientale e sociale (asse y). Tuttavia, come
cercheremo di approfondire in seguito dopo aver affrontato come l’impresa può
rapportarsi alla sostenibilità, se tale orientamento può costituire un vincolo alla
competitività, affrontato strategicamente, può essere fonte di vantaggio competitivo e di
nuove opportunità.
1.1.1. Il rapporto impresa-sostenibilità
Secondo una definizione generale, un sistema è un insieme di elementi legati da
relazioni di interdipendenza che generano un comportamento unitario. L’azienda si
presta ad esser letta come sistema perché è composta da un insieme di elementi umani e
tecnici, ciascuno dei quali svolge, in coordinazione con gli altri, una determinata
funzione per il raggiungimento di un comune risultato economico (Isotta, 2003;
Torquati, 2003).
Un sistema si dice aperto quando presenta scambi fisici e informativi con
l’esterno. Un’impresa è un’entità di questo tipo, essa opera in un ambiente con il quale
interagisce attraverso una serie di scambi. Il termine “ambiente” va inteso in senso
Fig. 1.2. – Posizionamento dell’impresa nei confronti della sostenibilità
Aziende di buon profilo Aziende che devono
migliorare la gestione
economica
Aziende la cui esistenza
non apporta nessun
beneficio
Aziende che devono
migliorare sotto il profilo
socio-ambientale
Economia
Ambiente
Società
Fonte: adattamento da Koudate, Samaritani, 2004.
Sostenibilità e vantaggio competitivo
9
ampio: non solo ambiente economico, competitivo, sociale e istituzionale, ma anche
ambiente naturale. Impresa e ambiente sono mutuamente dipendenti: c’è sia una
connessione inside-out considerato che ogni attività della catena del valore di
un’impresa impatta positivamente e/o negativamente sulle comunità e sull’ambiente
naturale circostante; sia una connessione outside-in visto che condizioni esterne (ad
esempio disponibilità di materie prime e risorse umane) influenzano piø o meno
direttamente le performance aziendali (Porter, Kramer, 2006). Ciò significa che se
l’impresa persegue politiche che beneficiano il proprio tornaconto personale alle spese
degli stakeholder esterni, essa stessa sarà nel lungo termine l’artefice del suo fallimento.
Un guadagno temporaneo per una delle parti eroderà la prosperità futura di entrambi,
simmetricamente però ci possono essere anche scelte che apportano un reciproco
beneficio.
La concezione di impresa quale sistema aperto, implica che l’economia sia un
sistema aperto, congiunto e dipendente dal sistema sociale e naturale. L’implicita
assunzione neoclassica che l’economia sia un sistema chiuso rispetto alla società e
all’ambiente comporta che la stessa non sia soggetta alle leggi fisiche che regolano il
pianeta e ai valori e aspettative della società. L’idea che ne deriva è che lo sviluppo
coincida con una crescita economica illimitata e che questa sia, tanto possibile quanto
desiderabile
2
. Ma tale assunzione è scorretta, l’economia può prosperare nel lungo
termine solamente se l’impresa incorpora le variabili ambientali e sociali nelle proprie
decisioni. Per questo è necessario che il management cambi il proprio modello circa la
relazione impresa-società-ambiente, è necessario un nuovo paradigma fondato sulla
sostenibilità (v. fig. 1.3). Incorporare la variabile sostenibilità nelle scelte d’impresa
fornisce un valore che supporta una visione strategica capace di integrare efficacemente
l’obiettivo di un profitto economico rispettando i limiti fisici del pianeta e i bisogni
della società (Stead, Stead, 2008).
2
Sulla differenza tra crescita e sviluppo si veda il paragrafo 1.2.1 circa la validità del Pil come indicatore
di benessere.
