6
proprietà collettiva dei mezzi di produzione che garantisse l’uguaglianza politica,
economica e sociale di tutti gli uomini.
Ora per socialismo, è bene chiarirlo subito, questo studio intende invece proprio la
forma socialdemocratica, che non parlava più di abolizione della proprietà privata
e collettivizzazione dei mezzi di produzione, ma che continuava a ispirarsi ai
valori di democrazia politica, sociale ed economica. Nelle pagine che seguono
tuttavia non cercheremo di stabilire se si trattasse o meno di uno sviluppo (ad
obbiettivi immutati) in linea con quello degli anni precedenti e quanto il
“socialismo democratico” fosse in grado di spingersi in avanti nella riforma del
capitalismo. Cercheremo semplicemente di comprendere il ruolo di quell’idea, e
come si cercò di realizzarla.
Questa impostazione non è certamente isolata, ed anzi questo studio si muove in
continuità con una corrente storiografica oramai prevalente che ha cercato di
rivalutare il ruolo della teoria e delle idee nelle riforme e nei dibattiti pratici dei
partiti. Negli ultimi anni poi sono apparsi numerosi studi sull’importanza
dell’ideologia nei partiti socialdemocratico svedese e laburista inglese che troppo
spesso erano stati interpretati come pragmatici, e di cui le differenti fortune
venivano ricercate (in prospettiva isolata e non comparativa) nelle riforme
pratiche, lodate o meno per la loro lungimiranza e per gli effetti che scaturivano,
ma la cui origine non era sufficientemente indicata in qualcosa che non fosse il
momento pratico della riforma stessa
2
.
2
La rinuncia agli ideali ed il progressivo adagiamento del partito sul pragmatismo è, ad
esempio, alla base della classica interpretazione che Herbert Tingsten da del partito
socialdemocratico svedese (Cfr. H.Tingsten, The Swedish Social Democrats: Their
Ideological Development, Totowa, Bedminster Press, 1973; H.Milner, Sweden: Social
Democracy in Practice, Oxford, Oxford University Press, 1989 non segue la teoria di
Tingsten, ma sceglie comunque di incentrare la propria analisi sulla pratica e non sulla
teoria del partito). L’opera che più si pone in contrasto con l’impostazione di Tingsten è
quella di T.Tilton, The Political Theory of Swedish Social Democracy, Oxford, Clarendon
Press, 1991, il cui studio è prevalentemente incentrato sulla ricostruzione dell’ideologia
7
Così questo lavoro ha cercato di vedere le riforme pratiche in un quadro più largo:
da cosa, al di là della situazione pratica che gli dava la forma specifica,
nascessero, e come fossero collegate fra di loro; se nel complesso indicassero una
direzione o se fossero isolate nella risposta immediata all’esigenza per cui erano
state concepite, contraddicendosi poi, a guardarle nell’insieme, l’una con l’altra.
In altre parole il dibattito teorico dietro alle scelte pratiche.
