5
Pertanto, si è tentato di ricostruire, attraverso la
consultazione di “Rassegna Sindacale” dal 1969 al 1978,
l’interpretazione del sindacato in merito alle Brigate Rosse,
ponendola anche in relazione con le spiegazioni, a volte
contrastanti, del Pci, comparse su “Rinascita” nel
medesimo arco di tempo, sul fenomeno eversivo.
Al raffronto delle due riviste precede un breve
capitolo introduttivo dedicato al 1968, anno
“rivoluzionario” di portata universale, senza il quale
risulterebbe arduo non solo spiegare il volto nuovo delle
lotte operaie e del sindacato, ma anche del contesto sociale
completamente rinnovato, all’interno del quale si andava
ramificando il fenomeno del terrorismo.
L’analisi delle due riviste comincia nel 1970, primo
anno di massima tensione, causata dalla strage di Piazza
Fontana. Da quell’anno il sindacato e la sinistra storica
assunsero un atteggiamento difensivo sia nei confronti dello
schieramento conservatore e del mondo imprenditoriale, che
li accusavano di essere i “mandanti” dello stato di tensione
presente nelle principali fabbriche italiane, sia verso lo
Stato, che attraverso l’investitura di nuovi poteri al corpo
6
della polizia, attuò, a detta delle parti in causa, una dura
“repressione” nei confronti dei diritti dei lavoratori.
Ne conseguì, a seguito di quell’attacco da più parti,
una risposta del partito e dell’organizzazione operaia tesa
ad individuare nelle più disparate manifestazioni di
violenza, fra cui le prime azioni terroristiche, un unico
disegno reazionario, volto a destabilizzare l’intero assetto
democratico, che prese il nome di “strategia della tensione”,
gestita dalla ”mano” dell’estrema destra e dalla “mente”
della Dc, che si sarebbe giovata della sanguinosa scia di
attentati per presentarsi, di fronte agli elettori, come il
“raddrizzatore” di una democrazia minacciata dagli “opposti
estremismi”
2
.
Con il 1972 le attenzioni dei comunisti e della Cgil,
cominciarono ad indirizzarsi genericamente verso le
“frange estremiste“ di sinistra, con le quali iniziò una
rovente polemica, specie su “Rinascita”, in merito alla
“ginnastica rivoluzionaria” che simili fazioni sottoponevano
ai giovani studenti.
2
A. Coppola, Linee e fini del piano Fanfani, in Rinascita, 10 luglio 1970, p.3
7
La violenza era comunque, secondo l’ottica del
sindacato, sempre di matrice “fascista” e nel caso in cui
venisse attuata anche da “gruppi extraparlamentari” era
sicuramente frutto di una “trappola della provocazione di
destra e delle manovre della polizia”
3
. Si manifestava,
invece, più pregnante la volontà del Pci di far luce
sull’origine, all’interno dell’ultrasinistra, del
“processo degenerativo, che in alcune formazioni è già
approdato a quello stadio estremo in cui è difficile tracciare un
confine tra avventurismo e provocazione”
4
.
In sostanza, si andarono delineando da quel momento
due interpretazioni sul terrorismo, parallele ma diverse,
prese rispettivamente dal Pci e dal sindacato: il primo intuì,
seppure con due anni di ritardo, il dramma interno a cui
stava andando incontro una fetta della sinistra che scelse la
lotta armata “come sublimazione della rivolta individuale”
5
,
mentre il secondo continuò a confrontarsi con i “fantasmi”
de
3
FIOM, FIM, UILM, Appello dei sindacati alla vigilanza contro le manovre
della destra, in Rassegna Sindacale, 26 marzo 1972, p. 4
4
R. Ledda, Per loro non è ancora arrivato Carlo Marx, in Rinascita, 31
marzo 1972, p. 3
5
ivi
8
“la svolta a destra che forze del grande padronato e forze
politiche reazionarie [stavano] cercando di costruire dalla fine
del 1969”
6
.
Inoltre, il differente ritardo delle due organizzazioni è
intuibile anche di fronte all’esempio dell’utilizzo della sigla
esatta “brigate rosse”, comparsa, per la prima volta su
“Rinascita” il 2 febbraio 1973, mentre su “Rassegna
Sindacale” addirittura il 19 gennaio 1978.
