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unificazione del diritto privato, dall’altro, di fornire una visione di insieme
dello stesso dando importanza a quei tratti più salienti e sensibili ad innovativi
innesti di disciplina.
Tutto ciò in un luce di una riflessione più generale sul Diritto così come
inteso da sempre nei suoi canoni “hard” per capire, se questo sia mutato
completamente, se quella implicita nozione di “subordinazione” alla base
dell’hard law sia non solo cambiata ma del tutto superata, se effettivamente
certe modalità di produzione delle regole giuridiche siano solamente
caratteristica di un determinato periodo storico e se le norme giuridiche siano
solamente collegate ad un dato modello produttivo specifico.
7
CAPITOLO I – IL CONCETTO DI SOFT LAW.
1) Il Ruolo del Soft Law.
L’espressione “soft law” è un espressione che sorge nel diritto
internazionale a partire dagli anni 70’. Con il termine “soft” legato alla parola
“law” si vuole intendere un tipo di regolamentazione che esce dai canoni
tradizionali normalmente compresi nel diritto positivo.
Contrapponendosi alla dogmatica classica che vede nel diritto una norma
e in una norma un contento dispositivo di carattere vincolante volto ad
imporre in maniera rigida, ovvero “hard” un comportamento la cui violazione
importa sempre e comunque una sanzione, il soft law viene a presentarsi come
un alternativa al consueto modo di fare legge e quindi diritto.
Il fenomeno del soft law è un fenomeno tutto sommato recente e che ha
riscontrato parecchio successo, soprattutto nel diritto internazionale che, dagli
anni 80’ in poi, viene a porsi come una vera e propria fonte normativa
alternativa e questo per il fatto che tutte le disposizioni legislative di origine
“soft” presentano caratteristiche mai riscontrate nel diritto così come sempre
studiato dai giuristi, prima tra tutte, la natura non vincolante dei precetti
appartenenti a tale categoria.
Di per sé il fenomeno sembra andare contro tutto quello che viene ancora
oggi considerato diritto o meglio legge o meglio ancora un obbligo ovvero
“affrontare il tema del soft law significa illustrare un paradosso”(
1
). Infatti,
1
DISTEFANO, Origini e funzioni del soft law in diritto internazionale in Lavoro e
Diritto, 2003, cit., 17
8
questo inconsueto modo di legiferare ha avuto particolarmente successo nel
diritto internazionale, investito da sempre da molteplici problemi di
armonizzazione e coordinazione tra le discipline fra più Stati nazionali tutti
parecchio gelosi delle loro sfere di sovranità.
Ecco che a partire dagli anni 70’ in aiuto agli operatori di tale branca del
diritto arriva il soft law, un nuovo modo di “fare regole” più flessibili, dotate
di maggiore capacità di adattamento alle situazioni più diversificate, ma
soprattutto capaci di ingenerare “obblighi” privi di una vera e propria
vincolatività sul piano giuridico, ovvero delle soft obligation, ovvero norme
capaci di dare vita ad obbligazioni giuridiche private però di quella qualità
insita da sempre nell’hard law, la punibilità in caso di violazione.
Il soft law rappresenta un fenomeno parecchio ampio e sfumato e il cui
utilizzo nasce per lo più da ragioni di organizzazione e dall’esigenza di
adottare una strumentazione normativa in grado di offrire soluzioni più
efficaci ad istituzioni operanti in settori in continua evoluzione, primi tra tutti
gli Organismi della Comunità Europea. Infatti, “questa tendenza rappresenta
in parte una caratteristica prevedibile di sviluppo amministrativo, in parte una
risposta comprensibile all’inerzia delle istituzioni e in parte un tentativo
discutibile di aggirare o evitare le conseguenze del mancato raggiungimento
d’accordi politici”(
2
).
Insomma, il soft law è uno strano ibrido. Un ibrido che viene a collocarsi
a metà strada tra il diritto e le regole sociali. Un ibrido nato da strategie
gestionali volte a mettere mano come no in settori dove una politica
normativa eccessivamente impositiva non può avere spazio laddove non è in
grado di vestire e fornire soluzioni adeguate a situazioni in perenne
mutamento come nel caso dei rapporti internazionali.
2
SNYDER, Soft Law e prassi internazionale nella Comunità Europea in Sociologia
del Diritto, 1993, cit., 80
9
2) Soft Law e Codice Civile Europeo.
