Prefazione
II
La curiosità, l’atteggiamento morboso, l’ossessione, la
paura ed il terrore sono tutte sensazioni che accompagnano da
sempre l’uomo nel suo confronto con la morte. La mortalità
ed il pensiero che siamo tutti “condannati a morte” in questa
vita, hanno sempre suscitato delle questioni profonde cui
filosofi, pensatori ed intellettuali di ogni epoca e corrente,
hanno cercato di dare una spiegazione ed un significato. Per
molti è un passaggio verso la vera vita, per altri è solamente
la fine di tutto, oltre cui non rimane che il corpo destinato alla
decomposizione.
Qualunque sia la sua definizione, l’ “eterno riposo” è
prima di tutto un fatto umano, una componente essenziale e
inevitabile della nostra esistenza, anche se, ogni volta che ci si
presenta indirettamente attraverso il decesso di un conoscente,
ci lascia stupiti, alienati, straniati: la morte è la privazione
dell’abitudine e la consapevolezza, tagliente e fredda, che il
giorno dopo non rivedremo più la persona cara ormai defunta.
Ogni volta che si ha l’esperienza indiretta del trapasso,
emerge un rinnovato senso della vita e dell’apprezzamento
delle persone che ci stanno accanto: si scatena
biologicamente, anche se temporaneamente, un meccanismo
affettivo di compensazione che conduce ad un atteggiamento
più profondo nei confronti delle persone care che ci
circondano quotidianamente e a cui siamo abituati.
Prefazione
III
La morte è quell’evento che va a rompere il cosiddetto
“taken for granted”
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e sembra aprire gli occhi su eventi e
persone, quasi fossimo stati ciechi fino a quel momento.
La morte è quella negazione che ha come conseguenza
una visione più positiva delle proprie situazioni, essa può
condurre paradossalmente alla bellezza, infondere coraggio e
alimentare la speranza.
E’ ciò che accade in un film premio Oscar del 1999,
dove la morte viene descritta poeticamente come lo sguardo
fisso di Dio da cui proviene tutta la bellezza del mondo.
American Beauty di Sam Mendes si concentra sulla
sensazione di morte che aleggia nella famiglia protagonista e
negli animi di coloro in cui si è perso l’amore per la
semplicità e la capacità di guardarsi dentro, oltre le apparenze
e la forma.
Il look closer (“guarda più vicino”), motto del film, si
lega perfettamente all’atteggiamento del personaggio di Ricky
Fitts (Wes Bentley), il quale osserva e contempla in modo
sacrale gli oggetti e gli eventi a prima vista più banali e
inutili, in cui scorge tutta la bellezza nascosta del mondo tale
che il suo animo non riesce a contenerla e si commuove.
Anche la morte subisce questo processo di
“familiarizzazione”, questo look closer imperante nel film, e
si fa poetica non solo della pellicola che varrà un Oscar allo
sceneggiatore Alan Ball, ma anticiperà l’opera televisiva di
1
Etim: “Dato per scontato”
Prefazione
IV
quest’ultimo, interamente concentrata sulla morte: Six Feet
Under.
Mentre la morte viene esorcizzata , attraverso la morte
si scopre la vita, la sua bellezza e si impara ad apprezzarne
anche i momenti più normali e scontati.
Oltre a rappresentare un personale riscatto dell’autore
nonché l’esorcizzazione di una sua drammatica esperienza,
Six Feet Under è l’evento catodico degli ultimi tre anni e ha
sconvolto il pubblico per la sua scaltrezza, frantumando il
tabù della morte e ogni atteggiamento scaramantico riservato
alle imprese funebri.
Dopo aver acquisito maggior libertà di espressione
conseguente all’Oscar, nell’ambito dell’omosessualità e della
morte, Alan Ball si ispira non solo a due autori legati alla
sfera funebre (Thomas Lynch e Jessica Mitford), ma
intraprende un personale percorso terapeutico per sconfiggere
il dolore per la perdita della sorella, avvenuta tragicamente
durante l’adolescenza.
Questa insolita serie che sfida il pubblico per il suo
tono macabro e beffardo, riesce a coinvolgere lo spettatore
parlando con le parole della vita, che trionfa su tutto, grazie
all’amore e alla bellezza nascosta dell’abitudine e
dell’ovvietà.
Silvia Sclano Fisher & Sons
Funeral Home
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Six Feet Under
Every day above ground is a good one
Così cita il sottotitolo della serie più trasgressiva e
amara degli ultimi due anni, Six Feet Under, una black
comedy incentrata sulle vicende di una famiglia di Los
Angeles, titolare di un’agenzia funebre.
