5
spiegazione dei fatti comportamentali, degli atteggiamenti e delle
aspettative, dei fatti di coscienza stessa. Esse costituivano, si
potrebbe dire, l’essenza di questi fenomeni”
1
.
In sintesi, ciò che concerneva gli aspetti squisitamente coscienziali
e/o soggettivi, era tendenzialmente trattato come sovrastruttura
derivata dalla sfera della produzione dei rapporti materiali,
all’interno della quale si muoveva con lungimiranza, piena e
costante consapevolezza della situazione, l’homo economicus. “Un
individuo astratto, senza passioni né sentimenti […] guidato solo dal
desiderio di ottenere il massimo di utilità con il minimo sforzo”
2
. Un
prototipo di uomo, nato dalla trasposizione in campo economico
della filosofia utilitarista, che ha, come obiettivo, la
massimizzazione dell’utilità, fatta coincidere con la felicità stessa.
3
Un uomo con preferenze date, consapevoli e tendenzialmente
immutabili e impermeabili rispetto al contesto, ed il cui
comportamento è perfettamente intelligibile, essendo basato su di un
calcolo razionale delle diverse variabili (in primis prezzo e reddito
disponibile); il che porta ad una completa prevedibilità delle sue
azioni. In tal modo la scienza economica fonda una scienza
autonoma basata sullo studio di “azioni logiche”
4
di consumo che, di
fatto, sono concepite come variabili dipendenti. In tale prospettiva è
illuminante l’affermazione di William Stanley Jevons, uno dei
fondatori del marginalismo economico: “Se l’economia vuole essere
veramente una scienza, deve essere una scienza matematica”
5
. Con la
rivoluzione marginalista la teoria economica si definisce economia
(Economics), ossia logica delle scelte, universale e astratta.
6
Tale visione del comportamento dell’uomo ha trovato una perfetta
aderenza alla struttura piramidale, con la quale si raffigurava la
società. Una struttura permeata “dalle logiche della differenziazione
e della distinzione, le quali debbono intendersi come logiche
1 L. Sciolla, Complessità sociale e identità, F. Angeli, Milano, 2^ Ed 1985, p. 14.
2
V. Pareto, Corso di economia politica (1897), Utet, Torino, 1971.
3
J. Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, 1780.
4
V. Pareto, Trattato di sociologia generale, vol.I, p.81, Comunità, Milano, 1964
5
W. S. Jevons, Teoria della economia politica e altri scritti, Utet, Torino, 1966, p.3.
6
E. Di Nallo (a cura di), Il significato sociale del consumo, F. Angeli, Milano, 1997, p.65.
6
societarie preesistenti gli individui, alle quali vanno
necessariamente rinviati i significati assunti dagli oggetti e le
strategie attuate allo scopo del mantenimento delle proprie posizioni
nel campo d’azione.[…] Così la stratificazione sociale altro non è
che la fenomenologia della disuguaglianza presente nella società a
centralità produttiva, integrate in base al valore etico del lavoro e
che ritrovano nel sistema di classi il principale sistema di
identificazione.”
7
.
La struttura piramidale implica la presenza di un vertice che gestisce
sia il potere economico sia il potere sociale, essendo l’origine di una
serie di flussi verticali dall’alto, fortemente preponderanti rispetto a
quelli provenienti dal basso e a quelli orizzontali. Alla base c’è la
massa, un termine importato dalla fisica, teso a definirne il carattere
di organismo sociale amorfo, tendenzialmente passivo e ipotizzato
come incapace di un agire soggettivo propositivo.
La dinamica dei flussi è strettamente connessa al tipo di
differenziazione sociale ipotizzata all’interno della struttura
societaria. Nei primi modelli della sociologia americana
8
,è centrale
il concetto di strato, quale gradiente di una struttura basata sulla
mobilità sociale; in tale ambito la differenziazione sociale è vista
come un sistema gerarchizzato di status-ruoli collegati da un lato a
gerarchie occupazionali e dall’altro alla differenziazione di potere,
di prestigio e di posizione nell’immaginario collettivo. La
suddivisione per strati implica l’esistenza di una serie di variabili
analiticamente importanti (reddito, prestigio, stile di vita) che
permettono una precisa sistemazione nella quale ogni elemento ha
un suo specifico peso sociale. Tale modello implica una gradazione
continua ed una complementarietà degli strati, resi permeabili dalla
mobilità sociale. Tale concezione è sintetizzabile nel mito del “self
made man”, profondamente radicato nella cultura americana, che, tra
7
R. Paltrinieri, Il consumo come linguaggio, F. Angeli, Milano, 1998, p. 77.
8
L. Warner, Yankee City, Yale University Press, New Haven, 1963.
R.Bendix, S.M. Lipset, Class, statua and power, Routhledge, London, 1967.
