INTRODUZIONE
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Vi sono poche aree del diritto dove esperienze storiche, fattori emotivi e
convinzioni di principio esercitano un'influenza così diretta come nel diritto
ecclesiastico. La diversità dei sistemi di diritto ecclesiastico, nell'Unione Europea,
rispecchia la differenza delle culture e delle identità nazionali. D'altra parte, questi
diversi sistemi presentano una radice unitaria nelle esperienze storiche
fondamentali che essi hanno condiviso. Tutti sono fondati sul retroterra comune
della cristianità. Ciò vale in generale per il diritto europeo e, a maggior ragione,
per il diritto ecclesiastico. Al tempo stesso, però, non si deve trascurare il
contributo che è derivato alla cultura europea dall'islam e dall'ebraismo; nella
maggior parte degli Stati membri europei, queste due religioni costituiscono
elementi importanti, a cui il diritto ecclesiastico deve prestare adeguata attenzione.
Infine, vi è una moltitudine di piccole comunità religiose, sovente collegate con
comunità più numerose in altre parti del mondo, che costituiscono un fattore
sociale di rilievo nella configurazione del diritto ecclesiastico.
Le differenze tra i vari sistemi di diritto ecclesiastico risalgono principalmente
ai diversi risultati della Riforma ed alle successive guerre di religione del XVI e
del XVII secolo. Mentre alcuni Stati, come la Spagna ed il Portogallo, sono
rimasti largamente estranei a questi avvenimenti, la Riforma è prevalsa quasi
totalmente in altri Paesi e, talvolta, vi ha introdotto un sistema basato strettamente
sull'esistenza di una Chiesa di Stato. Il risultato è stato ancora diverso, con
conseguenze altrettanto importanti, nei Paesi dove le differenti confessioni
religiose presentavano una forza più o meno uguale e hanno saputo coesistere,
come è accaduto, in particolare, in Germania ed in Olanda.
Nell'Unione Europea, è possibile distinguere tre tipi fondamentali di sistemi
ecclesiastici. Il primo è contraddistinto dalla presenza di una Chiesa di Stato e da
stretti legami tra l'autorità dello Stato e la vita della Chiesa. I sistemi di
Inghilterra, Danimarca, Grecia, Svezia e Finlandia appartengono a questo gruppo.
Dall'altro lato, vi sono sistemi fondati su una rigida separazione dello Stato dalla
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Chiesa, per esempio, in Francia, in Irlanda, in Olanda e, seppur con dovute
eccezioni, derivate anche dal fatto di non essere membro dell'Unione Europea, in
Turchia. Il terzo modello è improntato, anch'esso, ad una sostanziale separazione
tra Stato e Chiesa, ma, al tempo stesso, ammette l'esistenza di molteplici funzioni
comuni, per cui lo svolgimento delle attività della Chiesa e dello Stato sono
collegate. Belgio, Spagna, Italia, Austria e Portogallo appartengono a questo
gruppo.
Questa classificazione, operata in conformità a principi di carattere teorico e
giuridico, è subito oscurata e posta in questione da fenomeni sociali che
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suggeriscono raggruppamenti differenti. Lungi dall'essere un monolite cristiano,
l'Europa sembra piuttosto un complesso mosaico religioso, in cui sono confluiti,
nel corso dei secoli, molteplici apporti. A grandi linee, si riconoscono almeno sei
gruppi di Europa, definiti sulla base di diverse culture religiose. L'Europa
cattolica, formata da Portogallo, Spagna, Italia, Francia, Belgio, Polonia, Lituania,
Austria, Malta, Croazia, Slovenia, gran parte dell'Ungheria, della Repubblica
Ceca, della Slovacchia, della Lettonia, la parte occidentale e meridionale della
Germania, parte della Svizzera e dell'Olanda. L'Europa protestante, formata da
Svezia, Finlandia, Norvegia, Islanda, Danimarca, Estonia, Gran Bretagna, parte
dell'Ungheria, della Svizzera, dell'Olanda, della Lettonia, della Repubblica Ceca e
la parte nord-orientale della Germania. L'Europa ortodossa, composta da Grecia,
Serbia, Bulgaria, Russia, Ucraina, Bielorussia e Romania. L'Europa musulmana
tradizionale, comprendente Bosnia, Albania, parte della Macedonia, della Bulgaria
e della Grecia e quella del nuovo euro-islam che comprende la Turchia. L'Europa
ebraica, che conta oggi di una popolazione di circa 1,6 milioni di persone. Infine,
l'Europa laica, agnostica, atea, perchè non vi è dubbio che, tra le grandi eredità
1 Cfr., G. ROBBERS, Stato e Chiesa nell'Unione Europea, Milano, Giuffrè editore, 1996, pp.
349-351.
