presenti in tracce (C
76
,C
78
,C
84
,...C
190
).
Figura 1.1 C
60
e C
70
La struttura a gabbia chiusa tipica dei fullereni isolati fino a questo momento soddisfa il
teorema di Eulero, secondo il quale per formare uno sferoide chiuso sono necessari
esattamente 12 pentagoni e un numero variabile M di esagoni. Ogni fullerene contiene
2(10+M). A partire dal fullerene C
20
ogni aggregato che possiede un numero pari di atomi di
carbonio e una struttura chiusa, fatta eccezione per il C
22
, può formare almeno una struttura
di tipo fullerenico. All’aumentare di M il numero di strutture isomeriche di tipo fullerene
cresce vertiginosamente. Un importante fattore di stabilità riscontrato in tutti i fullereni noti è
dato dalla “regola del pentagono isolato” (RPI),
2
secondo cui, in composti aromatici stabili,
due anelli a cinque atomi non possono avere spigoli in comune e questo per evitare la
formazione di strutture tipo pentalene energeticamente sfavorite perché introducono una
maggiore tensione molecolare e un sistema elettronico 8p destabilizzante. Sulla base di tale
principio i fullereni C
60
e C
70
sono i primi due fullereni stabili possibili.
La struttura tridimensionale del C
60
è stata determinata solo dopo aver ottenuto i cristalli di
un suo derivato.
3
La sua forma totalmente simmetrica (del diametro di circa 10Å) non
permette di ottenere cristalli in cui il fullerene risulti bloccato. La continua rotazione crea
disordine nella struttura cristallina e preclude la determinazione della posizione specifica dei
suoi atomi. La struttura ai raggi X ha permesso di confermare la presenza degli esagoni e dei
pentagoni e di una serie di legami singoli e doppi (90 legami C-C). I legami doppi hanno una
lunghezza di 1.38Å e contraddistinguono la giunzione tra due esagoni (legame 6-6), mentre i
legami singoli con lunghezza di 1.45Å sono presenti nelle giunzioni tra un pentagono e un
esagono (legame 5-6). Grazie alla produzione di quantità macroscopiche di C
60
si sono potute
studiare le sue proprietà fisiche
4
e chimiche.
2
Nonostante la notevole stabilità termodinamica,
il C
60
è una molecola molto reattiva e viene utilizzata in un’ampia serie di reazioni chimiche,
costituendo la base per molecole di sempre maggiore interesse in chimica organica.
5
1.38 Å (6,6)
1.45 Å (5,6)
Figura1.2 I diversi legami nel C
60
.
Nel 1990 Wolfgang Krätschamer e Kostantinos Fostiropoulos dell’Istituto per la Fisica nucleare
Max Planck ad Heidelberg, in Germania, e i fisici Donald Huffman e Lowell Lamb
dell’Università dell’Arizona a Tucson,
6
riuscirono a produrre per la prima volta
buckminsterfullerene in quantità visibili. Il crogiolo per i loro sforzi non era complesso come
quello usato da Smalley per i suoi studi sui clusters, ma una semplice camera a vuoto in cui
veniva fatto passare un arco elettrico tra due elettrodi di carbonio. Sul punto di contatto degli
elettrodi di grafite una corrente di circa 100 Å creò un vapore di carbonio che successivamente
condensò su particolari superfici e anche sulle pareti della camera stessa. I ricercatori
riscontrarono che se il vuoto e la distanza erano corretti la nube di fuliggine conteneva una
miscela estraibile di fullereni, tra cui il C
60
e altri composti di natura fullerenica a maggior
peso molecolare in un rapporto percentuale variabile tra 5 e 10%.
2
Successivamente è stato introdotto un altro metodo più conveniente per produrre fullereni su
larga scala; questo, che opera in accordo con la tecnica messa a punto da Krätschamer e
Huffman, consiste nel generare, in un’atmosfera di 140 mbar di elio, un arco elettrico di 40-60
Å tra due elettrodi di grafite,
7
la corrente elettrica nel passaggio attraverso le barre dissipa la
maggior parte della sua energia ohmica, che viene convertita in calore, con riscaldamento della
grafite in stretta prossimità dei punti di contatto. L’aumento di temperatura che si registra in
tali punti è di circa 2500-3000° C. Nello stesso tempo si sviluppa un vapore nel punto di
contatto che per convezione raggiunge i punti più freddi dell’apparecchio. Dopo pochi minuti
la barra risulta quasi del tutto consumata ai punti di contatto tanto da non poter più essere
utilizzata; allora si procede nell’aprire il circuito elettrico e i fullereni vengono estratti dalla
fuliggine per mezzo di solventi organici in grado di solubilizzare adeguatamente questi
composti. Con questo metodo si ottengono fullereni con rese attorno al 20% in peso rispetto al
carbonio vaporizzato. Metodi alternativi per la produzione di fullereni prevedono l’uso di
archi riscaldati di grafite, riscaldamento per induzione della grafite, uso dell’energia solare,
sintesi di fullereni in combustione e pirolisi di naftaleni ed altri composti aromatici.
