ma se si parte con un’analisi più attenta delle moderne caratteristiche degli strumenti di
sorveglianza si deve rifiutare la centralità che questi paradigmi propongono.
Questa, seppur breve, trattazione si propone anche questo. Partendo da un confronto con
il passato, con gli autori e le teorie che si sono sviluppate, si cerca di arrivare ad
analizzare quella che è la complessa situazione in cui ci troviamo a vivere, e il momento
cruciale in attraverso il quale stiamo passando.
L’intento iniziale sarà quello di capire e mostrare come, e da dove, derivino i concetti che
stanno in fondo alla base delle esigenze disciplinanti di una società, e cioè quelli di
devianza e di controllo sociale. In altre parole è definendo ciò che è anormale, o deviante,
che si stabilisce, in un certo senso, ciò che invece è considerato sano, normale,
accettabile, e di conseguenza si stabiliscono poi tutti quei meccanismi che sono volti a
sistematizzare questa differenza.
In un passato relativamente recente, in particolare riferendoci alle teorie di Foucault
all’incirca dall’inizio dell’ottocento, questo tipo di disciplinamento iniziò a non assumere
più le forme della coercizione pubblica, o meglio non solo. Furono le ‘nuove discipline’
che nacquero e si affermarono con status scientifico in questo periodo a veicolare le idee,
e in alcuni casi anche le istituzioni, con le quali venne plasmato l’immaginario comune
della modernità. Potere e sapere vanno così di pari passo. Chiaramente si è cercato di
presentare voci diverse e, accanto a teorici più critici, come Foucault appunto, si sono
esposte anche le teorie di chi, come T.Parsons e R.K.Merton, ha cercato di dare una
definizione della devianza, e del disciplinamento sociale senz’altro meno critica è più
incentrata su motivazioni di ordine psicologico e sociale.
Vi è comunque qualcosa di importante nel riconoscere questo, e cioè il fatto che la
centralità del concetto e della nozione di devianza, così come si è affermata, ha veicolato
il ricorso a quei meccanismi di controllo sociale, maggiormente visibili in quelle che
Goffman descrive come “Istituzioni totali”, che hanno, abbinandosi con le tecnologie
sempre più avanzate, determinato un cruciale mutamento della visibilità a cui tutti i
soggetti, potere incluso, sono esposti. Questo è il nodo che ci porterà a parlare
direttamente dell’aspetto dei media e del loro ruolo fondamentale nella questione.
L’incredibile incremento tecnologico, e mediatico, che si è avuto nell’ultimo secolo, ma
è comunque una rivoluzione partita già da Gutemberg, unito all’affermarsi di dispositivi
e strumenti del controllo sociale, che rispondono ad esigenze di inquadramento della
devianza, hanno mutato il modo stesso in cui oggi siamo tutti inseriti nella società,
determinando nuove e impensabili modalità di sorveglianza, grazie alle quali non è più
così assurdo pensare alla metafora dell’uomo di vetro.
In particolare con i nuovi media questa ‘rivoluzione’ questo mutamento della nostra
visibilità nei confronti degli altri, e della società, si fa ancor più notevole. Arriviamo così
dritti al problema posto dalle nuove tecnologie che offrono possibilità incredibili dal lato
dell’interazione, della velocità, della convergenza, ma altrettanto incredibili sono le loro
potenzialità di sorveglianza. In questo modo, la nostra visibilità è mutata e muta ancora, e
assistiamo ad un vero e proprio dissolvimento dei tradizionali confini fra sfera pubblica e
sfera privata delle nostre vite.
Si arriverà così a parlare di quello che è un argomento davvero attuale, e che si sta
sempre più definendo come il contrappeso all’incremento delle tecnologie di
sorveglianza. Ovvero la privacy. Importante sia come diritto che come concetto. Sulla
privacy il dibattito è fortemente acceso, e non tutti gli autori sono spesso disposti a farne
il proprio cavallo di battaglia, anzi vi è chi, come Lyon, sostiene che la privacy sia
anch’essa strumento del controllo sociale in quanto, seppur valore di riferimento
importante, si situa all’interno degli strumenti di reazioni funzionali al sistema della
sorveglianza stessa, e quindi di fatto è incapace di un vero mutamento. Certo è che la
privacy rappresenta oggi il valore di riferimento, se non per una lotta serrata
all’affermarsi delle tecnologie di sorveglianza, lotta a nostro avviso davvero impari,
quantomeno per quei diritti che fanno capo alla persona umana, al cittadino,
all’inviolabilità e al rispetto del proprio sé, fisico e sociale, come sottolinea molto bene
l’opera di Stefano Rodotà. Chiaramente fenomeni come Echelon, di cui ne diamo breve
descrizione al capitolo tre, ci mostrano come le tendenze che portano verso una società
sempre più sorvegliata siano davvero difficili da frenare, e di come, anche nel campo
dell’affermazione del diritto di privacy ancora ci sia molto da fare. I prossimi anni, in
questo senso, risulteranno cruciali.
