6
Introduzione
Da quando l‟uomo ha sentito l‟esigenza di creare degli organismi
super partes a cui rivolgersi per ottenere una pronuncia su particolari
controversie ha parimenti avuto la necessità di porre rimedio ad
eventuali errori che tali organi potevano compiere nello svolgimento
della propria attività giudicante.
Per adempiere a tale scopo sono state create le impugnazioni.
La loro presenza è riscontrabile in tutti gli ordinamenti, sia di
common law che di civil law; nettamente differenti sono, tuttavia, i
connotati distintivi attribuitigli da ogni singolo ordinamento. Gli
elementi distintivi che le compongono sono, infatti, suscettibili di
notevoli diversificazioni disciplinari: l‟impugnazione può avere un
effetto devolutivo totale o parziale, può essere ordinaria o straordinaria,
può essere concessa ad alcuni soggetti processuali e preclusa ad altri.
Proprio tale diversificazione è stata sempre oggetto di dibattiti
portati aventi dalla dottrina . Con riferimento all‟appello, soprattutto nei
primi anni del „900, era costantemente al centro del dibattito la
7
possibilità di mantenere tale mezzo di impugnazione nel nostro
ordinamento. Nato nel diritto romano, non se ne coglieva la necessità o,
quanto meno, l‟idoneità ad adempiere al compito affidatogli. Inoltre,
l‟ulteriori rimedio del ricorso per cassazione soffriva dell‟accostamento
al giudizio di secondo grado: il ruolo fondamentale di nomofilachia
attribuito alla Suprema Corte veniva, e secondo parte della dottrina ciò
accadrebbe tuttora, potenzialmente leso dalla mole di lavoro attribuito
alla stessa e dal numero di sentenze di appello che, riformando la
sentenza di primo grado, imponevano alla Corte un ruolo decisorio che
non le apparteneva.
Ad aumentare gli argomenti del dibattito interno hanno provveduto
le normative internazionali, le quali specificatamente prevedono un
secondo grado di giudizio, attribuito all‟imputato, al quale viene
attribuito il controllo della sentenza di primo grado. Nulla viene detto
sulla natura di tale secondo giudizio, lasciando agli interpreti e ai
legislatori interni il compito di delineare la natura del secondo giudizio,
valutando se sia idoneo ad attuare tali garanzie il giudizio di legittimità o
quello più ampio di merito. Tra queste, inoltre, la disciplina contenuta
nella Convenzione europea dei diritti dell‟uomo e delle libertà
fondamentali viene costantemente interpretata dalla Corte di Strasburgo,
organo di vigilanza dell‟attuazione e della tutela dei diritti contenuti
nella Convenzione.
È questo il coro di voci che il legislatore deve ascoltare e con le
quali si deve confrontare per disciplinare le impugnazioni.
È proprio dall‟insieme di tutte queste voci è nata, nel 2006, la c.d.
legge “Pecorella”. Appoggiata da alcuni, osteggiata da altri, questa legge
si occupava in primis di una situazione venuta alla ribalta della cronaca
8
giudiziaria negli anni precedenti: quali tutele venivano assicurate
all‟imputato, prosciolto in primo grado ma condannato in secondo grado
in virtù di un appello richiesto dal p.m.? Come poteva un unico giudizio
di legittimità offrire le garanzie di tutela dell‟imputato richieste dalla
nostra Costituzione?
La risposta del legislatore è stata quella di limitare i poteri di
impugnazione dell‟accusa: al p.m. veniva preclusa la possibilità di
appellare le sentenze di proscioglimento, possibilità eccezionalmente
riconosciutagli nel caso di prove sopravvenute.
Da questa soluzione scaturiva, però, un ulteriore quesito: la
disciplina così delineata era in linea con il principio, anch‟esso
costituzionale, della parità delle parti?
Questa volta la risposta, negativa, è arrivata dalla Corte
costituzionale. “Stanti le differenze fisiologiche fra le due parti, le
dissimmetrie sono ammissibili purché trovino adeguata giustificazione e
siano contenute all‟interno dei limiti della ragionevolezza”, statuiva la
Consulta nella sentenza n. 26 del 2007, e “la norma censurata non
risponde a tali requisiti”. La Corte non si è limitata a questo: prendendo
sempre come guida il principio della parità delle parti, affiancato a
quello della ragionevolezza, ha smantellato l‟impianto della Pecorella.
