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vengono ad essere compresi in un unico sistema concettuale in interdipendenza 
reciproca. 
Per quanto il concetto di soddisfazione sia stato usato con grande frequenza per 
considerare aspetti qualitativi dell’esperienza lavorativa, esso non ha raggiunto uno 
specifico status teorico ed è apparso un indicatore individuale di tale esperienza 
compatibile con numerosi approcci teorici elaborati soprattutto nell’ambito degli studi 
motivazionali. 
Nell’analisi di questa tesi ci rivolgiamo ad una dimensione particolare, quella della 
soddisfazione, all’interno di un contesto organizzativo, la cooperazione, fortemente 
radicato nella realtà italiana, e che rappresenta patrimonio peculiare soprattutto della 
nostra regione, l’Emilia-Romagna; la scelta del modello cooperativo come contesto 
della ricerca è motivato dal forte interesse suscitato in noi da come si traducono sul 
campo i principi morali che definiscono la cooperativa rispetto all’impresa tradizionale, 
ovvero la democrazia interna, l’equità tra i lavoratori, il rispetto dei diritti dei lavoratori, 
e lo sforzo per conseguire migliori condizioni per tutti i membri.   
I lavoratori di cooperativa sono chiamati ad un atto di responsabilità quotidiano, che si 
esplica nelle risorse che essi mettono in campo, contribuendo, attraverso il proprio 
lavoro, a far crescere la cooperativa. La possibilità che i soci hanno di partecipare 
attivamente alle decisioni, e il rispetto di ciascun lavoratore come persona e come 
portatore dei propri valori, fanno delle cooperative un autentica alternativa all’impresa a 
carattere classico, potenzialmente a riparo da fenomeni tipici del capitalismo, come lo 
sfruttamento e la disumanizzazione del rapporto uomo-lavoro. 
Le discipline richiamate in questa tesi riguardano in primo luogo la psicologia del 
lavoro e delle organizzazioni, le quali fungono da grande ausilio sia nella 
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“sistematizzazione concettuale” del concetto di organizzazione e dell’evoluzione del 
rapporto uomo-lavoro, sia da “strumento interpretativo” dell’oggetto di analisi, la 
soddisfazione lavorativa, come esito dell’esperienza lavorativa; viene parimenti 
richiamata diversa letteratura riguardo alla storia della cooperazione, a partire dagli 
esordi inglesi fino alla trasposizione nel modello italiano. 
Si cercherà, in particolare, di individuare quali aspetti del rapporto uomo-lavoro 
risultano influenzare ed incentivare il giudizio positivo espresso sulla propria 
condizione di lavoratore, in confronto alle situazioni di precarietà e scarsa realizzazione, 
che rappresentano gli esiti negativi di questo rapporto. 
In questo lavoro si ipotizza che, a partire da indici di soddisfazione diversi rilevabili in 
lavoratori appartenenti a imprese cooperative, sia riscontrabile un giudizio positivo per 
quanto riguarda aspetti determinanti e peculiari del modello organizzativo cooperativo, 
che deve distinguersi dai modelli tradizionali per gli elevati standard nel campo del 
rispetto delle leggi a tutela dei lavoratori,  della partecipazione attiva dei suoi membri, 
della democrazia e della responsabilità sociale delle parti in campo. 
Più precisamente, l’ipotesi della ricerca ha natura esplorativa e vuole sondare se il 
cooperatore italiano sia soddisfatto, e se lo è, in che misura e secondo quali aspetti; 
parallelamente si vuole fotografare lo “stato di salute” del rapporto fra questo lavoratore 
e la propria organizzazione lavorativa, cercando di porre in evidenza relazioni tra il 
livello di soddisfazione e aspetti legati ai diritti dei lavoratori e al prestigio del lavoro. 
Si vuole in particolare evidenziare l’esistenza di cooperatori dalla diversa natura: da una 
parte un cooperatore fortemente coinvolto e partecipe delle sorti della sua azienda, 
dall’altra un cooperatore che, per varie ragioni, non sente la cooperativa come “sua” e 
sperimenta sentimenti di alienazione rispetto all’organizzazione. A tal fine sarà 
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necessario analizzare prima di tutto l’evoluzione dei modelli teorici del rapporto 
lavoratore-organizzazione e successivamente le teorie sulla soddisfazione,cercando di 
desumere dalla letteratura i “nodi” causanti o inducenti questo stato d’animo; 
dedicheremo una parte della nostra trattazione anche alla nascita e ai principi della 
cooperazione, con un breve excursus sulla storia e sui protagonisti che hanno permesso 
il radicamento di questo modello in Italia. 
 