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europee, vi sia anche quella umanista, secolare e laica.
Nonostante tutte le differenze, questi sistemi presentano, in qualche misura,
una certa convergenza. Con il passare del tempo, sono tramontati i vecchi
orientamenti antiecclesiastici ed anticlericali che avevano caratterizzato alcuni
Paesi ed il loro impatto sul terreno del diritto si è gradualmente ridotto. Alle
comunità religiose è riconosciuto un ampio spazio d'azione e maggiore libertà. La
religione è considerata un elemento importante della vita sociale e lo Stato
assicura l'esistenza delle condizioni necessarie per soddisfare le esigenze religiose.
Sovente, ciò consegue ad una più larga comprensione della funzione dei diritti
fondamentali dell'uomo, secondo cui la comunità ha il compito di attivarsi per
realizzare le precondizioni per il rispetto di tali diritti, che non sono più
considerati come una semplice protezione contro abusi dello Stato. Infine, è
generalmente ammesso che le comunità religiose non possano essere private,
senza subire una discriminazione, del sostegno che lo Stato presta ampiamente a
tutte le attività di carattere sociale. La libertà religiosa, intesa come diritto
individuale, è generalmente riconosciuta nella sua integrità. In nessun Paese
occidentale esistono norme giuridiche che prescrivono ciò che un individuo deve
o non deve credere. Nella disciplina giuridica che regola l'esistenza delle comunità
religiose appaiono immediatamente differenze significative. Mentre, in alcuni
ordinamenti, le comunità religiose in quanto tali, le loro associazioni ed
articolazioni godono di personalità giuridica, in altri, non vi è alcuna figura
giuridica che le prenda specificatamente in considerazione, ma, ovunque, esistono
strumenti che consentono alle comunità religiose di agire nell'ordinamento, anche
se soltanto indirettamente. Il diritto di autodeterminazione della Chiesa è
frequentemente regolato in termini specifici. Alcune Costituzioni lo menzionano
espressamente, anche se esso ha portata molto diversa: può essere riconosciuto a
2 Cfr., R. GRITTI, La politica del sacro. Laicità, religione, fondamentalismi nel mondo
globalizzato, Milano, Guerini, 2004, pp. 168-169.
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tutte le istituzioni che sono anche remotamente collegate con una Chiesa, oppure
può essere limitato alla Chiesa ufficiale stessa o ad istituzioni analoghe. Ad ogni
modo, sembra prevalere l'orientamento a riconoscere adeguatamente il rilievo
specifico del fenomeno religioso. L'idea di libertà religiosa, che esprime più
direttamente e precisamente le esigenze particolari delle Chiese e delle comunità
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religiose, ricomprende tutte queste conseguenze nei loro tratti fondamentali.
I diritti umani e le libertà fondamentali si sono progressivamente imposti, a
livello europeo, sulla base delle culture radicate nei singoli Stati ed
indipendentemente dalle matrici religiose che possono averli prodotti, quindi,
senza una diretta partecipazione delle organizzazioni religiose presenti nei singoli
contesti nazionali. La Chiesa di Roma e le altre confessioni dominanti nei diversi
Stati europei, a differenza delle classi politiche che hanno accompagnato e
delineato il processo di integrazione europea, non hanno agito tempestivamente di
fronte al nascere delle istituzioni sovra-nazionali, né hanno creato forme di
coordinamento fra loro capaci di affiancare e stimolare il processo comunitario.
