1. Introduzione
cassa: si tratta però di un dispositivo molto complesso da realizzare e che richiederebbe comun-
que un’eccessiva energia per funzionare. Solo la Lotus ha effettuato degli studi in questo campo,
realizzando per alcuni anni sospensioni di questo genere, che poi non hanno avuto seguito, nep-
pure presso altre Case, per problemi di costi, affidabilità, consumi energetici.
Attualmente, si parla di sospensioni attive quando sono presenti elementi elastici o smorzanti con
caratteristiche variabili, spesso associati ad altri elementi si tipo tradizionale; in questo caso sareb-
be più corretto adottare la definizione di sospensioni semi-attive, o adattative, in quanto si tratta di
sistemi adattabili ma sostanzialmente analoghi agli omologhi passivi. In termini più rigorosi, le so-
spensioni si classificano come attive, semi-attive o adattative in base alla potenza assorbita ed alla
frequenza di attuazione, che sono molto elevate per le prime e molto basse per le ultime (nulle
per le sospensioni passive).
La soluzione più semplice, che si pone come obiettivo il miglioramento del comfort, è l’impiego
di ammortizzatori con smorzamento variabile, in modo discreto (alcuni livelli predefiniti) o con-
tinuo; si utilizzano classici ammortizzatori ad olio, ma con sistemi di valvole regolabili, oppure, a
livello di ricerca, fluidi reologici, che variano la propria viscosità in base all’azione di campi ma-
gnetici esterni.
Sta diventando sempre più diffuso anche l’impiego di elementi elastici con caratteristiche regola-
bili, che fanno uso di tecnologie diverse tra di loro: l’ABC (Active Body Control ) della Mercedes
prevede molle elicoidali sovrastate da attuatori idraulici, che modificano il precarico delle molle e
gestiscono l’assetto del veicolo; il sistema Adaptive Air Suspension dell’Audi è costituito da molle
pneumatiche a rigidezza variabile, mentre la BMW ha scelto la regolazione attiva delle due barre
antirollio (Active Roll Control, ARC ) per migliorare il comportamento stradale. Questi sono solo
alcuni tra i più noti sistemi attualmente in produzione, ma non bisogna dimenticare il contributo
di altre Case, come per esempio la Citroën, nota per l’impiego, a lungo esclusivo, di sospensioni
pneumatiche. Suoi i primi sistemi di controllo delle caratteristiche delle molle ad aria, inizialmente
con automatismi di tipo meccanico e idraulico (sospensioni idropneumatiche), poi con l’utilizzo
dell’elettronica.
1.2. Obiettivi della tesi
Lo scopo del lavoro è la definizione delle logiche di controllo e di attuazione di un sistema di so-
spensioni attive, realizzato con molle ad aria, da montare su una vettura di classe media, l’Alfa
Romeo 156, della quale è disponibile un modello matematico realizzato in ambiente Simulink.
Questo modello, realizzato nel Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Torino, consente la
simulazione del comportamento dinamico del veicolo ed è stato largamente impiegato per
l’implementazione di strategie di controllo dei principali sistemi attivi di ausilio alla guida.
Dopo alcuni richiami dei concetti fondamentali della Meccanica del Veicolo e una prima fase di
prove sul modello di partenza, per definire l’influenza dei vari parametri oggetto del controllo,
viene descritta la logica di controllo delle sospensioni attive che è stata aggiunta al modello, ed in-
tegrata con le logiche degli altri sistemi.
Gli obiettivi perseguiti nel definire le logiche di intervento delle sospensioni attive sono moltepli-
ci, in quanto esse sono in grado di modificare completamente sia il comportamento stradale che il
grado di comfort di un’autovettura. Si è cercato di migliorare il comportamento stradale, sia per
quanto riguarda la sicurezza nel caso di manovre brusche, sia in termini di prontezza di risposta e
di gradevolezza di guida nelle situazioni più comuni. Anche al miglioramento del comfort di mar-
cia è stata dedicata una certa attenzione, e ciò ha richiesto una revisione del modello, che è stato
2
1.2. Obiettivi della tesi
modificato in modo significativo, per tenere conto anche della presenza delle masse non sospese
e studiare le vibrazioni trasmesse dalla strada al veicolo.