Questo studio si occupa di analizzare l‟evoluzione dell‟istituto delle
impugnazioni e dell‟intima connessione di questa con i principi del
sistema accusatorio.
Per attuare ciò il primo passo è stata l‟analisi dell‟evoluzione storica
dei due principali strumenti di impugnazione, l‟appello e il ricorso per
cassazione, partendo dalla loro nascita, il diritto romano per il primo, la
rivoluzione francese per il secondo, sino ad arrivare all‟attuale disciplina
9
contenuta nel codice di procedura penale, passando per i codici di
procedura penale del 1865, del 1913 e del 1930. Il primo capitolo si
chiude con l‟analisi dei principi fondamentali di parità delle parti,
contradditorio nella formazione della prova e ragionevole durata,
costituzionalmente esplicitati dalla legge cost. n. 2 del 1999, i quali
saranno utilizzati come parametri di raffronto per la disciplina delle
impugnazioni. Essendo la nostra disciplina influenzata dalle norme
internazionali, il secondo capitolo è stato dedicato al principio del doppio
grado di giurisdizione, analizzato da una duplice prospettiva, quella del
legislatore interno e della nostra Corte costituzionale, e quella del
legislatore europeo ed internazionale. Il terzo capitolo è dedicato
all‟argomento centrale delle tesi, la legge n. 46 del 2006, analizzata
attraverso le indicazioni offerte dal legislatore, della dottrina e dalla
giurisprudenza di Corte costituzionale e Corte di cassazione. Essendo
intervenute le pronunce di illegittimità della Corte costituzionale e i
lavori delle Commissioni di studio per la riforma del codice penale, il
quarto capitolo si occupa di delineare l‟attuale situazione delle
impugnazione, attraverso la duplice analisi delle possibili riforme
delineate dalla dottrina e quelle contenute nella bozza di revisione del
codice di procedura penale dettato dalla Commissione Riccio. Infine,
avendo incentrato il discorso su riforme e proposte di riforme che
avevano come modello i sistemi accusatori ed esplicitamente quello
degli Stati Uniti d‟America, l‟ultimo capitolo è dedicato prima ad
un‟analisi generale di questo ordinamento e poi al particolare ambito
delle impugnazioni, notevolmente differente rispetto al nostro.
10
11
CAPITOLO 1 IL SISTEMA DELLE
IMPUGNAZIONI NEL PROCESSO PENALE
ITALIANO
1 IL SISTEMA DELLE IMPUGNAZIONI: DALLE ORIGINI AI
CODICI DELL’ITALIA POST-UNITARIA
Le impugnazioni (dal latino pugnare combattere, contrastare,
opporsi) rappresentano l‟insieme degli strumenti messi a disposizione
delle parti dall‟ordinamento affinché venga provocato un controllo su un
provvedimento pregiudizievole che si chiede venga sostituito da uno più
favorevole.
La necessità di riparare all‟errore giudiziario, insito nella stessa
natura umana, ha condotto sin dagli albori del diritto all‟introduzione di
strumenti idonei a tale scopo. Nel nostro ordinamento tali strumenti sono
attualmente l‟appello e il ricorso per Cassazione, per le misure ordinarie,
la revisione e il ricorso straordinario per errore di fatto, per le misure
straordinarie.
12
Le origini di tali istituti vengono fatte risalire notevolmente indietro
nel tempo e sono differenti per ognuno di essi.
Vari istituti della legislazione della Roma antica sono stati
impropriamente ricondotti all‟odierno istituto dell‟appello. Si fa
rifermento in particolare alla provocatio ad populum, all‟ intercessio, all‟
infitiatio.
La provocatio ad populum, di cui l‟esempio più noto è il caso
dell‟Orazio sopravvissuto allo scontro con i Curiazii
1
,
risalente alla
prima legge Valeria (anno 245 a. C.), consisteva nel privilegio concesso
al civis romanus di rivolgersi al popolo riunito in comizi affinché
ratificasse o rescindesse una sentenza, utilizzando un potere simile alla
grazia.
2
L‟intercessio era il potere di veto spettante ad ogni magistrato,
diretto ad impedire la produzione di effetti scaturenti da un atto ufficiale
di un magistrato inferiore.
3
L‟infitiatio consisteva nell‟instaurazione di un nuovo giudizio su
richiesta della parte vincente che vedeva inadempiuta la sentenza del
iudex trovando l‟opposizione della parte soccombente. Conseguenza
automatica del nuovo giudizio era il raddoppio della richiesta
dell‟autore
4
.
