britannico e il voto alternativo australiano. Passando alla seconda tipologia
verranno illustrati diversi elementi preliminari necessari per la comprensione del
sistema proporzionale – che attribuisce i seggi in proporzione ai voti ottenuti –
come la grandezza circoscrizionale e le soglie di sbarramento. In seguito
l’attenzione si sposterà sul voto singolo trasferibile irlandese e sul sistema
proporzionale spagnolo oltre che sulle diverse formule di traduzione. Nel secondo
capitolo si parlerà di sistemi elettorali misti. Questa tipologia di sistema elettorale
nasce dalla volontà di unire i benefici derivanti dall’utilizzo contemporaneo di
elementi proporzionali e maggioritari. In particolare, perché in fondo di questo si
tratta, i sostenitori rivendicano la capacità di unire governabilità e
rappresentatività, che sono rispettivamente le doti principali di maggioritario e
proporzionale. Si cercherà di classificare i sistemi misti attraverso i criteri
elaborati da Alessandro Chiaramonte; inoltre, data l’ampia diffusione di questo
tipo di formule elettorali verranno illustrati molteplici casi concreti. Nel capitolo,
nonostante la collocazione sia stata criticata da numerosi politologi, si parlerà
anche del noto sistema tedesco oltre che del doppio turno francese.
Il dibattito sui sistemi elettorali continua ad interessare sia il mondo accademico
che quello politico, il motivo è presto detto: i sistemi elettorali in quanto regola
fondante della competizione elettorale vengono fatti oggetto delle volontà
riformatrici delle diverse parti politiche. Questo è ancor più vero nel caso italiano
in cui, praticamente ad ogni legislatura si torna a parlare di riforma elettorale. Nel
terzo capitolo verrà affrontato proprio il tema della riforma elettorale a partire dal
pensiero politico di Luigi Sturzo fino ad arrivare all’ultima riforma elettorale
italiana varata nel 2005. Peculiare sarà l’analisi della transizione verificatasi tra il
1994 e il 2001 che ha portato alla destrutturazione del sistema partitico della
Prima Repubblica e alla sua ristrutturazione successiva secondo un modello di
bipolarismo frammentato. Prima ci si concentrerà sulle elezioni politiche del
1994, le prime con il sistema elettorale maggioritario, poi su quelle del 1996 e
infine sulle elezioni regionali del 2000 – con riferimento all’introduzione del
nuovo sistema elettorale regionale che conclude la riforma del 1993 – e sulle
politiche del 2001. In seguito si passerà ad analizzare la riforma del 2005 – che ha
introdotto un sistema proporzionale corretto – e le due elezioni politiche (2006 e
2008) svoltesi sotto l’egida di questa legge elettorale. Proprio il confronto tra
queste due tornate elettorali, che hanno prodotto due risultati molto diversi tra
loro, fungerà da ponte per l’ultimo capitolo di questo studio: quello sulle
conseguenze generate dai sistemi elettorali. Un sistema elettorale produce effetti
che vanno valutati con riferimento al contesto partitico di appartenenza, ergo – per
valutare correttamente l’operato di una formula – bisogna saper quantificare il
grado di strutturazione del sistema partitico, vale a dire che occorre saper contare i
partiti. Per far ciò verrà utilizzata la famosa classificazione di Giovanni Sartori
che permetterà, in seguito, di capire gli effetti generabili da una data formula
elettorale e il rapporto di interdipendenza tra la formula stessa e il sistema dei
partiti. Ma le conseguenze prodotte da un sistema elettorale non riguardano
soltanto il sistema partitico propriamente detto, ma interessano anche i
comportamenti messi in atto dai diversi attori in gioco in una competizione
elettorale: i partiti e gli elettori. Il fattore analitico cruciale per questo paragrafo
sarà il coordinamento strategico, operato sia dai partiti attraverso una serie di
tecniche, sia dagli elettori che a seconda delle circostanze – e della legge elettorale
in vigore – valuteranno se operare un voto utile o sincero. Solo a questo punto,
dopo aver compreso tutte le variabili necessarie, si potrà procedere ad una
valutazione generale dei sistemi elettorali che porterà direttamente alle
conclusioni di questo studio.