Esamineremo questo aspetto sotto la chiave di volta della politica delle
nazionalizzazioni, ed in questo contesto ci concentreremo principalmente sul
dibattito relativo a queste nei due partiti. Tale scelta è dovuta alla continuità con
cui il tema venne affrontato ed all’importanza che gli venne rivolta dai due partiti,
del partito;sempre Tilton, Why don’t the swedish social democrats nationalize industry?,
in, «Scandinavian Studies», N. 59, 1987, pp.142-166, spiega la scarsa propensione dei
socialdemocratici svedesi ad intervenire con delle nazionalizzazioni, ricorrendo sempre
all’ideologia del partito in cui le nazionalizzazioni da tempo non erano più viste come né
uno strumento, né un mezzo necessario per il socialismo; anche L.Lewin, Ideology and
Strategy. A Century of Swedish Politics, Cambridge, Cambridge University Press, 1993
contesta in più parti le tesi di Tingsten. Fra i tanti che hanno posto l’attenzione sul valore
dell’ideologia nel partito socialdemocratico svedese si veda inoltre S.Berman, The Social
Democratic Moment. Ideas and Politics in the Making of Interwar Europe, Cambridge
(Massachusets), Harvard University Press, 1998 che ricorre a quelli che chiama
“programmatic beliefs” per spiegare le differenti risposte della Spd tedesca e del Sap alle
sfide cruciali della democratizzazione e della crisi economica degli anni ’30, e H.Heclo-
H.Madsen che in, Policy and Politics in Sweden, Philadelphia, Temple University Press,
1987 parlano a proposito del caso svedese di un “principled pragmatism”. Per il Labour
Party il discorso è differente perché pochi hanno sostenuto che l’ideologia del partito
fosse specificamente socialista. Casomai la vecchia tesi di R.Miliband, Il Laburismo
Storia di una Politica, Roma, Editori Riuniti, 1964 (ed. or. Parliamentary Socialism,
London, Allen & Unwin, 1961), secondo cui il “socialismo parlamentare” del Labour non
era mai stato volto a niente di più che ad una correzione del capitalismo, è stata criticata
da studi che hanno messo in luce le incertezze e gli ondeggiamenti teorici del partito,
dovuti ad un’ideologia la quale più che blandamente riformista non sembrava essere
invece definita né in un senso né nell’altro: è questa, per due momenti diversi, la visuale
di R.Eatwell, The 1945-51 Labour Governments, London, Batsford Academic, 1979, e
R.Skidelsky, Politicians and the Slump. The Labour Government of 1929-31, London,
Macmillan, 1967; K.O.Morgan, Labour in Power 1945-51, Oxford, Oxford University
Press, 1985, e H.Pelling, The Labour Governments 1945-51, London, Macmillan, 1984
presentano una visione più positiva dei governi laburisti del dopoguerra, ma nessuno dei
due nega la costante ambiguità dell’ideologia laburista, nelle parole di Morgan: “The
Attlee government (…) brought the British labour movement to the zenith of its
achievement (…) But it did so by evading, rather than resolving those dilemmas inherent
in the potent, beguiling vision of socialism in our time” (Morgan, Labour in…cit., p.503)
8
ma anche dall’ambiguità e dal carattere simbolico che a volte ne assunse il
dibattito. Ci dovremo così chiedere per quale motivo alcune nazionalizzazioni
venissero invocate o difese, se la giustificazione fosse nell’inefficienza di una
certa industria privata oppure se ci fossero anche altre motivazioni, da ricercarsi
nel campo della giustizia sociale e del controllo economico, inteso come
redistribuzione del potere nelle mani dei cittadini. Come vedremo la risposta non
sarà univoca e spesso più aspetti si intrecceranno nelle stesse singole discussioni.
A volte si dovranno notare le incoerenze o le diatribe teoriche dal carattere
assolutamente simbolico, nelle quali le nazionalizzazioni erano interpretate da
posizioni opposte o come lo strumento principale oppure come il maggiore
residuo del passato, di cui il socialismo si doveva liberare per approdare a nuove
mete, senza che in nessuno dei due casi si precisasse molto di più; altre ancora
come queste discussioni si trasformassero in scontro frontale o peggio come
diventassero un preludio strumentale alla battaglia fra le opposte fazioni per il
controllo del partito. Tuttavia non mancheranno neanche momenti alti, o
comunque situazioni in cui si delinearono soluzioni positive nel difficile compito
di adattare ai mutamenti sociali ed economici in atto la filosofia del socialismo e
la pratica delle nazionalizzazioni.
La parte centrale di questo scritto sarà ambientata in quel periodo in cui il dibattito
su queste due direttrici (la filosofia del socialismo ed il ricorso alle
nazionalizzazioni), fu più sentito. Fu infatti durante gli anni ’50 che si presentò
per tutto il socialismo europeo l’esigenza di adattare ai nuovi sviluppi della
“società opulenta”
3
una filosofia politica che per molti rischiava di essere troppo
legata alle ristrettezze degli anni postbellici. Il revisionismo che ne nacque destò
3
Come la definì Galbraith (Cfr. J.K.Galbraith, The Affluent Society, Houghton, Boston,
1958, ).
