INTRODUZIONE
L'itinerario che ha portato alla preparazione di questa tesi di laurea ha origini 
alquanto lontane nel tempo, che precedono di gran lunga l'inizio del mio percorso 
formativo all'Università “La Sapienza” di Roma. Esso comincia con un viaggio, 
intrapreso sul finire degli anni Sessanta da un giovane sonninese che, come molti 
altri suoi coetanei, riempì la sua valigia con poche cose essenziali e partì per il 
Nord carico di speranze, aspettative e, probabilmente, con una buona dose di 
illusioni, lasciandosi alle spalle l'isolamento e gli angusti vicoli del borgo natio, 
forse con l'idea di scrollarsi di dosso quel senso di emarginazione rispetto a un 
contesto nazionale in rapido cambiamento. Quel giovane approdò così nella 
grande metropoli, quella Milano simbolo di ricchezza e di opportunità che si 
proponeva come il cuore pulsante dell'economia italiana. A Milano si stabilì, 
formò una famiglia e trascorse la sua vita lavorativa, ma il filo invisibile che lo 
teneva legato a quel paesino dei Monti Ausoni non si spezzò mai del tutto. Ogni 
estate, durante le ferie lavorative, egli faceva ritorno alla casa paterna, nel cuore 
del centro storico di Sonnino, e si riuniva alla famiglia, agli amici rimasti e a 
quelli che, come lui, tornavano per le vacanze o per il fine settimana.
Quel giovane sonninese era mio padre e la sua storia non è che una fra le 
tante storie di sonninesi nati nel secondo dopoguerra che, spinti dalle circostanze, 
lasciarono la propria casa – il proprio nido – e si stabilizzarono lontano da 
Sonnino. Molti di loro, terminata la vita lavorativa, fanno ritorno alle “amene 
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Fig. 1: Un immagine del centro storico di Sonnino con il costone delle Serre sullo sfondo.
montagne” e a quel “vecchio e caro paese” in cima a una collina.
Ricordo come fosse ieri l'emozione che mi assaliva quando, dopo otto ore di 
monotono viaggio in automobile, s'imboccava quell'ultimo tornante al termine del 
quale appariva, finalmente, la nostra destinazione: Sonnino. Mia madre allora, in 
un improbabile sonninese dall'accento nordico, che noi non mancavamo mai di 
sottolineare, come da copione intonava il ritornello di un antico canto popolare: 
“ Sonnino è bello, chisto è ió vicoletto delle belle, non te ne ’caricà”.
Sonnino si presentava, allora come oggi, in tutta la sua semplicità, come un 
luogo sospeso nel tempo e nello spazio, arroccato in cima a una modesta collina e 
nascosto dai monti più alti che lo circondano, immobile nella sua staticità e 
apparentemente abbandonato a se stesso. Alcuni edifici recenti, costruiti senza 
alcuna grazia appena al di sotto del borgo medievale, deturpando visibilmente il 
paesaggio, provocavano i nostri risentiti commenti. Le antiche case in pietra 
ammassate le une alle altre a formare un ginepraio di vicoli stretti, ripidi e tortuosi 
e illuminate debolmente nella prima oscurità della sera, nella mia mente di 
bambino richiamavano l'immagine di un cumulo di braci che si spengono 
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lentamente nella notte, quasi a riscaldare le persone e le montagne circostanti. 
Un'immagine non così lontana dalla realtà, in quanto effettivamente in ognuna di 
quelle case, nelle fredde notti invernali, dentro i camini le braci si spegnevano 
lentamente protette da una coltre di cenere.
