8
ξ INTRODUZIONE
In questo lavoro si è tentato di descrivere l‟insieme delle relazioni e dei rapporti
tra sistema politico e organizzazioni sindacali in Italia, a partire dalla nascita della
Repubblica, sino a giungere all‟inizio degli anni ottanta.
Nel primo capitolo sono stati considerati i principali avvenimenti politici ed
economici in Italia, dal dopoguerra sino alla fine degli anni sessanta: le elezioni
per l‟Assemblea Costituente del 1946 ed il contemporaneo referendum
istituzionale che vide l‟ affermazione della repubblica sulla monarchia,
l‟approvazione della Carta Costituzionale, i primi governi repubblicani sotto la
guida del leader della DC De Gasperi, l‟inserimento dell‟Italia in una rete di
alleanze occidentali, il “miracolo economico” e i governi di centro-sinistra.
Il quadro storico del sindacalismo italiano, la nascita della CGIL, il Patto di
Roma, il contesto sindacale mondiale, la divisione sindacale con la conseguente
costituzione di Cisl e Uil sono, invece, i temi trattati nel secondo capitolo,
dedicato interamente alla “questione sindacale” nell‟arco temporale tra il 1943 ed
il 1950.
Gli anni cinquanta segnarono, pertanto, la fine dell‟egemonia della CGIL e
l‟inizio del “pluralismo sindacale”, con la nascita di altre due centrali, ossia della
CISL e della UIL, che mutarono la “geografia” sindacale italiana; nel terzo
capitolo, trovano quindi ampio spazio le strategie e gli indirizzi ideologici della
CISL che sopperì alla mancanza iniziale di quadri e radicamento negli ambienti
operai, mediante la creazione di una scuola di formazione sindacale (Scuola di
Firenze) e l‟elaborazione della “contrattazione articolata”. Vengono inoltre
esaminati il ruolo e le prospettive della CGIL che, nonostante le ripetute scissioni,
rimaneva il principale sindacato italiano: nell‟ottobre del 1949 essa propose un
“piano” per risolvere i problemi della disoccupazione, soprattutto nel mezzogiorno
(Piano del Lavoro), ma pochi anni più tardi, la repressione del padronato, gli
attacchi del governo, la concorrenza delle altre centrali provocarono una crisi al
suo interno che sfociò in una dura autocritica .
9
Il periodo affrontato nel quarto capitolo (1960-1968) è fondamentale per la
comprensione dell‟attuale sistema politico italiano, dell‟evoluzione del
movimento sindacale in Italia e più in particolare dell‟ “autunno caldo” .
Dopo la relativa stabilità del sistema politico italiano durante gli anni precedenti,
vi furono alcuni dati nuovi: lo sviluppo economico cominciò a produrre i suoi
effetti, provocando molteplici cambiamenti sulla scena politica e sindacale e una
profonda trasformazione della socialità.
La stagione dell‟ “autunno caldo”, l‟accumularsi delle “tensioni” provenienti dal
sistema politico, culturale e sindacale italiano e l‟apertura dell‟economia italiana
verso il mercato mondiale sono alcuni dei temi considerati nel quinto capitolo.
L‟analisi del sesto capitolo verte invece esclusivamente sulla “strategia
sindacale”, ossia l‟insieme degli indirizzi e delle pratiche attuate dai sindacati nei
primi anni settanta. Il potere sindacale attraverso la contrattazione, la promozione
di politiche globali, la ricerca del “confronto diretto” col padronato, la “strategia
delle riforme” fecero del sindacato un vero e proprio protagonista del sistema
politico italiano.
Nel settimo ed ultimo capitolo vengono affrontati i “difficili” anni settanta,
caratterizzati dall‟impressionante diffusione della violenza politica e del
terrorismo. Ma a colorare di “nero” le stagioni di quegli anni contribuì anche una
profonda crisi economica internazionale che ovviamente ebbe forti ripercussioni
anche in Italia.
La scena politica e sindacale fu invece animata dalle vicende del “compromesso
storico”, dei governi di “solidarietà nazionale” e della corrente eurocomunista;
viene sottolineato nel capitolo il ruolo e le reazioni del sindacato rispetto ai
suddetti avvenimenti.