L’ultima parte, infine, di questa trattazione riguarda un tentativo di ricerca empirica,
attraverso tre brevi interviste, attorno ad un argomento che rappresenta un po’ lo
strumento, ma anche il paradigma, storico dell’affermarsi dei processi di sorveglianza; e
cioè la telecamera, e quindi la videosorveglianza. Dal panottico, ad Orwell, ad Alan
Moore e al suo “V for Vendetta”, l’atto del vedere, dell’essere visti, che sta alla base
chiaramente delle tecniche di videosorveglianza ha da sempre suscitato grande interesse.
Lo scopo di questa brevissima ricerca sul campo sarà quello di vedere come è utilizzata e
percepita oggi la videosorveglianza e soprattutto di far notare come essa ci insegni
qualcosa sul nostro passato e in misura considerevole anche sul nostro futuro. Le
telecamere sono oggi abituale arredo della città, o almeno delle grandi città sicuramente,
quasi nessuno più si scandalizza, o tanto meno pensa di farlo, se vede una telecamera che
sorveglia il centro cittadino. C’è da chiedersi se in passato non fosse così, o piuttosto se
tutte le altre forme di sorveglianza, che oggi ci sembrano così lesive della nostra persona,
non finiranno lentamente con l’imporsi a fronte della comparsa di meccanismi nuovi e
più minacciosi, che prenderanno il posto dei meccanismi di oggi divenuti abituali
strumenti del nostro domani.
1.Teorie: dal disciplinamento della devianza ad una nuova
visibilità
1.1: M.Focault: la tecnologia politica del corpo e il panottico
Il noto libro di Michel Focault “Sorvegliare e punire”, si apre con l’agghiacciante
descrizione della pena, o meglio, del supplizio di Damiens, condannato a morte il 2
marzo 1757. E’ proprio il termine supplizio a fare la differenza, difatti Focault poi,
transitando all’inizio della modernità, ci mostra come vi sia stata una sostanziale
modificazione dei concetti di supplizio e pena dalla metà del settecento alla metà del XIX
secolo. Questa è l’epoca in cui si ridistribuisce l’economia del castigo e in cui si aprono
le porte al moderno sistema penale. Il fatto in sé può sembrare banale o poco attinente ad
un argomento che tratti di sorveglianza, intesa a livello sociale e non semplicemente
carcerario, ma è poi lo stesso Focault a tracciare la via che ci porterà dritti a capire come
le moderne forme di controllo, così come in parallelo sostiene anche Lyon, siano
collegate ad un nuovo modo di intendere il concetto di potere, che passa proprio dalla
scomparsa del corpo quale obiettivo principe della repressione penale.
Cruciale, in tal senso, è la teoria Foucaultiana per cui il corpo viene nuovamente inteso
all’interno di un sistema di obblighi e divieti, e non più come luogo della punizione fisica
e dolorosa (anche se poi nell’ambito carcerario tutt’oggi purtroppo, spesso non sono
lesinate le angherie e le atrocità). “E’ la condanna stessa a marchiare il delinquente”
2
in
parallelo alla comparsa del concetto di ricuperabilità del soggetto, che deve essere
guarito e raddrizzato. È una vera e propria “nuova morale propria dell’atto del punire”
3
,
che sposta l’attenzione sugli aspetti psicologici del crimine, che avrà il suo chiaro
compimento con l’avvento della psichiatria, l’antropologia criminale e della
criminologia. Scrive ancora Focault “L’intera operazione penale si è gravata di elementi
e di personaggi extragiuridici”
4
, in un’ottica che considera la punizione oramai come
funzione sociale complessa, passando per una storia del corpo, e del modo in cui questo
viene inteso nella modernità. Ed è questo il punto nodale che ci porta a introdurre il
concetto di potere e di tecnologia politica del corpo.