I. Sistemi elettorali puri
1. Elezioni e sistemi elettorali
Le elezioni costituiscono il principale esercizio democratico di una comunità
politica. Servono principalmente per decidere l’assegnazione delle cariche di
potere, ma anche per punire – o premiare – il comportamento dei governanti. Le
elezioni sono, come le ha efficacemente definite Pasquino [2008], la «cerniera dei
regimi democratici». Esse sono necessarie per affidare le cariche a qualcuno in
virtù dei risultati espressi da una competizione elettorale libera e democratica;
sono regolate da un complesso di norme che hanno il compito di formalizzare la
competizione e il comportamento degli attori che vi prendono parte (elettori e
partiti). Particolare importanza assumono le elezioni politiche, vero e proprio
momento topico della vita politica di un paese, in cui si determina l’assegnazione
delle cariche esecutive e di quelle rappresentative. Per quanto riguarda l’elezione
delle cariche monocratiche questa può essere diretta (da parte del popolo), o
affidata dal popolo stesso ai cosiddetti «grandi elettori» i quali eleggono il
Presidente (ad esempio funziona così negli Stati Uniti). Più articolato è il discorso
che riguarda l’elezione degli organi collegiali, sui quali le leggi elettorali hanno
una netta e decisiva influenza. In questo studio ci si soffermerà proprio sulle
modalità di elezione degli organi rappresentativi.
Dunque i cittadini esercitano frequentemente il loro diritto più importante: il voto.
I voti espressi devono poi essere tradotti in seggi: il sistema elettorale si occupa di
questo. Assodato che l’obiettivo primario dei sistemi elettorali è trasformare i voti
in seggi, dal metodo di trasformazione – in proporzione o meno – dipende la
distinzione tra sistemi elettorali proporzionali e maggioritari.
Chiaramonte [2005] individua due dimensioni definitorie dei sistemi elettorali: il
principio di rappresentanza (vale a dire l’obiettivo che un sistema si prefigge) e la
formula elettorale (il meccanismo di traduzione dei voti in seggi). Ne deriva che i
sistemi maggioritari puntano a selezionare i rappresentanti che ottengono il
maggior numero di voti in un determinato collegio, in modo da riformare a livello
nazionale (aggregato) una maggioranza in grado di governare. Diversamente i
sistemi proporzionali cercano di ottenere una composizione dell’assemblea
rappresentativa tale da rispecchiare la consistenza numerica delle varie forze
politiche. Questo in riferimento al principio di rappresentanza. Passando alle
formule elettorali la differenza è, che mentre nel maggioritario il seggio in palio è
assegnato al candidato più votato, nel proporzionale i seggi sono ripartiti tra i
diversi competitori in proporzione ai voti ottenuti.
2. Alcune variabili fondamentali
Spesso un sistema elettorale viene identificato con la mera componente numerica:
la formula matematica che permette la traduzione dei voti in seggi. In realtà la
questione è un po’ più complessa, non fosse altro per il fatto che le variabili in
gioco sono molteplici e, alcune di queste, possono rivoluzionare – in un senso o
nell’altro – gli effetti prodotti da una formula elettorale.
Nell’ultimo capitolo ci occuperemo delle conseguenze delle formule elettorali su
numerose componenti del sistema politico in generale. Ora però, è bene
soffermarsi sugli effetti che alcuni elementi indissolubilmente legati ai sistemi
elettorali causano sugli stessi.
Le variabili da esaminare sono quattro: la circoscrizione elettorale (e quindi il
rapporto elettore-eletto); il voto (dal punto di vista del votante e del candidato), la
comunicazione politica nelle campagne elettorali e la partecipazione (e
l’astensionismo).