Immediato il riferimento alla morte, una costante
quotidiana nella vita dei Fisher i quali non hanno a che fare
solamente con defunti da restaurare e congiunti da consolare,
ma si trovano soprattutto alle prese con i propri problemi
all’interno e all’esterno della famiglia.
Six Feet Under usa come pretesto la morte per parlare
di droga, sesso, solitudine, inquietudine e depressione. La
morte per esorcizzare altre morti e spesso il tramite è proprio
il defunto, il quale arriva ai laboratori del restauratore
Federico, non solo con il suo corpo, ma anche e soprattutto
con la storia della sua vita e della sua morte.
Un racconto agrodolce questo narrato da Alan Ball,
ideatore della serie, già vincitore di un premio Oscar per la
sceneggiatura originale di American Beauty, opera dissacrante
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Funeral Home
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sul crollo della famiglia americana e sulle adolescenti
decadute.
E proprio Alan Ball ha avuto a che fare con la morte,
quando a tredici anni ha visto la sorella perdere la vita in un
tragico incidente stradale, come ha rivelato lo stesso
sceneggiatore: “Da quel giorno la mia vita è divisa in due:
quella prima dell’incidente e quella dopo.[…] Ho un gran
rispetto per la morte, tuttavia penso che non dobbiamo vivere
con il suo terrore.”
In queste ultime parole è racchiusa l’idea centrale della
serie, ossia il tentativo di Alan Ball di esorcizzare la paura
della morte e di far luce su un tema (e su una professione) che
spesso è tabù e oggetto di facili superstizioni. L’audacia dei
contenuti racchiusi nel concept della serie ha suscitato, in un
primo momento, forti dubbi nei dirigenti dell’HBO,
l’emittente statunitense via cavo cui Alan Ball ha illustrato la
sua idea, come ricorda ancora l’autore in un’intervista:
“Quello che si chiedevano all’HBO è chi, a parte me, avrebbe
guardato un telefilm del genere.”
Ma la tv via cavo, già famosa negli USA per i successi
riportati da Sex and the city e I Soprano, ha visto premiare la
fiducia riposta nel tenace ideatore non solo dagli spettatori,
ma soprattutto dalla pioggia di premi che dal 2001 al 2003 ha
investito cast e tecnici: sette Emmy Awards, due Golden
Globes, un Art Directors Guild, un DGA Award, un Peabody
Award, un Television Critic Award, un GLAAD
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(Gay&Lesbian Alliance Against Defamation) Award e in
Inghilterra un British Comedy Award.
Reduci dalle tematiche amare e ironiche del sesso (Sex
and the city) e delle morti spietate (I Soprano), gli spettatori
hanno dimostrato di apprezzare questo telefilm fin dalla prima
messa in onda (il 3 giugno 2001 in USA, il 24 Marzo 2004 in
Italia) nonostante il tono macabro e dissacrante.
Alan Ball ha concentrato la sua puntata-pilota
(Fisher&Figli) su un tragico evento che sconvolge la famiglia
protagonista: Nathaniel Fisher rimane ucciso, la vigilia di
Natale, in un tragico incidente stradale mentre sta guidando il
suo nuovo carro funebre, scena anticipata da uno dei quattro
terrificanti spot surreali disseminati nell’episodio.
I Fisher sono sconvolti e il clima festoso si tramuta in
un pesante e difficile periodo per la moglie Ruth e i figli Nate,
David e Claire. La morte del padre porta in superficie delle
difficoltà finora celate dai figli. Nate, di ritorno da Seattle,
dove conduceva una vita dissoluta e precaria, si ritrova a
dover prendere l’ardua decisione di sostituire il padre
all’agenzia; David deve fare i conti con la sua omosessualità e
con il timore di rivelarla; Claire si abbandona alle droghe e
alle cattive compagnie.
La moglie Ruth, invece, ha un gran senso di colpa nei
confronti del marito defunto: da due anni porta avanti una
relazione con un parrucchiere. Decide di rivelarlo ai figli, ma
la notizia dell’adulterio crea dell’astio soprattutto con David.
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Ogni puntata della serie inizia con l’evento che porterà
alla morte una persona la cui cerimonia sarà preparata dai
fratelli Fisher. Quasi fosse una lapide, lo schermo
successivamente lascia spazio ad una dissolvenza in bianco
con nome, cognome, anno di nascita e di morte del defunto.
Alan Ball apre la serie con la morte di un personaggio,
Nathaniel Fisher Senior, che non abbandonerà completamente
la scena: la sua in realtà è un’uscita dalla “porta principale”,
ma lo vedremo rientrare dal “retro”, come mentore o spirito
consigliere dei Fisher.
Nathaniel Senior muore, ma al suo posto lascia un altro
Nathaniel, il primogenito, accanto al fratello, il diletto e
metodico David, nella gestione dell’agenzia.