9
meno rumore di quanto non avesse fatto il primo più famoso di Bernstein, e gli
esiti furono differenti di caso in caso, ma quel fenomeno mise comunque in
discussione molti degli aspetti principali dell’ideologia dei partiti
socialdemocratici europei.
Quegli anni furono vissuti in maniera profondamente differente dal Labour e dal
Sap
4
: il primo fu impegnato in un tentativo di revisione che partendo dal ricorso
alle nazionalizzazioni arrivò fino al significato del socialismo; il secondo, invece,
aveva già definito fra gli anni venti e trenta come il socialismo non passasse
necessariamente dalle nazionalizzazioni che erano solo uno dei molteplici mezzi
utilizzabili. Il lavoro teorico degli anni ’50 si concentrò dunque sull’adattamento
dell’ideologia del partito ai nuovi sviluppi sociali, e non fu segnato da tutte le
difficoltà del caso inglese.
In realtà, come fu evidente una volta arrivati al termine degli anni cinquanta
neanche il Labour party incorse in chiari mutamenti teorici, o meglio, come era
già successo altre volte nella storia del partito, non ve ne furono di definitivi. Il
cambiamento fu di carattere essenzialmente negativo: si rinunciò alle
nazionalizzazioni senza che a queste venisse sostituito niente di definito, e questo
strumento sarebbe ritornato poi, una volta mutata la situazione, negli anni
settanta
5
. Eppure quell’esperienza, e soprattutto quella mancata risposta,
4
Acronimo per : Sveriges Socialdemokratiska Arbetareparti (Partito socialdemocratico
svedese del lavoro)
5
Probabilmente la letteratura sull’argomento non ha sufficientemente sottolineato questo
punto. Esistono infatti alcune opere che hanno messo in luce l’incertezza e la scarsa
coerenza di alcune posizioni assunte dal Labour sotto la leadership revisionista (su tutte si
veda A.Warde, Consensus and Beyond. The Development of Labour Party Strategy Since
the 2
nd
World War, Manchester, Manchester University press, 1982). Tuttavia rimane
ancora generalmente accettata l’interpretazione fornita da S.Haseler, The Gaitskellites.
Revisionism in the British Labour Party, London, Macmillan, 1969, secondo cui il
Labour durante gli anni cinquanta intraprese un percorso di moderazione che lo allontanò
definitivamente dal radicalismo dei governi Attlee (Vedi ad esempio D.Howell, British
Social Democracy. A Study in Development and Decay, London, Croom Helm, 1976). A
chi scrive, invece, l’evoluzione del partito laburista inglese durante quel periodo non è
10
avrebbero segnato, ancora di più che nelle fasi precedenti il carattere del partito
laburista inglese, per e da sempre impegnato a cercare una risposta alle questioni
irrisolte lasciate in eredità dal passato.
Come spesso succede anche questa tesi di laurea ha una sua piccola storia alle
spalle. Nata in Italia come relazione di seminario, essa si occupava in un primo
momento dei governi postbellici del Labour e del Sap, e cercava di dare una
spiegazione al differente comportamento dei due partiti, il primo impegnato in un
ampio programma di intervento pubblico, ed il secondo che invece non attuò
nessuna nazionalizzazione di rilievo. In seguito durante il programma di studio
Erasmus al Royal Holloway College di Londra la mia prospettiva è cambiata . Già
da tempo mi ero accorto di come le conclusioni andassero generalizzandosi
coinvolgendo un arco di tempo più ampio, e si estendessero ai periodi in cui il
dibattito sulle nazionalizzazioni era stato più sentito nei due partiti,
rispettivamente gli anni ’20 e ’30 per il Sap e gli anni ’50 per il Labour. Poi in
occasione delle ricerche in Inghilterra, ai dubbi teorici si sono aggiunte le
motivazioni pratiche: i governi Attlee erano uno dei momenti su cui è stato scritto
maggiormente, le nazionalizzazioni di quel governo in misura ancora superiore.