Tale tesi vuole esplicarsi in una doppia fase: 
 
1) una prima ricerca compilativi, ovvero una “ricognizione interpretativa” sulla 
letteratura circa l’argomento al fine di individuare empiricamente la conferma o 
meno dell’ipotesi (l’influenza o meno di aspetti dell’esperienza lavorativa sul 
livello di soddisfazione); 
2) una seconda ricerca quantitativa tramite la somministrazione di un questionario 
anonimo ad un campione rappresentativo di lavoratori appartenenti a due 
cooperative del terziario per una conferma (parziale o no) della stessa ipotesi. 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Capitolo 1 
L’organizzazione 
 
 
 
Capitolo 1 
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1.1  DEFINIRE L’ ORGANIZZAZIONE 
Non si può affrontare una discussione su temi che riguardano il mondo del lavoro senza 
iniziare a parlare del contesto all’interno del quale si evolvono e maturano le esperienze 
e i sentimenti delle persone come lavoratori, vale a dire le organizzazioni; ogni giorno 
entriamo in rapporto con organizzazioni di tipo diverso, da quelle in ambito lavorativo a 
quelle che caratterizzano il tempo libero e i consumi. L’organizzazione non è solo un 
ambiente, esiste come entità psicologica alla quale l’individuo reagisce; nella sua realtà 
quotidiana di processi lavorativi coordinati è un fatto sociale che si costruisce attraverso 
le interazioni di quanti vi prendono parte. Quaglino sostiene che 
 
“ non c’è ragione di dubitare del fatto che l’organizzazione sia un territorio aspro, 
talvolta ingrato, sempre difficile per tutti coloro che vi impegnano il proprio progetto e 
con esso costringono la propria vita. In questo territorio le emozioni sembrano bandite, 
i sentimenti hanno poca storia, la soggettività nel suo complesso ancor meno 
risonanza” (1996, p.2). 
 
Sarchielli (1991) definisce gli elementi distintivi che appaiono giustificare l’attribuzione 
della qualifica di organizzazione a un insieme sociale:    
 
a) presenza di un insieme abbastanza ampio di persone (dimensione), orientato al 
raggiungimento di scopi rilevanti mediante lo svolgimento di compiti, che 
richiedono l’impiego e la conoscenza di strumenti (tecnologia); 
b) divisione e specializzazione dei compiti (differenziazione); 
L’organizzazione 
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c) bisogno di unificare gli sforzi compiuti (integrazione) mediante l’applicazione di 
regole e procedure; 
d) definizione di una struttura che possa regolare le relazioni tra individui, gruppi e 
attività in forma stabile e esplicita (formalizzazione); 
e) presenza di modalità di valutazione dell’efficienza e dell’efficacia con cui gli 
scopi attesi vengono raggiunti; 
f) impegno affinché l’esperienza avviata abbia una certa durata nel tempo (ibidem, 
55-56). 
 
Alcuni di questi elementi non sono peculiari solo delle organizzazioni, ma sono comuni 
a qualsiasi gruppo sociale; tanto che 
 
“nel loro insieme, tuttavia, questi elementi sembrano fornire un quadro di riferimento 
abbastanza ampio e flessibile da ricomprendervi forme organizzative anche assai 
diverse e lontane fra loro: una scuola, un laboratorio per la creazione di software 
informatico, un carcere, un’azienda di produzione industriale con centinaia di 
dipendenti, una serie di negozi in rapporto di franchising con una organizzazione 
capofila” (Depolo 1998, p.98) 
 
Definire un’organizzazione in modo tale da riconoscere i diversi bisogni dei lavoratori 
può avere un impatto positivo sulla soddisfazione dei lavoratori e sulla loro motivazione 
(Lawler III e Finegold 2000), e questo basta per capire il peso che essa ha sui vissuti 
lavorativi delle persone che vi sono impiegate. 
Una parte non indifferente della letteratura si è concentrata su una definizione entitaria 
delle organizzazioni, descritte come indipendenti dalle persone che ne fanno parte e che 
Capitolo 1 
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agiscono al suo interno; Meyer, Stevenson e Webster (1985, in Depolo 1998, p.44) 
identificano a questo proposito cinque elementi costitutivi delle organizzazioni così 
intese: 
1. Condizioni per l’appartenenza dei membri: ogni organizzazione definisce con 
gradi variabili di precisione formale le modalità con le quali si entra e si cessa di 
farne parte. Queste condizioni per l’appartenenza divengono al tempo stesso uno 
degli elementi che consentono di distinguere tra l’organizzazione e l’ambiente 
circostante. 
2. Identità dell’organizzazione: essa è vista e riconosciuta nel suo insieme come un 
soggetto specifico dai suoi membri, dotata di una identità propria. 
3. Scopi chiari e definiti, necessari per poter garantire il coordinamento opportuno 
e conseguire così un adeguato livello di efficacia all’azione organizzativa. 
4. Struttura formalmente stabilita dell’insieme, con gradi diversi di dettaglio, come 
si evidenzia ad esempio nelle descrizioni grafiche dell’organizzazione 
(organigrammi, funzionigrammi). 
5. Rapporto di scambio tra organizzazione e ambiente circostante, che sono 
tuttavia entità ben separate. 
 
Questi aspetti concorrono a definire l’approccio entitario alle organizzazioni, che tende 
a ridurre la portata euristica del concetto di organizzazione; l’uomo è, infatti, per sua 
natura sociale, in quanto predisposto geneticamente al rapporto con gli altri, senza i 
quali la sua sopravvivenza sarebbe impossibile; la socialità umana si svolge in parte non 
trascurabile nei gruppi, e tra questi figurano i gruppi di lavoro e le organizzazioni, e il 
comportamento sociale non si svolge solo nell’ambito di queste appartenenze dirette,