2
Cfr. M.Foucault, “Sorvegliare e punire”, Torino, Einaudi, 1976, P.12
3
Cfr. Ibidem,1976,P15
4
Cfr. Ibidem, 1976, P 25
Per Focault infatti il corpo, nella modernità “diviene forza utile solo quando è
contemporaneamente produttivo e assoggettato”, assoggettamento che si ottiene non solo
con gli strumenti tipici della violenza o dell’ideologia ma anche in maniera più sottile, in
una vera e propria “Tecnologia politica del corpo”, che permea tutta la società. Si assiste
infatti ad una vero e proprio inglobamento della persona fisica in tutta una serie di
meccanismi di potere che “l’investono, lo marchiano, lo addestrano, lo suppliziano, lo
costringono a certi lavori, lo obbligano a cerimonie”
5
, il tutto compendiato in una
concezione meramente economica del corpo stesso.
È il concetto i potere non più inteso solamente come imposizione violenta o ideologica,
ma di un potere nuovo che si concepisce come strategia complessa, come insieme di
micropoteri, che si lega inevitabilmente al concetto di sapere, e che transita per la
‘nuova’ concezione della punizione, intesa come una ‘punizione dell’anima’.
Si parla perciò di micropotere, che Foucalult veicola anche attraverso la sua teoria sulla
sessualità. Il filosofo francese sostiene infatti che nel XIX sec vi fosse una fortissima
repressione sessuale che però ha fatto si che si producessero numerosi discorsi i quali
hanno portato gli individui a pensarsi come individui sessuali, veicolando così una
sempre maggior valorizzazione del sé nell’individuo moderno che inizia a conoscersi.
Così come sostiene anche Giddens, in “La trasformazione dell’intimità” , “ La
trasformazione dell’intimità potrebbe avere un impatto sovversivo sulle istituzioni
moderne in generale: un sistema sociale nel quale la soddisfazione dei bisogni
emozionali si sostituisse alla massimizzazione della crescita economica sarebbe molto
diverso da quello in cui oggi viviamo”
6
.
Sottolineando così i mutamenti rivoluzionari, oggi come ieri, che può portare con sé il
concetto di sessualità, si vuole sottolineare il concetto di potere legato al sapere, in quel
concetto di potere davvero reticolare, nel quale l’azione di più soggetti (le discipline
come pedagogia, medicina, criminologia ecc., ma anche politici o amministrativi) veicola
un mutamento di idee e quindi di modi di agire della società.
E’ a questo punto che si rende più chiara la lezione di Focault, nel senso appunto di
intendere e concepire il potere sociale come qualcosa di reticolare, veicolato attraverso
numerosi soggetti, sia politici che amministrativi e che si perpetua attraverso gli stessi
individui, investiti dalle leggi, dagli obblighi, dalle convenzioni sociali, dai modi di
pensiero e di azione, tutti elementi, secondo il ‘Maitre a penser’ francese, che sono
veicolati dalle categorie interpretative delle varie scienze, in particolar modo da medicina
5
Cfr.Ibidem, PP 28-29
6
Cfr. A.Giddens, “La trasformazione dell’intimità”, Bologna, Il Mulino, 1995, P 9
e psicologia. Il corpo si struttura così come un insieme di elementi e collegamenti
investito da relazioni di potere e di sapere, che attraverso questa investitura ne fanno
oggetto stesso di sapere e lo assoggettano.
Perciò quando si parla di potere si parla inevitabilmente anche di sapere e in questo
concetto è implicato il fatto che sono poi le persone stesse che lo ridistribuiscono e lo
fanno circolare, investite nell’anima intesa come oggetto che “ ha una realtà, che viene
prodotta in permanenza, intorno, alla superficie, all’interno del corpo, mediante il
funzionamento di un potere che si esercita su coloro che vengono puniti, e in modo più
generale su coloro che vengono sorvegliati, addestrati, corretti, sui pazzi, i bambini, gli
scolari, i colonizzati [..]”
7
.
Dunque potere che secondo Focault con la modernità, e la scomparsa della figura del re,
si è organizzato nelle diverse discipline, che hanno poi a loro volta organizzato la società.
In particolar modo, tre sono i luoghi in cui tale disciplinamento, che potremmo definire,
sottile, che serpeggia e si articola in quella che possiamo chiamar anima del corpo, si è
manifestato; innanzitutto i manicomi, che distinguono e disciplinano la sanità dalla follia,
poi gli ospedali, che separano la sanità dalla malattia, e infine (ma non meno importanti)
le prigioni che individuano i trasgressori da coloro che rispettano la legge.
