Da queste considerazioni l’argomento da me trattato: sistemi e strumenti
innovativi di formazione, dall’Assessment Center al Development Center.
Proprio perché oggi il sapere è riconoscibile come un vero capitale, fatto di beni
non tangibili ma comunque in grado di produrre ricchezza e benessere, oltre che
altro sapere, produce un cambiamento che ha effetti particolarmente positivi:
sicuramente l’allontanamento da un capitalismo rigido, il declino delle ideologie
totalitarie, il venire meno del timore dell’autorità, una nuova disponibilità e
un’accresciuta tolleranza verso la diversità culturale ed etnica, una maggiore
disponibilità di informazioni, possibilità di scambio culturale e comunicazione tra
gli individui.
Le imprese non competono più solo sul mercato dei prodotti e servizi, ma anche
su quello del lavoro, per attrarre e mantenere i migliori talenti, per accrescere la
loro conoscenza e il loro patrimonio di persone e idee.
E’indispensabile pertanto saper identificare e gestire il capitale intellettuale perché
la risorsa-uomo è la sola dotata di flessibilità, della capacità di adattamento e della
creatività che rappresenta il presupposto base per il progresso del business
dell’epoca post-moderna, basata essenzialmente sulla capacità di acquisire,
comunicare e dinamizzare un patrimonio di conoscenza.
Proprio perché “nella New Economy sono le idee, i concetti, le immagini, e non le
cose, i componenti fondamentali del valore”
1
, gli uomini che compongono le
organizzazioni non possono più essere considerati come semplici numeri, ma si
rende indispensabile la valorizzazione della loro soggettività in quanto elemento
di successo.
Riacquistano quindi importanza i metodi di valutazione obiettiva delle risorse,
l’acquisizione della conoscenza delle potenzialità che si posseggono o che si
dovrebbero possedere attraverso strumenti e metodi anche di tipo psicologico, che
stanno sempre più mostrando validità scientifica ed efficacia.
Tutti coloro che lavorano all’interno delle aziende nell’ambito delle Risorse
Umane si confrontano, sempre più frequentemente, con questioni cruciali relative
1
Citazione di Jeremy Rifkin, tratta da “L'era dell'accesso. La rivoluzione della new
economy”,Mondatori 2001.
alla gestione delle carriere, alla identificazione del potenziale, alla retention e allo
sviluppo dei talenti.
In questo contesto la formazione costituisce un anello di congiunzione tra
l’azienda e la forza lavoro in quanto tesa a valorizzare il personale e ad allinearne
le competenze rispetto alle sfide poste dal contesto e nello scenario, in riferimento
alla mission e alla strategia aziendale.
Il paradigma essenziale di un nuovo modello di formazione professionale dipende
dalla sua capacità di adattare le risposte alla individualità ed allo stile di
apprendimento dei singoli utenti attraverso una diversificazione dei percorsi
formativi.
2
In questo senso, l’Assessment rappresenta un sistema di valutazione e di
misurazione del potenziale, delle competenze e delle performance degli individui,
in genere in riferimento ad un contesto organizzativo e di ruolo specifico.
Per la sua completezza e in ragione della validità che ha saputo dimostrare, offre
numerose applicazioni operative che soddisfano le esigenze di trasparenza e di
obiettività oggi richieste da molte realtà aziendali.
Per queste ragioni la formazione delle persone non può più limitarsi
all’apprendimento delle sole tecniche professionali, certo necessarie, ma non più
sufficienti. Gli attori devono quindi essere in grado di diagnosticare i problemi e
saper elaborare strategie efficaci, decidere in situazioni di cooperazione e di
conflitto; ma soprattutto devono prendere coscienza del fatto che operano in
situazioni organizzative dove la ricerca di una razionalità “assoluta” si scontra con
processi operativi governati da logiche di tipo diverso.
Ma le aziende sono pronte a tradurre tutto questo in realtà operativa, sul campo?
Quelle che appaiono acquisizioni ormai condivise sul piano teorico, quanto lo
sono nella pratica dei comportamenti aziendali?