L'arrivo dei “milanesi” a Sonnino era sempre salutato con gioia dagli amici 
con cui condividevo lunghi pomeriggi a giocare nei vicoli; i vicini di casa ci 
accoglievano regalandoci un cesto di fichi, di prugne zuccherine o di uva moscato, 
a seconda del periodo. Dopo pranzo, a una certa ora, le donne e gli anziani si 
riunivano a chiacchierare nel vicolo e a farsi accarezzare la pelle da un venticello 
rinfrescante, mentre noi bambini eravamo liberi di scorrazzare su e giù per i 
vicoli, senza il pericolo di essere investiti dalle automobili. Ogni sera, dopo cena, 
la nonna veniva a dare la buonanotte a me e a mio fratello, costringendoci a fare il 
segno della croce. La mattina, al risveglio, la ritrovavamo già in cucina ad 
armeggiare ai fornelli e sul tavolo ci attendevano le ciambelle rustiche da 
inzuppare nel latte. La domenica mattina, mano nella mano con il nonno, un 
omone grosso e taciturno, salivamo l'antica via di Mezzo, asse viario principale 
del centro storico, fino alla chiesa di San Pietro. Durante la messa la mia 
attenzione si focalizzava sui volti degli uomini e delle donne presenti in chiesa. 
Erano in gran parte volti scavati dalle rughe, di persone semplici, segnate dal 
lavoro e dalla fatica, che mi incutevano un certo timore.
Nel frattempo, sui fornelli di casa, cuoceva a fuoco lento il sugo della 
domenica e la nonna (che aveva già assistito alla prima messa del mattino) 
ammassava le uova e la farina per preparare le fettuccine caserecce, i maccarune 
coll'ova. All'ora di pranzo la casa si popolava di zii e cugini e gli occhi del nonno 
luccicavano di orgoglio e di gioia. Noi piccoli, con grande entusiasmo, lo 
aiutavamo ad allungare il tavolo della sala che lui, di mestiere falegname, aveva 
progettato per far fronte alle riunioni di famiglia, che potevano arrivare a contare 
una ventina di partecipanti alla volta.
Vi erano però, di quando in quando, delle occasioni di ritrovo davvero 
speciali, che provocavano un'affluenza straordinaria di persone a Sonnino: le feste 
popolari, la fiera della stazione, le processioni religiose a cui, sin da bambino, 
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assistevo con grande curiosità e interesse. Quando ero ormai adolescente, nel 
1993, assistetti per la prima volta alla processione settennale della Madonna delle 
Grazie, che rimane tra i ricordi più suggestivi legati ai miei soggiorni sonninesi, 
estivi e non. Non sapevo bene che cosa stesse per accadere, cosa si stesse 
preparando con tanta meticolosità, eppure avvertivo nell'aria che respiravo 
un'atmosfera tutta particolare. In paese l'attesa per l'evento cresceva di giorno in 
giorno: i vicoli andavano via via arricchendosi di decorazioni, bandierine, festoni, 
mentre nella piazza del paese, la cosiddetta Portella , veniva allestito il palco che 
avrebbe ospitato gli spettacoli in programma. Il giorno della processione fu 
un'esplosione di colori, di musiche, di emozioni. La banda di Sonnino 
accompagnava il passaggio di un lungo corteo, mentre il mio sguardo si 
soffermava sulle donne che si asciugavano le lacrime al passaggio della Madonna 
o che si avvicinavano, facendosi strada tra la folla, per toccarla o sussurrarle una 
preghiera.
Proprio in quell'anno mio padre acquistò la prima telecamera che ebbi tra le 
Fig. 2: Piazza Garibaldi, comunemente denominata “la Portella”, è il principale punto di 
aggregazione dei sonninesi. Sullo sfondo, la Torre Antonelli, residuo del castello medievale.
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mani. In breve quasi monopolizzai l'uso dello strumento e divenni il principale 
cineoperatore della famiglia; ovviamente l'evento straordinario della processione 
settennale rappresentò per me un'occasione irripetibile per passare un'intera 
giornata con la telecamera in mano. Così mi ritrovai, per la prima volta, a 
osservare la processione attraverso un obiettivo, filmandola con la serietà e 
l'impegno di un vero reporter e sotto gli sguardi divertiti dei partecipanti. Questo 
grande spettacolo che si svolgeva in tutta la sua maestosità di fronte ai miei occhi 
di quindicenne e alla mia telecamera, lasciò in me un segno indelebile, che mi 
portò a partecipare a questo rito anche sette anni dopo, quando ormai da qualche 
anno non trascorrevo più le estati a Sonnino e il mio legame con la chiesa era 
andato progressivamente allentandosi.
