V
ABSTRACT
Oggigiorno, si tende ad attribuire allo stress tutto ciò che succede di negativo nella
propria vita. In realtà, lo stress è una condizione ben definita dagli esperti del settore come
risposta non specifica dell’organismo verso uno stimolo che riceve e percepito come
potenzialmente dannoso. Il Manuale Diagnostico e Statistico delle Patologie (DSM),
individua due forme cliniche di stress, il Disturbo da Stress Acuto (ASD) e il Disturbo Post-
Traumatico da Stress (PTSD). Le situazioni più stressogene si presentano sul luogo di lavoro
a causa di fattori come l’ambiente in sé se è più o meno confortevole e i rapporti che si
instaurano con i colleghi e i superiori. Il Disturbo da Stress Lavoro-Correlato (SLC) non è da
sottovalutare perché può portare i lavoratori in condizioni di esaurimento a cui poi è
necessario intervenire nell’immediato. La Sindrome da Burn-out è un esaurimento emotivo
che si manifesta a causa di una condizione di stress cronica presente da diverso tempo al
lavoro. È un disagio che si può risolvere con un trattamento psicoterapico, integrato a quello
farmacologico nei casi con sintomi acuti di ansia o depressione per evitare conseguenze
deleterie, e allontanandosi momentaneamente dalla fonte stressogena. Nella maggior parte dei
casi, si ha una buona ripresa da parte dell’assistito che può svolgere nuovamente le normali
attività quotidiane in modo sereno. Il burn-out è in riferimento solo all’ambito di lavoro, ma
può avere ricadute sulla vita personale, per questo è importante cercare di individuare il prima
possibile eventuali segnali della sindrome. Nonostante il disturbo da stress lavoro-correlato e
la sindrome da burn-out non siano classificate nei principali manuali di psicopatologia, sono
sempre più presenti nelle realtà lavorative. I datori di lavoro si stanno rendendo conto di
quanto sia importante cercare di garantire il benessere psico-fisico dei propri dipendenti e
anche la normativa vigente a riguardo viene semplificata nel corso degli anni per permettere
alle imprese operazioni più fluide di valutazione dei rischi per i lavoratori e di intervento con
il fine di prevenire, ancor prima di curare. Le persone non sono macchine, hanno i propri
tempi e i propri bisogni; oltre che per un più importante discorso di tipo etico, riflettendo sulle
mere performance lavorative con l’obiettivo del guadagno, conviene alle aziende stesse
prendersi cura dei propri dipendenti perché se vengono procurati gli strumenti giusti sia
materiali (un assetto adeguato delle stanze o uffici) sia mentali (la tranquillità, la
cooperazione, i giusti riconoscimenti e compiti chiari e realistici), gli operatori non potranno
fare altro che dare il meglio di sé.
Parole chiave: Stress • Lavoro • Burn-out • Psicoterapia
VI
INTRODUZIONE
La seguente relazione tratta il tema dello Stress Lavoro-Correlato e delle sue
conseguenze più gravi, definite come Sindrome da Burn-out, iniziando dalle teorie degli
autori che se ne sono occupati fino ad arrivare alle attuali terapie per aiutare il singolo ad
affrontare questo disagio e, al contempo, definendo il ruolo delle aziende nel benessere dei
propri dipendenti, anche facendo riferimento alle normative vigenti. Nel primo capitolo, si
definisce lo stress nelle sue varie accezioni facendo riferimento alla teorie degli autori che se
ne sono maggiormente occupati e si spiega inoltre come reagisce l’organismo umano ad un
agente stressogeno esterno. Il sistema nervoso autonomo è il raggruppamento di unità cellulari
e fasci fibrosi che innervano gli organi interni deputati alle funzioni di tipo vegetativo – o
autonomo – e ha il compito di mantenere l’equilibrio del corpo accelerando (sistema
simpatico o ortosimpatico) o rallentando (sistema parasimpatico) queste funzioni. Quando si
presenta un evento avverso che il soggetto percepisce come minaccia, si attiva ad un livello
maggiore il sistema simpatico che predispone l’organismo a reagire per attaccare o fuggire;
una volta passato il pericolo, subentra il sistema parasimpatico che contrasta l’iperattivazione
del sistema simpatico per riportare l’organismo all’omeostasi. Ogni volta che si verifica una
situazione, avviene un processo mentale di valutazione per comprendere ciò che sta
succedendo e categorizzarlo in qualcosa di già visto o di nuovo e mettere in pratica le
specifiche strategie individuali di fronteggiamento. Lo stress viene poi declinato nel contesto