Nonostante il percorso da compiere appaia ancora lontano dall’essere completato,
nel corso degli ultimi anni sembra essere cresciuta l’attenzione per la ricerca e lo
sviluppo, in ambito formativo, di nuovi approcci, metodi, esperienze e soluzioni.
Coerentemente con questa impostazione, le argomentazioni proposte in questo
2
Tratto da P.G. Bresciani, D. Callini (a cura di), “Personalizzare e. individualizzare. Strumenti di
lavoro per la formazione”, Franco Angeli,. Milano, 2004
percorso di ricerca, tentano di individuare uno specifico ambito nel quale
valutazione e formazione, teoria e pratica, si incontrino in un’ottica di sviluppo:
l’Assessment ed il Development Center.
La tesi si sviluppa attraverso un percorso che va a confermare, in crescendo,
l’ipotesi di partenza, dalle teorie generali, alle più specifiche, alla pratica.
Nel primo capitolo “Il capitale intellettuale”, ho inquadrato il contesto odierno
del mercato del lavoro e del fabbisogno di risorse umane, evidenziando
l’importanza che queste rivestono ai fini dello sviluppo delle organizzazioni.
Ponendo l’accento sul concetto di competenze e sui principali oggetti di
valutazione nelle aziende: posizioni, prestazioni, potenziale.
Nel secondo capitolo “Percorsi innovativi di formazione”, ho fornito una
panoramica del multiforme mondo della formazione, cercando di delineare un
quadro delle differenti accezioni che essa assume in riferimento ai contesti di
applicazione e alle classi di soggetti ai quali si rivolge, analizzando in modo
particolare il campo della formazione professionale.
Ho, quindi, illustrato il processo di programmazione della formazione attraverso
un insieme di scale operative, identificate adottando un’articolazione per fasi.
Inoltre ho cercato di evidenziare l’obiettivo di interventi in ambito formativo e le
diverse metodologie che in seguito possono essere adottate per lo sviluppo delle
competenze.
Nel terzo capitolo “Dalla teoria alla pratica pratica professionale: l’Assessment
Center”, ho delineato i passaggi storici essenziali attraverso cui la metodologia di
Assessment si è evoluta, con riferimento ai presupposti teorici e culturali che ne
favorirono la nascita e lo sviluppo. Ho quindi presentato e classificato le diverse
tecniche comunemente utilizzate nella realizzazione di questo modello di
intervento ed il loro possibile impiego per scopi di selezione, orientamento,
valutazione del potenziale e formazione / sviluppo. Ponendo particolare attenzione
sulle fasi della sua progettazione ed in particolare sull’utilizzo dei risultati
ottenuti.
Nel quarto capitolo “Dall’Assessment Center al Development Center”, ho reso
ragione del diffondersi di dispositivi che possono essere complessivamente
collocati nell’ambito della definizione di Development Center, rappresentanti una
rielaborazione ed evoluzione relativamente recente dell’Assessment Center in una
prospettiva di sviluppo personale.
Nel quinto capitolo “Un caso aziendale: l’esperienza Alitalia”, descrivo il caso
aziendale attraverso la mia personale esperienza di lavoro, e prima ancora di
assessment selettivo e formativo, in Alitalia.
Infine porto a conclusione il lavoro svolto, unendo la teoria alla pratica,
attraverso conclusioni personali, particolari e generali, concretizzando lo scopo
della tesi, ossia l’interesse per un argomento attuale, che riguarda tutti da vicino,
ma in particolare noi giovani che ci affacciamo al mondo del lavoro, come è
possibile migliorare la gestione delle risorse umane attraverso l’imprescindibile
contributo formativo e le sue nuovissime forme d’attuazione ed intervento, perché
le stesse diventino effettivamente quello che sono in potenzialità, cioè la variabile
del successo aziendale che permetterà all’organizzazione di essere vincente.