Così ho finito per occuparmi del revisionismo degli anni ’50 nei due partiti,
argomento sul quale la letteratura mi sembrava avere dei vuoti interpretativi e che
consentiva di esaminare altrettanto bene, se non meglio gli interrogativi della
prima versione. Tuttavia, come a volte accade in questi casi, qualcosa di quanto
scritto prima è rimasto, e nell’esaminare le diverse risposte dei due partiti alla
sembrata né chiara, né lineare, ed anzi più volte in continuità con il periodo 45-51, per
questo in alcuni punti il presente studio sarà in contrasto con la visuale di Haseler.
11
sfida degli anni ’50, la spiegazione ricade tuttora spesso sulle tradizioni o gli
sviluppi che derivavano dalle fasi precedenti del Labour e del Sap.
È infatti mia convinzione che nell’evoluzione dei due casi presi in esame sia stata
fondamentale la capacità di riorientarsi e di precisare i compiti del partito di fronte
ad alcune fasi di sviluppo del paese e del partito con esso. In questo senso vanno
intese sia le risposte ideologiche che i mezzi adottati, ma si può andare anche oltre
e guardare alla capacità di collegare le risposte immediate, che di volta in volta
richiedeva il mutare del contesto, con gli obbiettivi di lungo periodo che
rimanevano immutati al di là della situazione contingente. Un dualismo
quest’ultimo che nel socialismo europeo fu sempre presente, o nelle parole del
socialdemocratico tedesco Fritz Tarnow:
“Noi stiamo al capezzale del capitalismo non solo impegnati in una
diagnosi, ma anche - come potrei dire – come medici che vogliono
guarire? O come un buon erede che non può attendere la fine e che
vuole accelerarla con il veleno? In questa immagine si esprime tutta la
nostra situazione. Mi pare che noi siamo cioè condannati ad essere sia
un medico che vuole curare con serietà, sia a tenere in piedi
l’aspirazione ad essere eredi che preferirebbero prendere in consegna
l’intera eredità del sistema capitalistico oggi piuttosto che domani.
Questo doppio ruolo di medici e di eredi è un compito maledettamente
difficile.”
6
6
Fritz Tarnow al congresso della SPD del 1931.Cit. in M. Telò, La Socialdemocrazia
Europea nella Crisi degli Anni 30, Milano, Franco Angeli, 1985, p.238. Tarnow in quella
circostanza si riferiva soprattutto all’atteggiamento che la Spd dovesse assumere di fronte
alla crisi del capitalismo, ma si può affermare che quel dualismo fra obbiettivi di lungo e
breve periodo sia stato presente in tutto il socialismo europeo, forse fin dal 1891 quando
nel programma di Erfurt del partito socialdemocratico tedesco erano stati per la prima
volta individuati questi due aspetti.
12
Va da sé che gli obbiettivi finali non furono mai realmente precisati
dettagliatamente, rimasero sempre incerti, quando non addirittura contraddittori.