Nel 2002, in tempi e condizioni del tutto diverse, decisi di intraprendere il 
viaggio inverso a quello che mio padre compì negli anni Sessanta e mi trasferii a 
Roma, dove mi iscrissi al corso di laurea in Geografia. Durante gli anni 
dell'università ricominciai a frequentare con più regolarità Sonnino (che dista 
circa 90 km dalla capitale) e la vecchia casa dei nonni, avendo modo di scoprire il 
paese anche d'inverno, quando le case – non riscaldate – sono gelide e nell'aria si 
respira l'intenso odore del fumo dei camini.
In quel periodo iniziai a interessarmi alla storia e al significato delle tradizioni 
locali. Nel maggio 2007, già laureato in Geografia, partecipai per la prima volta 
alla processione delle torce: fu un'esperienza faticosa e toccante, che mi diede 
molto a cui pensare. Perché – mi chiedevo – al giorno d'oggi questo tipo di rituali 
riscuotono ancora tanto interesse, tanta partecipazione? Che cosa spinge la gente a 
tanta fatica, a camminare tutta la notte lungo i confini comunali con una torcia 
accesa in mano? Spirito penitenziale? Volontà di mantenere in vita una tradizione? 
Desiderio di socialità? Nello stesso periodo, peraltro, frequentavo il corso di 
geografia culturale tenuto dalla professoressa Tiziana Banini, che mi portava a 
riflettere sui temi dell'identità culturale e territoriale, sul contrasto tra locale e 
globale e sui possibili modi di produrre conoscenza. Fu così che, raccogliendo 
tutti questi stimoli, cominciò a maturare in me l'ipotesi concreta di concentrarmi 
su queste tematiche in vista della mia tesi di laurea specialistica in Gestione e 
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Valorizzazione del Territorio.
Nel 2007, per di più, cadeva anche la festa settennale della Madonna delle 
Grazie: un'occasione perfetta per esplorare dall'interno, nell'intimo, il contesto 
culturale sonninese e offrirne una rappresentazione significativa. Così, insieme a 
un amico designer, come me appassionato di cinema, nacque l'idea di realizzare 
un documentario sulla processione. Durante i giorni trascorsi a Sonnino per 
effettuare le riprese, mi concentrai sul significato che i sonninesi attribuiscono a 
questo rito e cercai, nel contempo, di utilizzare la festa religiosa come un pretesto 
per affrontare anche altri temi, con l'obiettivo di rilevare quegli elementi che i 
sonninesi ritengono essere maggiormente rappresentativi della propria comunità e 
del proprio territorio.
Una prima versione del documentario, della durata di nove minuti, fu 
terminata nell'agosto 2007, con l'intenzione di partecipare al concorso per 
cortometraggi Il Lazio: terre, genti, miti, indetto dal Corecom Lazio. Il 
documentario, che fu battezzato Ogni sette anni, in riferimento alla cadenza 
settennale dell'evento, venne selezionato per la fase finale del concorso e 
Fig. 3: La processione delle torce in una fotografia scattata nel maggio 2007.
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proiettato al cinema Alfellini di Grottaferrata, dove scoprimmo che praticamente 
nessuno sapeva dell'esistenza di questo rito e pochi sapevano dell'esistenza del 
paese. In un secondo momento, considerando l'ingente quantità di materiale 
raccolto durante i giorni della lavorazione e nell'ottica di utilizzare il lavoro come 
parte integrante di questa tesi di laurea, nell'agosto del 2008 decisi di rimettere 
mano all'opera, giungendo a una nuova versione del documentario. Nel nuovo 
formato, della durata di circa ventiquattro minuti, è stato possibile approfondire 
alcune sezioni del filmato e inserire tematiche che nella precedente versione non 
avevano trovato spazio. La nuova versione si è aggiudicata il terzo premio alla 
terza edizione del Satricum Doc Film Festival, festival del documentario turistico-
ambientale, svoltosi a Latina nel dicembre 2008.