Per Nate Junior è una scelta molto difficile quella di
prendere le redini della Fisher&Son Funeral Home: lui che
ha finora vissuto in modo irrilevante e vuoto la sua vita, fatta
solo di scappatelle,di un lavoro insoddisfacente e di un
college trascurato, ora ha la possibilità di impegnarsi in
qualcosa di serio e responsabile: ha la possibilità di maturare,
anche se a trentacinque anni compiuti.
Il timore di Nate, nonché il suo sconvolgimento
interiore per la morte del padre, lo conduce inizialmente a
cedere all’opportunità di vendere l’agenzia ad un’importante
impresa che sta fagocitando l’intero settore delle pompe
funebri di Los Angeles, la Kroehner Service International.
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Anche il diligente David cede per un momento alle
condizioni allettanti dei compratori e alle tesi del fratello,
intravedendo per se stesso l’occasione per realizzare ciò che
ha sempre desiderato.
Dopo una lunga, quanto profonda riflessione, Nate
decide di tenere l’attività e, anche se con molti sacrifici e con
l’aiuto di Ruth, cui il marito ha lasciato tutti gli averi, la
Fisher&Son può continuare ad operare privatamente nel
settore.
Tornando al pilot “Fisher&figli”, si deve evidenziare
un espediente che ha impostato il tono della serie,
caratterizzandola da subito per quel black humor che
l’accompagnerà in tutte e due le attuali stagioni, ossia una
quaterna di spot lugubri che caratterizzano la prima puntata di
Six Feet Under:
“Per un corpo agile e scattante,
Per una pelle fatta per essere
accarezzata,
Per l’aspetto caldo e vellutato del
tessuto vivente.
Le vere salme riposano in pace
con la nuova formula Living
Splendor.
Living Splendor, di meglio c’è solo
la vita.”
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Il tono beffardo si carica di sfumature macabre e
perversamente ironiche attraverso la creazione di uno spot cui
inizialmente Ball pensava di farne seguire altri nelle
successive puntate. Poi il suo team, costituito da sette
sceneggiatori e undici registi, ha preferito lasciare come
esclusiva del pilot lo show orripilante dei cosmetici per
defunti come il Living Splendor.
I personaggi sono principalmente corpi, poi caratteri.
Infatti, in questo show è presente una visibilità esasperata
della corposità e della carnalità, quasi la serie fosse un monito
a ricordare che siamo umani e quindi mortali: nessuno sfugge
alla morte.
I corpi muoiono (come indica lo screeen grave
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del
teaser), soffrono (Nate e il Mav), odiano se stessi e si
violentano (Brenda e la sua insospettata ninfomania), amano
disperatamente (David e l’omosessualità), ricercano la
perfezione (Keith e la sua carriera in polizia). Ci sono i corpi
inquieti e di passaggio, come quello di Claire, adolescente
ribelle contro ogni istituzione e imposizione; corpi in
contestazione con loro stessi e alienati come Billy, fratello
maniaco depressivo di Brenda.
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Chiamo “screen grave” la dissolvenza in bianco con i dati
anagrafici del defunto in sovrimpressione, all’inizio di ogni
puntata della serie.
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E poi ci sono i corpi soli, pudichi e fragili come Ruth
Fisher.
Corpi, questi, che imparano e comunicano con altri
corpi: i vivi dai morti.
Domande. Questa è una serie basata su antichi, se non
retorici, interrogativi.
Cos’è la morte?E la vita?E il futuro?
Ecco allora che i personaggi di Six Feet Under
indossano le vesti di improvvisati filosofi, fornendo la propria
visione su tali argomenti.
Quesiti che Alan Ball si era già posto attraverso i
protagonisti di American Beauty, in cui morte, sesso,
omosessualità, inquietudini del corpo e della mente sono state
anticipate da questo film pluripremiato e osannato da platee e
critiche, nonché celebrato come simbolo della decadenza
della società americana.
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FIRST SEASON
1.1 Fisher &Figli (Pilot)
“Meravigliosa, sofisticata, seducente: è la nuova auto
funebre serie Millennium Crown; perché la tua dolce metà
merita solo il
meglio e classe e comfort.”
Un improbabile spot al limite del macabro introduce la
prima puntata di Six Feet Under, sponsorizzando un carro
funebre attraverso l’immagine di un’affascinante ragazza che
accarezza in modo sensuale la carrozzeria nera e lucente, sulle
note della Carmen di Bizet. Lo stacco repentino della camera
catapulta lo spettatore su una strada assolata e con addobbi
natalizi, percorsa da un’auto funebre simile a quello dello
spot; la sequenza successiva si concentra sul guidatore,
intento a fumare e a canticchiare “I’ll be home for Christmas”
di Bing Crosby.