CAP. I “IL CAPITALE INTELLETTUALE”
1.1 UNA CORNICE TEORICA
L’attività di sviluppo delle persone che lavorano nelle organizzazioni è stata
protagonista negli ultimi anni di significative trasformazioni che non si sono
ancora esaurite e che stanno modificando paradigmi, modelli e strumenti cui gli
specialisti di human resources si sono tradizionalmente affidati.
Il cambiamento che investe lo human resources development sta riguardando
imprese e organizzazioni di tutto il mondo, con un sicuro maggiore impatto per le
organizzazioni più avvezze alla problematica dello sviluppo del personale e più
caratterizzate da dimensione globale o internazionale.
E’soprattutto in questa realtà, prevalentemente di matrice nordamericana ed
europea, che sono avvenuti cambiamenti di contesto che hanno obbligato a
rivedere principi e strumenti con cui si cura lo sviluppo delle risorse umane.
I cambiamenti di contesto più significativi sono identificabili su tre fonti:
• Cambiamenti nelle “regole del gioco” per la competitività delle imprese
• Cambiamenti nelle caratteristiche delle organizzazioni
• Cambiamenti nelle culture sociali e politiche dei Paesi ad economia
avanzata
Questi cambiamenti di contesto conducono anche ad una diversa “visione” delle
persone nelle organizzazioni e ad un conseguente ripensamento dei sistemi di
valutazione adottati, come verrà illustrato più avanti.
La competitività delle imprese e delle organizzazioni che si confrontano con
qualche forma di mercato (presenza di concorrenza e clienti da soddisfare) e,
quindi, anche con performance di qualità, innovazione e velocità, risiede sempre
di più nella qualità professionale delle persone che vi lavorano e nel patrimonio di
know-how di cui riescono a disporre.
3
3
Questa convinzione, si basa su due importanti ordini di considerazioni: la prima
considerazione è che altri fattori di competitività, come ad esempio la disponibilità finanziaria per
investimenti o la proprietà di un brevetto di un prodotto innovativo, rimangono aspetti rilevanti ma
non consentono di mantenere nel tempo una “differenza” con i concorrenti; il vantaggio
A questo proposito, è interessante rilevare l’attenzione che sta ricevendo in molte
imprese il modello della Balanced Scorecard
4
, modello di governo e controllo con
il quale si suggerisce che i buoni risultati sul fronte economico-finanziario
possono essere raggiunti attraverso buone performance nelle seguenti dimensioni:
dimensione clienti, dimensione processi e, in ultima analisi, dimensione
innovazione e apprendimento.
E’quindi attraverso la qualità delle risorse umane, l’eccellenza delle competenze
apprese, il patrimonio di know-how e professionalità acquisito, che l’impresa può
ottenere performance competitive e sempre migliorabili.
Le organizzazioni per far fronte alle sfide competitive e agli obiettivi di business,
si sono trasformate o si stanno trasformando in organizzazioni più snelle,
contemporaneamente più differenziate ed integrate, funzionanti per processi e a
rete, meno a posizioni fisse, più a ruoli fluidi, più professionalizzate.
Le organizzazioni diventano sempre più professionalizzate: la rappresentazione
classica dell’organizzazione piramidale fatica oggi a spiegare come è fatta
un’organizzazione, non solo perché il principio gerarchico deve fare i conti con gli
“incroci”, le matrici, i team, i processi, ma anche perché la piramide prevede una
base larga che, salendo, via via si restringe fino ad arrivare al vertice.
Non solo nelle aziende high-tech o nel settore dei servizi avanzati, ma in tutti i
comparati industriali e dei servizi il fenomeno che è avvenuto è stata la crescita
quantitativa di ruoli da professional, cioè di ruoli caratterizzati da una discreta
dose di autonomia professionale, che richiedono scolarità e competenza
professionale e le cui performance sono confrontate con gli standard accettati
nelle famiglie professionali di riferimento.