Attualmente i fullereni più comuni si possono reperire anche commercialmente. Il prodotto
grezzo ricavato dall’evaporazione della grafite si presenta fuligginoso e sporco, infatti, oltre
che ai fullereni, la fuliggine contiene altri composti carboniosi chiusi, come i fullereni giganti
ed i nanotubi (microscopiche fibre di carbonio cave, in cui gli atomi di carbonio sono disposti
su strati concentrici “a cipolla”) oltre, ovviamente, a carbonio amorfo.
I fullereni di maggior uso possono essere isolati dalla fuliggine mediante sublimazione o
estrazione. L’estrazione è preferibile in quanto le elevate temperature che accompagnano il
processo di sublimazione possono produrre stress termici ai composti, inducendo parziale
decomposizione. Nell’estrazione il solvente di maggior utilizzo è il toluene, grazie alla sua
elevata capacità di solubilizzare i fullereni, alla facile reperibilità e alla moderata tossicità.
Sono possibili anche estrazioni a caldo, con successiva filtrazione della fuliggine o estrazione
mediante Soxhlet.
Il colore caratteristico della soluzione toluenica è il magenta, se è presente solo C
60
, rosso per il
solo C
70
. L’estratto di norma contiene C
60
all’80%, C
70
al 10%, e fullereni ad alto peso
molecolare in tracce. Utilizzando altri solventi organici quali piridina, 1,2,3,5-
tetrametilbenzene, è stato possibile isolare anche clusters di altissimo peso molecolare
(fullereni giganti) superiori al C
466
, individuabili mediante spettrometria di massa. Per la
purificazione dei singoli fullereni il metodo più usato è la cromatografia che prevede come
fase stazionaria una miscela di carbone attivo e allumina o silice e, come eluente, il toluene.
Il riscaldamento di archi di grafite in presenza di grafite impregnata con lantanidi ha permesso
anche la produzione di composti chiamati endrohedrals, in cui atomi diversi vengono
intrappolati nella gabbia carboniosa (a esempio La@C
60
). Non essendo tutti questi processi di
separazione selettivi per il C
60,
è indispensabile una purificazione più specifica quale
estrazione, sublimazione o cromatografia mediante fasi stazionarie come miscele di silice e
grafite o allumina oppure altri materiali (C
18
reversed phase, γ -ciclodestrine, policiclici
aromatici). Anche la formazione di complessi tipo host-guest può essere sfruttata per
purificare il C
60
. La miscelazione di una soluzione di p-Bu
t
-calix[8]arene in toluene con una di
fullerene porta alla precipitazione del complesso fullerene-calixarene. Tale complesso è
formato da una molecola di C
60
e da una di calixarene e la separazione dei due diversi
componenti avviene per semplice aggiunta di cloroformio. Questo tipo di calixarene ha
dimostrato una particolare affinità per il C
60
rispetto al C
70
e ciò lo rende selettivo nella
purificazione delle miscele di produzione.
2
Il calore di formazione del C
60
, determinato mediante calorimetria, risulta essere 10.16
Kcal/mol per atomo di carbonio, l’80% del quale è costituito dall’energia tensionale (circa 8
Kcal/mol per carbonio). Il fullerene è termodinamicamente sfavorito rispetto alle altre due
forme allotropiche del carbonio, i cui calori di formazione sono rispettivamente 0.0 Kcal/mol
per la grafite e 0.4 Kcal/mol per il diamante. E’ un solido cristallino nero, forma cristalli cubici
a faccia centrata, è stabile sino circa 400°C, possiede caratteristiche di isolante, si decompone
per azione della luce e dell’ossigeno; è parzialmente solubile in solventi apolari e aromatici e
completamente insolubile in solventi polari.
Dà forti assorbimenti UV tra i 190 e i 410 nm, dovuti a transizioni permesse
1
T
1u
-
1
Ag, e bande
più deboli tra 410 e i 620 nm, dovuti a transizioni non permesse singoletto-singoletto.