Come sopra menzionato il soft law si è presentato, a partire degli anni
70’, come una alternativa strategia normativa utile soprattutto in materia
internazionale in particolare per arrivare ad una più elastica disciplina dei
rapporti fra i vari Paesi Cee e, nello specifico, in aiuto ad uno dei più grandi
obiettivi a cui lavora da sempre la Comunità; il mercato unico ovvero quello
che gli Stati membri hanno definito “uno spazio senza frontiere interne, nel
quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi
e dei capitali”(
3
).
Ecco che il diritto “morbido” per far fronte ad un certo tipo di
problematiche più in voga e coinvolgenti come quella del ravvicinamento di
alcune discipline nazionali in vista di un obiettivo come quello del mercato
unico, è servito come chiave di avvio, ha rappresentato il primo step, per
indirizzare l’attività di organismi internazionali, così come, per invitare i vari
stati partecipanti interessati a raggiungere uno o più compromessi funzionali
in argomento.
Nel caso succitato “una simile prospettiva è venuta manifestandosi nel
1989 in una risoluzione con la quale il Parlamento europeo rilevava che
l’armonizzazione frammentaria non bastava a far fronte alle esigenze e alle
aspettative del mercato unico”(
4
).
L’esame a distanza delle direttive fino a quel momento utilizzate, quali
quelle previste dalle convenzioni comunitarie, aveva mostrato come
3
GANDOLFI, Per un Codice Europeo dei Contratti in Rivista Trimestrale di Diritto
e Procedura Civile, 1991, cit., 782
4
GANDOLFI, il Code Euroepan des contrats fra gli scenari delineati dalla
Commissione Europea in Jus, 2002, p. 219
10
insufficiente fosse un tale modo di procedere; non era possibile uniformare
alcune branche del diritto dei vari stati nazionali ricorrendo a vie extra
legislative quali la giurisprudenza, la dottrina o iniziative sindacali
imprenditoriali (quali i contratti standard e simili posti in essere dalle
organizzazioni imprenditoriali).
Da qui l’esigenza di codificare. Un momento della unificazione del
diritto (privato) tra i vari stati europei che accese un grande dibattito in sede
d’accademia; a chi vedeva nella codificazione un necessario passaggio
coerente con questo processo, “se si guarda alla storia di molti paesi
dell’Europa continentale, si può agevolmente vedere come i codici civili
abbiano giocato un ruolo essenziale nella costruzione dello Stato nazionale,
rappresentando la vera costruzione della società civile, il piano delle relazioni
individuali e sociali, esercitando una influenza più forte delle stesse
costituzioni, considerate più documenti politici che giuridici”(
5
) a chi coglieva
in tale fase, per nulla nuova soprattutto nella cultura europea del Civil Law,
una degradazione ad unum di una sofisticata e per nulla riducibile in esagerati
minimi termini cultura del diritto tipica di ogni stato propria ed irrinunciabile
almeno quanto la stessa identità nazionale così mostrando un dissenso di
natura più politica che tecnica ovvero come dice Ioratti “l’opposizione ad un
codice hard da parte dei giuristi europei, tradizionalmente conservatori
nasconderebbe in realtà paure diverse; paura di cambiamento capace di
ridurre una complessità del diritto in grado di offrire grandi opportunità di
ritorni professionali al ceto che monopolizza la conoscenza, così come nella
5
RODOTÀ, Il Codice Civile e il processo costituente europeo in Rivista Critica del
Diritto Privato, 2005, cit., 22
11
paura della globalizzazione e nel timore della perdita dello status quo
nell’ambito della leadership giuridico – professionale in Europa”(
6
)
.
Già nel trattato istitutivo della Comunità Europea, il Trattato di Roma
nel 1957 era stata confermata l’idea ed il progetto di realizzare una
compenetrazione programmata tra e delle varie culture giuridiche dei paesi
aderenti alla Cee e, al fine di rendere più fruttuosa tale nascente
collaborazione internazionale, si era voluto già in quell’anzitempo affermare
la necessità di adottare delle misure volte “a superare quelle difformità tra gli
ordinamenti degli Stati membri che potessero costituire degli ostacoli al buon
funzionamento del mercato comune”(
7
).