Tuttavia, come del resto si evince dal titolo di questa tesi, la festa religiosa 
rappresentata nel documentario non è che uno (anche se tra i più importanti) dei 
simboli, così com e il Santuario della Madonna delle Grazie (la dimora in cui è 
custodita la sacra icona) non è che uno dei luoghi che contraddistinguono il 
territorio. Luoghi e simboli del territorio sonninese sono l'oggetto di studio di 
questa ricerca, che si propone di individuare i significati che le comunità umane vi 
hanno associato e che attraverso i secoli si sono sedimentati, connotando il 
territorio e attribuendogli una specifica “personalità”. Attraverso l'individuazione 
di questi luoghi e simboli e dei significati a loro associati, si intende fornire una 
rappresentazione geografica del territorio che, mettendone in evidenza i caratteri 
peculiari, possa favorire il processo di costruzione dell'identità territoriale da parte 
della popolazione locale. Si ritiene, infatti, che la definizione dei caratteri della 
identità territoriale sia un presupposto necessario alla programmazione di uno 
sviluppo locale equilibrato e armonioso, che preveda la partecipazione attiva della 
popolazione nella definizione di un progetto condiviso, in linea con i principi 
espressi nell'Agenda 21.
Si tratta, dunque, di un problema d'interpretazione che pone al centro della 
ricerca il concetto di , intesa come “universo di simboli” (Vallega, 2003). 
La cultura è l'oggetto specifico d'indagine della geografia culturale su base 
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cultura
semiotica, a cui nel corso della presente trattazione si farà ampio riferimento. Il 
compito della geografia culturale, secondo il parere di Vallega (2003, p. 59) 
consiste “nell'indagare le manifestazioni geografiche della cultura” (corsivo 
dell'autore). Si viene così a delineare un campo d'indagine ben circoscritto e 
distinto dagli altri ambiti d'interesse della geografia; un campo “all'interno del 
quale il geografo ha l'opportunità di ampliare gli orizzonti investigativi delle 
manifestazioni umane sul territorio” (ibidem , p. 62). Il territorio viene indagato 
anche nella sua componente immateriale, facendo riferimento alla dimensione 
spirituale e sentimentale che connota luoghi e spazi. La cultura così definita 
rappresenta un oggetto di studio indeterminato che non può essere scomposto 
nelle sue parti e affrontato secondo i criteri di oggettività propri della logica 
razionale. Il simbolo, infatti, sempre secondo Vallega, costituisce
un tipo di segno che non possiede somiglianza con il significato, né è 
legato al significato da una relazione ben determinata, univoca. In 
sostanza è un segno arbitrario, il cui rapporto con il significato è 
definito da una legge; una legge – vale la pena di tenere presente – che 
esula da una logica causalistica (ibidem , p. 66).
Non vi è dunque un rapporto di causalità tra la creazione di un simbolo e 
l'attribuzione di un significato. Pertanto, la conoscenza prodotta da una geografia 
culturale così intesa, non approda a solidi che si propongono di i 
fenomeni osservati, ma piuttosto produce discorsi morbidi che hanno la finalità di 
favorire la comprensione della realtà. L'indagine scientifica, in questo caso, non 
procede dall'osservazione di una realtà particolare alla formulazione di leggi 
generali, non segue la via dell'astrazione, ma affonda nello specifico delle realtà 
osservate, accettandone la complessità e anche l'eventuale contraddittorietà. Il 
problema di interpretare e rappresentare un territorio concepito in questi termini 
non può prescindere dall'accettare la soggettività della ricerca, i cui esiti 
dipendono notevolmente dalle inclinazioni, dalle percezioni e dalla sensibilità 
dell'osservatore.