Insieme alla monosospensione si è realizzato anche un modello del circuito pneumatico e delle
molle ad aria per mezzo del software AMESim; si è cercato di progettare un impianto pneumati-
co quanto più dettagliato possibile, per tener conto dei ritardi e delle problematiche legate alla
pratica realizzazione di un impianto tutto sommato complesso da gestire, ma anche in vista
dell’eventuale realizzazione di un banco prova per lo studio di questo genere di sospensioni.
Il lavoro è stato certamente lungo e non facile, anche perché si sono affrontati diversi aspetti del
problema, dal controllo del comportamento dinamico del veicolo alla progettazione e modellizza-
zione del circuito pneumatico e dei componenti della sospensione. Proprio per la varietà degli ar-
gomenti affrontati è stato comunque molto istruttivo, ed ha consentito di prendere confidenza
con i metodi di lavoro e con gli strumenti di controllo e modellizzazione oggi diffusi in modo u-
niversale nell’industria automobilistica.
3
Capitolo
2
2. Richiami di
Meccanica del
Veicolo
2.1. Premesse
Il presente capitolo riporta, in forma sintetica, la nomenclatura e le metodologie usuali nello stu-
dio del comportamento dinamico degli autoveicoli, al fine di consentire la lettura della tesi anche
a coloro che non si siano mai occupati in modo specifico della Meccanica del Veicolo.
2.2. I modelli di veicolo a 4 ruote
Un’autovettura è un sistema complesso, che viene studiato utilizzando diversi modelli: il più sem-
plice è un modello “a bicicletta” a due o tre gradi di libertà, in cui le ruote di ogni assale sono vi-
ste come un’unica entità e che non tiene conto dei trasferimenti di carico, oppure il modello di
veicolo rigido, privo di sospensioni, che è un sistema a 3 g.d.l.
Aumentando la sofisticazione, si trovano modelli a 6 g.d.l., nei quali le ruote sono considerate ri-
gide e prive di massa e il loro moto relativo rispetto alla cassa è di pura traslazione verticale
(“scuotimento”, come viene definito solitamente). Tra i pneumatici e la cassa sono interposte le
sospensioni, ognuna costituita da una molla e da uno smorzatore ideali. Dunque il modello si ri-
duce a un corpo rigido su quattro appoggi elastici smorzati.
Per gli studi più approfonditi il modello può avere 10 g.d.l., se si considerano anche la rigidezza
(ed eventualmente lo smorzamento interno) dei pneumatici e la massa delle ruote e degli elementi
ad esse solidali (mozzo, freni, cuscinetti, bracci di sospensione etc.), ovvero le cosiddette masse
non sospese. In tale caso si hanno informazioni aggiuntive utili soprattutto per lo studio dei moti
di oscillazione verticale della vettura, e quindi del suo comfort di marcia. Per il comportamento
direzionale, invece, si ottiene una buona approssimazione anche utilizzando il modello a 6 g.d.l.
5
2. Richiami di Meccanica del Veicolo
Modelli con più di 10 gradi di libertà non vengono generalmente usati per studi generici sul com-
portamento dinamico, anche se esistono modelli molto complessi, con centinaia di gradi di liber-
tà, per simulare nel dettaglio il comportamento delle sospensioni, della trasmissione e del motore
e la loro interazione con la dinamica dell’autoveicolo: questi modelli, ovviamente, sono realizzati
quasi esclusivamente dalle industrie automobilistiche, nelle fasi avanzate di definizione di un mo-
dello.
2.3. Sistemi di riferimento
Asse di rollio, x
Asse di beccheggio, y
Asse di imbardata, z
H
G
Figura 2.1 – Sistema di riferimento per lo studio del comportamento dinamico di un veicolo
Figura
2.1
Si definiscono solitamente due diversi sistemi di riferimento per lo studio del moto globale del
veicolo: uno fisso, solidale al suolo, con gli assi X ed Y disposti parallelamente al piano stradale e
l’asse Z rivolto verso l’alto; l’altro solidale al veicolo, con origine nel punto H (intersezione tra
l’asse di rollio e la verticale passante per il baricentro), l’asse x orizzontale e rivolto in avanti, l’asse
z verticale e rivolto verso l’alto e l’asse y di conseguenza, a formare una terna destrorsa (v.