1
BORSANI- CASORATI, Commento al codice di procedura penale, VI, Torino, 1873-83, p.
109.
2
Ibidem; BURDESE, A., Manuale di diritto pubblico romano, Torino, 1975, p. 56;
MONACO, L., Cenni di diritto penale romano in Manuale di storia del diritto romano, Franciosi, G.,
Napoli, 2005, p. 332; GUARINO, A., Storia del diritto romano, Napoli, 1994, p. 275; GUARINO,
A., L’ordinamento giuridico romano, Napoli, 1990, p. 239; PUGLIESE, G., Diritto penale romano in
Il diritto romano, Arangio-Ruiz, V., Guarino, A., Pugliese, G., Napoli, 1980, p. 264.
3
NUZZO, F., L’appello nel processo penale, Milano, 2008, p. 6; BURDESE, A., op. cit., p.
60; GUARINO, A.,Storia, cit., p. 223; KUNKEL, W., Linee di storia giuridica romana, Napoli,
2001, p. 24.
4
GUARINO, A., Storia, cit., p. 430; LUPACCHINI, O., Profili sistematici delle impugnazioni
penali in Le impugnazioni penali, a cura di A. Gaito, I, Milano, 1998, p. 95.
13
La differenza con l‟appello è riscontrabile nella mancanza in tutti
questi istituti del novum iudicium. Per quanto riguarda le impugnazioni
in generale queste non si poterono sviluppare in epoca repubblicana
poiché il sistema giuridico era caratterizzato da presupposti privatistici,
completamente improntati sull‟autotutela privata.
Soltanto con la cognitio extra ordinem si ebbero le fondamenta
solide necessarie a far sorgere l‟antenato del moderno appello
5
. Infatti il
concetto di impugnazione non è “una propaggine del diritto privato nel
processo, ma .…. una concezione esclusivamente di diritto pubblico”
6
che trovava ragion d‟essere nella struttura gerarchica dell‟organizzazione
giudiziaria dell‟epoca (gli iudices sacri erano divisi in classi con al
vertice l‟imperatore). Mezzo ordinario di impugnazione, esperibile da
chiunque ne avesse interesse e anche da terzi, l‟appellatio poteva essere
proposta sia in forma orale che scritta; l‟esposizione dei motivi non era
vincolante; il giudizio si instaurava ex novo presso un giudice superiore
con momentanea sospensione degli effetti della sentenza impugnata.
7
Si sono rivelati invece inutili i tentativi di alcuni studiosi di trovare
le radici dell‟istituto della cassazione nel diritto romano.
8
Dall‟incontro del diritto romano con il diritto germanico si creò un
nuovo strumento di gravame: la querela nullitatis. Nel diritto romano
erano presenti due tipologie dei vizi: le sentenze potevano essere viziate
perché emanate o contra ius constitutionis o contra ius litigatoris
9
. La
5
PUGLIESE, A., op. cit., p. 306; GIUFFRè, V., La repressione criminale nell’esperienza
romana, Napoli, 1998, p. 100.
6
CALAMANDREI, P., La cassazione civile, I, Torino, 1920, p. 60.
7
NUZZO, F., op. cit., pp. 8- 13; SCAPINI, N., Diritto e processo criminale nell’esperienza
giuridica romana, Parma, 1990, p. 160; GUARINO, A., Storia, cit., pp. 446, 451 e 545; KUNKEL,
W., op. cit., p. 98; D‟IPPOLITO, F., M., - LUCREZI, F., Profilo storico istituzionale di diritto
romano, Napoli, 2003, p. 300.
8
BORSANI-CASORATI, op. cit., p. 307.
9
CALAMANDREI, P., op. cit., pp. 46 ss.
14
sentenza era contra ius constitutionis in quanto viziata “da un errore
relativo all‟esistenza di una norma di diritto obiettivo”; era invece contra
ius litigatoris in quanto viziata “da un errore, senza distinguere se di
fatto o di diritto, che riguardava soltanto l‟esistenza del diritto subiettivo
delle parti, che non si estendeva a negare in generale l‟osservanza di una
norma di legge, pur violandola nei suoi rapporti con il caso concreto”
10
.
Nel primo caso le sentenze erano nulle, nel secondo valide.