Si tratta di uno terreno di frontiera, ancora in via di esplorazione, per il quale 
non esiste un metodo affermato e universalmente riconosciuto valido. Per questo 
motivo, il metodo di lavoro adottato nel corso di questa ricerca si è costruito 
14
spiegaremodelli
strada facendo. Nella prima fase è stata effettuata una ricerca sul campo, durante 
la quale il territorio è stato “esplorato”, nel tentativo di far emergere, attraverso 
colloqui e interviste, i tratti caratteristici del contesto sonninese, dal punto di vista 
ambientale, storico e sociale. In un secondo momento, è stata effettuata una 
ricerca bibliografica che ha raccolto diverse tipologie di materiale riguardante il 
territorio oggetto di studio. Le fonti consultate comprendono un'ampia letteratura 
dedicata alla storia di Sonnino, ai riti e alle tradizioni locali, ai miti e alle leggende 
tramandate dalla popolazione di generazione in generazione. Coerentemente con 
l'impostazione della ricerca, infatti, non si sono prese in considerazione solamente 
fonti di taglio scientifico, ma grande attenzione è stata rivolta anche ai testi 
narrativi, descrittivi e alle rappresentazioni visive (filmati, fotografie, dipinti) 
prodotte dal – o sul – territorio sonninese. In particolare, le raccolte di poesie 
dialettali di Dante Bono e Gaspare Ventre hanno costituito una preziosa e 
insostituibile fonte d'ispirazione e di informazioni utili allo svolgimento della 
ricerca. I versi delle loro poesie, infatti, rappresentano un vero e proprio 
concentrato di “sonninesità” ed esprimono in maniera ineguagliabile il profondo 
legame sentimentale esistente tra i sonninesi e la loro terra.
Così, attraverso il confronto delle diverse fonti consultate, si è cercato di 
fornire una visione di sintesi per la definizione di una possibile identità 
territoriale, costruendo non “un monologo geografico, ma una polifonia 
interdisciplinare accordata sul tema dell'umanesimo e della rivisitazione storica” 
(Andreotti, 1996, p. 22). Del resto, secondo la concezione di geografia che sta alla 
base di questo lavoro,
Il geografo non se ne sta in disparte, isolato fra le sue carte o intento 
alla ‘enumerazione di oggetti comprensibili’, ma deve essere immerso 
nella ‘totalità’, aperto verso ogni aspetto della cultura e sporgersi sulla 
ricchezza di ogni altra disciplina, come la storia, la filosofia, la 
psicologia e – perché no? – la pittura, per ricercare i motivi di 
spiritualità e riceverne l'intelligenza per descrivere: per descrivere il 
comune scenario, quale il paesaggio, presso il quale tutte tali 
discipline, per le cause più diverse, si sono nel tempo conformate e 
che nel contempo tutte hanno concorso a conformare (ibidem ).
Nel tentativo di interpretare i significati attribuiti a luoghi e simboli, dunque, 
si è ritenuto opportuno fare riferimento più alle narrazioni che ai dati statistici, alle 
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testimonianze raccolte piuttosto che ai documenti ufficiali, alle immagini piuttosto 
che alle carte geografiche.
Questi presupposti teorici hanno determinato in larga misura la struttura del 
lavoro. Nel primo capitolo verranno definiti i concetti fondamentali alla base della 
ricerca effettuata: identità, territorio, cultura, simbolo. Nel secondo la trattazione 
entrerà nel merito del territorio comunale di Sonnino, presentandone a grandi 
linee il contesto ambientale e soffermandosi su quegli aspetti legati alle dinamiche 
naturali che più hanno influenzato le condizioni esistenziali della popolazione. 
Quindi si prenderà in esame l'evoluzione storica del territorio, concentrando 
l'attenzione in particolare su alcuni momenti e personaggi chiave che hanno 
lasciato un marchio indelebile nella memoria collettiva e che sono stati assorbiti e 
reinterpretati nei racconti, nelle leggende popolari e, in alcuni casi, nelle 
manifestazioni rituali. Nel quarto capitolo, dopo aver passato in rassegna le 
immagini evocate dalla vista del paese, mettendo a confronto le diverse fonti 
letterarie disponibili e i contributi raccolti durante i colloqui, sarà proposto un 
quadro di sintesi dei principali luoghi e simboli del territorio, tentando di definire i 
caratteri peculiari della “sonninesità”. Infine, nell'ultimo capitolo, saranno 
enunciati i motivi per cui si ritiene che le tecnologie audiovisive costituiscano uno 
strumento utile e prezioso per la rappresentazione del territorio e per l'indagine nel 
campo della geografia culturale.