Comunque, il sindacato cominciò, dal 1973 ad
interessarsi maggiormente allo “avventurismo così detto di
sinistra (...) [che] si [muoveva] su un terreno che [rendeva]
possibili le infiltrazioni di provocatori e spie e torbide
commistioni”
7
, accusati di “rivestire il proprio passato nero
con panni rossi”
8
.
Con lo “attacco al cuore dello Stato” delle Br,
attuatosi nel periodo compreso fra il 1974 e il 1978 e
tradottosi nella scelta di obiettivi non più legati al contesto
della fabbrica, come il giudice Sossi, Coco e Moro, sia il
sindacato che il Pci furono ovviamente impegnati a dedicare
6
L. De Carlini, troncare le radici della “trama nera”, in Rassegna Sindacale,
4 giugno 1972, p. 3
7
P. Bufalini, Una vigilanza di massa, in Rassegna Sindacale 27 maggio
1973, p.7.
8
G. Migone, La classe operaia non si lascia intimorire, in Rassegna
Sindacale 27 maggio 1973, p.10.
9
un maggiore spazio allo studio della fitta catena di attentati.
Soprattutto, si tentò di comprendere la logica che muoveva i
terroristi, che, per il sindacato, nasceva dalla volontà di
“diffondere la tesi reazionaria dello sciopero che [era] causa
di disordine”
9
, mentre il Pci sottolineava la volontà
brigatistica di colpire proprio sotto gli impegni elettorali
“per trarre dal tutto il riflesso dell’ordine, inteso in senso
reazionario, dello <Stato forte> che [saldasse] un blocco di
forze antidemocratiche”
10
.
Con il 1977, anno dello sviluppo dell’Autonomia
Operaia, il sindacato dedicò molto spazio sulla propria
rivista ai dibattiti sui problemi giovanili nella scuola e sul
fenomeno della violenza. In quel contesto, il sindacato intuì,
infatti, che molti giovani militanti del “movimento del ‘77”
stavano rischiando di andare ad ingrossare le fila dei gruppi
terroristici.
9
G. Guerra, Strategia della tensione e attacco antiunitario, solo una
coincidenza?, in Rassegna Sindacale, 1 maggio 1974, p.5
10
R.L., Brigate della reazione, in Rinascita, 10 maggio 1974, p.4
10
In questa logica possono essere spiegati non solo i
numerosi articoli apparsi in quell’anno, ma anche le
manifestazioni di solidarietà rivolte dall’organizzazione dei
lavoratori al mondo studentesco, come il contestato comizio
di Lama all’Università di Roma, il 17 febbraio 1977.
Il dibattito sulla violenza denotò, per la prima volta,
una discrepanza, all’interno delle molte voci che avevano
arricchito la posizione sindacale. La domanda
“fino a quando possiamo continuare, come movimento
sindacale, a stigmatizzare la violenza dei singoli senza
assumere una posizione chiara contro quella forma di violenza
esercitata dallo Stato che si chiama repressione?”
11
denotò, infatti, una frattura interna alla Cgil sul
concetto di “violenza” e “su chi” realmente la esercitava. La
parentesi fu, però, chiusa immediatamente, in seguito al
rapimento Moro, che impose all’intera organizzazione un
“volto” unico da mostrare allo “squallido e tragico
fenomeno del terrorismo”
12
, proprio per evitare di essere
sottoposta a
11
E. Giovannini, Quale violenza, in Rassegna Sindacale, 22 dicembre
1977, p.10
12
R. Scheda, Uniti contro il terrorismo, in Rassegna Sindacale, 30 marzo
1978, p.5
11
“una specie di caccia alle streghe, dove le streghe non sono i
terroristi assassini o loro eventuali simpatizzanti, ma i
<dissenzienti>, quelli che la pensano diversamente,
politicamente o ideologicamente”
13
13
M. Didò, come rispondiamo alla violenza e all’emergenza economica, in
Rassegna Sindacale 30 marzo 1978, p.3.
12
INTRODUZIONE: “RIBELLARSI E’ GIUSTO”
La fine degli anni 1960 registrava a livello mondiale,
due importanti rivoluzioni sociali, consistenti nel declino
della classe contadina e nell’istruzione primaria
generalizzata. La prima novità era riscontrabile nel drastico
calo dei contadini nell’America Latina. La percentuale si
dimezzò in Colombia dal 1951 al 1973, in Messico e in
Brasile dal 1960 al 1980, mentre diminuì di due terzi nella
Repubblica Dominicana e in Venezuela dal 1960 al 1981 e
in Giamaica dal 1953 al 1981. Solo l’Africa subshariana,
l’Asia meridionale, il Sud est asiatico e la Cina non subirono
in quegli anni la flessione della popolazione agricola
1
.
