3
Premessa
Quando si parla di salute è doveroso fare riferimento alla Costituzione
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), agenzia dell'ONU istituita nel 1948
con l'obiettivo di operare per far raggiungere a tutte le popolazioni il livello di salute
più elevato possibile.
La salute, definita nella Costituzione dell'OMS, come "stato di completo benessere
fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia", viene considerata un
diritto e come tale deve essere il primo dei diritti delle persone.
Ciascuno Stato, a tutti i livelli, ha quindi il dovere di modificare quei fattori che
influiscono negativamente sulla salute collettiva, quali ad esempio fumo ed alcool e
promuovendo al contempo quelli favorevoli, quali ad esempio una alimentazione
sana ed equilibrata ed attività fisica regolare e non eccessiva.
Questo allo scopo di far condurre a ciascuna persona una vita produttiva a livello
individuale, sociale ed economico nonché al fine di ridurre la spesa sanitaria
nazionale grazie ad un minor ricorso alle prestazioni sanitarie di cura e al consumo
di farmaci.
In questo senso per dare un impulso significativo al perseguimento della salute da
parte dei governi, ai diversi livelli, l'OMS ha cercato di rendere operative, a partire
dagli anni ottanta, due strategie che vanno sotto il nome, rispettivamente, di
"promozione della salute" e di "strategia della salute per tutti". Ciò soprattutto nella
consapevolezza che la salute è il risultato di una serie di determinanti di tipo sociale,
ambientale, economico e genetico e non il semplice prodotto di una organizzazione
sanitaria.
I determinanti della salute sono i fattori la cui presenza modifica in senso positivo o
negativo lo stato di salute di una popolazione, nel corso degli anni diversi studi
riconosciuti a livello mondiale hanno effettuato una stima quantitativa dell'impatto
di alcuni fattori sulla longevità delle comunità, utilizzata come indicatore indiretto
dello stato di salute: i fattori socio-economici e gli stili di vita contribuiscono per il
40-50%, lo stato e le condizioni dell'ambiente per il 20-30%, l’eredità genetica per
un altro 20-30%, e i servizi sanitari per il 10-15%.
Risulta quindi evidente quanto minimamente incidano sullo stato di salute i servizi
sanitari e quanto invece abbiano grande importanza i fattori socio-economici, gli
4
stili di vita e le condizioni degli ambienti in un cui una persona vive, visto che
insieme sono circa i 2/3 dei fattori che possono produrre salute.
Chi vive in Italia non può certo lamentarsi visto che lo stato Italiano, appunto, già
nel 1947 anticipò e fu quindi il precursore di quello che poi divenne il pensiero
dell’OMS, infatti, all’art.32 della propria Costituzione cita “ La Repubblica tutela la
salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti…”.
Questo che in Italia può sembrare una banalità o comunque un fatto dato per
scontato, non lo è in molte parti del mondo visto che, realtà iper sviluppate ed
industrializzate come gli Stati Uniti, adottano ancora oggi il modello Bismarck per
l’erogazione dei servizi sanitari, modello che, anche studi scientifici, hanno
dimostrato non essere il migliore sotto molti aspetti, come ad esempio per il costo
della spesa sanitaria e per lo stato di salute della popolazione.
La Regione Toscana non solo adotta il modello Beveridge, quale scelta di livello
nazionale, ma ha fatto ancora di più perché, attraverso le Società della Salute, ha
creduto nel modello partecipativo ed ha messo al centro la politica ed i cittadini
nelle scelte di programmazione dei servizi socio-sanitari all’interno delle ex zone
distretto.
8
CAPITOLO 1
IL SISTEMA SOCIO-SANITARIO NAZIONALE E TOSCANO
1.1– L’evoluzione del quadro normativo sanitario e sociale
Innanzi tutto dobbiamo ricordare che i diritti sociali mirano a garantire il
principio di uguaglianza sostanziale, sancito all’articolo 3 della nostra Costituzione,
ad orientare la produzione verso la realizzazione di determinati beni e servizi oltre a
tutelare i molteplici ambiti di vita sociale
1
. Si ha quindi il riconoscimento al singolo
individuo di una facultas agendi (definiti anche diritti sociali di partecipazione e
libertà) oltre ad imporre ai soggetti pubblici e privati di mettere in essere
comportamenti a favore dei cittadini e quindi a garantire i diritti sociali di
prestazioni in regime di uguaglianza.
Non a caso gli articoli 32 e 38 della Costituzione ci ricordano che la salute viene
identificata come diritto fondamentale ed è quindi inalienabile, intrasmissibile,
irrinunciabile e compete a tutti oltre al fatto che il diritto alla previdenza e
assistenza sociale sancisce quella che si chiama “sicurezza sociale”.
Ricordato quindi quelli che sono il diritto alla salute e all’assistenza sociale
vediamo come nel tempo si sono evoluti.
Per quanto riguarda l’assistenza sociale solo con l’art.128 del D.Lgs. n.112/1998
sono stati definiti i servizi sociali, intendendo con essi:
«Tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a
pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di
bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse
soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché
quelle assicurate dal sistema di amministrazione della giustizia»
Tale definizione presuppone la differenza tra tali servizi rispetto a quelli sanitari, ma
con ampi margini di incertezza sia riguardo agli esatti confini tra gli uni e gli altri,
sia in riferimento all’individuazione dell’ambito proprio dei servizi sociali.
Per avere un chiarimento ed una esplicitazione bisogna aspettare fino al 2000,
anno in cui, finalmente, viene approvata la legge quadro del'8 novembre, numero
328, che detta le norme per la realizzazione del sistema integrato di interventi e
1
Tratto da S. Cassese. Dizionario di diritto pubblico. 2006.