Inoltre, si entrerà nello specifico del documentario allegato alla tesi, 
proponendolo come esempio pratico per la rappresentazione di un aspetto 
importante (l'aspetto religioso) dell'identità culturale, e come una risorsa per la 
valorizzazione e la promozione del territorio in chiave turistica. A completamento 
del lavoro, in appendice verranno riportati i testi integrali delle interviste 
realizzate nell'agosto 2007 a Sonnino, nei giorni a ridosso della processione della 
Madonna delle Grazie, ritenendo che esse costituiscano un materiale interessante 
che può valer la pena consultare senza il filtro dell'interpretazione di chi scrive.
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CULTURA, IDENTITÀ E TERRITORIO
Remedios Varo, Tr ánsito en espiral, 1962 , olio su mansonite
Collezione privata, New York
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Il filo conduttore di questa ricerca, che ha per oggetto il comune di Sonnino e 
la sua popolazione, è l'identità territoriale, ossia quell'insieme di caratteri, 
materiali e immateriali, sedimentatisi nel corso dei secoli, che nel complesso 
attribuiscono allo spazio vissuto una sua specifica “personalità”, come risultato 
dell'interazione tra substrato fisico (le caratteristiche ambientali, topografiche e 
morfologiche del territorio) e cultura umana. La comprensione e la 
rappresentazione dell'identità territoriale – e non del territorio in sé – sono le 
finalità di questo lavoro, che vuole proporsi come un punto di partenza per 
ulteriori ricerche e come strumento per la pianificazione di progetti di sviluppo 
che siano in armonia con le vocazioni del territorio, nella convinzione che il 
necessario quanto auspicabile coinvolgimento attivo della collettività nei processi 
di sviluppo locale sia favorito quando la cultura – nei suoi aspetti materiali e 
immateriali – ne rappresenti il presupposto.
Avendo a che fare con concetti estremamente delicati e controversi, come la 
cultura, l'identità, i simboli, sarà opportuno, prima di entrare nel vivo della 
trattazione, esporre brevemente i presupposti teorici che costituiscono le 
fondamenta del presente lavoro, senza la presunzione di voler esaurire 
l'argomento, peraltro oggetto di un'estesa letteratura scientifica e al centro di un 
dibattito che spazia nei campi della geografia culturale, dell'antropologia, della 
psicologia e della sociologia, ma con la sola intenzione di chiarire il punto di vista 
di chi scrive.
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Cultura, identità e diversità culturale
Il termine cultura può essere interpretato sul piano individuale e sul piano 
sociale. Secondo il dizionario italiano De Mauro (2000), indicherebbe, nel primo 
caso, il “complesso delle conoscenze intellettuali e delle nozioni che contribuisce 
alla formazione della personalità”; nel secondo caso, ovvero sul piano sociale, il 
termine si riferirebbe alle “pratiche e conoscenze collettive di una società o di un 
gruppo sociale”. La definizione appena citata fa dunque riferimento soprattutto 
agli aspetti pratici e funzionali della cultura e al suo carattere di necessaria 
condivisione: la cultura risulterebbe uniformemente estesa all'interno di un gruppo 
sociale, rappresentando quindi un patrimonio collettivo.