).
I gradi di libertà del veicolo sono dunque le coordinate del suo baricentro G nel sistema di riferi-
mento assoluto XYZ, e tre angoli: quello di rollio φ (rotazione intorno all’asse longitudinale), di
beccheggio θ (rotazione intorno all’asse trasversale) e di imbardata ψ (rotazione intorno all’asse
verticale).
In realtà l’asse di rollio, che dipende dalla geometria delle sospensioni, spesso è inclinato rispetto
all'orizzontale; se ne può tenere conto e definire un asse x non parallelo al suolo, ma in molti casi
lo si conserva orizzontale, se l’inclinazione è piccola; quest’approssimazione è utilizzata nel mo-
dello di veicolo utilizzato nel presente lavoro.
2.4. Forze scambiate dal veicolo
Le forze che agiscono su un autoveicolo in moto sono in generale le seguenti:
• Forza peso applicata al baricentro;
• Forza aerodinamica che agisce su tutta la superficie esterna e che si può ridurre ad una for-
za applicata al baricentro e un momento; solitamente, l’unica delle componenti presa in
6
2.4. Forze scambiate dal veicolo
considerazione è la forza orizzontale, che si esprime come
2
,
1
2
xaer a x
FVρ= CS dove ρ
a
è la
densità dell’aria, V la velocità relativa del veicolo rispetto all’aria, S la superficie della proie-
zione frontale del veicolo, C
x
un coefficiente di forma (coefficiente di resistenza aerodina-
mica);
• Forze scambiate dalle ruote col suolo, secondo le direzioni longitudinale x, trasversale y e
verticale z; esse dipendono dalle caratteristiche del pneumatico e dalle coppie traenti o fre-
nanti applicate alle ruote.
In particolare, è il caso di approfondire il comportamento dei pneumatici, che caratterizza in
buona parte la dinamica di un veicolo.
In generale, è possibile esprimere le componenti F
x
ed F
y
della forza trasmessa in funzione del ca-
rico F
z
gravante sulla ruota, per mezzo di un termine detto coefficiente di aderenza ed indicato
con µ
x
o µ
y
. I coefficienti di aderenza sono definiti come
x
x
z
F
F
µ = e
y
y
z
F
F
µ = , e sono dunque
tali da avere
xx
FF
z
µ= e
y yz
FFµ= .
Le forze longitudinali trasmesse dalle ruote motrici sono responsabili dell’avanzamento del veico-
lo, e sono proporzionali alla coppia erogata dal motore; le ruote non motrici, invece, producono
forze resistenti (resistenza al rotolamento).
La massima forza longitudinale trasmissibile da un pneumatico dipende dalle sue caratteristiche e
dalle condizioni del fondo stradale; in particolare, il coefficiente µ
x
può variare il proprio valore
massimo tra 0,1 (strada ricoperta da ghiaccio) e 1,1 (asfalto asciutto ed in buone condizioni, pneu-
matico ad alte prestazioni). Naturalmente, non è detto che si debba sfruttare tutta l’aderenza
disponibile, anzi, quasi mai si giunge al limite su strada normale; quindi il valore di µ
x
può variare
in tutto il campo di valori disponibili.
Il meccanismo fisico che provoca lo svilupparsi di forze nell’orma di contatto tra la strada e la
ruota è costituito dall’adesione per attrito col suolo e dall’isteresi del pneumatico [2]; nel caso del-
le forze longitudinali, le differenti condizioni nelle quali viene a trovarsi il pneumatico al variare
della forza che gli viene richiesto di trasmettere si possono caratterizzare per mezzo di un para-
metro detto scorrimento longitudinale (longitudinal slip) ed indicato con s.