Foucault parla, a tal proposito, della struttura panottica, ideata da J:Bentham come
sistema, appunto, carcerario. Tale struttura si fonda sull’assunto per cui è possibile un
controllo totale della struttura carceraria, in questo caso, ma il principio lo si può
estendere ad una concezione ben più vasta della società, tramite un sistema centrale che
investa e che renda consapevole ognuno di essere sottoposto ad uno sguardo costante e
attento. “Il controllo è ovunque e all’erta”
8
, registra tutto (è il principio ispiratore
dell’occhio elettronico e della videosorveglianza), in uno spazio suddiviso
meticolosamente e strutturato in modo che tutti possano vedere la struttura centrale, la
torre al centro, ma che nessuno possa vedere gli altri, isolato nella solitudine della propria
cella, consapevole di essere visto e monitorato continuamente. Il principio è la visibilità
e la verificabilità del potere, fattore cruciale, e se vogliamo, ricollegabile a quel
condizionamento sottile di cui si parlava prima, anche se in maniera indiretta. “Indurre
nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del
potere. Far sì che la sorveglianza sia permanente nei suoi effetti, anche se discontinua
nella sua azione”
9
. Il Panopticon è allora un modo nuovo per intendere il potere,
percepito come sempre presente, infallibile, a cui non sfugge nulla, e , da questa
7
Cfr. M.Foucault, “Sorvegliare e punire”, Torino, Einaudi, 1976, P 33
8
Cfr. Ibidem,1976, PP 214
9
Cfr. Ibidem, 1976, PP 219
percezione deriva un sentimento di accortezza, di coscienza della sorveglianza. L’idea
della struttura onnisciente è, peraltro notoriamente, stata ripresa da Gorge Orwell, nel suo
famosissimo “1984”. L’idea di un ‘Big brother’ che dalla sua posizione centrale
sorveglia tutto e vede tutto è comunque stata oramai messa in discussione e smontata
dalla realtà effettiva, nella quale prospettive future come quelle di Orwell o del fumetto
“V for Vendetta” di Alan More, in cui si immagina un enorme cervellone centrale e un
governo oppressore , il “Fato” , che disciplina e controlla una società in cui l’ordine è
gestito da un unico soggetto onnisciente, sembrano ormai lontane e rimangono nel campo
del profetico per l’appunto. Lo stesso Lyon parla piuttosto di orchestrazione sociale, di
controllo incrociato, e di un “potere che gioca la sua parte” ma anche della “gente
comune solitamente collabora”
10
, piuttosto che di un enorme struttura panottica centrale e
sempre all’erta. (Lyon azzarda l’ipotesi di un superpanottico che opera incrociando una
enorme quantità di dati e che costruisce identità virtuali spesso del tutto sconosciute alle
persone stesse). Foucault tuttavia dedica un’attenzione speciale a questa forma di
sorveglianza e individua “il panoptismo come il principio generale di una nuova
‘anatomia politica’ di cui l’oggetto e il fine non sono il rapporto di sovranità, ma le
relazioni di disciplina”. Si individuano così due immagini della disciplina; da un lato
l’istituzione chiusa e i meccanismi negativi di coercizione, dall’altro il panoptismo e una
disciplina che diventa meccanismo della propria efficacia, “che deve migliorare
l’esercizio del potere rendendolo più rapido, più leggero, più efficace”
11
.
Ecco allora come si chiarifica la funzione della nuova prigione, che così come Foucault
sostiene anche nell’intervista apparsa su “Microfisica del potere” , doveva essere un
apparato al pari della scuola, capace di agire sugli individui (anche se è lo stesso autore
ad ammetter il fallimento immediato di tale concezione). Tuttavia è attraverso la
trasformazione del ruolo del delinquente, del modo di punirlo e del modo di intendere il
corpo che vediamo una nuova forma di disciplinamento, e di controllo delle società
moderne. Non è più la violenza, l’atto di piazza, la gogna pubblica, a determinare le
relazioni con il potere, ma sono gli istituti delle scienze nuove, sono i meccanismi sottili
che investono le persone, è in un certo senso il sapere.