La progressiva costruzione dell'unità politico-economica dell'Europa si misura
costantemente con i fenomeni religiosi. Il potere politico dei gruppi religiosi
dominanti in ciascuno Stato dell'Unione ha inizialmente consigliato, ai fondatori
europei, di non interferire con le legislazioni interne in materia ecclesiastica, ma la
prospettiva dei diritti umani, che muove dalla tutela dei diritti fondamentali della
persona, imponendosi a livello mondiale ed europeo, ha finito fatalmente col
costruire una competenza sul fenomeno religioso, che, in vario modo, ha inciso
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anche sulla disciplina dei rapporti tra Stati e confessioni religiose.
L'interesse di tutelare la libertà religiosa ha assunto tale rilevanza
transnazionale da determinare una specifica prospettiva con la quale anche il
3 Cfr., G. ROBBERS, Stato e Chiesa nell'Unione Europea, Milano, Giuffrè editore, 1996, pp.
351-352.
4 Cfr., G. MACRÌ - M. PARISI - V. TOZZI, Diritto ecclesiastico europeo, Roma-Bari, Laterza,
2006, pp. 117-118.
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diritto ecclesiastico deve ormai fare i conti. A livello internazionale, la nascita
della Società delle Nazioni, nel 1919, seguita a quella delle Nazioni Unite (ONU),
nel 1945, ha posto in primo piano l'obiettivo della tutela dei diritti fondamentali
dell'uomo, della dignità e del valore della persona umana e dell'uguaglianza dei
diritti fra gli individui e fra le Nazioni. La tutela di questi diritti è stata poi via a
via elaborata, oltre che dalle varie organizzazioni internazionali che si occupano
della salvaguardia di uno specifico settore o di una specifica materia, in numerose
Carte internazionali che attendono, nei loro articoli, a proteggere un'ampia gamma
di diritti o libertà fondamentali, ivi comprese anche quelle che si riferiscono alla
sfera propriamente religiosa e, cioè, la tutela della libertà di religione o il divieto
di discriminazione per motivi religiosi. A questo proposito, risulta doveroso
menzionare che la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, stipulata nel
1948 dai membri dell'ONU, già nel Preambolo assicura “l'avvento di un mondo in
cui gli esseri umani godono della libertà di parola e di credo” e, all'articolo 18,
proclama che “ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e
religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di
manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria
religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e
nell'osservanza dei riti”; l'articolo 2 statuisce il divieto di discriminazione per
ragioni religiose, mentre l'articolo 19 garantisce la più generale libertà di riunione
e di associazione, nella quale non può non rientrare quella fatta per fini religiosi;
l'articolo 26, infine, statuisce che l'istruzione “deve promuovere la comprensione,
la tolleranza, l'amicizia tra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi”. Gli unici
limiti all'esercizio delle libertà, possono essere “stabiliti dalla legge per assicurare
il riconoscimento ed il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare
le giuste esigenze della morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in
una società democratica”. Analogamente alla Dichiarazione, il Patto sui diritti
civili e politici, siglato nel 1966, afferma, all'articolo 18, che “ogni individuo ha
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diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la
libertà di avere o di adottare una religione o un credo di sua scelta, nonché la
libertà di manifestare, individualmente o in comune con altri, sia in pubblico sia in
privato, la propria religione o il proprio credo nel culto e nell'osservanza dei riti,
nelle pratiche e nell'insegnamento. Nessuno può essere assoggettato a costrizioni
che possano menomare la sua libertà di avere o adottare una religione o un credo a
sua scelta. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può
essere sottoposta unicamente alle restrizioni previste dalla legge e che siano
necessarie per la tutela della sicurezza pubblica, dell'ordine pubblico e della sanità
pubblica, della morale pubblica o degli altrui diritti e libertà fondamentali. Gli
Stati parti del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà dei genitori e, ove
nel caso, dei tutori legali di curare l'educazione religiosa e morale dei figli in
conformità alle proprie convinzioni”. Infine, sempre in ambito internazionale, nel
1981, è stata adottata la Dichiarazione sull'eliminazione di tutte le forme di
intolleranza e di discriminazione basate sulla religione o la convinzione,
conosciuta anche più semplicemente come Dichiarazione contro l'intolleranza
religiosa. Si tratta, probabilmente, dell'unico atto internazionale interamente
5
dedicato al tema della libertà religiosa.