K. Davi, W. E. Moore, Some principles of stratification, in “American Sociological Review” n.10, 1945.
M. Tumin, La stratificazione sociale, (1967), Il Mulino, Bologna, 1968.
7
l’altro, sottolinea il ruolo di traino, almeno a livello emotivo,
giocato dal vertice della piramide, sia nella spinta alla produzione
sia nella spinta ai consumi.
9
Elemento centrale di ogni teoria della differenziazione, è il livello di
determinismo strutturale che s’ipotizza, legato alla situazione
occupazionale e al concetto di classe.
“L’influenza marxiana nello studio delle classi, che si è evidenziata
dapprincipio in Europa, verrà comunque recepita ed elaborata anche
nella cultura statunitense. In questo filone di analisi, pur variamente
espresse e con diversa intensità, appaiono due dimensioni forti: la
classe come struttura e la classe come azione.
10
La prima, rifacendosi al concetto di classe in sé, è vista come un
contenitore di ruoli che vengono influenzati e/o condizionati o, al
limite, determinati dall’appartenenza di classe, in ultima analisi
riconducibile alla posizione occupazionale.
La seconda riguarda la coscienza o la cultura della classe che,
riempiendo i ruoli di contenuti, ovviamente si esplicherà in azioni
all’interno o all’esterno della classe stessa e si rifà al concetto di
classe per sé.”
11
Se nell’ambito della sociologia più vicina a Marx si è sottolineato il
carattere sovrastrutturale della classe rispetto alla struttura di
produzione, nell’ambito degli studi più recenti si è assistito ad una
progressiva revisione di tale posizione, attraverso la presa in
considerazione di altri elementi.
Secondo Giddens,
12
la formazione della classe è da un lato
imputabile al rapporto tra situazione di mercato e gruppi sociali
identificabili e dall’altro ai vari rapporti sociali locali. In questo
caso la classe consiste in una serie di relazioni, che da un lato
prendono corpo dall’azione e dall’altro danno corpo all’azione
stessa.
9
T. Veblen, La teoria della classe agiata, Einaudi, Torino, 1971.
10
K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Editori Riuniti, Roma, 1991, pp.142-143
11
Di Nallo E. Quale marketing per la società complessa, F. Angeli, Milano, 1998,p.130
12
Giddens A. La struttura di classe nelle società avanzate,Il Mulino, Bologna,1975, in Di Nallo E. op. cit. pp.132
8
Con Stark
13
si ha per la prima volta un approccio relazionale, la
classe è definita come relazione; l’autore pone l’accento sulla
centralità delle relazioni nella formazione delle classi, le quali
esistono in un rapporto reciproco di dipendenza e antagonismo.
All’interno di quest’ultimo approccio il peso attribuito alla
situazione occupazionale è notevolmente ridotto ed è disconosciuta
la separazione concettuale tra classe in sé e classe per sé.
In definitiva negli anni ’80 la classe viene percepita come realtà
sempre più relazionale e sempre meno strutturale. “Questo
c’introduce ad un nuovo modo di considerare le differenze sociali
che:
a) immette nuove variabili indipendenti che prescindono dalla
posizione occupazionale(sesso, razza, cittadinanza);
b) propone nuove ottiche di valutazione del riconoscimento e
della distribuzione del potere sociale; ”
14
all’interno di una riduzione del peso riconosciuto alla situazione
occupazionale.
Nel filone di pensiero sulle classi, in epoca recente, è di particolare
rilievo l’articolato contributo, di chiara derivazione marxista, di
Bourdieu,
15
sulla strutturazione delle distinzioni sociali.