competitivo può essere tenuto nel tempo solo da persone con livelli di competenza così alti da
poter rigenerare di continuo elementi di vantaggio competitivo. Il secondo ordine di considerazioni
attiene al “come” vengono prodotte performance aziendali eccellenti, e quindi al contributo che
competenze, professionalità e know-how danno alla produzione di buoni risultati d’impresa: è
ormai prassi delle aziende più avanzate pianificare, gestire e controllare i risultati aziendali non
limitandosi alla dimensione economico-finanziaria, ma considerando anche la dimensione dei
clienti (ad esempio il risultato di soddisfazione o di fidelizzazione), la dimensione dei processi (ad
esempio i risultati di efficienza e di efficacia dei core processes) e, importante per il ragionamento
che si intende seguire, anche la dimensione dell’innovazione e dell’apprendimento (ad esempio
considerando i risultati di acquisizione, sviluppo e diffusione di competenze rilevanti per gli
obiettivi di business).
4
Modello proposto da Kaplan e Norton (1996)
Oggetto delle attenzioni di sviluppo non possono essere soltanto i ruoli
manageriali o i “talenti” ad alto potenziale (che sono i tradizionali fruitori
dell’human resources development), ma anche da tutti i professional da cui si
attendono competenze adeguate a garantire performance competitive.
Valutare e sviluppare le competenze di un professional avrà allora il senso non
solo di favorire l’ulteriore crescita professionale, ma soprattutto di garantirsi che
anche da subito le sue competenze e le sue performance migliorino in modo da
avere processi aziendali competitivi.
A fronte di questi cambiamenti in atto nella sfera dello sviluppo risorse umane, in
particolare per quanto riguarda la visione delle persone nelle organizzazioni si può
affermare che si può guardare ad esse con approcci, ruoli e rilevanze diverse.
I quattro approcci illustrati sono normalmente compresenti, si sono storicamente
presentati nella sequenza proposta e l’ultimo approccio si è recentemente diffuso
in molti settori e con riferimento ad ampi strati della popolazione organizzativa.
La visione delle persone che lavorano in un’organizzazione come ”forza lavoro” è
quella più antica, ma non per questo abbandonata.In questa prospettiva le persone
sono viste come energia e come numeri: la forza lavoro è innanzitutto forza fisica,
ma significa anche numero di persone che servono per realizzare una determinata
attività e per produrre un determinato risultato.
Oggi, l’applicazione più evidente di questo approccio è la valutazione dei costi e
degli organici necessari per realizzare nel modo più efficiente possibile un’attività
o un processo.
In questa prospettiva, la qualità delle persone che lavorano nell’organizzazione è
un aspetto di gran lunga meno rilevante, con l’eccezione delle poche persone che
dirigono; ancor meno interessante, per questa prospettiva, è l’attenzione alla
qualità personale e professionale del singolo.
Il secondo aspetto ricordato propone di guardare alle persone come “esseri
umani”. La semplificazione dell’espressione utilizzata sta a significare che alcune
ben note dimensioni non efficientissime e non economicistiche hanno
un’importanza straordinaria sulla motivazione delle persone al lavoro e
sull’ottenimento dei risultati aziendali. Si fa qui riferimento, ad esempio, alle
dimensioni del clima organizzativo, del rispetto della dignità umana, della qualità
delle relazioni interpersonali, della gradevolezza ambientale, dell’attenzione
all’individuo.
Oggi, questa prospettiva la si può intrecciare, ad esempio, sia negli stili di
leadership praticati da molti manager cresciuti alla scuola dello “stile
partecipativo”, sia in programmi e iniziative aziendali che tendono a sviluppare
identificazione, benessere e attenzione individuale.
Quando le persone sono gestite nell’organizzazione come “forza lavoro” o come
“esseri umani”, non si è ancora entrati nella sfera dello sviluppo delle risorse
umane.
E’soltanto con gli altri due approcci che vengono prese in considerazione quelle
attività e quelle iniziative che passano sotto il nome di human resources
development.
La visione delle persone che lavorano in un’organizzazione come “risorse da
valorizzare” si diffonde a partire dagli anni ’60-’70 e si basa su una serie di
convinzioni. La prima e più importante sta nel significato stesso dell’espressione
qui usata: le persone sono “risorse organizzative”, il cui impiego all’interno
dell’organizzazione va valorizzato al massimo; è quindi fondamentale cominciare
ad avere un’attenzione qualitativa alle caratteristiche delle persone, per capire
come il loro contributo può essere valorizzato dentro l’organizzazione.