Nel diritto germanico, affinché la sentenza potesse produrre effetti,
era necessario lo svolgimento di un iter che coinvolgeva due organi: un
primo organo individuava il contenuto della futura sentenza, un secondo
organo aveva il compito di affidare a tale sentenza il carattere di
obbligatorietà.
11
Durante il passaggio tra i due organi, tre erano le
situazioni prospettabili: pieno accordo tra i due organi; opposizione del
secondo organo al contenuto della sentenza; opposizione del secondo
organo e indicazione di un nuovo contenuto per la sentenza definitiva
12
.
Tale sistema non aveva nulla a che fare né con l‟ appellatio romana né
con gli attuali mezzi di gravame, in quanto interveniva prima della
pronuncia della sentenza.
Prendendo dal diritto romano la differenziazione dei vizi della
sentenza e dal diritto germanico la possibilità di sanare con reclamo
anche i vizi più gravi, nacque nel XIII secolo la querela nullista: tale
strumento, da esperire davanti ad un giudice superiore, riguardava i vizi
che causavano la nullità della sentenza e doveva essere sollevato entro
10
CALAMANDREI, P., op. cit., p. 47.
11
Ivi, p. 89.
12
Ivi, p. 91.
15
un termine determinato. Quindi le differenze con l‟appello erano due: i
vizi che potevano essere fatti valere e i termini per proporlo, più lunghi.
13
Con il contatto dei popoli barbari con il diritto romano si assiste ad
un‟evoluzione dell‟istituto: nella legislazione longobarda il reclamo
diventa un ricorso davanti ad un giudice superiore per ottenere la
modifica di una sentenza del giudice inferiore.
14
La differenza con il
diritto romano era dovuta al fatto che, mentre in questo gli errori più
gravi producevano l‟inesistenza del giudicato, nel diritto longobardo tutti
gli errori potevano essere sanati attraverso il reclamo
15
.
Particolare la situazione in cui nacque il ricorso per cassazione.
In Francia il monarca deteneva presso di se tutti i poteri; questa
situazione nel XVI secolo venne progressivamente a mutare con la
separazione dalla corte regia di due organismi a funzione prettamente
politica: il Parlamento di Parigi e il Conseil des parties. Tra il
Parlamento e il Re nacque un conflitto che portò il primo a disattendere
le direttive monarchiche nelle sue decisioni. Il Re per tutelare il proprio
potere assoluto annullava tali procedimenti attraverso la demande en
cassation presso il Conseil des parties.
16
Con la Rivoluzione francese, l‟Assemblea Nazionale creò dalle
ceneri del Conseil des parties, mal visto e incompatibile con i principi
rivoluzionari, il Tribunal de cassation. Posto a difesa del principio della
separazione dei poteri, era “ un organo di controllo giuridico destinato ad
assicurare la retta osservanza delle norme costituzionali …. che si
preoccupa non dell‟interesse singolo dei cittadini, ma del mantenimento
13
CALAMANDREI, P., op. cit., p. 138; DEL GIUDICE, P., Storia del diritto italiano, vol. III,
parte II, Milano, 1927, p. 588.
14
CALAMANDREI, P.. op. cit., p. 119.
15
Ivi, p. 121.
16
Ivi, pp. 291 e 355.
16
della vita dello Stato”.
17
Entrata a far parte dell‟ordinamento pubblico,
influenzerà tutti i sistemi continentali che inseriranno organi simili nei
propri ordinamenti.
In Germania era invece previsto l‟istituto della Revision, ultimo
mezzo di gravame da esperire davanti al tribunale supremo che apriva
una vera e propria terza istanza limitata alle prove raccolte nei gradi
precedenti. Influenzata dalla Cassazione francese per quanto riguarda gli
intenti, la perfezionava e se ne differenziava per la mancanza dei limiti
posti al controllo sugli errores in iudicando in facto.
18
In quell‟epoca l‟Italia era ancora frammentata in diverse unità
statali. Sarà la legislazione sarda ad essere estesa all‟intera penisola dopo
l‟unificazione.