In ambito europeo, le stesse tematiche sono state trattate via a via nei vari
Trattati istitutivi dell'Unione Europea, nonché dalle varie dichiarazioni del
Consiglio Europeo, che condanna formalmente ogni tipo di discriminazione. La
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU), redatta nel 1950, all'articolo 9, stabilisce che “ogni persona
ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la
libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria
religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in
5 Cfr., O. FUMAGALLI CARULLI, “A Cesare ciò che è di Cesare a Dio ciò che è di Dio”.
Laicità dello Stato e libertà delle Chiese, Milano, Vita e Pensiero, 2006, pp. 115-116.
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privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti. La
libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere
oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e
costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la pubblica
sicurezza, la protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o per la
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protezione dei diritti e della libertà altrui”. A livello più generico, i Trattati di
Maastricht (1992), di Amsterdam (1997) e di Nizza (2000), sanciscono in vari
modi il rispetto dei diritti garantiti dalla CEDU e, tra questi, il diritto alla libertà e
all'uguaglianza religiosa ed il principio di non discriminazione per motivi di
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religione. La Corte Europea dei diritti dell'uomo, istituita nel 1959 dalla CEDU, è
l'organo comunitario che si occupa del controllo del rispetto di questi diritti ed è
incaricato di ricevere i ricorsi provenienti da individui e Stati che ne lamentano la
violazione. Il nuovo ordine giuridico europeo postula ed accoglie il principio
secondo cui il rispetto dei diritti umani trascende la sovranità nazionale e non può
essere subordinato a fini politici o compromesso da interessi nazionali. Inoltre, nel
2005, i lavori dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
(OSCE) conducono all'allargamento dell'orizzonte che va al di là
dell'antisemitismo, per condannare, per la prima volta, tutte le discriminazioni
religiose, dall'islamofobia alla cristianofobia, con l'obiettivo di rafforzare e
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rendere più efficace l'importante impegno a favore della tolleranza.
Nei Paesi dell'Unione Europea, la libertà religiosa è dunque tutelata da un
sistema normativo complesso, articolato su tre livelli fondamentali: norme
internazionali, norme costituzionali e norme ordinarie. Questi tre livelli
interagiscono in modo diverso da Paese a Paese, sicchè, in alcuni, la libertà
6 Cfr., G. LONG, Libertà religiosa e minoranze, Torino, Claudiana, 2007, pp. 123-141.
7 Cfr., G. MACRÌ - M. PARISI - V. TOZZI, Diritto ecclesiastico europeo, Roma-Bari, Laterza,
2006, pp. 119-131.
8 Cfr., O. FUMAGALLI CARULLI, “A Cesare ciò che è di Cesare a Dio ciò che è di Dio”.
Laicità dello Stato e libertà delle Chiese, Milano, Vita e Pensiero, 2006, pp. 117-124.
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religiosa è garantita principalmente dalle norme internazionali, in altri, dalle
disposizioni costituzionali e, in altri ancora, dalle leggi ordinarie e dalle decisioni
giurisprudenziali. La libertà religiosa di cui gode effettivamente ciascun individuo
è sempre dipendente, in qualche misura, dall'assetto complessivo dei rapporti tra
Stato e confessioni e non può essere considerata isolatamente. Il diritto di avere
una religione o una convinzione non si esaurisce, però, nella tutela della libertà di
scelta, ma implica anche il riconoscimento delle scelte altrui, in cui rientra anche
il diritto di non avere o non rivelare la propria fede religiosa. Solo con l'affermarsi
dei regimi liberali si è cominciato a riconoscere che il diritto di libertà religiosa
implica la possibilità di professare la propria fede senza essere privato dei diritti
che spettano a tutti i cittadini. Nell'Europa Occidentale, ciò è avvenuto attraverso
un processo di secolarizzazione della sfera pubblica che ha condotto a definire la
capacità giuridica a prescindere da ogni qualificazione religiosa. Il consueto e
consolidato sistema dei limiti alla libertà di religione, oggi, è sottoposto a sfide
nuove ed apparentemente bizzarre; le oscillazioni e le incertezze che
caratterizzano la giurisprudenza delle corti, sia nazionali sia internazionali,
testimoniano la difficoltà del problema e l'assenza di una soluzione sicura. Nei
Paesi dell'Unione Europea, lo Stato è imparziale nei confronti degli individui, che
sono sottoposti ad un identico regime giuridico, che non tiene conto delle diverse
condizioni di fede; non lo è nei confronti delle confessioni religiose, soggette, il
più delle volte, ad un regime giuridico differenziato, dato che il diritto alla libertà
religiosa non presuppone l'eguaglianza di trattamento tra le varie religioni e
9
convinzioni.