Ed il motivo lo aveva espresso magistralmente Jean Jaurés:
“…forse ci renderemo conto di essere entrati nella zona dello stato
socialista come i navigatori si rendono conto di aver attraversato il
meridiano che divide due emisferi- non per averlo potuto vedere come
fosse un cordone teso sulla superficie dell’acqua ad annunziare l’istante
del passaggio, ma per essere stati introdotti poco a poco nel nuovo
emisfero dal procedere ininterrotto della nave”
7
Tuttavia per continuare in quella navigazione era necessario saper affrontare
quantomeno le tappe intermedie. In altre parole saper scegliere il futuro del partito
se non di lungo almeno di breve periodo. Prima degli anni ’50 guarderemo così
alla risposta che i due partiti seppero dare al crollo del capitalismo negli anni ’30
ed alla ricostruzione postbellica degli anni 40. Ciò perché molte delle questioni
(prima fra tutte se il socialismo passasse o meno dalle nazionalizzazioni) che il
Labour si trovò a discutere negli anni ’50, nel Sap erano già state affrontate nelle
fasi precedenti. E questo non poteva che aprire percorsi differenti: quando infatti il
partito laburista inglese si trovò a dover precisare la propria politica delle
nazionalizzazioni nell’era della “fine dell’ideologia”
8
, non poteva che nascere un
movimento che indicava la strada per superare le difficoltà del presente non solo
7
Primo discorso di Jaurès al congresso di Bordeaux del partito socialista francese, 1903,
cit. in Ginsborg, Le riforme di struttura…cit., p.655
8
La definizione è di Daniel Bell (Cfr.D.S.Bell, The End of Ideology. On the Exhaustion
of Political Ideas in the Fifties, New York, Free Press, 1960), ed è diventata il sinonimo
dell’adattamento dei partiti (sopratutto di ispirazione socialista) alla società dei consumi
di massa dopo il radicalismo degli anni postbellici.
13
nella revisione di un mezzo discusso come quello della nazionalizzazione, ma
anche di un obbiettivo che nella storia del partito era stato unito con quello
strumento, ossia l’ideale socialista.
La nostra trattazione dedicherà uno spazio più ampio al partito laburista inglese.
Per quanto riguarda il partito socialdemocratico svedese sono infatti state
utilizzate quasi esclusivamente fonti secondarie, e per questo il caso svedese deve
essere considerato solo come una variante minore rispetto alla prima parte, in un
certo senso quasi la prova che in alcuni momenti si potessero compiere scelte
differenti rispetto a quanto fu fatto dal Labour Party inglese, perché quest’ultimo
con tutte le sue incertezze sarà il soggetto principale delle pagine che seguono.
Nel primo capitolo guarderemo agli sviluppi teorici del partito laburista inglese
dai primi anni del 20° secolo fino ai primi anni dei governi postbellici di Attlee.
Questo ci permetterà di affrontare nel secondo e nel terzo il dibattito degli anni
’50 sulle nazionalizzazioni in una prospettiva più ampia. Riesamineremo poi nel
complesso il caso inglese nel quarto capitolo alla fine del quale dovremo riflettere
sulle implicazioni delle risposte che il Labour Party seppe dare alle fasi della
propria evoluzione negli anni ’20 e ’30 prima e nel periodo postbellico poi, e
come queste influirono negli sviluppi degli anni ’50.
Le conclusioni della prima parte verranno estese nella seconda in cui prenderemo
in esame il partito socialdemocratico svedese. La prospettiva adottata sarà in parte
diversa ed in parte uguale. Sarà diversa perché nel quinto capitolo ci
concentreremo maggiormente sul periodo fra gli anni ’20 e 30, nel quale il Sap
affrontò buona parte dei dilemmi che restavano irrisolti nel Labour degli anni ’50:
gli obbiettivi ed i mezzi del socialismo, ed il significato delle nazionalizzazioni in
quel contesto. Allo stesso modo dovremo tenere a mente le diverse situazioni
14
esterne in cui i due partiti si trovarono ad operare: su tutte la differente situazione
sociale con una maggiore rilevanza in Svezia della piccola proprietà individuale
agricola, condizione che facilitò gli orientamenti del partito socialdemocratico
svedese in merito alla questione dell’intervento statale. Tuttavia come vedremo i
due partiti si trovarono ad affrontare contemporaneamente le stesse questioni, e le
diverse risposte influirono sul revisionismo del Sap negli anni ’50, che, come
vedremo nel sesto capitolo, in senso stretto non fu tale.