19
Con la legge sabauda n. 3784 del 20 novembre 1859 venne
emanato il primo codice di procedura penale, il quale con la legge 2
aprile 1865 sull‟unificazione legislativa venne esteso a tutti i territori
dell‟Italia unificata
20
. Modellato sul codice francese, seguiva il sistema
misto con la suddivisione del procedimento in due fasi: istruzione e
dibattimento. Le origini francesi si riscontravano anche nel farraginoso
segreto istruttorio che arrivava a ledere il diritto di difesa. La
suddivisione adottata, che rimarrà in auge fino al codice Rocco,
prevedeva tre libri: il primo sull‟istruzione preparatoria, il secondo sul
giudizio, il terzo su procedure particolari e infine chiudevano alcune
disposizioni generali.
21
17
CALAMANDREI, P., op. cit., p. 498.
18
Ivi, p. 645.
19
CHIAVARIO, M., Codice di procedura penale in Dig. disc. pen., II, 1988, Torino, p. 252;
CARFORA, F., op. cit.
20
Ibidem.
21
CHIAVARIO, M., op. cit., p. 254.
17
I mezzi necessari per poter impugnare i provvedimenti del giudice
vennero disciplinati nel terzo libro (appello artt. 353-421; cassazione artt.
639-687; revisione artt. 688-694;). Come rimedio ordinario era previsto
l‟appello che, nei casi e nei modi stabiliti dalla legge, permetteva una
analisi in diritto e in fatto del provvedimento impugnato. Il rimedio
straordinario era il ricorso per cassazione che investiva tutti i
provvedimenti inappellabili. Per le sentenze già passate in giudicato era
prevista la revisione.
22
Per quanto riguarda l‟appello era prevista una disciplina
diversificata a seconda che la sentenza impugnata fosse pronunciata dal
pretore (artt. 353-370) o dal tribunale (artt. 398-421). I soggetti
legittimati a proporlo erano: imputato, pubblico ministero presso il
pretore, pubblico ministero presso il tribunale, parte civile (artt. 353,
399). Per quanto riguarda la materia, si faceva riferimento al titolo di
reato, distinguendo tra delitti e contravvenzioni. L‟effetto dell‟appello
era sospensivo dell‟esecuzione della sentenza di primo grado (artt. 354,
412,413). I motivi, presentati dalle parti a pena di nullità, non
richiedevano, a differenza del ricorso in cassazione, nessuna formalità
dovendo chiarire semplicemente le ragioni dell‟appello. La decisione del
collegio avveniva in base ai verbali che riportavano le discussioni orali
del primo grado. A discrezione totale del magistrato potevano essere
risentiti i testimoni o ascoltati dei nuovi (art. 363). Alle parti invece era
riconosciuta la possibilità di effettuare nuove produzioni, deduzioni e
istanze (art. 417). Introdotta la regola generale del divieto di reformatio
in peius qualora appellante fosse il solo imputato (artt. 364 419), veniva
meno in caso di appello anche del p. m.
23
22
CARFORA, F., op. cit., p. 1.
23
BORSANI-CASORATI, op. cit., p. 177.
18
Presso la Corte di cassazione, si potevano esperire due rimedi
straordinari: il ricorso per cassazione, che riguardava errori di diritto e
poteva essere proposto entro i termini prescritti dalla legge, e la
revisione, riguardante fatti sopravvenuti alla sentenza ed esperibile senza
limiti temporali.
Il ricorso per cassazione era un rimedio esperibile quando tutti gli
altri strumenti non potevano più essere utilizzati (art. 368). I
provvedimenti impugnabili erano indicati nell‟art. 368: sentenze
proferite inappellabilmente in materia criminale, o correzionale, o di
polizia, e gli atti d‟istruzione che le avranno precedute. I legittimati, che
potevano esercitarlo solo quando vi avevano interesse, erano: imputato o
accusato, p. m., parte civile (artt. 639- 646). Il ricorso aveva un effetto
sospensivo (art 652). I motivi erano espressamente indicati dalla legge
(artt. 640-641): omissione o rifiuto di pronunziare sopra una domanda
dell‟accusato stesso o sopra una requisitoria del pubblico ministero,
dirette a far prevalere una facoltà o di un diritto accordato dalla legge,
violazione delle regole stabilite sulla competenza, eccesso di potere. Il
divieto di reformatio in peius era previsto nell‟art. 678
24
. Le sentenze
potevano essere di ratifica, di annullamento totale con o senza rinvio, di
annullamento parziale.
25
La revisione, la cui domanda andava presentata presso il ministro di
grazia e giustizia, era prevista in casi tassativamente indicati dalla legge
(artt. 688-689-690).
La disciplina prospettata rendeva però facile l‟abuso del diritto di
appellare e poco efficace il ricorso per cassazione.