Intanto si andava realizzando l’aspirazione
dell’alfabetizzazione di base, dato che
“il grande boom economico mondiale [fece] sì che moltissime
famiglie di modesto livello sociale, impiegati nel settore
pubblico e privato, negozianti, piccoli commercianti e
agricoltori [potessero] permettersi di mantenere i propri figli a
tempo pieno agli studi”
2
Ciò si tradusse in una crescita smisurata del numero
13
degli studenti, causando una forte tensione fra quest’ultimi e
le istituzioni, incapaci di arginarne l’ondata. In quel
contesto, si sviluppò un processo rivoluzionario planetario,
fondato sull’affermazione della Cina come nuovo
antagonista storico dell’imperialismo e sulla nascita di una
contestazione più radicale nei punti alti del sistema
capitalistico
3
.
All’interno di esso, infatti, si generava una crisi
fondata sull’incapacità del profitto di soddisfare i bisogni di
tutti gli strati sociali, molti dei quali, come gli studenti e gli
operai francesi, tedeschi e italiani, o i “musulmani neri” in
America, si organizzarono in movimenti antagonisti
4
.
Venivano, pertanto, messe in discussione, come nei paesi
dell’Est europeo, le strutture politiche e sociali
“edificate in altra epoca e con diversa finalità, che non
[avevano] prodotto spinte dinamiche, ma centrifughe,
[generando] resistenza passiva nelle masse, paralisi dei
meccanismi di direzione economica, disgregazione
dell’apparato politico”
5
Complementare a questi processi rivoluzionari, si
1
E.J Hobsbawn, Il secolo breve, p.343, Milano, Rizzoli, 1994.
2
Ivi, p.350.
3
Il Manifesto, Un nuovo internazionalismo, in Progetto di Tesi
4
S. Amin, L’accumulazione su scala mondiale. Critica della teoria del
sottosviluppo, Milano, Jaca Book, 1973.
14
assisteva al fenomeno di “normalizzazione globale”,
attraverso interventi più o meno violenti dei Paesi in
questione che acuirono ancor di più tensioni e rivolte,
stimolando nuove lotte, come avvenne sul fronte asiatico o
latino-americano
6
.
I moti di contestazione incisero anche sull’equilibrio
interno del movimento comunista, che non riconosceva più
come punto di riferimento l’Unione Sovietica, ma la Cina
7
.
La rivoluzione culturale, di cui era portatrice, si basava,
infatti, sul rifiuto dell’accumulazione, tipica degli altri paesi
socialisti, e sulla radicalizzazione della gestione collettiva
dal basso
8
. Il suo compito, nel 1968, era, in definitiva,
quello di costituire attorno a sé un nuovo schieramento
rivoluzionario composto sia dal proletariato europeo che da
quello di nuova indipendenza
9
.
5
Il Manifesto, Un nuovo internazionalismo, in Progetto di Tesi, p.11
6
F. Spisani, Logica della contestazione, Bologna, Cappelli, 1968
7
AA.VV., La bussola che guida i popoli rivoluzionari di tutti i paesi verso la
vittoria. Pechino, lingue estere, 1968, p.5
8
E. Nizza, E. Collotti Pischel, R. De Grada (a cura di), Il popolo cinese. 103
manifesti dalla Rivoluzione Culturale a oggi, Milano, La Pietra 1973, p. 96.
9
E. Masi, La contestazione cinese, Torino, Einaudi, 1968
15
1. LE ORIGINI DEL SESSANTOTTO
A) La rivoluzione culturale in Cina
Mao Tse-tung
10
, guida della rivoluzione cinese dalla
primavera del 1927, elaborò un diverso modo di utilizzare il
marxismo come metodo per dirigere la lotta, trasformandolo
“da mera arma pratica di parte in metodo universale, teorico e
pratico, valido per tutte le società e sufficientemente duttile per
affrontare problemi anche non direttamente legati alle
immediate necessità della lotta militare e politica”
11
.