Per quanto riguarda il rapporto con le confessioni, gli Stati europei presentano
regimi giuridici differenti. Esistono Paesi separatisti, in cui il potere temporale si
occupa esclusivamente delle questioni civili ed il potere spirituale solo di quelle
9 Cfr., S. FERRARI - I. C. IBÁN, Diritto e religione in Europa occidentale, Bologna, Il Mulino,
1997, pp. 13-37.
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religiose. Il modello separatista differisce da uno Stato all'altro. Possiamo così
ritrovare un separatismo neutro, quando alle confessioni non si consente di
legiferare nella sfera civile seppur impregnata di valori religiosi; un separatismo
restrittivo, secondo cui le confessioni possono agire esclusivamente nella sfera
privata; infine, un separatismo favorevole, quando le confessioni godono di
maggiore libertà d'azione. Gli Stati Uniti possono essere compresi nel primo
modello, la Francia nel secondo ed il Belgio nel terzo. Altri Paesi separatisti sono
la Svezia, l'Irlanda e l'Olanda; in quest'ultima vige un separatismo non sancito né
in Costituzione né in legge, ma che, comunque, consente garanzie di libertà
religiosa come conseguenza dell'attenzione alla dottrina dei diritti fondamentali
dell'uomo. I Paesi concordatari sono quelli in cui i rapporti tra Stato e Chiesa
vengono disciplinati dalla stipulazione di un accordo: fra essi rientrano l'Italia, la
Spagna, il Portogallo e l'Austria. Infine, vi sono i Paesi con Chiese di Stato, che
applicano, cioè, il criterio “cuius regio, eius religio”, secondo cui le relazioni tra
Stato e Chiesa devono essere coordinate mediante un'intesa. Tra questi Paesi
rientrano, soprattutto, quelli protestanti ed ortodossi, come, ad esempio, la
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Finlandia, la Gran Bretagna, la Danimarca e la Grecia.
L'integrazione europea offre alla religione un mercato più ampio, ma, allo
stesso tempo, attenta al radicamento locale della medesima. L'apertura del
mercato coincide con una profonda trasformazione delle specificità locali; perciò,
le Chiese tradizionalmente e maggioritariamente insediate nel territorio, timorose
di perdere le proprie peculiarità ed il proprio radicamento, si sentono minacciate
quando l'europeizzazione e la globalizzazione si scaricano localmente. Oltre a
trascinare la religione nel mercato, l'integrazione europea la spinge nel territorio
della globalizzazione, dove le identità locali si dissolvono o si esasperano. Per
alcuni gruppi religiosi, si tratta di un effetto di grande interesse, mentre per altri,
10 Cfr., O. FUMAGALLI CARULLI, “A Cesare ciò che è di Cesare a Dio ciò che è di Dio”.
Laicità dello Stato e libertà delle Chiese, Milano, Vita e Pensiero, 2006, pp. 125-131.
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in particolare per le grandi Chiese maggioritarie, il rischio è alto.