10
CAPITOLO I
L‟ITALIA REPUBBLICANA
(1945-1969)
ξ L’analisi
La storia italiana del dopoguerra fu largamente influenzata dai mutamenti del
quadro internazionale, ma anche dalla particolare situazione del nostro Paese dalla
fine della guerra sino alla firma del trattato di pace (1947). Elementi
indispensabili per l‟analisi sono:
ξ la collocazione dell’Italia tra le nazioni sconfitte e nella zona
d’interesse degli Alleati occidentali;
ξ le diverse condizioni socio-politiche determinatesi nel Nord e nel Sud
del Paese durante il periodo bellico, la guerra di liberazione e la
necessità di “riunificare” dopo la guerra un Paese che era stato diviso;
ξ i problemi della ricostruzione;
I principali aspetti del dopoguerra furono:
ξ il graduale ritorno ad una normale vita politica, le cui tappe più
significative furono le elezioni del giugno 1946, in cui prevalsero i partiti
popolari di massa ed il contemporaneo referendum istituzionale, in cui
prevalse la scelta della repubblica; fondamentale, inoltre, l‟approvazione
della nuova Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948;
ξ i mutamenti avvenuti nelle alleanze di governo, a partire dal 1947,
determinati da fattori interni ed internazionali, come l‟inizio della “guerra
fredda”, sotto la guida del leader della DC, Alcide De Gasperi e,
l‟inserimento dell‟Italia nel sistema d‟alleanze e di solidarietà occidentali
ed europeistiche;
ξ la ricostruzione economica e il ruolo centrale dell‟iniziativa e degli
interessi del capitale privato, a scapito della politica di programmazione.
11
Si delineano così le caratteristiche del “miracolo economico” nei suoi aspetti
positivi e negativi (squilibri tra Nord e Sud, arretratezza dell‟agricoltura, ecc.)
e in relazione alle trasformazioni prodotte nella società italiana (migrazioni,
mutamenti nelle attività produttive, ecc.).
Dopo questi anni si ebbero le prime alleanze di centro-sinistra ed il loro
indebolimento, in correlazione con i moti studenteschi del 1968 e con l‟autunno
caldo del 1969.
12
ξ L’immediato dopoguerra
La collocazione dell‟Italia nell‟ordine internazionale
Alla fine della seconda guerra mondiale l‟Italia venne a trovarsi in una posizione
particolarmente complicata sul piano internazionale1. Fino all‟armistizio dell‟8
settembre 1943, il Paese aveva combattuto a fianco dell‟esercito tedesco contro
gli alleati; con l‟armistizio, invece, si era dissociata dalla Germania nazista e, poco
dopo il suo Governo legittimo aveva addirittura dichiarato guerra ai suoi ex alleati
ed, era sorto nel frattempo un movimento di liberazione nazionale contro gli
occupanti tedeschi (e i “nuovi” fascisti della Repubblica Sociale di Salò).
Tuttavia gli Alleati continuarono a considerare l‟Italia una nazione sconfitta,
riconoscendole soltanto la condizione di “cobelligerante”. Alla conferenza di
Parigi per la pace nel 1946, il caso italiano fu trattato in maniera analoga a quello
degli altri Stati europei alleati della Germania: infatti le clausole del trattato di
pace risultarono molto pesanti per il nostro Paese.
Va aggiunto che negli accordi interalleati, l‟Italia era stata considerata
appartenente all‟area di interesse delle potenze occidentali; il mantenimento
dell‟Italia nella loro zona di influenza assumeva per gli alleati occidentali una
importanza strategica in virtù della progressiva nascita del blocco comunista nei
Balcani, che faceva della penisola italiana un territorio di confine decisivo per la
sua posizione nel Mediterraneo.
1
F. Traniello, Lezioni di Storia. Il novecento: gli ultimi cinquant’anni. Società Editrice
Internazionale, Torino, 1995, pp 38-40.
13
La riunificazione delle “due Italie”
Tra gli effetti più importanti della guerra di Liberazione combattuta nella penisola
dal 1943 al 1945, sono da annoverare la frammentazione e la moltiplicazione dei
centri di potere pubblico che si erano venuti ad intrecciare e talvolta a sovrapporre
sul territorio italiano: governo monarchico, governo militare alleato, governo
fascista della Repubblica sociale, poteri militari delle forze di occupazione
tedesche e i Comitati di Liberazione Nazionale2.
Nello sfacelo dello Stato unitario, anche l‟autorità della Chiesa era stata indotta ad
intervenire attivamente nella vita civile; in secondo luogo la divisione dell‟Italia
in due diverse zone, quella occupata dagli Alleati e quella occupata dai tedeschi,
aveva accentuato le differenze tra Nord e Centro-Sud.