Riprendendo la sintesi effettuata dalla Di Nallo
16
possono indicarsi i
seguenti punti cardine della sua teoria:
a) le differenze sociali si articolano secondo classi, ogni classe è
il risultato dell’accumulo di tre capitali: quello economico, quello
sociale, quello culturale;
b) le classi si articolano fra di loro secondo una struttura che
presenta un alto e un basso;
c) le classi sono al loro interno strutturate in modo complesso in
frazioni risultanti dal disporsi dei tre capitali, e connotabili dalla
posizione occupazionale;
13
Stark D. Class struggle and the labour process,in “Theory and Society”,n.9,1980 in Di Nallo E., op. cit., p. 132
14
Di Nallo E., Quale marketing per la società complessa, op. cit.
15
Bourdieu P., La distinzione.Critica sociale del gusto, Il Mulino, Bologna, 1983 in Di Nallo op. cit. p. 133
16
E. Di Nallo, Quale marketing per la società complessa, op. cit. p.133
9
d) l’individuo assume la propria identità ed il proprio destino
sociali dalla classe e più specificatamente dalla frazione di
appartenenza;
e) le classi fra di loro e al loro interno le frazioni sono in
continuo conflitto per occupare posti superiori all’interno della
classe e nell’ambito della struttura di classe nel suo complesso.
Attraverso la sua analisi, Bourdieu, “se da un lato avverte
l’inadeguatezza del vecchio modello di classe e di stratificazione
sociale alla realtà delle differenze che si profila nella società che va
già delineandosi al principio degli anni ottanta, dall’altro tiene fermi
alcuni principi fondamentali che avevano connotato i modelli di
stratificazione sociale. Tali principi sono: la generalizzazione del
modello delle differenze, la riconducibilità dell’identità sociale del
soggetto alla sua posizione nella stratificazione sociale”.
17
Ma la problematica delle classi non esiste solo nell’astrattezza dei
termini sociologici; nell’immaginario collettivo, la classe si pone
come importante elemento di punteggiatura dello spazio sociale,
proponendosi come bussola del vivere sociale. Una classe che
sicuramente era al contempo vincolo e risorsa, e che venendo meno
ha lasciato un vuoto di leggibilità nella realtà del post-moderno. Una
società, che s’ipotizzi senza classi, o, quantomeno, confinate ad un
ruolo marginale, presenta notevoli problemi d’ancoraggio per
l’individuo, non più costretto all’interno di percorsi rigidi, ma
proteso verso una molteplicità di appartenenze, potenzialmente,
anche in contraddizione fra loro. Con la crisi della piramide, si
assiste anche alla messa in discussione della posizione oracolare del
suo vertice, che, di fatto, rappresentava anche il centro propulsore a
livello etico e culturale dell’intera società.
Le teorie qui prese in considerazione, ed in particolare quelle
relative ad una visione aderente in maniera ortodossa al concetto di
homo economicus e di struttura piramidale, sulla società industriale
“di massa” o società dei consumi, hanno ricoperto un ruolo
fondamentale nell’influenzare tutti coloro che si sono avvicinati al
17
Ibidem, p.140
10
fenomeno del consumo, sia a livello di riflessione sociologica o
economica sia a livello squisitamente commerciale ed applicativo.
Un filone di studi e ricerche che sta attraversando una crisi profonda
di fronte all’emergere di una serie di dinamiche che appaiono
scarsamente leggibili nell’ottica del “fascio di bisogni”
18
e
nell’ambito dei percorsi possibili all’interno di una rigida piramide.
Questo breve flash sarà il punto di partenza nel capitolo sul ruolo
del marketing nella società contemporanea.
L’emergere di una società, che abbandonava la linearità dei percorsi
e delle rappresentazioni, ha lanciato una grande sfida a tutti coloro,
che, per diverso titolo, cercano di capire e raccontare la sfaccettata
realtà sociale.
Nell’ampio dibattito che si è sviluppato, “temi d’ispirazione neo-
classica, incrociati con una ripresa d’interesse per la fenomenologia
sociale, e con richiami alla teoria dei sistemi, definiscono
un’eclettica fase di transizione in cui la categoria analitica
emergente sembra essere quella della complessità sociale: categoria
che allo stato d’elaborazione attuale è più sintomatica di un disagio
teorico che di una vera ridefinizione del campo d’analisi.
Il disagio consiste principalmente nella difficoltà di saldare in modo
convincente il comportamento degli attori individuali e collettivi - la
dimensione micro della sociologia - alle conseguenze del sistema
sociale (apparati riproduttivi e struttura di status e di ruoli), alla
dimensione, cioè, macro della sociologia”.