2.1 La circoscrizione elettorale
La circoscrizione (o il collegio per i sistemi maggioritari) è il terreno di scontro
della competizione elettorale. Con riferimento alle dimensioni di una
circoscrizione si può operare una distinzione fondamentale tra le circoscrizioni
uniche nazionali e quelle sub-nazionali. La maggior parte dei paesi utilizza questo
secondo tipo di divisione territoriale.
Alla base di tutto ciò vi sono anche motivi storici; infatti, prima che il ruolo del
parlamentare venisse inquadrato nei termini attuali di rappresentante della
nazione, la rappresentanza stessa aveva un carattere fortemente localistico e il
deputato era il canale di comunicazione tra la periferia e il centro, aveva insomma
il compito di veicolare le istanze dell’elettorato locale fin dentro il centro
decisionale.
Anche se queste sfumature sono ancora presenti – seppur in quote nettamente
ridimensionate rispetto al periodo d’oro del notabilato – oggi assistiamo, anche
grazie ai mezzi di comunicazione di massa, ad una maggiore nazionalizzazione
delle istanze dell’elettorato. Questa caratteristica della dialettica politica
contemporanea però non è bastata per rinunciare all’utilizzo della suddivisione
territoriale in circoscrizioni. Perché ciò non è accaduto? Per un motivo basilare:
perché l’utilizzo di circoscrizioni dalle ridotte dimensioni territoriali consente un
rapporto più diretto tra il candidato e l’elettore. Dunque la motivazione è
soprattutto di ordine pratico e si unisce ad un’altra essenziale questione: quella
della frammentazione del sistema partitico (di cui ci si occuperà più avanti).
Oltre che per la dimensione le circoscrizioni differiscono tra loro per un altro
elemento: la magnitudo, ossia il numero di seggi che mettono in palio. Quindi
distinguiamo tra circoscrizioni uninominali (i collegi utilizzati nei sistemi
elettorali maggioritari) e plurinominali (principalmente utilizzate nei sistemi
proporzionali) [Cotta, Della Porta, Morlino 2004].
La differenza è semplice ma rilevante: nei collegi uninominali si elegge un solo
candidato, in quelli plurinominali i seggi da distribuire al termine della
competizione elettorale sono in numero maggiore (da due fino a n).
Le circoscrizioni sono così importanti perché possono influenzare il lavoro di una
formula elettorale: se in una circoscrizione si assegnano solo due seggi è evidente
che qualsiasi sistema – anche il più puro dei proporzionali – non riuscirà a
produrre proporzionalità nell’esito.
Ora, che le circoscrizioni siano fondamentali è assodato: resta da capire come
queste debbano essere configurate, cioè quale/quanto territorio geografico
debbano comprendere. La questione non è di poco conto, infatti ci si trova di
fronte ad un quesito fondamentale: i voti dati in diversi collegi peseranno in egual
modo? Dipende, da come le suddivisioni territoriali vengono effettuate. «E’ ben
noto infatti che i collegi possono essere ridisegnati per conseguire effetti
partigiani: per esempio, a un partito dominante nella città, ma debole nella
campagna un disegno dei collegi che unisca fette di città a fette di campagna
invece che separarle, potrebbe consentire di aumentare il bottino dei seggi»
[ibidem].
Gli americani chiamano questo ritaglio delle circoscrizioni Gerrymandering;
l’appellativo deriva dal nome di Elbridge Gerry
governatore dello stato del
Massachusetts che nei primi anni dell’ottocento ridisegnò i confini elettorali in
modo così fantasioso da ottenere una forma di salamandra (e da qui
Gerrymandering: Gerry + salamander). L’obiettivo era concentrare i suoi elettori
e disperdere gli oppositori [Sartori 2004].
Se alcuni hanno parlato dell’esistenza di un Gerrymandering «virtuoso» [Cotta,
Della Porta, Morlino 2004] utilizzabile per consentire la rappresentanza delle
minoranze, Giovanni Sartori [2004] lo ha invece apostrofato come «una tecnica
truffaldina, […] una pratica indifendibile anche quando è al servizio dei diritti
civili, specialmente perché […] il voto cumulativo, o un ben concepito voto
limitato servirebbero lo stesso scopo senza abusi».