Al Nord la guerra di Liberazione aveva lasciato tracce profonde: lo Stato ed il
governo centrale erano stati qui inesistenti per due anni, infatti la Resistenza
aveva dato vita a varie repubbliche autonome ed introdotto molti cambiamenti
nella gestione delle aziende e nelle amministrazioni locali.
Nel Centro-Sud (Roma era stata liberata nel giugno del 1944) gli apparati e
l‟organizzazione tradizionale dello Stato monarchico avevano continuato a
funzionare, pur con lo scarso potere che venne loro riconosciuto dal governo
militare alleato. In ogni caso, il rinnovamento delle classi dirigenti e degli
orientamenti politici seguito al Nord alla guerra di liberazione, a Sud era risultato
più limitato. Con la fine della guerra, quindi lo Stato italiano dovette affrontare
non solo la questione della riconquista della sovranità nazionale, ma anche quella
di riunificare le “due Italie”.
Contro mutamenti rapidi e radicali sia nelle istituzioni dello Stato, sia nel campo
economico e sociale, agivano vari strati della società civile, oltre alla naturale
resistenza dei gruppi sociali che ne sarebbero stati colpiti: ceti burocratici, centri
economici e finanziari, grandi proprietari terrieri, ecc.
Gli Alleati occidentali avevano interesse ad una rapida ricostruzione delle
strutture politico-sociali dello Stato ed a un ritorno alla normalità della vita
istituzionale ed economica; e pur non essendo ostili in generale a talune riforme,
2
S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana. Dalla fine della guerra agli anni novanta. Saggi
Marsilio, Venezia, 1994, pp 63-65
14
temevano ormai sopra ogni altra cosa l‟avanzata comunista (che nel movimento
di liberazione aveva avuto un ruolo di primo piano) o, peggio ancora, una svolta
rivoluzionaria che gli stessi dirigenti comunisti non escludevano, nonostante la
funzione moderatrice assunta dal loro leader Palmiro Togliatti3. Il timore del
comunismo era inoltre condiviso dalla Chiesa e da tutte le associazioni cattoliche.
Più in generale l‟evolversi della situazione internazionale, le impellenti necessità
della ricostruzione, il bisogno di aiuti economici dall‟estero, la riacquistata
influenza da parte di ceti e gruppi conservatori, ponevano in una situazione di
debolezza le forze socialiste che, lontane da ogni ipotesi rivoluzionaria,
progettavano una politica di riforme analoga a quella avviata dal Partito Laburista
in Inghilterra.
3
G. Galli, La sinistra italiana nel dopoguerra. Bologna, 1958. pag 196
15
Novità e continuità nell‟Italia postbellica
Gli spazi di azione che potevano essere utilizzati dalle forze riformatrici non erano
ampi; ma ciò non significa che l‟Italia nel dopo guerra non presentasse alcune
rilevanti differenze non solo rispetto all‟Italia del regime fascista ma anche
rispetto all‟Italia prefascista.
Innanzi tutto, la matrice antifascista delle forze politiche del dopoguerra
costituiva un denominatore comune su cui poter fondare un nuovo Stato. Sulla
necessità di realizzare in Italia una democrazia, basata sul suffragio universale e
sul pluralismo politico e, dotata di una nuova costituzione che sostituisse il
vecchio Statuto Albertino ancora in vigore, c‟era un largo accordo.
Meno accordo c‟era sulla scelta istituzionale fra il sistema monarchico e quello
repubblicano; si era pertanto stabilito di rimettere la decisone al popolo tramite
referendum.
L‟elemento più innovativo rispetto al passato fu senza dubbio costituito dal ruolo
predominante assunto nella vita e nella lotta politica dai partiti popolari di massa,
cioè quei partiti dotati di un proprio apparato organizzativo, di una diffusione
capillare sul territorio e di programmi ispirati da forti ideologie.
Per altri aspetti, non meno importanti, una linea di continuità legò invece l‟Italia
postbellica al suo passato: l‟amministrazione centrale dello Stato non fu
modificata ed i codici di leggi, approvati in epoca fascista restarono in parte in
vigore.
Inoltre venne a mancare quasi interamente un quadro di programmazione
economica in cui inserire l‟opera della ricostruzione, seguendo l‟esempio
anglosassone e quello transalpino. Questa mancanza dipese da tre principali
fattori: l‟ostilità dei gruppi capitalistici privati verso qualsiasi vincolo o indirizzo
in campo economico da parte dei poteri pubblici; la prevalenza nella politica e
nella dottrina economica italiana di uomini appartenenti alla scuola liberista
tradizionale; infine la diffusa avversione all‟ intervento dello Stato nella vita
economica e produttiva tra i liberali..