19
Una prospettiva vicina è assunta da Cesareo
20
, secondo l’autore de
“La società flessibile”, la complessità è divenuta un termine-
simbolo, una rivelante chiave interpretativa dell’intera problematica
sociale e teorica propria delle società contemporanee. Il rischio più
elevato secondo l’autore è che vi sia una “caduta semantica”
21
di
questo concetto, vista la sua estesa diffusione negli ambiti
divulgativi, “divenendo il termine più corrente per definire la
18
V. Pareto, Corso di economia politica, op. cit.
19
L. Sciolla, Complessità sociale e identità, F. Angeli, Milano,2^ ed., 1985,p.16
20
V.Cesareo, La società flessibile, F. Angeli, Milano, 1994, p.73
21
Ibidem,p.73
11
molteplicità degli elementi presenti in una società, la loro
dinamicità, e soprattutto la loro ineliminabile incoerenza, il loro
strutturale disordine che, in ultima istanza, impedisce di risolvere
efficacemente i problemi emergenti nella società stessa.”
22
“L’applicazione dell’aggettivo “complesso” e dei suoi derivati alle
scienze sociali ha ormai una sua storia; e se presenta una scarsa
determinatezza semantica, esistono vari motivi, anche d’ordine
epistemologico. Tra l’altro, il carattere polisemico delle parole in
questione e degli enunciati che le includono parrebbe doversi
correlare con l’ampia diffusione, e la conseguente oscillazione tra
diversi codici: quello delle discipline politico-sociali e quello delle
scienze esatte, quello del giornalismo e quello del discorso
quotidiano. Però non si tratta di pura e semplice banalizzazione di
un linguaggio dotto, poiché i termini di cui si discute già
appartenevano al senso comune prima della loro formale
acquisizione ai modelli d’analisi del sociale “
23
Nell’ambito della riflessione sociologica sulla complessità, è emersa
con forza l’ambivalenza di tale termine, che indica sia la “ricchezza
delle relazioni presenti in un dato sistema intesa o come
interdipendenza fra le parti
24
o come interdipendenza fra le variabili
di stato di un sistema dinamico
25
sia il significato di
“imprevedibilità del comportamento”
26
, la quale dipende
peculiarmente da una disorganizzazione sociale, vale a dire da un
allentamento delle relazioni e dei legami strutturali cogenti.
La seconda immagine della complessità, intende sottolineare innanzi
tutto la criticità di una fase, in cui vengono a mancare una serie di
punti di riferimento stabili, molto vicina concettualmente a quel
momento del divenire sociale teorizzato da Durkheim, nel quale si
diffonde in maniera generalizzata l’anomia, l’indebolimento delle
22
Ibidem,p.73
23
A. Casiccia , Aumento della complessità sociale,Disorganizzazione, Iperorganizzazione, Problemi di
Prevedibilità e di Governabilità, in Complessità sociale e identità, F. Angeli, Milano,1984,p.298
24
W. Ross Ashby, Introduzione alla cibernetica, Einaudi, Torinorino, 1971
25
L. von Bertalanffy, General System Theory, Braziler, New York,1968
26
L. Sciolla ,Complessità sociale e identità, op. cit. p.17
12
reti societarie
27
; parallelamente, in tale concezione della
complessità, si inseriscono i percorsi ipotizzati da Toennies, il quale
aveva riconosciuto, nel generalizzato declino della Geimenschaft, il
trionfo dei fenomeni di sradicamento e di isolamento
dell’individuo.
28
Altre rappresentazioni della disorganizzazione,
vedono un individuo non isolato, ma “dissolto in una moltitudine dai
caratteri elementari, omogenei e insieme disorganici.”
29
In tal senso
è particolarmente significativo il contributo di Riesman
30
, che in uno
studio sull’affermarsi della società di massa negli Stati Uniti,
focalizza l’attenzione sui concetti di auto ed eterodirezione nei
comportamenti sociali, e in particolare, rileva come i comportamenti
di consumo rispondano, sostanzialmente, a delle logiche di
sintonizzazione e di omogeneizzazione.
31
Quindi nell’ottica della “complessità disorganizzata” possono
cogliersi due differenti letture.
Nella prima ipotesi “prevarrebbero perdita di ordine, massificazione
e appiattimento, isolamento del singolo
32
, ma anche cancellazione
della persona e dell’“ideale dell’io”.