La gestione delle risorse umane deve tener conto delle posizioni organizzative
ricoperte e delle prestazioni che si forniscono, ma anche, in misura rilevante, delle
potenzialità che le persone esprimono per la loro crescita nell’organizzazione.
Anche perchè l’interdipendenza tra persone e organizzazione è molto alta: le
organizzazioni mutano nel tempo, sono influenzabili dalle capacità e dalle
potenzialità delle persone, il futuro va pensato prevedendo contemporaneamente
lo sviluppo dell’organizzazione e delle persone.
Da queste tre convinzioni si generano una serie di attività, di prassi e strumenti
che sono oggi bagaglio di moltissime organizzazioni, sia grandi, sia di medie
dimensioni.
Innanzitutto nelle aziende nascono le funzioni di Sviluppo Risorse Umane e
quindi si legittima anche a livello di strutture e ruoli organizzativi questo
approccio. Nelle aziende ci si dota quindi di sistemi di valutazione professionali,
si avviano programmi di formazione manageriale, si costruiscono più o meno
fortunati sentieri di carriera, piani di successione, piani a medio termine per lo
sviluppo dell’organizzazione e delle risorse umane.
La strumentazione collegata a tale approccio si consolida nel corso degli anni ’80
e nei primi anni ’90, di pari passo con un principio che risulta molto funzionale in
un determinato periodo storico, ma che ne fa anche il suo limite: il principio di
selettività.
La visione delle persone come risorse da valorizzare fa quindi riferimento al
management: i sistemi di valutazione, i programmi formativi, i piani di carriera
vengono costruiti per la gestione e lo sviluppo del management.
I sistemi di valutazione del potenziale servono allora proprio per riconoscere
precocemente i talenti di cui curare in modo attento lo sviluppo professionale e di
carriera.
L’ultimo approccio proposto, quello che vede le persone come “motore del
business”, è complementare al precedente e tiene conto di alcune evoluzioni di cui
si è detto all’inizio.
Il vantaggio competitivo è dato dall’eccellenza delle competenze espresse da tutti
coloro che lavorano sui processi che producono performance competitive.
In questo senso le persone, e in particolare le competenze che le persone
esprimono, sono il motore che consente di essere competitivi nel proprio settore di
business.
La connessione tra competenze, risultati e competitività è molto alta, e quindi
l’attenzione che si pone alla misurazione e allo sviluppo delle competenze diventa
di vitale importanza.
Inoltre, le organizzazioni sono molto più fluide, difficilmente prevedibili nel loro
sviluppo futuro e popolate di professional.
Ciò rende da una parte sempre più difficile, come negli altri campi della gestione
aziendale, fare previsioni e programmi sul futuro di medio termine
dell’evoluzione di strutture e posizioni; dall’altra, richiede di adottare logiche di
sviluppo che tengano conto delle famiglie professionali e della numerosità
crescente di persone che diventano oggetto e protagonisti dello stesso human
resources development.
La visione delle persone come motore del business è quindi complementare della
visione delle persone come risorse da valorizzare, nel senso che entrambe
confidano che l’organizzazione possa essere un luogo in cui sia possibile
combinare gli obiettivi organizzativi con lo sviluppo delle persone, ma l’approccio
delle persone come motore del business suggerisce anche che il collegamento tra
competenze, risultati e competitività è strategico e che la misurazione e lo
sviluppo delle competenze riguarda diffusamente tutti i manager e i professional
dell’organizzazione.
5
Dunque, se fino ad oggi in termini di gestione e di patrimonio aziendale
l’attenzione alle imprese è stata rivolta a fattori diversi dal capitale umano,
privilegiando in particolare impianti, processi produttivi, clienti e finanza. Le
risorse umane, benché formalmente dichiarate cardini della vitalità dell’impresa,
sono di norma relegate in secondo piano.