Secondo una prospettiva più specificamente geografica, la cultura può essere 
definita come un complesso dinamico di norme, valori, concetti e simboli 
riconosciuti da un gruppo umano – insediato in un dato territorio – in base a cui si 
producono significati largamente condivisi e trasmessi da una generazione 
1
all'altra. Una definizione così formulata pone in evidenza alcune proprietà 
fondamentali della cultura: la dinamicità e la territorialità, che fanno 
rispettivamente riferimento al tempo e allo spazio, ovvero le due dimensioni 
fondamentali dell'esistenza umana (nonché della prospettiva geografica); il 
carattere di complessità, che presuppone l'interazione di una serie di fattori, che 
agiscono sugli individui (sul loro modo di agire e d'interpretare la realtà, il 
rapporto con la trascendenza, con la natura, ecc. ecc.) e sul territorio, model-
landolo e organizzandolo secondo modalità particolari; la necessità di condi-
visione, ovvero di un diffuso consenso sociale intorno a quei valori, norme, 
concetti e simboli che la cultura produce.
Il concetto di dinamicità suggerisce che la cultura non è qualcosa di statico, di 
immutabile, ma al contrario è continuamente sottoposta a processi di mutamento, 
immersa com'è in un contesto storico e geografico con cui intrattiene una 
1 La definizione di cultura qui adottata è una rielaborazione di quella fornita dalla prof.sa Tiziana 
Banini durante il corso di Geografia Culturale (a.a. 2006/2007). Gli insegnamenti ricevuti 
durante le sue lezioni sono stati un costante punto di riferimento durante la stesura di questa 
tesi di laurea.
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relazione dialettica: si evolve nel tempo e, a causa del contatto tra culture diverse, 
è soggetta a continui processi di contaminazione. La dinamicità quindi è da 
intendersi sia in senso verticale (nel tempo), che orizzontale (nello spazio). Il 
concetto di territorialità, invece, esprime il fatto che ogni cultura affonda le sue 
radici in un determinato spazio fisico, sviluppandosi in seno ad esso, 
connotandolo e attribuendogli un sistema di significati largamente condiviso dalla 
comunità. 
La cultura è dunque una realtà in continuo divenire: non esistono culture che 
rimangono sempre uguali a se stesse, per lo meno nel lungo periodo. Ciò non 
sarebbe auspicabile, né tanto meno possibile nel mondo contemporaneo, in quel 
villaggio globale in cui le distanze risultano pressoché azzerate, dove esiste una 
comunicazione continua e immediata tra i diversi nodi della rete, che consente lo 
scambio di idee e informazioni e la rapida diffusione delle innovazioni 
tecnologiche, mediche, giuridiche, filosofiche.
Eppure in questa realtà sempre più interconnessa e interdipendente sembra 
emergere sempre più prepotentemente un forte bisogno di identità. “La 
globalizzazione, che rende più deboli le frontiere nazionali, provoca 
rivendicazioni forti di appartenenza culturale, nuovi localismi. Anche se sembra 
che scompaiano, i confini si riaffermano continuamente in modalità differenti”, si 
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legge in uno dei primi pannelli che s'incontrano al Museo delle Terre di Confine, 
recentemente inaugurato a Sonnino. All'inevitabile e incontrastabile ascesa del 
globale, si contrappone dunque, equilibrandola, una netta tendenza alla riaf-
fermazione delle culture locali, che si esprime nella rivendicazione di un'identità, 
necessaria perché i gruppi umani possano mantenere il timone della propria 
imbarcazione, per non finire alla deriva, in balia di forze sconosciute e 
incontrollabili, senza conoscere la direzione di viaggio. L'identità culturale, per 
uscire dalla metafora, può essere considerata il timone che consente ai gruppi 
umani (agli individui che si trovano “imbarcati” nella stessa cultura) di mantenere 
2 Il Museo delle Terre di Confine è stato allestito in via Giacomo Antonelli, in un edifico storico 
appositamente restaurato, antica sede del Comune. Inaugurato nell'agosto 2008, il museo è 
ordinato in quattro sezioni ed è stato concepito dai curatori (Vito Lattanzi e Vincenzo 
Padiglione) come uno spazio interattivo in cui sono affiancate sequenze organizzate di 
scenografie, visioni, drammatizzazioni e altre suggestioni multisensoriali.
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