33
Nella seconda invece, accanto alla perdita di un precedente ordine e
all’insorgere di problemi sociali, si evidenzierebbero fenomeni di
devianza e di non-conformismo. Potrebbero generarsi differenze,
autonomie, forme di subcultura. Ma anche nuove ipotesi di libertà
dei soggetti, “nuove chances di vita”
34
.”
35
In una prospettiva di complessità “disorganizzata” si assume anche
il concetto di turbolenza. L’accezione di tale termine, all’interno del
mostro discorso, è molto vicina al concetto di imprevedibilità, e si
27
E.Durkheim, Il suicidio,Utet,Torinorino,1969 (1897); La Divisione del lavoro sociale, Comunità,Milano, 1962
(1893)
28
F.Torinoennies, Comunità e società, 1963
29
A. Casiccia, in Complessità sociale e identità, op. cit. p299
30
D. Riesman, La folla solitaria, Il Mulino, Bologna, 1956
31
E. Di Nallo(a cura di), Il significato sociale del consumo,op. cit. p.140
32
G. Le Bon, La folla,1972;D.Riesman, La folla solitaria, 1952; J. Baudrillard, A l’ombre des majorités
silencieuses ou la fin du social, 1978;A. K. Cohen, The study of social disorganization and deviant
behaviour,1957.
33
S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’io, Boringhieri, Torino, 1975(1921).
34
R. Darendhorf, La libertà che cambia, 1981(1979)
35
A. Casiccia, in Complessità sociale e identità,op. cit. p.312
13
collega alle caratteristiche insite della complessità; in un sistema di
grande complessità diviene difficilissimo, e in pratica impossibile,
prevedere le conseguenze delle azioni, e più in generale dei
mutamenti di stato di uno degli elementi del sistema sugli altri
elementi, anche se si sa che queste conseguenze esistono. “Si tratta,
quindi, di un’irregolarità relativa e soggettiva, qualcosa che deriva
essenzialmente dall’imperfezione e dalla limitatezza degli strumenti
con i quali si analizzano la società e i suoi mutamenti.”
36
Trovando un forte legame con l’idea di “nuove chance”, si vuole
adesso tornare alla prima immagine della complessità, quale
processo di crescita della varietà di elementi costitutivi del sistema
e soprattutto come incremento quantitativo di relazioni
d’interdipendenza. Anche in questo caso le alternative, secondo lo
studio di Casiccia,
37
sono due.
Nella prima l’aumento di complessità (per effetto di troppo
frequenti interazioni e interazioni) produce un accentuarsi di opacità
e di indeterminatezza
38
; e da ciò consegue un declino di previsione,
di progettuabilità, quindi di governabilità. Nell’altra alternativa,
l’aumento di complessità rientra, invece, nel concetto spenceriano di
evoluzione come naturale, progressivo allontanamento dal semplice
e passaggio, appunto, al più complesso
39
.
L’incremento di interdipendenze, interscambi e interazioni,
costituisce il principale fattore d’integrazione del sociale. Una
visione fondamentalmente ottimista e progressista, che implica
quindi la potenziale conoscibilità della società;
40
in tale ambito,
obiettivo primo del sistema politico è quello di trasformare la
complessità disorganizzata in complessità organizzata superando
così la fase dell’improgettabilità, ricuperando la facoltà di produrre
36
G. Fabris, Consumatore e mercato, Sperling & Kupfer, Milano, 1995, p.14
37
A. Casiccia, in Complessità sociale e identità, op. cit. pp 300-302
38
tra gli altri di particolare rilievo i contributi di M.Crozier, S. P. Huntington, J. Watanuki, La crisi della
democrazia, 1977(1975); R. K. Merton, R. A. Nisbet, Contemporary social problems, 1961; J. Jacobs, The death
and life of great american cities, 1961.
39
H. Spencer, Principi di sociologia, 1967(1876-96); F. Jacob, La logica del vivente, 1970
40
A. Casiccia , in Complessità sociale e identità,op.cit. p.303
14
non semplici soluzioni d’ordine ma “soluzioni ordinate a più elevati
livelli di complessità”
41
.