24
PISANI, M., Il divieto della “reformatio in peius” nel processo penale italiano, Milano,
1967, p. 3.
25
BORSARI-CASORATI, op. cit., p. 325.
19
Figlie dell‟originaria disgregazione erano le diverse Corti di
cassazione presenti nell‟Italia unificata. La competenza penale esclusiva
della Corte romana si avrà nel 1888.
26
“Naturale che un codice nato vecchio inviti a ipotetiche riforme”
27
e
che fosse subito criticato dalla dottrina che lo valuta “insufficiente e
difettosissimo ……. siamo rimasti indietro.”
28
Le prime riforme erano avvenute in forma novellistica fino
all‟emanazione, nel 1898, del codice penale che dette l‟impulso
necessario per lavorare ad un nuovo codice di procedura.
Il dibattito, dal punto di vista delle impugnazioni, riguardava
l‟esistenza stessa dell‟appello.
I sostenitori dell‟istituto si basavano su ragioni di garanzia
dell‟intera società e della giustizia, in quanto l‟istituto rendeva possibile
riparare l‟errore giudiziario. La garanzia data da un nuovo dibattimento
che permettesse all‟imputato di presentare prove nuove rispetto al primo
grado sarebbe stata sufficiente a bilanciare lo svantaggio temporale
collegato all‟appello. Senza contare il notevole aggravio processuale in
capo alla Cassazione in caso di soppressione del secondo grado di
giudizio. Si riteneva inoltre che la società non fosse - probabilmente non
lo è neanche attualmente - pronta a rinunciare a quello che veniva
considerato un vero e proprio strumento di tutela del diritto di difesa e
dalla certezza giudiziale
29
.
Gli abolizionisti invece, pur riconoscendo l‟importanza dell‟istituto,
lo ostegiavano in quanto da un lato i tempi erano cambiati e la garanzia
26
CALAMANDREI, P., op. cit., p. 735.
27
CORDERO, F., op. cit., p. 94.
28
ALIMENA, M., Su i principi direttivi d’un nuovo codice di procedura penale in Giur. pen.,
1900, VI, c. 1329.
29
CASORATI, L., Appello penale in Dig. it., IV, Torino, 1896, p. 93; DEL POZZO, C. U.,
L’appello nel processo penale, Torino, 1957, p. 57.
20
offerta in precedenza dall‟istituto, essendo passati da un sistema
inquisitorio ad uno accusatorio, dalla scrittura all‟oralità, era venuta
meno; dall‟altro la garanzia sarebbe stata effettiva solamente se il
giudizio di secondo grado fosse stato identico a quello del primo
30
.
All‟interno di questo grande gruppo era, quindi, possibile
rintracciare due orientamenti differenti: alcuni infatti sostenevano la
completa eliminazione dell‟appello mentre altri ritenevano che l‟istituto
non potesse rimanere in piedi così come strutturato ma che dovesse
essere modificato per poter correttamente adempiere al compito
affidatogli, quello di garantire la riparazione dell‟errore giudiziario
introducendo le medesime garanzie del giudizio di primo grado
31
.
Questa seconda istanza era in concreto irrealizzabile in quanto
avrebbe portato a un nuovo giudizio mentre l‟appello era un
procedimento prettamente cartolare e a un giudizio su un giudizio, non
potendo essere scisso della prima decisione.
Le altre critiche riguardavano il cattivo uso che veniva fatto
dell‟istituto da parte dell‟imputato, il quale vedeva nell‟appello uno
strumento diretto ad allontanare gli effetti della condanna. Altri mezzi
sarebbero potuti essere più efficaci: ad esempio la procedura preliminare
e la revisione della sentenza passata in giudicato in caso di nuove
prove.
32
Risale a questi anni la critica compiuta dal Mortara sul
mantenimento dell‟appello contenuta nella voce Appello civile del
Digesto italiano. L‟autore svolse un‟analisi molto approfondita del
30
CASORATI, L., op. cit., pp. 89 e 93; CASORATI, L., Il processo penale e le riforme: studi,
Milano, 1881, p. 210; in maniera approfondita MASUCCI, L., Le impugnazioni dei provvedimenti
giudiziari, in Enc. Pessina, V, p. 55.
31
DEL POZZO, C. U., op. cit., p. 58.
32
BORSANI- CASORATI, op. cit., p. 161.