Fisicamente, lo scorrimento rappresenta una misura dello strisciamento tra ruota e suolo. Esso è
definito dalla relazione
0
1s
ω
ω
=− dove ω è la velocità angolare della parte rigida della ruota, e ω
0
quella di una ruota indeformabile, di raggio pari a quello della ruota pneumatica, il cui centro trasli
con la medesima velocità che in quest’ultima. In pratica, al variare di s varia anche µ
x
, e quindi la
forza trasmessa. Il coefficiente di aderenza longitudinale varia anche con la velocità del veicolo,
riducendosi leggermente all’aumentare di questa.
Nel caso delle forze laterali, la grandezza che ne condiziona l’entità è l’angolo di deriva (indicato con
α) del pneumatico, ovvero l’angolo tra il piano medio e la velocità del centro ruota. Se tale angolo
è nullo, il pneumatico non sviluppa alcuna forza laterale, che nasce solo se la ruota si mette in de-
riva, perché la si costringe a muoversi secondo una direzione diversa da quella che sarebbe impo-
sta dal semplice rotolamento, provocando uno strisciamento laterale. Anche in questo caso, il co-
efficiente di aderenza µ
y
varia al variare dell’angolo di deriva α. Nella pratica, quando si sterzano
le ruote, la variazione della loro posizione crea un angolo di deriva, il quale genera le forze laterali
che fanno cambiare la direzione di marcia del veicolo.
In generale, ogni pneumatico ha una sua capacità di trasmettere forze, che dipende da tantissimi
fattori, principalmente dalle condizioni di aderenza del fondo stradale, quindi da un elemento da
7
2. Richiami di Meccanica del Veicolo
esso indipendente. Per caratterizzare in modo univoco un pneumatico è necessario eseguire delle
prove sperimentali in tutte le condizioni possibili, ed utilizzare i tracciati ottenuti dalle misurazioni
per ricavarne i valori delle forze trasmesse in differenti condizioni.
Per facilitare lo scambio di informazioni relative al comportamento dei pneumatici, è possibile u-
tilizzare delle formule di interpolazione, le cosiddette formule magiche o formule di Pacejka, che
sono di uso ormai generalizzato, e che consentono di tracciare i grafici relativi ad un pneumatico
utilizzando una serie di coefficienti caratteristici, ricavati da prove sperimentali su un esemplare
del pneumatico da caratterizzare. Il vantaggio è che basta una serie di coefficienti numerici (alcu-
ne decine), per ottenere, tramite apposite formule di calcolo standardizzate, i diagrammi caratteri-
stici di un pneumatico. Quest’ultima è la strada seguita nel modello utilizzato, che quindi richiede
come input i coefficienti caratteristici dei pneumatici che si vogliono utilizzare.
Per una caratterizzazione dettagliata dei pneumatici effettivamente impiegati sulla vettura studiata
si rimanda al paragrafo 3.3.
2.5. Concetti di base sul comportamento direzionale
2.5.1. Sterzatura cinematica e dinamica
Il modello più semplice per lo studio del moto di un autoveicolo è il cosiddetto modello “a bici-
cletta” , in cui le due ruote di ogni assale sono rappresentate come un’unica ruota equivalente.
Se questa presenta angolo di deriva nullo (cioè il vettore velocità del mozzo giace nel piano medio
della ruota), si parla di sterzatura cinematica: è una condizione ideale, che corrisponde per esem-
pio al comportamento di un veicolo su binari, in cui la traiettoria è imposta dall’esterno e le ruote
la seguono a causa di un vincolo di tipo, appunto, cinematico. Nei veicoli reali ciò non è mai veri-
ficato in quanto, come visto in precedenza, le forze laterali che consentono il cambio di traiettoria
possono essere generate solo dalla deriva dei pneumatici: la guida è sempre di tipo dinamico, e le
condizioni cinematiche possono essere avvicinate solo per velocità tendente a zero
1
.
G
O
L
b
R
β
δ
δ
V
O
R
δ−α1
β
V
δ
G
α1
α2
β
α2
V 1
V 2
a
(a) (b)
Figura 2.2 – Confronto tra condizioni cinematiche (a) e dinamiche (b).