più specifico del lavoro. Si percorre la linea storica, dalla “parcellizzazione” del taylorismo
dove l’uomo veniva considerato come una macchina fino ai modelli più recenti dove si
riconoscono le caratteristiche sociali e psicologiche dell’essere umano. Una giusta “dose” di
stress può essere funzionale per la persona per uscire dalla propria “zona di comfort” e
sviluppare le proprie potenzialità, in questo caso si parla di “eustress”. Il “distress” invece è lo
stress disfunzionale che porta l’individuo allo sfinimento fisico e mentale. Lo stress si
manifesta principalmente con agitazione, bassa autostima, avvilimento, alterazioni dell’umore
(sintomi emotivi) e diarrea, stitichezza, senso di vomito, tensione muscolare, palpitazioni,
mancanza di energia (sintomi fisici). La cause possono essere molteplici, per questo è
necessario intraprendere un colloquio clinico con un professionista ed eseguire gli esami
adeguati. Nel secondo capitolo, si approfondisce la Sindrome da Burn-out in senso clinico
delineando la patologia in base ai diversi approcci teorici e descrivendo gli strumenti
diagnostici per individuarla. Nel terzo capitolo, l’attenzione è rivolta al contesto di lavoro nei
suoi aspetti materiali (ergonomia dei mobili presenti negli ambienti e la disposizione degli
VII
spazi), sociali (relazioni con i colleghi), normativi (leggi per la sicurezza sul posto di lavoro) e
di intervento (strumenti di valutazione dei rischi). Vengono individuate le professioni a
maggior rischio burn-out, comprendendo la figura dei caregiver. Nel quarto capitolo, si
individuano le principali terapie di intervento, soffermandosi in particolare sulla psicoterapia
cognitivo-comportamentale. L’efficacia di tali tecniche terapeutiche viene valutata in base
all’analisi di una ricerca condotta su operatori del Settore Psichiatrico presso il Servizio
Pubblico e Privato Sociale. L’esperienza clinica dimostra che le persone, grazie al supporto
dei terapeuti, hanno la forza di riconquistare la propria serenità grazie a dei percorsi
psicologici personalizzati che possano trasformare le convinzioni errate scaturite dalla
situazione di disagio in pensieri realistici e positivi per essere di nuovo in grado di vivere la
propria vita lavorativa e personale con la giusta quantità di stress e di relax.
1
CAPITOLO 1
Stress lavoro-correlato
In buona parte delle situazioni di vita quotidiana in cui si vive una condizione non
favorevole o ci si comporta in prima persona in modo scontroso verso gli altri e ciò che ci
circonda, si attribuisce subito la “colpa” allo stress, ci si giustifica dicendo che si è stressati,
allo stesso tempo si attribuisce la causa dello stress alla frenesia degli impegni da svolgere in
lassi di tempo ridotti, al troppo lavoro, alla tensione e a tanti altri vari fattori che impediscono
a qualcosa di andare come dovrebbe secondo le proprie aspettative. Tutti parlano di stress, ma
non sempre si sa bene che cosa sia. È bene entrare nel dettaglio.
1.1 Definizione di stress e modelli teorici
Il termine inglese “stress” significa letteralmente “fatica, sforzo, sollecitazione” e
comparve per la prima volta nella lingua anglosassone nel XIV secolo, in lingua latina la
parola più vicina al suo significato è strinctus (stringere), venne utilizzato poi nel XVIII
secolo in ambito metallurgico da parte di Thomas Young per denotare la pressione applicata
sui metalli al fine di provarne la resistenza (Ponce, 2018). Gli Antichi tra cui pensatori come
Alcmeone, Ippocrate e Aristotele erano già consapevoli dello stress e dei suoi effetti. Nel
1935, il fisiologo statunitense Walter Bradford Cannon introdusse il termine “stress”
nell’ambito della biologia definendolo come una reazione fisiologica di “fight or flight”
(attacco o fuga) in risposta ad uno stimolo esterno potenzialmente pericoloso per sé o per i
propri cari in modo da preservarsi e mantenere l’omeostasi (milieu interieur per Claude
Bernard, fisiologo francese). Il concetto venne approfondito l’anno seguente dal medico
austriaco Hans Selye (1936) introducendo la Sindrome Generale di Adattamento, egli definì
lo stress come una “risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso”,
cioè una risposta molto articolata di tipo biochimico in reazione ad un avvenimento
imminente probabilmente dannoso per il proprio organismo che ha lo scopo innato di
sopravvivere all’ambiente e di mantenere un bilanciamento psico-fisico interno.