Alla boa degli anni ’50 la nave del socialismo di cui parlava Jaurés prese in
Svezia ed in Inghilterra due direzioni diverse; riprenderemo il discorso alla fine di
questo scritto, nelle conclusioni generali.
15
Parte I
Labour Party
16
CAPITOLO 1
Le Tradizioni del partito laburista inglese
Nella storia e nella memoria del laburismo si possono individuare sicuramente dei
punti caratterizzanti; fra questi, due, un punto alto ed uno basso furono talmente
intensi da segnare anche la pratica e la cultura di governo per molti anni se non
per l’intera storia del partito. Durante gli anni ’50, nonostante l’asprezza del
dibattito e la profonda divergenza di vedute, tutti i combattenti sentivano
chiaramente che lo spettro da evitarsi a tutti i costi era quello della scissione di
inizio anni ’30; quello che aveva permesso il successo laburista era stata infatti
l’unità del periodo postbellico, e proprio quella consapevolezza della necessità di
restare uniti permetteva di tenere insieme le ali del partito. Il sentimento per quella
esperienza di pochi anni addietro era così forte che tutti si trovavano concordi
nell’individuare le proprie posizioni come la naturale continuazione del governo
laburista del 45-51, e se poi la valutazione che veniva data sul passo successivo
era diversa ciò non poteva scalfire quello che era stato appreso: l’importanza del
Labour Party.
Naturalmente non era solo lontana memoria di esperienze da fuggire o da tenere
presente, se le cose andarono differentemente da altre epoche di divisione
9
fu
perché molti uomini degli anni ’50 in tali esperienze erano vissuti e di
conseguenza non potevano non tenere presenti gli errori dei primi anni ’30 e gli
insegnamenti dei secondi anni ’40.
9
Come nel 1981 quando un gruppo uscì dal Labour per fondare il Social Democratic
Party.
17
1 La ricerca di un identità 1900-31
Nella storia dei partiti socialisti europei quello inglese è relativamente giovane,
1900 o 1909 se si aspetta l’assunzione del nome attuale. Non era recente invece il
socialismo britannico, uno dei più antichi nonché dei più profondi. Tuttavia ce ne
volle prima che quel partito, che all’inizio era semplicemente la creazione di
alcuni sindacati, e la tradizione del socialismo britannico si unissero, ed il risultato
oltrechè tardo fu anche particolare : non si era passati dal marxismo.
MacDonaldismo e Tradizioni Fabiane
Due furono le primarie fonti di costruzione del laburismo, da una parte la società
fabiana che ne delineò l’identità ed il programma politico, dall’altra Ramsay
MacDonald che del Labour, oltrechè teorico, fu anche il primo vero leader.
Se il partito laburista inglese non subì mai la forte influenza del marxismo come i
suoi equivalenti europei
10
, oltrechè per le origini sindacaliste, fu probabilmente
anche perché poté contare su un gruppo di intellettuali che, pur credendo nel
socialismo, rigettarono molte delle analisi di Marx sviluppandone una alternativa
di socialismo evoluzionista. Tale società detta fabiana fu costituita nel 1884 da
parte di un gruppo di intellettuali intorno a Gorge Bernard Shaw. Comunque fu
solo nel 1892, con l’ingresso di Sidney Webb, che il gruppo assunse l’importanza
10
La scarsa influenza del marxismo nel laburismo inglese è un punto accettato da tutti gli
storici del settore. Un’organizzazione di ispirazione marxista in Gran Bretagna c’era stata
nella Social Democratic Federation di H.M.Hyndman, che però non ebbe né una forte
influenza in se stessa né, tanto meno, nelle origini del Labour Party.
18
per cui sarebbe passato alla storia e nel 1909, con la rinuncia alla strategia della
permeation
11
,che legò il proprio destino a quello del Labour Party
12
.