1
se la velocità tende a zero, anche la forza centrifuga tende ad annullarsi e quindi per mantenere in traiettoria il vei-
colo non è necessario che le ruote producano forze laterali.
8
2.5. Concetti di base sul comportamento direzionale
L’utilità del concetto di condizioni cinematiche risiede nella possibilità di utilizzarle come riferi-
mento per valutare il comportamento direzionale dei veicoli, come si vedrà.
In un veicolo in condizioni cinematiche, l’angolo di sterzo δ necessario per ottenere una traietto-
ria circolare di raggio R, in condizioni di moto stabilizzato (cioè in condizioni stazionarie, o di re-
gime), è dato da:
cin
L
R
δ , (2.1)
mentre l’angolo di assetto del veicolo (ovvero l’angolo tra il vettore velocità del veicolo e il suo
piano medio) vale
cin
bb
RL
β δ= (2.2)
dove L e b sono rispettivamente il passo del veicolo e la distanza tra il baricentro e l’assale poste-
riore; le espressioni sono ottenute da semplici considerazioni geometriche sullo schema di
.a, e linearizzate in base all’ipotesi che il passo sia molto inferiore al raggio della traiettoria.
Figura
2.2
Figura 2.2
In condizioni dinamiche, questi angoli assumono valori differenti, a causa della deriva dei pneu-
matici. In particolare, se si fa riferimento alla , si può osservare che il raggio di curvatu-
ra della traiettoria varia in base all’entità degli angoli di deriva dell’assale anteriore a1 e di quello
posteriore a2: in condizioni cinematiche, con angoli di deriva nulli, il centro di curvatura è il pun-
to O, e la situazione è la medesima che in .a. In condizioni dinamiche invece possono
esserci tre casi:
Figura 2.3
Figura 2.3 – Schema per la visualizzazione del comportamento direzionale di un veicolo [1].
9
2. Richiami di Meccanica del Veicolo
• se
12
α α= , allora l’angolo AO’B tra le normali ai vettori velocità, che vale
21
δ αα+−, è u-
guale all’angolo AOB = δ, quindi il punto O’ si trova sulla circonferenza che passa per A, B ed
O. Essendo il passo del veicolo molto inferiore al raggio della traiettoria R’, il punto O’ ed il
punto O sono entrambi sull’arco di circonferenza diametralmente opposto all’arco AB, e
quindi , il raggio di curvatura dinamico coincide con quello cinematico. Un veicolo di
questo genere è definito neutro.
'RR
• Se invece
12
α α> , il centro di curvatura della traiettoria è il punto O’’ ed il raggio di curvatura
dinamico R’’ è maggiore di quello cinematico R; il veicolo è detto sottosterzante.
• Infine, nel caso in cui si abbia
12
α α< , il centro di curvatura è O’’’ ed il raggio R’’’ è minore di
R : il veicolo è sovrasterzante.
2.5.2. Equazioni del moto
Il sistema di riferimento in cui definire la posizione del veicolo (se questo si suppone rigido, privo
di sospensioni) è quello visibile in Figura 2.4: le coordinate generalizzate sono la posizione del ba-
ricentro nel riferimento inerziale XY e l’angolo di imbardata ψ, tra l’asse x del veicolo e l’asse X.
Le equazioni di equilibrio si possono scrivere come
()
(
xx
yy
zz
Fmamu v
Fmamv u
MJ
)
ψ
ψ
ψ
==−
==+
=
(2.3)
dove m e J
z
sono la massa del veicolo ed il suo momento d’inerzia del veicolo per rotazioni intor-
no all’asse verticale, u e v le componenti secondo x ed y della velocità V.
L’introduzione di queste componenti di velocità è dovuta al fatto che solo nel riferimento solidale
al veicolo risulta intuitiva l’analisi delle grandezze dinamiche calcolate: è molto più significativo
parlare di velocità longitudinale o trasversale del veicolo che non di velocità in un riferimento fis-
so, per esempio. C’è anche un motivo prettamente analitico: infatti per ottenere modelli lineariz-
zabili è necessario che i valori degli angoli che compaiono nelle equazioni siano sufficientemente
piccoli, il che può verificarsi solo nel sistema di riferimento del veicolo.