2.2 Il voto
Il diritto di voto è un diritto/dovere del cittadino sancito dalla costituzione; è,
forse, il diritto più importante perché intimamente legato all’essenza della
democrazia. «Il diritto di voto è tendenzialmente legato al principio di
appartenenza alla comunità politica. Quindi nell’epoca degli stati nazionali sono i
cittadini di uno stato a qualificarsi come elettori» [Cotta, Della Porta, Morlino
2004]. Grande importanza storica ha avuto, da questo punto di vista,
l’allargamento del suffragio che ha consentito a grandi masse di cittadini, prima
esclusi dalla pratica del voto, di poter partecipare alla scelta dei propri
rappresentanti. Storicamente «l’allargamento del diritto di voto alle grandi masse
determinò […] movimenti di rilievo nelle forme organizzative e nei meccanismi
della lotta politica» [Sabbatucci, Vidotto 2007].
Conseguenza fondamentale dell’allargamento del suffragio fu la nascita dei partiti
di massa, in cui larghi strati della popolazione avrebbero trovato identificazione.
In particolare in Italia questo movimento espansivo coinvolse due gruppi che
avrebbero dominato per lunghi anni la scena politica: i socialisti e i cattolici.
Dal punto di vista politico, invece, l’allargamento del suffragio è stato favorito da
tre fattori: l’espansione del principio di eguaglianza, lo sviluppo dell’ideale
nazionale e la competizione tra élites politiche che cercavano nuovi sostenitori nei
settori della popolazione prima esclusi dal voto [Cotta, Della Porta, Morlino
2004].
Il voto è personale, eguale, libero e segreto – così recita l’articolo 48 della
Costituzione italiana – e viene espresso su una scheda elettorale predisposta dalle
pubbliche autorità (in Italia dal Ministero dell’Interno).
Un aspetto importante del voto in relazione al sistema elettorale è la modalità di
espressione dello stesso da parte dell’elettore. Più precisamente distinguiamo tra
voto cardinale e voto ordinale.
Il voto cardinale non consente di manifestare predilezioni, l’elettore deve
esprimere una preferenza secca [ibidem]. Questo genera grande facilità di lettura
del risultato che produce un solo vincitore a cui spetterà il seggio, ma al tempo
stesso non permette di diversificare il voto.
Per questo motivo sono state introdotte modalità di voto ordinali: qui il votante ha
la possibilità di esprimere, in ordine di gradimento, più preferenze per diversi
candidati. Questo sistema «consente quindi agli elettori di graduare il proprio
sostegno» [ibidem, corsivo mio].
Il voto è ovviamente diretto a raggiungere un destinatario: generalmente nei
sistemi maggioritari si tende a privilegiare il candidato, mentre in quelli
proporzionali è più visibile il simbolo del partito.
Un'altra notevole distinzione, parlando di voto, la si può operare rispetto al
significato che l’elettore attribuisce alla sua scelta. Questa può essere: strategica,
se tende a privilegiare una costatazione di utilità che porti a votare per un
candidato, che pur non essendo il preferito, ha maggiori possibilità di spuntarla
nella competizione. Viceversa, se alla base della scelta c’è un ragionamento di
tipo emotivo – che porti a votare in ogni caso per il candidato preferito anche se
questi non ha alcuna chance di vittoria – si parlerà di voto espressivo.
2.3 Campagne elettorali e comunicazione politica
Le moderne competizioni elettorali ruotano sempre più attorno ad un elemento
fondamentale: la comunicazione.