Il timore che il processo di integrazione europea possa marginalizzare le
religioni è stato espresso più volte da Giovanni Paolo II, nella convinzione che
l'Unione Europea non debba essere ridotta ad un'espressione solo geografica o
economica, ma debba perseguire un'intesa culturale e spirituale. Il concetto viene
ripreso anche da Benedetto XVI, che non manca di sottolineare, sin dall'inizio del
suo Pontificato, il ruolo delle religioni nel consolidamento del bene comune
europeo, stimolando, al proposito, una più stretta collaborazione dei cristiani tra
loro. Sullo sviluppo del processo di integrazione europea, la Santa Sede ha
espresso tre richieste che completano la tradizionale rivendicazione della libertà
religiosa: il riferimento alle radici cristiane d'Europa, il riconoscimento
costituzionale delle confessioni ed il dialogo strutturato tra Chiese e responsabili
politici. Durante la lunga gestazione del testo costituzionale europeo, una
preoccupazione che viene spesso denunciata da chi manifesta la sua contrarietà ad
un più preciso testo, è il presunto conflitto della menzione delle radici cristiane
con la necessaria integrazione con appartenenti a credo diversi, a cominciare
dall'islam. Il richiamo alle radici cristiane, secondo queste voci critiche, sarebbe,
in altri termini, in contrasto con il principio del dialogo con tutte le confessioni
religiose, nel quale risiede il moderno concetto di laicità o neutralità di una
comunità politica di tipo partecipativo. La temperie politico-culturale in cui il
rapporto tra fenomeno religioso e convivenza europea si inserisce è
profondamente mutata rispetto agli scenari del passato. A fronte delle profezie
sociologiche degli anni Sessanta dello scorso secolo sulla morte della religione in
Europa, stiamo invece assistendo, ormai da qualche decennio, ad una rinascita del
sacro, anche se talvolta scollegato dalle religioni tradizionali e, al contrario, legato
alla crisi dei modelli tradizionali di Chiese; di qui l'affermarsi, con sorprendente
11 Cfr., M. VENTURA, “Religione e integrazione”, in G. E. RUSCONI, Lo Stato secolarizzato
nell'età post-secolare, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 334-337.
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rapidità, di nuovi movimenti religiosi che riacquistano una nuova rilevanza
pubblicistica. Su questo nuovo scenario, hanno certamente contribuito due fattori.
Il primo è la caduta delle ideologie che, nel passato, hanno teorizzato l'irrilevanza
pubblica delle Chiese come corollario della concezione della religione quale fatto
esclusivamente privato. Il secondo è il rifiuto della cultura europea di ogni
concetto di Stato etico; accompagnato dalla consapevolezza che, comunque,
occorra un'etica pubblica per disciplinare i rapporti sociali, il concetto porta, come
conseguenza, a rivalutare il ruolo delle agenzie in grado di produrre un'etica, tra le
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quali primeggiano le Chiese.
Oggi, l'autonomia tra ordine spirituale ed ordine temporale è pilastro della
civiltà giuridica occidentale. Non così nel passato, quando la Chiesa ha
rivendicato poteri nell'ordine temporale o lo Stato ha opposto al dualismo la
propria gelosa ed unica sovranità. L'equilibrio tra i due poteri è certamente
difficile da istituirsi e da mantenersi. Lo dimostra la storia, che vede la soluzione
dualistica spesso sospinta verso una delle due opposte soluzioni monistiche:
quella della teocrazia e quella dell'assolutismo monarchico o cesaropapismo. Nel
primo caso, il capo della religione è anche capo dello Stato; viceversa, nel
secondo caso, il capo dello Stato è anche capo religioso. Giungere ad un dialogo
su un piede di pari dignità non è stato facile e non lo è tuttora. Il dualismo tra
Chiesa e Stato, sorto con la nascita del cristianesimo, rappresenta la rivoluzione
istituzionale più significativa dei rapporti tra autorità politica ed autorità religiosa.
Secondo tale principio, ciò che riguarda la vita soprannaturale e religiosa spetta
alla Chiesa, mentre ciò che si riferisce alla vita naturale e civile riguarda lo Stato.
12 Cfr., O. FUMAGALLI CARULLI, “A Cesare ciò che è di Cesare a Dio ciò che è di Dio”.
Laicità dello Stato e libertà delle Chiese, Milano, Vita e Pensiero, 2006, pp. 131-148.
15
Quindi, in presenza di materie temporali solo il potere civile è competente a
legiferare, mentre nelle materie spirituali solo il potere ecclesiastico ha diritto alla
legislazione. Ogni volta che una materia appartenga per competenza ad entrambi i
settori, quello spirituale e quello temporale, sia cioè una materia mista, invece,
vige il principio della collaborazione tra Stato e Chiesa. Esso può esplicarsi in vari
modi e seguire diversi percorsi giuridici; secondo la concezione canonistica,
quello che maggiormente rispetta il principio delle due sovranità è il percorso
concordatario.
Il principio dualistico rappresenta, dunque, un portato della civiltà cristiana.