16
ξ Nasce la Repubblica
Un Paese da ricostruire
La situazione che dovettero fronteggiare i governi del dopoguerra era molto
grave. La struttura industriale del Paese non aveva subìto pesanti danni (anche
per l‟azione di difesa svolta dalle maestranze operaie), ma necessitava di forti
interventi per la riconversione alle produzioni di pace e per la fornitura delle
materie prime.
Disastroso era invece lo stato delle città bombardate, delle comunicazioni e
dell‟agricoltura: la produzione di grano fu nel 1945 circa la metà di quella
prebellica; a livelli elevati era la disoccupazione. Molto rilevante, inoltre, la
perdita di valore della lira, che , unita alla scarsità dei prodotti di consumo con
conseguente “tesseramento” dei beni di prima necessità, favoriva la diffusione
del mercato nero, cioè di un mercato illegale, in cui i prodotti si trovavano ma
a prezzi maggiorati. Il costo della vita era aumentato di venti volte nel 1945
rispetto al 1938, ma l‟ondata inflazionistica invece di arrestarsi accelerò nel
1946, sicchè i prezzi aumentarono ancora4.
Anche la questione dell‟ordine pubblico era preoccupante; la guerra civile al
Nord aveva lasciato, insieme con tante speranze, il suo strascico d‟odio. La
caccia ai fascisti aveva provocato migliaia di esecuzioni sommarie
intrecciandosi talora con vendette private o dovute a ragione ideologiche;
molte armi usate nella Resistenza erano state nascoste da parte di gruppi
collegati al Partito comunista in attesa di una eventuale rivoluzione.
In molte regioni era dilagata la delinquenza per bande; in Sicilia era sorto un
movimento separatista sostenuto dalla mafia, sui confini orientali l‟avanzata
dell‟armata partigiana di Tito aveva prodotto un esodo di popolazione istriane
e l‟uccisione di molti italiani.
Infine, in Valle d‟Aosta si era formato un forte movimento favorevole al
passaggio della regione alla Francia, sostenuto dal governo francese; con
l‟Austria, invece, era aperta una controversia per l‟Alto Adige.
4
A.Lepre, Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1942 al 1994. Il Mulino, Bologna, 1995.
pag 35
17
Da Parri a De Gasperi
Uno dei capi della Resistenza, Ferruccio Parri, appartenente al Partito
d‟Azione sorto nel 1943 e distintosi nella lotta di Liberazione, fu chiamato nel
giugno 1945 a presiedere un governo di ampia coalizione, che raccoglieva
esponenti dei partiti membri del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN):
Democrazia cristiana (DC), Partito socialista di unità proletaria (PSIUP),
Partito comunista (PCI), Partito liberale, Democrazia del lavoro e ovviamente
Partito d‟Azione ( Pd’A).
Il governo Parri si presentava con un ambizioso programma di riforme, tra cui
l‟epurazione del personale già aderente al Partito fascista e parve confermare
un‟opinione espressa dal leader socialista Pietro Nenni, il quale aveva parlato
di un “vento del Nord che avrebbe portato il rinnovamento e spazzato via ogni
resistenza”5.
In realtà la ripresa della vita politica rese evidente la distanza che separava le
idee ed i programmi di rinnovamento durante la Resistenza al Nord e nel resto
del Paese; inoltre l‟aggravarsi della situazione dell‟ordine pubblico e delle
tensioni sociali (occupazione di terre al Sud e conflitti nelle fabbriche al Nord)
indebolirono la presidenza Parri anche agli occhi dei governi americano e
inglese, che invece manifestavano una crescente fiducia nell‟allora ministro
degli Affari Esteri, il democristiano Alcide De Gasperi.
La sfiducia manifestata dei liberali e lo scarso sostegno degli altri partiti
compreso il PCI che seguiva una strategia d‟incontro con le “masse
cattoliche” e di alleanza tra i partiti popolari, determinarono la rapida caduta
del governo Parri, il quale si dimise denunciando i rischi di un ritorno del
fascismo in Italia. Nel dicembre 1945 gli succedette De Gasperi, alla testa di
una coalizione che comprendeva i partiti del CLN, eccetto il Partito d‟Azione.
Da allora fino al 1953 il leader democristiano sarebbe rimasto
ininterrottamente alla testa dei governi italiani dando la propria impronta ad
un‟ intera fase storica.