Comunicare vuol dire trasmettere informazioni da una parte all’altra attraverso la
mediazione di un mezzo. Esistono messaggi e canali di comunicazione
specificamente politici (comizi, manifesti elettorali, ecc.) che vengono utilizzati
per comunicare sia nei confronti dei partiti, sia nei confronti dell’elettorato. Ma
prima di arrivare a parlare di comunicazione politica propriamente detta, è
necessario gettare uno sguardo al passato. Già nell’antica Grecia infatti, i filosofi
assegnavano alla dialettica e alla retorica (l’arte di persuasione per eccellenza) una
posizione di preminenza nella lotta per il potere.
Nella repubblica romana, invece, assistiamo a quella che Mazzoleni ha definito
«proto comunicazione politica»: «la testimonianza dei documenti […] ci fa
pensare che proprio le numerose elezioni, a Roma, come nelle province
periferiche, abbiano spinto all’elaborazione di sofisticate tecniche di
comunicazione delle campagne elettorali […] Alcuni termini entrati nell’uso
nell’epoca moderna – candidato, comizio – risalgono a quella esperienza» [2004,
corsivo mio].
La comunicazione politica, così come la definiamo oggi, si afferma nel XX secolo
e l’aumento della sua incidenza coincide con la sempre maggiore diffusione dei
mezzi di comunicazione di massa. C’è un nesso interessante dunque tra
comunicazione politica – intesa come libera competizione tra contendenti – e
democrazia; la competizione è peraltro assente nei regimi non democratici dove è
la propaganda (adeguatamente manipolata) a regolare i rapporti comunicativi.
Come insegna la retorica ogni comunicazione avviene in un contesto e oggi –
nella società globalizzata e mediatizzata – i contesti sono plurimi, intrecciati e
trasparenti. Di conseguenza la comunicazione in generale, e quella politica in
particolare, devono fare i conti con una sempre maggiore multidimensionalità dei
processi di interazione. Come vedremo, nelle competizioni elettorali non basta più
il contatto diretto candidato-elettore, ma è necessario utilizzare al meglio lo spazio
pubblico mediatizzato.
Se c’è un contesto – e a maggior ragione se ce ne sono molti – si rende necessaria
la presenza di coloro che occupano il contesto e competono al suo interno: gli
attori.
Mazzoleni [ibidem] individua tre attori principali: il sistema politico (in cui
include anche il sub-sistema partitico), i media e il cittadino-elettore. Le
interazioni tra questi tre attori principali definiscono la comunicazione politica,
ossia «lo scambio e il confronto dei contenuti di interesse pubblico-politico
prodotti dal sistema politico, dal sistema dei media e dal cittadino-elettore»
[ibidem]. E’ innegabile che nella società moderna i media esercitino un potere:
quello di influenzare le scelte politiche. Non solo influenzano l’opinione pubblica,
ma selezionano tematiche specifiche e le portano al centro del dibattito pubblico
(processo di agenda building).
Dunque oggigiorno è assolutamente impensabile concepire un sistema politico
che non tenga conto dell’importanza dei media e della comunicazione. Sono
caduti i confini, il dibattito non si svolge più soltanto nelle piazze, nelle sedi di
partito e nelle stanze del potere. I media hanno abbattuto il muro che divideva
cittadini e istituzioni e hanno costretto l’intero sistema politico a comunicare
direttamente con l’elettorato. Ma a che prezzo? Sicuramente la massiccia
diffusione dei moderni mezzi di comunicazione ha prodotto il cosiddetto
fenomeno della commercializzazione della politica. Gli effetti si ripercuotono su
entrambe le variabili in analisi: i media e la politica. Per quanto concerne la prima
l’effetto probabilmente più rilevante è la nascita di una pratica tanto diffusa
quanto discussa: l’infotaiment; un neologismo che sta ad indicare una fusione tra
informazione e intrattenimento, e che segna l’affermazione delle cosiddette soft
news, le quali vengono affiancate alle hard news per ottenere successi dal punto di
vista dell’audience senza snaturare il ruolo informativo dei media.
Passando agli effetti sul sistema politico è necessario soffermarsi su almeno tre
aspetti: commercializzazione, personalizzazione e selezione dei candidati.