9
servizi sociali
2
, anche se è doveroso ricordare che nel 1997 con legge regionale n.
72 dal titolo “Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e
di pari opportunità” la Regione Toscana funge un po' da anticipatore rispetto
all'intervento nazionale.
Una criticità evidenziata concerne il modello centralista di erogazione dei servizi:
sistema che viene ritenuto contrastante con la logica della decentralizzazione e
dell’attribuzione delle responsabilità di intervento al soggetto localmente più vicino
(localizzazione). L'ultima criticità riguarda la considerazione che i servizi vengano
svolti in maniera non coordinata e con una gestione distaccata tra i vari settori di
intervento, cosa che non permette una visione di sistema per far fronte ai bisogni
sociali.
Analizzando la legge possiamo rilevare che lo Stato recepisce gli obiettivi che si era
prefissato, infatti, possiamo rilevare che l’art.1 costituisce un ampliamento
soggettivo e oggettivo della materia, dei soggetti e strumenti per l’erogazione dei
servizi; all’art.2 vengono individuati i destinatari delle prestazione; all’art.3 si trova
la legittimazione all’integrazione socio-sanitaria; nell’art.6 si riscontra la centralità
dell’ente locale nell’organizzazione e gestione dei servizi con l’attribuzione di
funzioni come la progettazione e la programmazione, l’erogazione dei servizi e
delle prestazioni, e infine la valutazione ed il controllo; all’art.8 vengono affidate
alle regioni le funzioni di organizzazione individuando gli ambiti di gestione, di
integrazione delle politiche socio-sanitarie, di sorveglianza sui comuni e di
sostituzione ad essi in caso di inadempienze; all’art. 18 non disponendo un organo
ad hoc per la partecipazione dei comuni, si limita a stabilire che il piano degli
interventi e dei servizi sociali è adottato attraverso forme d’intesa con i Comuni
interessati
3
ed in questo senso la nostra zona adottò, quale forma, il COeSO, un
consorzio per l’erogazione dei servizi sociali tra i comuni della zona appartenenti.
La programmazione avviene, secondo la legge quadro, su tre livelli: un primo
livello costituito dal programmazione nazionale, della durata di 3 anni, stilato dopo
aver sentito le regioni e gli enti locali; successivamente il livello attuativo regionale,
2
M. Campedelli, P. Carrozza, E. Rossi (a cura di), (2009), Il nuovo Welfare Toscano: un modello?
La sanità che cambia e le prospettive future, Il Mulino.
3
D. Paris, (2007), Il ruolo delle regioni nell'organizzazione dei servizi sanitari e sociali a sei anni
dalla riforma del titolo V: ripartizione delle competenze e attuazione della sussidiarietà, cit., in Le Regioni",
2007, pag. 983 e ss.
10
con i piani regionali; ed infine, il livello locale, con i cosiddetti Piani di Zona,
ovvero lo strumento di programmazione più usato dei servizi sociali
4
.
Infine all’art. 22 vi è la previsione di un elenco di interventi da considerare come
livelli essenziali di assistenza,
5
con la precisazione però che gli stessi saranno
erogati nei limiti delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali.
Ancora oggi, mentre nel sanitario abbiamo i LEA stabiliti con D.P.C.M. del
29/11/2001, non esistono dei livelli di assistenza garantiti a livello nazionale ma
dobbiamo rifarci alle singole leggi regionali, infatti, dopo la legge 328/2000 sono
stati adottati una serie di atti di varia natura che si sono limitati ad alcuni
provvedimenti di carattere finanziario
6
.
Per quanto riguarda invece l’assistenza sanitaria, di tipo statale ed universalistico,
dobbiamo risalire alla riforma avuta con la Legge n.833 del 23/12/1978, di
istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, con la quale si assicura l’assistenza
gratuita od a costi ridottissimi anche a chi non è indigente ed ai Comuni viene
demandata la responsabilità fondamentale amministrativa dell'assistenza sanitaria e
ospedaliera
7
. Le funzioni demandate ai Comuni devono essere da questi esercitate,
in forma singola o associata, mediante apposite strutture operative, appunto le USL.
I meccanismi di programmazione che vengono a delinearsi in questa legge
possono essere definiti ”a cascata”, dall’alto verso il basso, secondo logiche
gerarchiche o di pianificazione autoritativa, per cui da un Piano Sanitario Nazionale
discendono Piani Sanitari Regionali da cui a loro volta discendono i Piani attuativi
locali.
La scelta politica del 1978 rimane pressoché invariata rispetto ai principi, ma le
riforme degli anni 90 apportano modifiche rilevanti all'ambito sanitario attraverso
alcuni significativi interventi normativi del 1992 e 1999, volti ad introdurre regole
di programmazione e di finanziamento del sistema sanitario, finalizzate a renderlo
più efficiente e più razionalizzato rispetto ai costi.
4
Il Piano Integrato di Salute (PIS) è lo strumento di programmazione usato nelle Società della
Salute Toscane. Per approfondimenti si rimanda al capitolo successivo.
5
I cosiddetti LEP.
6
D.P.C.M. 30 marzo 2001, Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi
alla persona; d.P.R. 3 maggio 2001, Piano nazionale degli interventi e servizi sociali 2001-2003;
d.lgs. 4 maggio 2001, n. 207, Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza;
d.m. 21 maggio 2001, n. 308, Regolamento concernente “Requisiti minimi strutturali e organizzativi per
l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semi-residenziale.
7
Vedi art.13 della legge 833/78