Sostenibilità e competitività in agricoltura
10
L’ambiente naturale è dunque rilevante per le aziende, l’intensità con qui questa
variabile viene considerata è differente nel corso della storia e ad essa corrispondono
fasi diverse (Mio, 2002):
- fase della neutralità, in cui l’ambiente non viene considerato esplicitamente
nelle strategie aziendali, è assunto come un dato. L’impresa si sente legittimata a
usale le risorse naturali senza interrogarsi sulle conseguenze del proprio utilizzo
e senza riconoscere che vi è un interesse generale da salvaguardare;
- fase sistemica, in cui viene riconosciuto il ruolo dell’ambiente. L’ambiente viene
considerato come uno dei fattori di contesto, un elemento di scenario in cui
l’azienda si pone e con cui interagisce;
- fase della rilevanza specifica, in all’ambiente viene riconosciuta una dignità e
una tutela, ai fini del benessere delle comunità presenti e future. In questa
prospettiva, l’ambiente non solo diventa un fattore di produzione da ottimizzare,
ma anche una variabile da considerare nella definizione strategica e nello
svolgimento delle attività aziendali.
I tre stadi indicati mostrano che se le imprese del passato ignoravano il loro
impatto ambientale, quelle odierne sono chiamate sempre piø a tenerne conto.
Ecosistema
Società
Produzione
Organizzazione
Consumatore
Consumo
Società
Ecosistema
Individuo
Rifiuti/emissioni
Energia
solare
Risorse
terrestri
Fig. 1.3. – Sistema economico aperto
Fonte: Stead, Stead, 2008.
Sostenibilità e vantaggio competitivo
11
Nell’ultima fase, l’impresa si colloca nel contesto di riferimento con un orientamento
strategico ispirato al concetto di sostenibilità. Lo sviluppo sostenibile declinato
all’azienda, diventa il nuovo paradigma cui ispirarne la strategia: ciò implica trovare un
equilibrio tra le tre sfere sopra richiamate. In quest’ottica la stessa rappresentazione del
risultato aziendale si articola in tre livelli, ciascuno dei quali riconducibile alle diverse
istanze (3P, Profit, People, Planet), in tal modo la performance dell’impresa viene
strutturata in:
- performance economica;
- performance sociale;
- performance ambientale
L’ultima riga del conto economico (cd. bottom line) si scompone nelle sue tre
determinanti e ciascuna di queste dimensioni viene espressa con idonei indicatori che,
complessivamente, formano la Triple Bottom Line (TBL). La TBL indica che l’agire
dell’impresa dovrà fondarsi su tre ordini di motivazioni, ottimizzare la TBL significa
elevare le variabili ambientali e sociali a dimensioni critiche della strategia aziendale
(Mio, 2002).
Coerentemente con le tre fasi sopra delineate, le imprese incorporano la
sostenibilità nelle loro strategie con intensità differenti. In relazione all’atteggiamento
nei confronti della sostenibilità e alle azioni conseguentemente attivate è dunque
possibile individuare diverse modelli d’impresa. Le classificazioni che seguono
mostrano come al crescere della sensibilità ambientale si possano configurare diverse
opzioni d’impresa, ciascuna delle quali si avvicina piø o meno alle condizioni ideali. In
questo modo la sostenibilità indica una sorta di percorso, in cui le imprese si collocano a
diversi stadi.
Ad esempio, facendo riferimento a una tipologia di impresa basata sulle possibili
strategie ambientali implementate, si sono identificate quattro situazioni
paradigmatiche, riassunte dalla tabella che segue (Mio, 2002):
- impresa passiva, che subisce il rispetto ambientale come costrizione e evita di
includerlo nella formulazione delle proprie strategie;
- impresa adattiva, in cui vi è una prima presa di coscienza della responsabilità
ambientale ma non si investe in questa direzione: l’impresa si adatta alle
Sostenibilità e competitività in agricoltura
12
pressioni esterne senza affrontare consapevolmente le decisioni che la sfida
ambientale comporta;
- impresa reattiva, in cui per non arretrare competitivamente l’impresa destina
una parte delle proprie risorse alla gestione ambientale. La concezione
ambientale dunque si limita al vantaggio economico di breve e lungo periodo
che l’ambiente può fornire;
- impresa proattiva, in cui la sostenibilità ambiente non è solo un’opportunità
competitiva, ma permea la cultura organizzativa e contraddistingue il modo di
essere dell’impresa nel contesto socio-economico.