A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, un nuovo paradigma sostituì quello
lineare (stimolo-individuo-risposta) considerato fino a quel momento grazie a Richard S.
Lazarus, psicologo americano considerato uno dei padri delle teorie cognitivo-valutazioniste,
che inserì nello schema l’intermediazione dell’individuo, ciò significa che tutti gli eventi sono
2
potenzialmente stressanti ma lo diventano in atto solo se la persona stessa li percepisce come
tali. Si introdusse il concetto di valutazione da parte del soggetto che classifica uno stimolo
esterno come innocuo oppure pericoloso, a cui seguiranno eventualmente le strategie di
fronteggiamento o coping. Dagli anni Settanta, si moltiplicarono le ricerche che studiavano
non solo le fonti stressogene di origine biologica dell’essere umano, com’era stato per la quasi
totalità delle precedenti indagini, ma anche di origine sociale, altro contesto che può innestare
reazioni di stress.
La psicologia moderna definisce lo stress come una reazione del corpo a singoli o
molteplici stimoli esterni (stressor) indipendentemente dal loro tipo, che sia fisico, chimico,
sociale o psicologico, che ne modificano la stabilità interna, la quale è sempre condizionata da
risposte emozionali (Pruneti, 1996). Tony Cassidy (1999), professore di Psicologia, individua
tre correnti di ricerca sullo stress che si fondano su teorie differenti:
1) corrente epidemiologica: il punto focale di ricerca è lo stimolo che provoca lo stress
(stressor ambientali);
2) teoria fondata sulla risposta: analisi di come il soggetto reagisce agli agenti stressanti,
prestando attenzione agli effetti nocivi per la salute;
3) modello transazionale: analizza come l’influenza reciproca tra individuo e ambiente possa
condurre ad un riscontro positivo o negativo. Si considerano le diverse risorse personali e le
peculiarità degli stressor (Ferrara & La Barbera, 2006).
1.1.1 Modello “fight or flight” di Cannon-Bard
La risposta “attacco o fuga” è stata inizialmente osservata negli animali che al
presentarsi di un pericolo reagiscono con l’attivazione generale del sistema nervoso simpatico
il quale li predispone a opporsi, combattere oppure a “volare via”, fuggire. Nel secondo caso,
si può distinguere una fuga attiva che consiste nello scappare dal pericolo e una fuga passiva
che è il caso dello svenimento. In questo meccanismo neuro-fisiologico, partecipano sia le
componenti emotive sia quelle cognitive. Le emozioni sono dei processi mentali complessi
che rispondono ad uno stimolo, modulano le azioni, le valutazioni e le decisioni che
l’individuo prende ogni giorno per qualsiasi cosa. Il “sistema delle emozioni”, a sua volta,
non comprende solo la componente emotiva ma anche quella cognitiva e fisiologica e ognuna
di queste componenti influenza l’altra. Le emozioni di base o primarie sono innate e
universali (come sostenne Darwin per primo), cioè presenti in tutte le culture. Le sei emozioni
principali sono felicità, paura, rabbia, disgusto, tristezza, sorpresa, mentre le emozioni
3
secondarie derivano dalla combinazione delle emozioni di base e sono, ad esempio, orgoglio,
vergogna, invidia e senso di colpa (Ekman & Friesen, 1971). Le emozioni possono essere
distinte in estetiche (in reazione alle opere d’arte), utilitaristiche (di adattamento), di base
(innate e universali, molte di esse fanno parte di quelle utilitaristiche), positive (quando gli
individui raggiungono i propri obiettivi) e negative (quando gli individui non riescono a
raggiungere i propri obiettivi) (Vecchia, 2018). La paura è un’intensa emozione di base che
scaturisce dalla percezione di una minaccia reale o presunta, è presente sia nell’essere umano
sia negli animali ed è utile per la sopravvivenza nell’ambiente; l’ansia e il panico, invece,
sono tipiche della specie umana. La sede della paura è l’ipotalamo anteriore, una struttura del
cervello che libera ormoni, i quali a loro volta attivano la ghiandola surrenale che produce
adrenalina e attivando così l’asse ipotalamo-surrene proprio per fronteggiare eventi
considerati dannosi dall’individuo (Cannon, 1915). Un altro organo cerebrale importante che
si attiva in casi di allarme è l’amigdala, centro nervoso che integra l’esperienza cosciente con
gli stati emozionali, perciò dà significato emozionale alle sollecitazioni sensoriali (LeDoux,
1996). Le emozioni sono pienamente coinvolte in questi processi, infatti Cannon e Bard
elaborarono nel 1927 la Teoria Centrale delle Emozioni, in contrapposizione alla Teoria
Periferica di James-Lange. Secondo gli autori le strutture sottocorticali del talamo e
dell’ipotalamo sono essenziali per la trasmissione delle emozioni. Il sistema nervoso
simpatico ha un’attivazione generale a cui corrispondono differenti emozioni. Cannon
sosteneva che la teoria di James-Lange avesse delle criticità tra cui quella di considerare i
visceri il punto di partenza da cui poi si sviluppano le emozioni (per questo è chiamata teoria
periferica) perché quest’ultimi hanno poche terminazioni nervose e perciò sono lenti ad
elaborare la reazioni del corpo di fronte ad uno stimolo imminente, invece le risposte di ansia,
paura, sorpresa sono repentine a comparire come anche a modificarsi, perciò Cannon e Bard
sostenevano che il segnale prima arrivi alla corteccia del cervello e solo in seguito si propaghi
fino agli organi periferici (muscoli, ghiandole, visceri).