Oggi, esso appare particolarmente importante non solo per quanto riguarda il
concetto occidentale di Stato laico, ma anche nel confronto con altri ordinamenti
religiosi, come l'ebraismo e, soprattutto, l'islam, che fanno della legge religiosa
una legge dello Stato, secondo un unico precetto che vale in ogni circostanza della
vita e, per il quale, disobbedire alla legge di Dio equivale alla disobbedienza della
legge civile, configurando, quindi, una forma di Stato confessionale. La celebre
frase “dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” significa
separazione dei due ordini, civile e religioso, presupponendo mutuo
riconoscimento dei due enti della sovranità dell'altro, nell'ordine che a ciascuno è
proprio. La Chiesa, pertanto, riconosce allo Stato sovranità nell'ordine temporale e
lo Stato riconosce alla Chiesa sovranità nell'ordine spirituale. Se il principio
dualistico vieta alla Chiesa ogni intromissione nelle materie temporali, di
esclusiva competenza della comunità civile, significa che essa non può imporre
alcun modello di Stato, ma deve lasciarne la definizione alla comunità politica.
Ciò, tuttavia, non impedisce affatto al potere ecclesiastico di condannare ogni
lesione di libertà fatta dallo Stato quando non rispetta la libertà e la dignità della
persona e dei gruppi sociali. Allo stesso modo, lo Stato, dovendo rispettare
l'indipendenza e la sovranità della Chiesa nell'ordine spirituale, non può penetrare
nell'ambito riconosciuto di competenza della Chiesa per imporre, all'interno di
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esso, la propria volontà, riconducendo, tutto o in parte, il potere spirituale sotto il
dominio della potestà temporale. Sotto un profilo squisitamente tecnico-giuridico,
ciò significa riconoscere libertà di giurisdizione della Chiesa nella sua potestà di
governo e di magistero; vi rientrano non solo la libertà ed autonomia delle
istituzioni ecclesiastiche, dalla Chiesa universale alle Chiese particolari ed alle
istituzioni cattoliche, ma anche i diritti e le libertà dei fedeli. Tale principio è
consacrato, nell'ordinamento italiano, all'articolo 7 della Costituzione, in cui si
afferma che “lo Stato e la Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e
13
sovrani”.
Molte delle ideologie, dei movimenti sociali e delle vicende politiche della
modernità avevano promesso e prospettato un mondo senza Dio. Ma la modernità
attuale, che qualcuno chiama postmodernità o modernità radicale o
globalizzazione, ci dimostra l'esatto contrario. Dopo la Rivoluzione francese, la
religione diventa un fatto esclusivamente privato. Assieme all'industrializzazione,
all'urbanizzazione, al progresso tecnico-scientifico, la modernità include anche la
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secolarizzazione ed il suo risvolto istituzionale e normativo, la laicità. Stato
secolare significa che la sua legittimazione e la sua funzione prescindono da
qualunque riferimento religioso o trascendente. In questo senso, lo Stato non
pretende dai suoi cittadini che abbiano o che manifestino una specifica credenza
religiosa, ma garantisce loro la più ampia libertà di coscienza. Definire post-
secolare la condizione delle società occidentali odierne significa, innanzitutto,
dare per scontato che esse hanno percorso e completato il processo di
secolarizzazione storica, il cui punto di arrivo è la rigorosa separazione
istituzionale tra Stato e Chiesa, la netta distinzione delle loro competenze, che, per
altro, sono regolate a seconda delle differenti esperienze storiche dei vari Paesi. I
termini di secolare e laico riferiti allo Stato sono per noi sinonimi, ma hanno
13 Id., pp. 3-13.
14 Cfr., R. GRITTI, La politica del sacro. Laicità, religione, fondamentalismi nel mondo
globalizzato, Milano, Guerini, 2004, pp. 9-10.
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risonanze nazionali diverse, in sintonia con il differente contesto culturale e
15
storico in cui sono stati elaborati e sviluppati.