Tipologia
di
impresa
Motivazioni
dell’azione
Aree di
intervento
Trasformazioni
richieste
Livello di
sensibilità
ambientale
Livello di
organizzazione
delle funzioni
ambientali
Passiva Normativa
Pressione
pubblica
Depurazione a
valle (o
evasione)
Responsabilità
tecniche
Nullo Nullo
Adattiva Normativa
Pressione
pubblica
Depurazione a
valle
Tecnologie di
processo
consolidate
Responsabili
ambientali in
produzione
Basso Basso
Reattiva Regolamen-
tazione
Sensibilità
del mercato
Opinione
pubblica
Prodotti e
processi
Tecnologie di
depurazione e
tecnologie pulite
Sistema informativo
ambientale
Funzione ambientale
in staff
Medio Medio
Proattiva Opportunità
competitive
Responsabi-
lità sociale
Sviluppo di
medio
periodo
Tutte le aree di
marketing,
comunicazione
e R&S
Responsabilizzazione
a tutti i livelli
Specialisti nelle
diverse attività chiave
Alto Alto
Similmente a questa classificazione, Giacomozzi (2008) individua quattro
modelli di gestione della variabile ambientale:
- modello manageriale passivo, tale modello si riferisce all'impresa indifferente
che percepisce l'ambiente come un vincolo, una minaccia da contrastare in
qualsiasi modo, in una logica in cui il profitto di breve è lo scopo ultimo della
sua esistenza. L’impresa dunque non intende introdurre cambiamenti per
Tab. 1.1. – Tipologie di impresa in relazione al rapporto con l’ambiente
Fonte: adattamento da Mio, 2002.
Sostenibilità e vantaggio competitivo
13
migliorare la propria performance ambientale, puntando piuttosto
sull’inefficienza dei controlli per eludere le normative ambientali;
- modello manageriale delle buone intenzioni, la cultura organizzativa è sensibile
ai temi ambientali ma, data la mancanza di mezzi tecnici e/o finanziari, non
riesce a darvi seguito. In tali imprese esiste la consapevolezza delle opportunità
legate alla responsabilità ambientale, ma non si è capaci di sfruttarle; per tale
motivo sono richieste iniziative pubbliche a supporto degli sforzi ambientali di
tali realtà;
- modello manageriale adattivo, tale modello identifica quell’impresa preoccupata
solamente di adeguarsi ai limiti che di volta in volta le vengono imposti dalla
normativa, dai clienti, dai fornitori, dall’opinione pubblica, ecc. Limitandosi ad
adempiere alle richieste e senza superare il livello di performance prescritto,
l’impresa però, subisce dall’esterno le scelte concernenti la variabile ambientale;
- modello manageriale avanzato, a cui corrisponde l’impresa proattiva che
riconosce l’ambiente come un’importante leva competitiva e un fattore critico
per il successo di lungo periodo. Questo genere di imprese anticipa, superandoli,
gli standard legislativamente previsti e mira a ridurre progressivamente il
proprio impatto ambientale. Ciò nella convinzione che, alla fine, i benefici di tali
politiche supereranno i costi e offriranno un vantaggio nei confronti dei
concorrenti.
Considerando invece l’impatto ambientale delle attività d’impresa e il livello di
impiego di risorse naturali, Koudate e Samaritani (2004) indicano quattro modelli:
- modello d’impresa di livello 1, la cui attività produttiva genera notevoli
emissioni e, non ricorrendo ad alcuna forma di riciclo, consuma ingenti quantità
di risorse naturali;
- modello d’impresa di livello 2, che si impegnano nel riciclo dei prodotti creati e
dei rifiuti generati dal processo produttivo;
- modello d’impresa di livello 3, in cui tutti i prodotti vengono riciclati e/o
riutilizzati e si impiega una quantità minima di risorse naturali;
- modello d’impresa di livello 4, che per alimentare il processo produttivo si
approvvigionano totalmente di materie riciclate e che ricorrono a fonti
energetiche rinnovabili.