La conseguenza dell’adattamento del marxismo alla
realtà sociale, indusse Mao a ritenere indispensabile l’attiva
partecipazione dei contadini alla rivoluzione cinese e il
trasferimento del centro della lotta dal proletariato urbano
alle masse rurali armate
12
. L’impostazione politica di Mao
si fondava sulla particolare nozione di proletariato intesa
come “coloro che traggono sostentamento solo dalla
vendita della loro forza-lavoro”
13
. Il motivo della diversità
rispetto alla concezione ortodossa marxista, che legava
10
Fondatore del Partito Comunista cinese e presidente della repubblica
popolare cinese (1949-1976)
11
E. Collotti Pischel, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, p. 211,
Torino, Einuadi, 1979.
12
J. Chesneaux, I movimenti contadini in Cina, Bari, Laterza, 1973
13
E. Collotti Pischel, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, op. Cit.,
p.232.
16
questa forza-lavoro a strumenti di produzione meccanici, fu
dovuto alla marginale diffusione all’interno della società
cinese di rapporti di produzione capitalistici e della
conseguente introduzione delle macchine
14
.
Alla base della divisione maturata tra Cina e Urss, vi
era la divergenza sul modello di costruzione del socialismo,
identificata, secondo l’interpretazione di Rossana Rossanda,
attraverso le pagine del Manifesto, sulla “trasformazione
della struttura”.
Il profondo trauma che la rivoluzione culturale cinese
provocò nelle sezioni comuniste italiane
15
andò ad
aggiungersi ad una crisi che si era già aperta con l’invasione
dei carri armati sovietici in Ungheria nel 1956. Le difficoltà
incontrate della dirigenza comunista italiana si
svilupparono, secondo il gruppo dei “Quaderni Rossi”, per
colpa della
“inadeguatezza dell’analisi che il marxismo ufficiale dà della
società capitalistica [a causa della] ripresa via via più forte delle
lotte operaie”
16
14
C. Bettelheim, L’organizzazione industriale in Cina e la rivoluzione
culturale, Milano, Feltrinelli, 1974.
15
R. Rossanda, Il marxismo di Mao Tse-Tung, in Il Manifesto, luglio agosto
1970
16
La crisi dell’ortodossia comunista, in N. Balestrini, P. Moroni, L’orda d’oro,
1968-1977, Feltrinelli, Milano 1988, p.145.
17
Inoltre l’attacco ideologico che la Cina rivolse
all’URSS
17
era suffragato dall’oggettiva verità del rapporto
Kruscev sulle malefatte di Stalin. Per la base comunista
italiana quell’elemento rappresentava la crisi del riferimento
allo stato guida, mitizzato come “gloriosa armata rossa”. Il
PCI, comunque, si allineò sulle posizioni filosovietiche,
allontanandosi progressivamente dalla linea cinese
18
. Si
profilava in quel modo la contrapposizione fra la teoria
della “coesistenza pacifica” del PCI, e quella del
“proseguimento della politica con le armi” dei marxisti-
leninisti filo-cinesi, che andarono ad incidere anche sugli
atteggiamenti riguardanti la politica internazionale
19
.
I gruppi dissidenti, che diedero vita a numerose
iniziative editoriali, come la rivista “Vento dell’Est” e “I
Quaderni delle Edizioni Oriente”, “Nuova Unità”, “Il
Comunista”, “Rivoluzione Proletaria”
20
, si divisero in due
17
Movimento Studentesco Università Statale Sezione Ideologica (a cura di),
Le posizioni dei compagni cinesi sulla questione di Stalin. Milano, 1968, in
Quaderni delle Edizioni Oriente, n. 5, 1963, p. 23
18
Avanguardia Operaia (a cura di), Il revisionismo del PCI: origini e sviluppi,
in I quaderni di Avanguardia Operaia, Quaderno n.3, Milano, Sapere, 1970-
1973, p.112
19
V. N. Giap, Guerra di popolo, Roma, Editori Riuniti, 1968.
20
A. Mangano, Le riviste degli anni settanta, Bolsena, CDP/Massari, 1998.
18
frange nel momento di definire i rapporti con il maggiore
partito della sinistra. Da un lato i più possibilisti, che
parlavano del Partito Comunista come di “un corpo sano
con la testa malata”, dall’altro i critici più radicali che si
chiesero se “può un corpo sano tollerare una testa malata”
21
,
in quanto riconoscevano nel PCI non il partito del
proletariato, ma quello degli operai privilegiati. La stessa
contrapposizione si evidenziava tra chi spingeva alla
fondazione di una nuova organizzazione rivoluzionaria e chi
puntava invece a funzionare da avanguardia esterna-interna
al Partito
22
.