Nonostante il tripletto si formi con alte rese per intersystem crossing dal singoletto (il cui
tempo di vita è circa 1.3 ns), non si evidenziano né fenomeni di fluorescenza né di
fosforescenza a temperatura ambiente, sia in esano che in benzene. Il tempo di vita del tripletto
è di circa 40±4 µ s in normali condizioni sperimentali mentre è di 330±25 ns in benzene saturo
d’aria poiché è efficacemente annullato dall’ossigeno molecolare. Il fullerene infatti produce
ossigeno singoletto con rese quantiche unitarie e tale formazione avviene per trasferimento di
energia tra il suo stato di tripletto più popolato e l’ossigeno molecolare [Schema 1.1].
Fortunatamente il C
60
non reagisce con l’ossigeno singoletto e quindi non viene consumato
alla fine del ciclo.
C
60
1
C
60
3
C
60
C
60
+
3
Q
hν 'hν "
1
O
2
Fluorescenza Fosforescenza
hν
Intersystem
crossing
k
q
(O
2
)
Triplet
quencher
(Q)
Energy transfer
Schema 1.1 Processo di fotoeccitazione del fullerene.
La sua simmetria icosaedrica fa sì che tutti gli atomi siano equivalenti e lo spettro
13
C-NMR
riporta un solo segnale a 143.2 ppm.
Calcoli teorici sui livelli molecolari hanno dimostrato che il C
60
possiede tre orbitali LUMO a
bassa energia, triplamente degeneri e ciò permette di spiegarne l’elettronegatività. Questo dato
è stato confermato elettrochimicamente quando è stato dimostrato che il C
60
può essere
ridotto sino all’esaanione. Studi di voltametria ciclica infatti evidenziano sei onde di riduzione
generate dal processo di trasferimento elettronico ed è alquanto interessante notare che tale
processo è perfettamente reversibile. I potenziali di riduzione sono scarsamente sensibili alle
variazioni di solvente e alla presenza di elettroliti, ma sono fortemente influenzati dalla
temperatura. Gli anioni sono stabili in soluzione, soprattutto a basse temperature e ciascuna
specie anionica presenta un caratteristico spettro UV-Vis e NIR, che riflette i cambiamenti delle
energie degli orbitali LUMO e LUMO+1 con una diminuizione della degenerazione.
1.2 La solubilità del fullerene
I campi di ricerca applicativa per il fullerene sono numerosi e spaziano dai combustibili per
razzi ai toner per fotocopiatrici, ma certamente uno tra quelli di maggior interesse è dato dalle
possibili applicazioni biofarmaceutiche di questa molecola senza eguali in natura e di grande
impatto biologico, essendo per ora l'unica struttura nota di forma sferica, totalmente
idrofobica, reattiva e pertanto facilmente funzionalizzabile. Il principale problema che bisogna
però affrontare è causato dalla scarsa solubilità del C
60
nei solventi utilizzati in campo
biologico.
La solubilità del fullerene in solventi organici è stata oggetto di numerosi studi, al fine di
trovare metodi di purificazione meno onerosi di quelli attualmente utilizzati, per riuscire a
estrarre i fullereni superiori dalle miscele di produzione e per poter eseguire più agevolmente
le caratterizzazioni di questa molecola e dei suoi derivati (ad esempio
13
C-NMR).
7,8
Contrariamente agli altri soluti che possono assumere conformazioni diverse e meglio
adattarsi ai solventi, il fullerene ha una geometria ben definita che disturba la struttura dei
solventi, scompaginando la regolarità dei legami di tipo polare a cui non può partecipare data
la caratteristica apolarità che lo contraddistingue. Infatti sebbene la superficie molecolare, cioè
l'area disponibile per le interazioni con i solventi, sia piuttosto considerevole, le interazioni di
tipo idrofobico sono deboli.
Alcuni lavori hanno dimostrato che vi è uno scattering della luce laser a 790 nm in soluzione di
benzene e ciò è causato da una lenta e reversibile aggregazione del fullerene anche a basse
concentrazioni. Tomiyama e collaboratori
9
hanno evidenziato che, mentre in toluene il
coefficiente di assorbimento non dipende dalla concentrazione della soluzione, in CS
2
questo
varia: a 440 nm diminuisce all'aumentare della concentrazione stessa. Questo si spiega con il
fatto che in soluzioni diluite il C
60
è presente in uno stato monodisperso mentre all'aumentare
della concentrazione si ha la formazione di aggregati.
L'aumento della solubilità del fullerene diventa quindi un requisito indispensabile per
un'attenta analisi delle sue proprietà: in particolare per quanto riguarda la solubilizzazione a
scopo di diagnostica farmaceutico-biologica sono state adottate due tecniche principali:
1 - la formazione di complessi, micelle o liposomi;
2 - la derivatizzazione chimica.