È dunque chiaro come i nostri corpi e le nostre anime, in qualche modo, siano oggetti di
disciplinamento, attraverso il controllo, e la sorveglianza che su di noi vengono esercitate
e che noi stessi contribuiamo a consolidare. Si può dire che in quest’accezione Lyon
10
Cfr. D.Lyon, “La società sorvegliata”, Milano, Feltrinelli, 2003, P 40
11
Cfr. M.Foucault, “Sorvegliare e punire”, Torino, Einaudi, !976, PP 227-228
riprende la lezione di Foucault mostrandoci come il potere transita attraverso i nostri
corpi oggi in più di una maniera, e con i mezzi più innovativi.
Foucault in questo senso, è innegabile, è portatore comunque di una visone di conflitto, e
di forte critica nei confronti dei meccanismi con cui la società è disciplinata.. Tuttavia
centrale per questo nuovo disciplinamento, rimane la funzione svolta dalla prigione, dal
modo di intendere la pena e dal modo in cui si è disciplinata la devianza, anche e
attraverso i meccanismi di controllo sociale e i modi di inquadrare i comportamenti in
varie tipologie, così come viene fatto nell’opera di T.Parsons e R.K.Merton, in un’ottica
senz’altro di integrazione con il sistema sociale.
1.2. Il concetto di devianza e di controllo sociale.
Viene definita devianza dal “Dizionario di sociologia” a cura di L.Gallino, qualsiasi “atto
o comportamento o espressione [..] del membro riconosciuto di una collettività che la
maggioranza dei membri della collettività stessa giudicano come uno scostamento o una
violazione più o meno grave , sul piano pratico o ideologico, di determinate norme o
aspettazioni o credenze che essi giudicano legittima, o a cui di fatto aderiscono, ed al
quale tendono a reagire con intensità proporzionale al loro senso di offesa.[..]”. Gallino
sottolinea poi come, nel concetto di devianza, risulti fondamentale il riferimento ad una
collettività determinata e al suo relativo sistema di diritto poiché “non esistono devianze
in sé ma solo definizioni sociali di ciò che è atto conforme o atto deviante”
12
.
Il termine deriva da ‘deviazione’ (di origine antropometrica e fisica) e porta con sé il
riferimento inevitabile al concetto di “Normalità”, che a sua volta si fa risalire alla figura
dell’ “uomo medio” elaborata nella prima metà dell’ottocento da Quètelet, concetto nel
quale si esprime la media qualità di una popolazione. Ma senz’altro le elaborazioni più
significative della definizione sono quelle che si devono a Durkheim prima, e a Parsons,
che sviluppa Durkheim, poi, i quali accentuano le connotazioni morali del termine.
Dunque devianza legata ai concetti di collettività e normalità, dai quali risulta
inscindibile. Si può parlare perciò, come ha fatto anche R.K.Merton di “Origine
strutturale della devianza”. In particolare secondo Merton vi sono due elementi
importanti all’origine del comportamento deviante nella struttura sociale; le mete, o scopi
o interessi, e le norme regolative. Le mete sono intese come “le cose per cui vale la pena
lottare”, di cui fanno parte anche tutte le nostre aspirazioni di vita. Le norme si
12
Cfr. L.Gallino, “Dizionario di sociologia”, Torino, UTET, 1978
riferiscono in un certo senso alle mete, in quanto regolano le modalità con le quali tali
scopi possono essere raggiunti; dunque ponendo un criterio di accettabilità dell’agire.
Mete e norme operano, secondo la teoria di Merton, congiuntamente, ma non si
collocano in costante relazione, e soprattutto non sono mai in uniformità. Perché si
mantenga equilibrio fra le due componenti è necessario che operino “soddisfazioni
risultanti dal raggiungimento delle mete, e soddisfazioni risultanti direttamente dai canali
istituzionali [..]”. Perciò il comportamento deviante viene inteso da Merton come
conseguenza di una inadeguata distribuzione degli incentivi per l’adempimento degli
obblighi di status, sarà in altri termini “sintomo della dissociazione” fra mete e norme
13
.
Procedendo nel ragionamento viene specificato che “nessuna società manca di norme che
governino la condotta. Ma “le società differiscono secondo il grado in cui [..] i controlli
istituzionali sono effettivamente integrati rispetto alle mete”. Si possono così avere
sviluppi per cui l’investimento di importanza nei confronti delle mete sia tale da
giustificare anche una mancata attinenza alle norme (e Merton cita l’esempio della sua
contemporanea società americana), sviluppando poi quel concetto e situazione assieme,
di derivazione Durkheimiana, di anomia, cioè tendenza all’assenza di regole
14
.