5
A.Benzoni-V. Tedesco, Il movimento socialista nel dopoguerra. Padova, 1968. pag 22
18
Il profilo politico dell‟Italia repubblicana
De Gasperi orientò il primo governo da lui presieduto, con Togliatti ministro
della giustizia e Nenni vice presidente del consiglio, ad un rapido ritorno alla
normalità alla vita pubblica: sostituì i prefetti di nomina politica insediati
all‟epoca della Resistenza, accantonò il processo di epurazione del personale
statale, preparò lo svolgimento delle elezioni amministrative e politiche e del
referendum istituzionale, affidò ad Epicarmo Corbino, economista di scuola
liberale classica, la gestione della politica economica.
I due partiti della sinistra, PSIUP e PCI, allora uniti da un patto di unità
d‟azione, assecondarono nella sostanza tali indirizzi, pur criticandoli talora
aspramente nelle piazze, in attesa di verificare il successo elettorale dei partiti
e l‟ esito del referendum istituzionale.
Le elezioni del 2 giugno 1946, indette per l‟elezione dell‟Assemblea
Costituente e svoltesi con il sistema proporzionale e a suffragio universale
esteso per la prima volta anche alle donne, diedero una prima indicazione
degli orientamenti della società civile: la DC ottenne circa 35% dei consensi,
il PSIUP più del 20 % ed il PCI il 19%; tutti gli altri partiti si divisero il
restante 5%.6
Nel referendum istituzionale, svoltesi contemporaneamente alle elezioni, i voti
per la Repubblica prevalsero su quelli favorevoli al mantenimento della
Monarchia con uno scarto, abbastanza esiguo, di circa due milioni su 23
milioni di voti validi. Umberto di Savoia, che era subentrato al padre Vittorio
Emanuele III, pochi giorni prima del referendum lasciò l‟Italia con tutta la
famiglia reale. I risultati delle elezioni del 2 giugno erano indicativi dei
mutamenti avvenuti in Italia, se raffrontati con quelli delle ultime elezioni
svoltesi prima del fascismo (1921).
La DC otteneva un risultato molto superiore a quello realizzato dal Partito
Popolare di don Sturzo pur attingendo alla stessa base cattolica (ma godendo
di un appoggio della Chiesa e delle organizzazioni cattoliche molto più
convinto e massiccio di quello avuto dal Partito popolare).
6
F.Traniello, Lezioni di Storia. Il novecento: gli ultimi cinquant’anni. Società Editrice
Internazionale, Torino. pp 45-47.
19
Il PCI era diventato a sua volta un partito di massa, che Togliatti aveva
denominato “partito nuovo”7: la sua base elettorale era per numero simile a
quella del PSIUP e concentrata in prevalenza nelle città industriali dell‟Emilia
Romagna e in Toscana. Il PSIUP era invece in una fase di stallo rispetto alle
elezioni del primo dopoguerra, ma il due partiti della sinistra, uniti, avevano
alla Costituente un numero di deputati superiore a quello della DC.
Il Partito liberale, perno del sistema politico fino al fascismo, era ridotto ad
una piccola forza parlamentare, pur continuando a pesare non poco per il
prestigio di alcuni suoi esponenti (Benedetto Croce e Luigi Einaudi) e per i
collegamenti con gli ambienti industriali e finanziari. Il partito d‟Azione, che
si richiamava alla tradizione della sinistra risorgimentale, era praticamente
scomparso dalla scena e poco dopo si sciolse; un buon successo ottenne invece
a destra un nuovo movimento, detto dell‟Uomo Qualunque, che raccoglieva
consensi specie nel Sud e a Roma tra i ceti medi avversi alle novità espresse
dai partiti popolari di massa.
Il secondo ministero De Gasperi, primo della Repubblica, formato nel luglio
1946 con la partecipazione dei repubblicani, fino ad allora rimasti fuori dai
governi, democristiani, socialisti, comunisti e liberali, si trovò ad affrontare tre
questioni cruciali:
ξ la rinnova spinta inflazionistica che senza efficaci interventi esterni ed
interni minacciava di portare al collasso l‟intero sistema economico;
ξ i lavori della Costituente per la stesura della nuova Carta Costituzionale
repubblicana;
ξ la firma del trattato di pace che suscitava molte opposizioni.
De Gasperi però, intendeva normalizzare al più presto la situazione
internazionale dell‟Italia, per imprimere alla sua politica estera un deciso
orientamento filo-occidentale; indusse pertanto il governo e l‟opinione
pubblica ad accettare le clausole imposte all‟Italia dalle potenze vincitrici e
firmò il trattato di pace il 10 febbraio 1947
7
G.Galli , Storia del partito comunista italiano. Schwarz Editore, Milano 1958. pp 276-278