Il personaggio, rispondendo al telefono, non fa
attendere la sua presentazione: si tratta di Nathaniel Fisher.
Oltre a quest’ultimo, la prima scena presenta la moglie
Ruth e il figlio David, attraverso un dialogo al cellulare. Ruth
si caratterizza fin da subito per la sua premura nei confronti
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del consorte (“Hai preso le pillole per la pressione?”) e del
figlio Nate (“Dovresti comprare quell’intruglio di soia che
beve Nate”).
David interviene biasimando il padre sull’acquisto non
urgente del nuovo carro funebre.
La prima immagine di Ruth è quella di una donna
indaffarata tra verdure, pentole e piatti, intollerante del
nicotinismo del marito e dell’abitudine di questo a fumare in
macchina.
David, invece, si dimostra fin da subito razionale,
calcolatore, preciso e metodico.
Nathaniel rassicura la moglie di non fumare, ma
appena riattacca il telefono, accende di nuovo un’altra
sigaretta e questa disubbidienza gli sarà fatale: incurante di un
incrocio, il necroforo rimane ucciso di lì a poco nello scontro
con un autobus.
L’incidente del marito si raccorda, sempre sulle note
natalizie di Bing Crosby, al piccolo incidente domestico che
Ruth si procura al dito con un coltello.
La sequenza successiva introduce Nate, di ritorno a
casa per le feste natalizie, mentre dialoga all’aeroporto con
una ragazza conosciuta in aereo.
La donna fa una proposta indecente al ragazzo, il quale
rimane piacevolmente sorpreso da tale audacia.
Sempre attraverso il cellulare viene introdotta la figura
di Claire, la più piccola dei Fisher, mentre è al volante e a
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velocità sostenuta parla con David al quale dichiara di non
voler tornare a casa per Natale. Il fratello la convince con una
frase molto efficace nel chiarire i rapporti tra i Fisher: “Claire,
la famiglia ormai si riunisce solo a Natale!”.
Mentre Nate consuma un fugace rapporto sessuale con
la sconosciuta, Ruth apprende al telefono
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la morte del marito
e presa da un raptus di follia e dal dolore, urla e getta a terra
le pietanze appena sfornate. David, preoccupato, raggiunge la
madre in cucina e la trova con lo sguardo assente e fisso
seduta sul pavimento in evidente stato confusionale: “Tuo
padre ha avuto un incidente; l’auto nuova è distrutta; tuo
padre se ne è andato, lui è morto, e il mio brasato è da
buttare”.
Sarà David ad informare i fratelli in un tono
terribilmente controllato, pacato, freddo e formale, quasi
stesse trattando con l’ennesimo cliente della Fisher&Sons.
Il dolore represso dietro la figura stabile ed equilibrata
di David sfocerà alla fine tra le braccia del compagno, Keith
Charles , e di Nate, con il quale il fratello avrà degli aspri
contrasti circa la vendita dell’agenzia ad una multinazionale.
In realtà il montaggio sottolinea questo falso self
control attraverso delle immagini che rivelano il vero stato
emozionale di David. Questo accade ad esempio nella
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Da notare l’iterato uso del telefono all’interno del pilot: le
comunicazioni tra i Fisher attraverso il cellulare e il telefono,
simbolicamente indicano la distanza e la lontananza tra i
membri della famiglia.
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sequenza della veglia di un cliente, quando il ragazzo in tono
molto formale riceve i parenti del defunto, mentre in realtà
vorrebbe gridare ed esprimere il suo sgomento alla sala intera.
Seguono due paralleli dialoghi in macchina: quello tra
Ruth e Claire e tra Nate e Brenda.
Nel dialogo madre/figlia, Ruth concentra in una sola
domanda dei quesiti mai affrontati prima con la figlia: “Hai
mai fatto del sesso?Ti sei mai drogata?”. Con la scomparsa
del marito, Ruth sente la necessità di tenere sotto controllo la
situazione e la paura di affrontare da sola le problematiche dei
figli.
Nate e Brenda invece scambiano delle opinioni sulle
loro rispettive famiglie. Nate considera David e Ruth come
dei “sergenti di ferro”, il padre troppo apprensivo e causa
della sua fuga all’età di diciannove anni; della sorella
confessa di non sapere granché, avendo lasciato la famiglia
poco prima che Claire nascesse.
“Per un corpo dall’aspetto agile e scattante, per una
pelle fatta per essere accarezzata, per l’aspetto caldo e
vellutato del tessuto vivente. Le vere salme riposano in pace
con la nuova formula Living Splendor. Living Splendor: di
meglio c’è solo la vita.”
Questo è il secondo dei quattro spots surreali che
intervallano la serie. In questo caso il prodotto è una lozione