Questa posizione, che sottolinea dunque come la devianza sia, prima di tutto, fenomeno
sociale, può essere integrata dall’analisi che T.Parsons compie sul conflitto di ruolo come
generatore di conseguenze di fattori devianti. “Il soggetto agente si trova esposto a gruppi
contrastanti di aspettative legittimante di ruolo, in modo tale che non è concretamente
possibile l’adempimento delle une e delle altre”
15
, generando di conseguenza una
difficoltà di adattamento a tale duplice ordine, e quindi una fonte di frustrazione che può
sfociare in devianza. Risulta così chiaro come l’origine della devianza venga intesa, qui
anche da Parsons, sebbene poi la sua analisi segua criteri più afferenti alla teoria
psicanalitica, come mancanza di una buona integrazione del sistema sociale, che la
riflette poi sull’ego, cioè sui singoli soggetti. La devianza, perciò, ripetiamo, come
fenomeno prima di tutto sociale.
Cruciale, a questo punto, è chiedersi come, nel concreto si generi la motivazione
deviante, e ancora Parsons può essere preso come riferimento. Il sociologo statunitense
sostiene infatti che, nel processo di interazione sociale, sia l’alter che l’ego, figure prese
in prestito dalla psicanalisi che raffigurano il rapporto primario di interazione, hanno
interiorizzato un determinato modello normativo di valore. Perciò la mancanza di
adempimento di date aspettative, come già visto, produce uno “stato di tensione” che si
13
Cfr. R.K.Merton, “ Analisi della struttura sociale”, PP- 298-302
14
Cfr.Ibidem,PP 304-306
15
Cfr. T.Parsons, “Il sistema sociale”, Milano, Ed. Di Comunità, 1965, PP 289-290
innesta su una struttura motivazionale ambivalente, con componenti positive (di
conformità) e negative (di distacco). Il nodo gordiano della genesi del comportamento
deviante è a questo punto inscritto nella relazione di tensione che l’ego prova nelle sue
relazioni con l’alter. A tal proposito Parsons introdurrà il concetto di “Circolo vizioso” in
cui si coagulano le ansie e le tensioni, con cui genererà i modelli devianti di
comportamento
16
.
A questa concezione si può, ancora una volta affiancare Merton, il quale ponendo come
superata l’ottocentesca teoria utilitaristica del controllo sociale, si pone quale obiettivo di
ricerca lo “scoprire in che modo alcune strutture sociali esercitino una pressione ben
definita su certi membri della società, tanto da indurli ad una condotta non conformista,
anziché ad una conformista”
17
, stilando poi un parallelo fra comportamenti devianti e
conformisti.
Entrambi gli autori poi propongono, all’interno della loro prospettiva senz’altro di
integrazione funzionale della devianza, tipologie di adattamento o schemi a due o più
variabili entro i quali inquadrare i diversi modi del comportamento deviante. Ad esempio
Merton, in base alla preminenza o meno dell’investimento affettivo sulle mete o sulle
norme distingue cinque “modi di adattamento” (conformità, innovazione, ritualismo,
rinuncia, ribellione). Più interessante si rivela invece la classificazione di Parsons che
differenziando fra bisogno-disposizione di conformità o di distacco, secondo variabili
attivo-passivo, in parallelo comunque con il lavoro di Merton, sottolinea come la
direzione delle tendenze devianti, come già visto d’altronde, sia relativa ad un complesso
di aspettative di ruolo, ma anche come, nella realtà concreta, i modelli di comportamento
dipendano sia dalla struttura motivazionale della personalità sia dalle situazioni che ci
troviamo ad affrontare. Conseguentemente i bisogni di sicurezza e di adeguatezza
soprattutto, si configurano come due dei bisogni primari nella nostra socializzazione con
il mondo.
A questo punto si introduce il discorso relativo ai meccanismi di controllo.
I bisogni sopra citati si connetto infatti con due importanti risvolti della nostra
socializzazione, il bisogno di sicurezza si riferisce al conservare un investimento
affettivo stabile verso gli oggetti sociali, ma, soprattutto, il bisogno di adeguatezza
rappresenta la necessità che abbiamo di sentirci capaci di vivere all’altezza dei criteri
normativi, e quindi dei modelli normativi che definiscono, sempre secondo Parsons, in
16
Cfr.Ibidem, 1965, PP 261-266
17
Cfr. R.K. Merton, “Analisi del sistema sociale”, P 298