Nell’ottobre 1966 nasce il Partito comunista d’Italia
marxista-leninista e nello stesso anno la Federazione
marxista-leninista d’Italia
23
. Le due organizzazioni si
rifacevano, oltre che alla Rivoluzione Culturale cinese,
anche al pensiero castrista che voleva un organismo di tipo
politico e militare profondamente legato alle masse, ma
21
La preistoria del movimento marrxista-leninista, in N. Balestrini, P.
Moroni, L’orda d’oro, 1968-1977, p.154. Op. Cit.
22
Commissione centrale di organizzazione, Organizzazione dei comunisti
(marxisti-leninisti) d'Italia (a cura di), Sulla vigilanza rivoluzionaria. Guida del
militante, Milano, Linea proletaria, 1976, p.56.
23
Unione dei Comunisti Italiani (m-I) comitato centrale (a cura di). La
fondazione dell'unione dei comunisti italiani (marxisti-leninisti) e la lotta
contro il dogmatismo, opuscolo ciclostilato, Centro di Documentazione
Valerio Verbano, faldone movimento studentesco, p.3
19
organizzativamente distinto da esse
24
. Esse furono in grado
di attrarre numerose frange giovanili e studentesche anche
grazie alla rigida morale della militanza professata. La loro
influenza si riscontrò soprattutto nel processo di
verticalizzazione burocratica del Movimento Studentesco.
B) il Movimento americano
Negli USA, la classe dirigente, grazie ai suoi potenti
mezzi di controllo dell’opinione pubblica aveva impedito,
fin dall’epoca maccartista, la diffusione delle idee socialiste
europee
25
. Per questo motivo la formazione dei movimenti
di protesta si era avuta all’insegna degli ideali tradizionali
della democrazia americana
26
. Il gruppo che raccolse più
proseliti fu il movimento contro la guerra del Vietnam,
apertasi ufficialmente nel novembre 1966 (e conclusasi
nell’aprile 1975
27
). E già nel 1971 era manifesto un
24
W.Tobagi, Storia del Movimento studentesco e dei m-l in Italia, Milano,
Sugar, 1970.
25
L. Adamic, Dynamite. La storia della violenza di classe in America, Milano,
Librirossi 1977, p.121
26
R. Solmi, La nuova sinistra americana, in Quaderni Piacentini, 25
dicembre 1965
27
N. Chomsky, G. Kolko, Il Vietnam in America, Roma, Editori Riuniti, 1969,
p.23
20
“movimento di dissidenza militare, che [andava] progredendo
dall’insubordinazione individuale all’offensiva concertata
contro la macchina militare. Si appoggia sulla tradizione anti-
militarista, si cristallizza attorno alla guerra del Vietnam, ma va
al di là di essa; nelle sue forme più coscienti mira a colpire il
complesso militare-industriale in quanto sistema di potere”
28
Attorno ad esso ruotavano numerosi raggruppamenti, che
si “fecondano a vicenda”, come il movimento dei campus,
con sede all’università di Berkeley, definita “fabbrica
dell’istruzione in serie in cui non vengono tollerate
eccezioni alla norma”
29
, il movimento “per i diritti civili”
che rivendicava i diritti civili descritti nella costituzione e
fino ad allora mai concessi, il movimento operaio dei
Teamsters
30
(camionisti), il Women’s Lib (movimento delle
donne)
31
, il movimento per l’ecologia, la disidenza culturale
degli Yippies, del movimento di Woodstock e, infine, dei
drop-out (senza-valori)
32
.
28
Asiaticus, Da Woodstock a Pechino, in Il Manifesto, gennaio-febbraio
1971, p.56.
29
H. Draper, La rivolta di Berkeley, in Quaderni Piacentini, 26 marzo 1966
30
M. Glaberman,Classe operaia imperialismo e rivoluzione negli USA,
Torino, Musolini, 1976, p.78
31
E. N. Schrom, A. Davis, Donne bianche e donne nere nell'America
dell'uomo bianco. A cura del Collettivo Redazionale Femminista Basta
tacere!. Milano, La Salamandra, 1975, p.92
32
M. Harrington, L’altra America. La protesta negli Stati Uniti. Milano, Il
Saggiatore.