Un programma questo che in principio era stato voluto e studiato in
termini parecchio suggestivi, quasi un suggerimento ragionato per ottimizzare
quello che poi sarebbe divenuto il primo piano di lavoro della Comunità, un
mercato unico per l’Unione, nel quale ogni forma di barriera tra i vari paesi
sarebbe stata abolita in maniera progressiva nel tempo ponendo nella summa
quali elementi pregnanti di tale programmato primario obiettivo; libertà di
iniziativa economica e stabilimento, uguaglianza di situazioni e posizioni,
libertà d’accesso e di circolazione di merci e persone e servizi e capitali, ma
soprattutto, il rispetto a tutto tondo di quelle che sono le fino ad ora assodate
ed indiscusse regole del mondo economico, e tra queste prime tra tutte, le
regole della concorrenza al fine di rendere questo nuovo luogo nascente più
efficiente e gli agenti in competizione operantivi al suo interno più produttivi.
Tutto questo lavoro preventivato e già premesso agli albori della
Comunità, portato avanti con fede, dedizione, ed ancora oggi in fase di
6
IORATTI, Codice Civile europeo: un approccio metodologico in Rivista Critica del
Diritto Privato, 2003, p. 352
7
GANDOLFI, il Code Euroepan des contrats fra gli scenari delineati dalla
Commissione Europea in Jus, 2002, p. 219
12
lavorazione, era nato dall’idea di apportare un miglioramento generale nelle
relazioni tra i paesi partecipanti, in cui il mercato unico avrebbe
essenzialmente fatto da “collante”, un collante che sarebbe dovuto diventare
sempre più forte nel tempo al crescere delle relazioni c.d. giuridicamente
rilevanti, infatti, come dice Castronovo “l’idea stessa del mercato comune,
portata fino in fondo e scevra di condizionamenti storici che ne hanno
impedito il realizzarsi integrale sin dal suo concepimento, dovrebbe avere
come esito la disciplina unica dei rapporti”(
8
), ovvero di tutte quelle relazioni
che necessariamente si instaurano nel mondo economico, le relazioni
economiche, relazioni considerate rilevanti nel diritto e che hanno per lo più
tutte lo stesso denominatore comune il contratto.
Così, l’irreversibile imperativo tecnico implicito in un tale parto
ideologico, portò i giuristi appartenenti alla zona geografica interessata dal
patto comune a riaffrontare e riesaminare tutta l’area del contratto. Un area
del diritto, in particolare del diritto privato, consumata dalla dottrina ma che
in ogni caso avrebbe dovuto di nuovo fare i conti e confrontarsi con un
evoluzione politica importante come quella partita con la redazione del
Trattato di Roma.
Come detto prima, nella prima fase di questo nuovo percorso comune
intrapreso da alcuni dei degli stati nazione presenti in Europa, orgogliosi della
propria storia e identità, un ruolo strategico principe l’ha giocato un arrangiato
sistema di direttive comunitarie, ma il primo nodo cardine di tutta la
problematica rimaneva sempre il diritto degli affari, una branca governata
dalle leggi del contratto e impossibile da contro articolare con precetti di
natura alternativa come il soft law essendo appunto “l’obligatio puro vinculum
iuris e la autonomia privata la sua fonte generatrice che, fino a quando non
8
CASTRONOVO, Savigny i moderni e la codificazione europea in Europa e Diritto
Privato, 2001, p. 223
13
viene orientata secondo contenuti che manifestano specie di interessi è del
tutto neutra”(
9
).
Il paradosso volle però che fosse proprio un atto di natura “soft” a
rivelare la necessità di “governare gli effetti dell’interdipendenza tra i diversi
sistemi di diritto dei contratti che si creano anche indipendentemente da un
intervento legislativo di derivazione comunitaria e talvolta finanche a
prescindere dall’impiego del soft law”(
10
), ovvero una risoluzione del
Parlamento Europeo del 1989.
Ecco che grazie ad un paradosso teorico, tramite un impulso informale e
non vincolante è stato dato ‘un via’ ad un progetto di unitarizzazione e
semplificazione delle norme base di un capitolo importante del diritto privato:
il Contratto.
Un invito legislativo nato e siglato evitando di cavillare un impegno
mentale di tale dimensione ed importanza con il consueto deterrente implicito
nei precetti di legge (la penalità) rendendo così più fattibile e meno pesantivo
un operare considerato soprattutto impegnativo da tenere in un continuo ed
imprevedibile lungo termine.
9
Ibidem.
10
CAFAGGI, Una Governance per il diritto privato europeo dei contratti in Politica
del Diritto, 2003, cit., 388