L’alternativa qui descritta si pone in decisa critica contro uno dei
più autorevoli studiosi dei fenomeni della complessità, Niklas
Luhmann. L’autore de “L’illuminismo sociologico”
42
, con il concetto
di complessità, intende designare non tanto una proprietà o attributo
del sistema o dell’ambiente, quanto piuttosto una relazione tra i
primi e il secondo. Per Luhmann, la nozione di complessità esprime
il dislivello o lo squilibrio esistente fra le innumerevoli possibilità
di esperienza e d’azione che vengono offerte dall’ambiente ai
sistemi, rispetto a quelle che tali sistemi riescono effettivamente a
realizzare
43
: “Con il termine complessità intendiamo che vi sono
sempre più possibilità di quelle che sono attuabili”.
44
“Ai fini della teoria della società “ è fondamentale una particolare
distinzione “tra elemento e relazione, richiamando l’attenzione sul
fatto che le relazioni possibili tra gli elementi aumentano in
progressione geometrica, quando si incrementa il numero degli
elementi, vale a dire quando il sistema cresce. E poiché la reale
capacità di collegamento degli elementi presenta limiti drastici, già
per piccoli ordini di grandezza, questa legge matematica costringe
solo ad un collegamento selettivo tra gli elementi […] Nell’ambito
oggettuale compreso dal concetto di complessità, la società
costituisce un caso estremo. Estremo non perché essa sia più
complessa degli altri sistemi (per esempio i cervelli), ma perché il
tipo delle sue operazioni elementari, cioè le comunicazioni, la pone
sotto notevoli restrizioni.”
45
.
Di particolare interesse è anche la distinzione che Luhmann attua tra
sistemi sociali complessi, caratterizzati dal prevalere di relazioni
secondarie e sistemi sociali semplici, quali la famiglia ed anche lo
stesso sistema psichico individuale in cui i rapporti sono di tipo
41
G. Ruffolo, Ingovernabilità e democrazia, Fondazione Basso, Torino, 1981
42
N. Luhmann, L’illuminismo sociologico, Il Saggiatore, Milano, 1970
43
V. Cesareo, La società flessibile, F. Angeli, Milano, 1984, p.75
44
N. Luhmann, Sociologia del diritto, Laterza, Bari, 1977, p.40
45
R. De Giorgi, N. Luhmann, Teoria della società, F. Angeli, Milano,1994, p.42.
15
primario.
46
Distinzione centrale per la comprensione del ruolo
dell’individuo nella società complessa che sarà ripresa in seguito.
Dopo questa breve riflessione sull’evoluzione del concetto di
complessità, sembra opportuno focalizzare l’attenzione su quelle
dinamiche che hanno stimolato e accelerato la formazione della
società attuale, sempre in riferimento ai risvolti sull’identità
individuali e sulle dinamiche del consumo.
“A livello strettamente strutturale il mutamento più significativo è
legato all’evoluzione del sistema economico, nel quale si assiste al
passaggio dalla centralità della produzione industriale a quella del
settore dei servizi, con una conseguente centralità della
specializzazione legata alle nuove occupazioni e alle nuove
tecnologie dell’informazione […] La crisi petrolifere degli anni ’70
hanno portato alla messa in discussione del modello fordista,
fondato sull’accentramento della produzione su larga scala, ed hanno
avviato un processo di forte ristrutturazione del sistema produttivo,
fondato invece sulla flessibilità e sulla diversificazione delle stesse
attività economiche .”
47
“Il processo di trasformazione che sta investendo la struttura
economico-produttivo è di dimensioni talmente elevate da arrivare a
mettere in discussione la stessa consolidata centralità della fabbrica,
intesa come luogo privilegiato se non esclusivo di lavoro
produttivo.[…] Cambia quindi la struttura dell’impresa non solo per
effetto dei processi di decentramento delle grandi aziende ma anche
per il moltiplicarsi delle piccole, dotate di una crescente autonomia
d’azione rispetto a quelle maggiori: si diffonde, insomma, una
microimprenditorialità che si traduce anche in aumenti del lavoro
autonomo, mentre gli occupati del settore dipendente subiscono una
generale flessione per effetto soprattutto dei licenziamenti dovuti
alla crisi e alla ristrutturazione.”
48
46
V. Cesareo, La società flessibile, op. cit. pp 67-69
47
P. Parmiggiani,, Consumo e identità nella società contemporanea, F. Angeli, Milano, 1997, p. 62
48
V. Cesareo, La società flessibile, op. cit. p.20
16
Queste dinamiche sono in stretta relazione ad un fenomeno focale
nella trasformazione della struttura societaria precedente, connessa
ad un’immagine piramidale e ad una precisa distribuzione delle
classi sociali su di essa.