ψ
G
β
V
y
Y
x
Figura 2.4 – Sistema di riferimento per determinare la traiettoria del veicolo.
Il semplice modello lineare così ottenuto, descritto in tutti i testi di Meccanica del Veicolo (p.es.
[1], [3], [4]), prende in considerazione come variabili del moto la velocità di imbardata r ψ= e
10
2.5. Concetti di base sul comportamento direzionale
l’angolo di assetto β (oppure la velocità laterale v), disaccoppiando le equazioni relative al com-
portamento direzionale da quella che descrive la dinamica longitudinale del veicolo:
(2.4)
()
,
,
ry
z
mV r mV Y Y r Y F
Jr N Nr N M
βδ
ββ
++ = + + +
=+++
est
z
In queste espressioni compaiono le cosiddette derivate di stabilità Y
β
, N
β
etc, che sono coefficienti
costanti o dipendenti dalla velocità del veicolo V (che è considerata un input del problema), per
mezzo dei quali le forze vengono espresse come funzioni lineari delle variabili del moto (β, r ) e
degli input (δ ).
Dalle equazioni linearizzate si possono ricavare in modo analitico le risposte a regime del veicolo,
la cui espressione in funzione dei parametri geometrici e dei pneumatici consente di trarre infor-
mazioni sull’influenza qualitativa di queste grandezze.
È uso comune esprimere i valori assunti a regime dall’angolo di sterzo e di assetto in funzione dei
loro valori cinematici, correggendo questi ultimi con un’espressione nella quale compare il cosid-
detto fattore di stabilità (o anche gradiente di sottosterzo) K
u
. L’angolo di sterzo si esprime come:
(
2
1
u
L
KV
R
δ =+
)
, (2.5)
mentre l’angolo di assetto del veicolo è
2
2
2
1
1
1
u
b
LKV bLC
βδ
=−
+
maV
(2.6)
dove a, b ed L sono i semipassi anteriore e posteriore ed il passo, e C
2
è la rigidezza di deriva del
retrotreno (è il rapporto tra la forza laterale esercitata dal pneumatico ed il suo angolo di deriva, v.
§ 3.3).
Il fattore di stabilità può essere espresso analiticamente in funzione delle caratteristiche geometri-
che del veicolo e delle rigidezze di deriva dei pneumatici, se si utilizza la descrizione del moto per
mezzo delle equazioni linearizzate, e vale:
2
12
u
mb a
K
LC C
=−
. (2.7)
Esso tuttavia è significativo anche nel caso più generale, in cui è definito dalla (2.5), perché serve
comunque a dare una indicazione sul comportamento a regime del veicolo.
Se il gradiente di sottosterzo è positivo, l’angolo di sterzo richiesto per mantenere il veicolo in
traiettoria è, a parità di tutti gli altri fattori, maggiore di quello cinematico: il veicolo pertanto è
sottosterzante; viceversa, se K
u
è negativo, allora l’angolo di sterzo è inferiore a quello cinematico,
ed il veicolo è sovrasterzante. In questo caso, esiste una velocità per la quale l’angolo di sterzo si
annulla: essa viene definita velocità critica in quanto, se la si raggiunge, il veicolo diventa instabile
(basta un angolo di sterzo nullo per farlo deviare o, in altri termini, il guadagno di curvatura della
traiettoria rispetto all’angolo di sterzo tende ad infinito). In generale, ai veicoli sottosterzanti è as-
sociato il concetto di stabilità, mentre quelli sovrasterzanti sono più instabili, quindi più “pronti”.
Nei veicoli neutri, infine, si ha K
u
=0, e l’angolo di sterzo è pari a quello cinematico.
Il diagramma che riporta l’andamento dell’angolo di sterzo rispetto all’accelerazione laterale rag-
giunta dal veicolo è molto significativo per valutare il comportamento sotto/sovrasterzante, come
si vedrà nel Capitolo 4.
11