Ciò non stupisce se si considera che, tradizionalmente, al fattore umano è sempre
stato applicato il principio della interscambiabilità, ovvero della possibilità di
sostituire una risorsa umana con un’altra parimenti adatta a svolgere l’attività
richiesta.La risorsa umana, in quanto componente parcellizzata della produzione
di valore aggiunto, è considerata sostituibile qualunque sia il suo livello di bravura
e specializzazione.
5
V.Migliori, A.Rolandi, 2000, Development Center, Etas, Torino.
L’economia d’impresa dunque, considera solo in casi rarissimi le risorse umane
come un vero e proprio capitale. Si parla infatti di goodwill, cioè di un maggior
valore attribuito al patrimonio netto di un’impresa in base a diversi elementi:
qualità e persistenza della clientela, visibilità del marchio, rete di vendita,
particolare know-how posseduto da alcuni operatori e altre situazioni specifiche.
In questi ultimi tempi si riscontra però che il valore delle imprese si sta
progressivamente spostando dagli elementi patrimoniali tangibili a quelli
intangibili. Ciò è particolarmente evidente nei settori avanzati e a rapida
evoluzione, nonché in tutti i settori dei servizi.
L’apertura e la trasformazione dei mercati impongono alle imprese
ristrutturazioni, acquisizioni, fusioni, creazione di network, joint venture ecc.
Tutto ciò ha inevitabilmente effetti anche sul lavoro: aumentano i rapporti
flessibili, la mobilità, i problemi di eccedenze e di rotazioni del personale. In
particolare lo scenario del lavoro in seguito all’aumentata competizione, è
caratterizzato dalla scarsità dell’offerta, dalla riduzione progressiva dei rapporti
subordinati e dall’insorgere della imprenditorialità professionale. Sicuramente
stiamo vivendo una rivoluzione non direttamente percepibile e non cruenta ma
comunque forte ed importante, soprattutto per quanto riguarda l’impiego ed il
reimpiego delle risorse umane. A questo punto le imprese devono considerare le
proprie risorse da altre angolazioni, focalizzandosi sul know-how posseduto e
applicato dagli operatori aziendali, facendo emergere così un nuovo modo di
rappresentare la ricchezza di un’impresa.
Maslow
(1954)
McClelland/Dailey
(1961)
Vroom
(1964)
• bisogni fisiologici: che riguardano le
necessità di fondamentali dell’individuo
e sono la premessa necessaria in ogni
altro desiderio
• bisogni di sicurezza: cioè la possibilità
di garantirsi una sicurezza fisica e
psicologica duratura
• bisogni di appartenenza: relativi al
desiderio di crearsi una rete relazionale
in cui si è riconosciuti e si riceve
approvazione
• bisogni di stima: riguardanti la
reputazione, la collocazione sociale e
l’immagine di sé che gli individui
costruiscono
• bisogni di autorealizzazione: la cui
soddisfazione si manifesta
nell’accettazione di se, nella spontaneità
e nella capacità di creare relazioni
umane profonde
• il successo (achievement
need): bisogno di affermarsi
confrontandosi con parametri
di eccellenza, di successo
personale e di realizzazione
di performance straordinarie.
Il rapporto con l’altro è
strumentale a ciò e le
componenti affettive della
relazione rappresentano un
ostacolo. In termini
organizzativi si esprime come
bisogno di dimostrare
competenze ed eccellenza
professionale, che spinge
l’individuo a porsi obbiettivi
impegnativi e a lavorare con
maggiore impegno quando si
aspetta di ottenere dei
riconoscimenti personali per
lo sforzo.
• il potere (power need):
bisogno di influenzare l’altro,
di indirizzarne il
comportamento in funzione
di una propria esigenza.
Esprime la necessità di
conferma della propria
possibilità di dominio sociale.
In termini organizzativi si
esprime come bisogno di
controllare il lavoro proprio e
altrui, esercitando l’autorità
sulle persone in modo
visibile.