Fino a tempi recenti, nessuno aveva dubbi che l'emergere di società moderne
avrebbe comportato una rimozione del sacro, dei suoi simboli, dei suoi riti e delle
sue pratiche; le religioni sarebbero diventate sempre più marginali nella vita
sociale e politica ed avrebbero finito per essere relegate tra le superstizioni
irrazionali, percepite come un residuo della tradizione che riguardava solo il
passato; al massimo, la religione avrebbe potuto sopravvivere nella sfera privata
ed intima degli individui. Negli ultimi decenni, sono accaduti molti fatti notevoli
che hanno ribaltato questa prospettiva, determinando una nuova vitalità
dell'elemento religioso ed un suo massiccio ritorno nell'arena politica. Questo
fenomeno ha assunto molteplici forme, che vanno dalla ripresa della religiosità
alla domanda di una nuova spiritualità in Occidente, dalla diffusione di movimenti
fondamentalisti in tutti i contesti socio-religiosi al radicamento e all'espansione di
nuove fedi in ambiti geo-politici fino ad oggi dominati dalle religioni tradizionali,
per finire, poi, con il moltiplicarsi, su scala globale, dei conflitti che hanno, o
16
presumono di avere, una matrice religiosa. Quindi, il fenomeno della
secolarizzazione non ha cancellato affatto la religione, né l'ha rinchiusa
rigorosamente nel privato. Questi fenomeni, per la verità, non indicano una ripresa
di pratica religiosa, una diffusione o un arricchimento di cultura religiosa o
teologica, bensì una nuova espansione e manifestazione del soggettivismo
religioso; si tratta di una dimensione espressiva più che di una ripresa di sostanza
religiosa. È anche un contraccolpo alle sfide poste dalla crescente presenza e
pressione dell'islam in Europa che fa riscoprire e mettere a tema l'identità cristiana
dell'Occidente ed il problema della coesione sociale culturale, che diventa ancor
15 Cfr., G. E. RUSCONI, Lo Stato secolarizzato nell'età post-secolare, Bologna, Il Mulino, 2008,
pp. 7-8.
16 Cfr., R. GRITTI, La politica del sacro. Laicità, religione, fondamentalismi nel mondo
globalizzato, Milano, Guerini, 2004, pp. 10-11.
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più drammatico dinanzi all'immigrazione e, più esattamente, alla presenza della
17
minoranza islamica in Europa. D'altra parte, nell'ultimo decennio, questa tesi
della morte lenta e costante della religione è stata sempre più criticata; la teoria
della secolarizzazione, oggi, viene contestata come mai prima della sua lunga
storia e sono molteplici gli indicatori che testimoniano dell'attuale salute e vitalità
delle religioni. In linea generale, la religiosità rimane maggiore nelle popolazioni
più vulnerabili, in particolare, in quelle delle Nazioni più povere e che si trovano
di fronte a minacce di sopravvivenza personale. Allo stesso tempo, il processo di
secolarizzazione è stato più netto negli strati sociali più prosperi delle Nazioni
postindustriali ricche e sviluppate, sebbene, anche in queste società relativamente
sicure, le tracce della religione non siano scomparse. Il mondo, nel suo insieme,
oggi, ha più individui con idee religiose tradizionali di quanti non ne abbia mai
avuti prima e questi costituiscono una quota crescente della popolazione
mondiale. La crescita del divario globale tra società sacre e società secolari avrà
conseguenze importanti per la politica mondiale, rendendo più importante il ruolo
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della religione nell'agenda internazionale.
Le religioni, soprattutto nello scorcio dell'ultimo decennio, hanno riacquistato
un ruolo importante nello scenario politico internazionale e nessuno può
nascondersi che, dove esistono più religioni, la tendenza non è quella dell'unità,
ma anzi, è piuttosto realistico mettere in conto che esse diventino rivali ed
accrescano il tasso di conflittualità sociale. Non si può negare che, tra le ragioni
delle conflittualità presenti in più regioni del mondo, vi siano, senza dubbio, i
fattori di natura culturale e politico-religiosa, così come che le differenze culturali
sono meno mutevoli ed eliminabili di quelle politiche ed economiche. La politica
dell'identità, all'interno delle società globalizzate, ha ridato linfa ed attualità al
17 Cfr., G. E. RUSCONI, Lo Stato secolarizzato nell'età post-secolare, Bologna, Il Mulino, 2008,
pp. 8-18.
18 Cfr., P. NORRIS - R. INGLEHART, Sacro e secolare. Religione e politica nel mondo
globalizzato, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 21-54.
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