In questa fase, si assiste ad uno “straordinario sviluppo del settore
terziario, associato alla ristrutturazione del sistema produttivo,
all’emergere di nuove occupazioni legate allo sviluppo sociale, ed
alla diffusione dell’istruzione quale indispensabile strumento di
auto-promozione economica e sociale dell’individuo […]. Al sistema
verticale delle disuguaglianze sociali viene a sostituirsi un sistema
orizzontale di ambiti di vita, variamente privilegiati, al quale
l’individuo può contemporaneamente partecipare “perdendo la
percezione della sua appartenenza di classe”.
49
Si assiste ad una notevole dilatazione della classe media che,
insieme ad altri variabili, ha portato Sylos Labini
50
ad una nuova
metafora della società, che superasse l’anacronistica piramide, la
cipolla.
Secondo Paci
51
, riprendendo quanto sintetizzato dalla Paltrinieri
52
,
tale modificazione della struttura sociale, con il passaggio da una
stratificazione in classi e ceti ad una stratificazione a cipolla, è
imputabile a cinque fenomeni principali:
a) innalzamento del livello d’istruzione;
b) ristrutturazione produttiva nel settore industriale;
c) elevata mobilità intergenerazionale verso i ceti medi;
d) esigenza di creare nuovi servizi, sia pubblici che privati, in
risposta ai bisogni emergenti;
e) sviluppo dello stato sociale.
Nell’ambito della generale crisi di centralità del sistema produttivo
si colloca anche l’affievolirsi della netta distinzione tra tempo di
vita e tempo di lavoro, questo sia riguardo alle nuove strutture
49
P. Parmiggiani, Consumo e identità nella società contemporanea, op. cit. p.69
50
P. Sylos Labini, Le classi sociali negli anni ’80, Laterza, Bari, 1986
51
M. Paci, Il mutamento della struttura sociale in Italia, Il Mulino, Bologna,1992, pp.283-286
52
R. Paltrinieri, Il consumo come linguaggio, F. Angeli, Milano,1998, p.101
17
economiche ed aziendali sia riguardo alle rinnovate esigenze
dell’individuo.
Come accennato precedentemente, si assiste ad un percorso di
decentralizzazione dell’impresa, con la crisi dell’unità di luogo di
lavoro, che vede nel telelavoro una modalità estrema. Definito come
“lavoro a distanza, a domicilio o in un luogo indipendente
dall’impresa che utilizza in modo intenso le tecniche della
telecomunicazione e dell’informatica”
53
(De Larvegne pag128), il
telelavoro manifesta una precisa compatibilità con i processi di
disarticolazione delle attività produttive.
In tale contesto emerge anche la crisi dell’unità di tempo di lavoro.
Secondo Cesareo
54
, “è infatti possibile cogliere il passaggio, seppur
graduale e lento, dal prevalere di una modalità univoca di tempo di
lavoro (tempo pieno per tutti) ad una crescente eterogeneità di tempi
di lavoro. Un’eterogeneità che si riflette empiricamente in quattro
modalità di gestione del tempo di lavoro:
1. Orario giornaliero flessibile (discrezionalità del lavoratore nel
gestire le proprie ore che rimangono uguali per tutti);
2. Part-time (riduzione dell’orario all’interno della giornata
<part-time orizzontale>, o comprimendolo in alcuni giorni
della settimana <part-time verticale >);
3. Job-sharing (suddivisione del tempo relativo ad un determinato
lavoro tra due o più lavoratori);
4. Settimana lavorativa ridotta.
Sempre seguendo la riflessione di Cesareo
55
, si evidenzia che “in
riferimento ai lavoratori, oltre ai vantaggi sul piano
dell’occupazione, l’esigenza di orari di lavoro più articolati è
connessa alla ricerca di maggiore autonomia e libertà da parte degli
stessi.”
Sulla crisi dei confini tra tempi e momenti diversi della quotidianità,
è centrato l’intervento di Tagliagambe:
53
F. De Lavergne, Il telelavoro, in Irer, Tecnologia e sviluppo urbano, F. Angeli, Milano, 1985, pp. 129-159
54
V. Cesareo, La società flessibile, op. cit., pp. 112-117
55
Ibidem, pp.118