• l’affiliazione (affilation
need): bisogno di stabilire,
mantenere o ripristanre un
rapporto affettivo con
un’altra persona. L’altro è
valutato soprattutto quale
potenziale occasione di
gratificazione o frustrazione
affettiva. In termini
organizzativi induce
comportamenti volti alla
creazione di relazioni sociali
per evitare l’isolamento, e
orienta le persone a instaurare
legami di amicizia e
confidenziali anche sul
lavoro.
• la valenza, cioè le preferenze personali
rispetto a una ricompensa
• le aspettative, cioè il legame tra
intensità dello sforzo e beneficio
ottenuto
• la strumentalità, cioè la credenza che
una volta completata la performance
verrà anche assegnata una ricompensa
1.2 PERSONE, MOTIVAZIONI E COMPETENZE
1.2.1 Perché la motivazione?
Per comprendere i motivi per cui le persone agiscono in un certo modo secondo
spinte che guidano i loro comportamenti, bisogna individuare la loro
motivazione, intesa come il processo dinamico che finalizza l’attività di una
persona verso un obiettivo. La motivazione può essere analizzata secondo due
criteri: in base ai contenuti cioè alle ragioni che spingono ad adottare un certo
comportamento, e in base al processo, cioè la dinamica attraverso la quale si passa
da un’insieme di bisogni a una linea di condotta.
1.2.2 Una prospettiva più ampia: le competenze
Identificare le persone in termini di competenze apre una prospettiva più ampia
rispetto alla considerazione delle sole motivazioni. Queste ultime infatti possono
essere ricomprese nelle competenze. Il termine competenza nel linguaggio
comune ha un doppio significato: da un lato designa il diritto o il dovere di
conoscere una certa situazione e di occuparsene, da un altro la capacità di
occuparsene in maniera adeguata. Quindi, competenza come professionalità, ma
anche come legittimazione a esercitarla su un determinato oggetto.
6
6
Plane 2003, p. 76
Si può distinguere tra competenze professionali, che sono abilità tecniche
contestualizzate, e competenze comportamentali, più trasversali e suscettibili di
essere trasportate da una situazione a un’altra, di essere applicate a contesti
professionali diversi. Per rilevare queste competenze MCClelland e Dailey (1972)
misero a punto una tecnica definita BEI (Behavioural Event Interview) che si basa
sulla ricostruzione e interpretazione analitica di situazioni di lavoro portate a
termine con successo e di altre finite con un insuccesso.
Le competenze professionali sono le più visibili e quindi apparentemente più
facilmente identificabili e classificabili per la costruzione dello stock di
competenze aziendali e quindi delle capacità organizzative. Le competenze
professionali di una persona sono costituite da conoscenze, abilità, saperi,
atteggiamenti, qualità, esperienza. Le competenze di questo tipo sono molto
contestualizzate in un ambito organizzativo e professionale e comprendono: le
conoscenze, il sapere empirico, le meta-conoscenze
Boyatzis distingue due tipi di competenze: competenze di soglia, che sono
caratteristiche minime essenziali per coprire un certo ruolo e competenze
distintive che sono quelle caratteristiche che differenziano la prestazione e la
portano a un livello superiore (si tornerà sull’argomento più avanti nel capitolo).
Per l’efficacia dei comportamenti organizzativi è si parla ormai di intelligenza
emotiva, che si manifesta attraverso due tipi di competenze: la prima è la
competenza personale, intesa come consapevolezza, padronanza di se e
motivazione, la seconda è la competenza sociale, intesa come modalità di
gestione delle relazioni con gli altri, che dipende dall’empatia e dalle abilità
sociali. In altri termini, l’intelligenza emotiva è l’abilità di comprendere,
sperimentare e utilizzare le emozioni come fonte di energia umana, di
informazioni, di relazioni e di influenza. In conclusione, l’insieme delle
competenze di un individuo determina l’autonomia di cui può godere in diversi
contesti organizzativi aumentando o diminuendo il suo valore e i margini di
libertà rispetto al ruolo assegnato. Concludendo, le competenze sono il fulcro su
cui poggiano le leve gestionali e le motivazioni forniscono l’energia per azionarle.