Secondo LeDoux (1996) esistono due vie per processare gli stimoli nocivi, una via lenta
(dorsale o alta) che parte dal talamo sensoriale, arriva alla corteccia cerebrale in cui avviene
un’elaborazione cognitiva e infine all’amigdala; e una via veloce (ventrale o bassa) che non
passa dalla corteccia e parte dal talamo sensoriale per arrivare direttamente all’amigdala. Le
zone del cervello implicate nell’attivazione iniziale delle emozioni e nella regolazione delle
stesse sono diverse.
Zacarias e colleghi (2018) propongono la presenza di un singolo neurone specifico del
moscerino della frutta che gli permette di distinguere tra le strategie di coping che può
4
adottare davanti ad una minaccia cioè la fuga o l’“immobilizzazione” – detta anche freezing
(congelamento) – che però non è propriamente protettiva per il soggetto e consiste nel fingere
di essere morti per non farsi scovare dal predatore, chiamata anche tanatosi (dal greco thanos,
morte) difensiva. È un meccanismo presente anche in altri animali come tipicamente
l’opossum e gli umani.
1.1.2 Sistema Nervoso Autonomo e “fight or flight”
Il Sistema Nervoso Autonomo (SNA), o sistema nervoso vegetativo, è un sistema
indipendente dal Sistema Nervoso Centrale (SNC) ed è formato da nervi periferici e gangli
(ammassi nervosi contenenti corpi di neuroni). Lo SNA controlla e modula le funzioni
vegetative del nostro organismo senza che ci sia il coinvolgimento della coscienza e quindi
della corteccia, ossia tutte le reazioni fisiologiche vitali di base che subentrano durante gli
stati emotivi o l’attività fisica e che permettono di sopravvivere. La sua prima funzione è di
mantenere l’omeostasi dell’intero organismo, stato di totale equilibrio del corpo. Il sistema
nervoso autonomo può accelerare (sistema simpatico o ortosimpatico) o rallentare (sistema
parasimpatico) le funzioni vegetative a seconda della condizione fisica ed emotiva che la
persona sta provando. Entrambi i sistemi controllano gli stessi organi. Il sistema simpatico,
chiamato così perché agisce in simpatia delle emozioni e degli stati d’animo che si stanno
vivendo in quel dato momento, prepara certe funzionalità dell’organismo per il “fight or
flight” a seconda dei trigger (attivatori) provenienti dal contesto e produce uno stato di ansia
come simbolo difensivo preparatorio ad eventi stressanti. Aumenta:
Ritmo cardiaco e pressione arteriosa
Dilatazione pupille
Sudorazione e salivazione sierosa (parotide), mentre il parasimpatico stimola la
salivazione mucosa (sottomandibolare e sottolinguale)
Dilatazione bronchi per acquisire maggior ossigeno
Irrorazione muscoli scheletrici deviando il sangue per l’azione di attacco o fuga
Chiusura degli sfinteri del tratto gastro-enterico e gli sfinteri urinari (per questo
possiamo non digerire bene o avere la gastrite in condizioni di stress).
Il sistema simpatico si compone di due neuroni: pregangliare e postgangliare. I neuroni
gangliari danno origine ad una serie di cellule dal primo segmento toracico T1 agli ultimi
segmenti lombari del midollo spinale L4-L5 (toraco-lombare), i neurotrasmettitori coinvolti in