Il fabianesimo fornì al Laburismo una concezione non rivoluzionaria di
evoluzione graduale verso il socialismo, una fiducia nelle possibilità di arrivarvi, e
soprattutto un modo di fare politica: quello dello studio e dell’elaborazione di
piani dopo tanto utopismo delle origini.
I tre contributi venivano uniti da un modo particolare di lavorare da parte dei
fabiani. C’era innanzitutto una profonda convinzione: che il socialismo fosse non
solo possibile, ma anche inevitabile prima o poi. Il nuovo ordine sociale non
poteva che essere lo stadio successivo della storia, e tutti i segni del tempo
sembravano confermarlo. Se però questa tendenza era già in atto, non si poteva
prevedere quanto avrebbe impiegato per portare a compimento tale cammino. Ed
era allora che entravano in gioco i fabiani, il loro compito era di aiutare tale
tendenza inconscia della storia, e per farlo non c’era altro modo che una rigorosa
elaborazione di piani pratici di riforma. Eppure anche tale lavoro di stesura di
sempre nuovi rapporti non sarebbe stato possibile senza un’altra profonda fiducia
che era, questa si, caratteristica del tempo: quella tipica del positivismo in piani
ambiziosi.
11
Agli inizi della propria storia la società pensava di poter indirizzare il percorso verso il
socialismo influenzando molteplici organizzazioni e partiti politici. Fu solo in quell’anno,
quando il loro Minority Poor Law Report venne respinto, che tale strategia iniziò a
cambiare, e l’avvicinamento al Labour Party ad essere considerato come inevitabile.
12
Tale unione avrebbe raggiunto il punto culminante nove anni dopo (1918) quando
Sidney Webb scrisse il nuovo documento del partito: Labour and the New Social Order.
Il documento presentava la prima richiesta di nazionalizzazioni, che comprendevano
ferrovie, canali, porti, poste, telegrafi e le industrie carbonifere. Ma, soprattutto, era anche
il primo documento specificamente socialista; da quell’anno la clausola quattro nello
statuto del partito recitava infatti come obbiettivo finale del Labour:
“To secure for the workers by hand or by brain the full fruits of their industry and the
most equitable distribution thereof that may be possible, upon the basis of the common
ownership of the means of production, distribution and exchange, and the best obtainable
system of popular administration and control of each industry or service.”
19
La Fabian society divenne così il braccio teorico del partito, adibito ad elaborare
progetti che un futuro governo laburista avrebbe dovuto realizzare. Al tempo
stesso le pubblicazioni e le conferenze che portavano quel nome divennero il
luogo dove discutere a livello teorico della strategia generale verso il socialismo
in Gran Bretagna. E di lì a pochi anni sarebbe divenuto normale vedere tutti i
maggiori dirigenti del partito esprimersi in quella prestigiosa tribuna teorica.
Tuttavia è impossibile non vedere come dietro tale tecnicismo positivista dei
fabiani non si nascondesse il difetto di un certo utopismo di fondo. Come era
possibile credere che così linearmente si arrivasse di riforma in riforma al
socialismo, se non senza quella stessa fede utopica che proprio loro volevano
eliminare dal socialismo britannico?
Forse la fiducia nella possibilità di superare gradualmente il capitalismo poteva
anche essere realistica se ciò avesse implicato una strategia ordinata di riforme
che, possibilmente, portassero una all’altra. Nel movimento fabiano invece tutto
questo era assente, probabilmente anche perché non avevano compreso i rischi di
una concezione passiva della politica, che si sarebbe poi manifestata nel futuro del
Labour. O meglio durante il cammino ci si poteva si impegnare in delle riforme,
ma, come il loro primo pamphlet suggeriva:
“For the right moment you must wait, as Fabius did most patiently,
when warring against Hannibal, though many censured his delays; but
when the times come you must strike hard, as Fabius did, or your
waiting will be in vain and fruitless”
13
13
Cit. in A.M.McBriar, Fabian Socialism and English Politics 1884-1918, Cambridge,
Cambridge University Press, 1966, p.9