5
maggioranza voler rafforzare il patto sociale, mentre per la minoranza può indicare la
volontà di esentarsi dal patto sociale e di fare secessione
4
.
Il problema dello sfoggio dei simboli, declinato nella specificità dell'ambito scolastico
pubblico francese, ha trovato nel 2004 una risposta legislativa: la "Loi n. 2004-228 du 15
mars 2004", "encadrant, en application du principe de laïcité, le port de signes ou tenues
manifestant une appartenance religieuse dans les écoles, collèges et lycées publics"
5
, alla
quale ha fatto seguito la "Circulaire du 18 mai 2004"
6
.
Tale scelta legislativa ha affascinato l'intera Europa, che sempre più si confronta con i
problemi scaturenti dall'apparizione dell'Islam all'interno di società frammentate e in
affanno come quelle occidentali
7
; problemi di integrazione dunque, in parte del tutto
nuovi ed in parte (erroneamente) ritenuti superati. Quello dei «segni o abbigliamenti
attraverso i quali gli alunni manifestino ostensibilmente una appartenenza religiosa» è uno
dei tanti enigmi della convivenza multiculturale
8
: la cosiddetta «globalizzazione» crea
infatti dei quesiti di non facile soluzione; essa avvicina le persone e le loro storie,
mettendo in contatto culture diverse; ma la familiarità che essa proietta è spesso
ingannevole. Il contatto (tra persone e culture) non è necessariamente preludio di armonia
4
Cfr. R. HEYER e G-R. SAINT-ARNAUD, Pluralismo, simbolo e sintomo, in Symbolon/Diabolon.
Simboli, religioni, diritti nell'Europa multiculturale, a cura di E. Dieni, A. Ferrari, V. Pacillo, Bologna,
2005, p. 37; E. DIENI, Simboli, religioni, regole e paradossi, in Tavola Rotonda: crocifisso, velo e
turbante. Simboli e comportamenti religiosi nella società plurale, Campobasso, 21-22 aprile 2005.
5
Contenuta in Journal Officiel n. 65 du 17 mars 2004, p. 5190 (NOR: MENX0400001L).
6
Circulaire relative à la mise en oeuvre de la loi n. 2004-228 du 15 mars 2004 encadrant, en application du
principe de laïcité, le port de signes ou de tenues manifestant une appartenance religieuse dans les écoles,
collèges et lycées publics, in Journal Officiel n. 118 du 22 mai 2004, p. 9033 (NOR: MENG0401138C).
7
A. FERRARI, Velo musulmano e laicità alla francese: una difficile integrazione, a cura di S. FERRARI,
Islam ed Europa: i simboli religiosi nei diritti del Vecchio continente, Roma, 2006, p. 93 e ss.
8
Cfr. V. TOZZI (a cura di), Integrazione europea e società multi-culturale. Nuove dimensioni della libertà
religiosa, Torino, 2000, passim.
6
e comprensione, né esso riflette similitudini, anzi, a volte serve soltanto a rafforzare
pregiudizi o a mettere a nudo differenze e loro incompatibilità
9
.
Nell'ottica dei compilatori la Loi 2004-228 "marque la volonté très largement partagé de
réaffirmer l'importance de ce principe indissociable des valeurs d'égalité et de respect de
l'autre. Elle temoigne de la volonté des répresentants de la Nation de conforter l'école de
la République"
10
.
Molte critiche, anche provenienti dalla stessa Francia, si sono concentrate sulla
considerazione che, seppur formalmente non si operino differenze tra le confessioni
religiose implicate nel rispetto della legge, di fatto il divieto contenuto in essa si rivolge
per lo più agli individui di religione islamica, ed in particolar modo alle giovani
studentesse musulmane che intendano vestire il velo, operando così una
discriminazione
11
. Altri autori raccomandano, al contrario, di non bollare la Loi 2004-228
come una "legge liberticida"
12
.
La vicenda relativa all'hijab è particolarmente delicata sotto molteplici punti, primo fra i
quali il fatto che il porto del velo è un'azione polisemica, potendo significare adesione ad
una regola religiosa
13
, obbedienza alla volontà dei genitori o della comunità di
9
Cfr. G. MACRÌ, Europa democratica e simboli religiosi, in Tavola rotonda: crocifisso, velo e turbante.
Simboli e comportamenti religiosi nella società plurale, in http://www.olir.it, Campobasso, 21-22 aprile
2005.
10
Cfr. Circulaire, op. cit.
11
Cfr. J. ROBERT, Cacophonie, in Rev. dr. pub., 2004, il quale senza mezzi termini afferma "il s'agissait
d'un texte d'exclusion. C'est vraiment prendre le peuple soi-disant le plus intelligent de la terre pour un
rassemblement de «gogos» que d'essayer de lui démontrer - avec convinction? - qu'un texte qui interdit le
port de la Kippa juive et du voile islamique en eux-mêmes (parce qu'ils seraient par nature «ostensibles») et
non les petites croix chrétiennes discrètes, n'est en aucune manière discriminatoire!".
12
Cfr. P. DE MARCO, Il velo proibito, in http://www.olir.it, 2004, che considera la legge in esame una
"scadente scienza di governo" e il quale ammonisce di non abusare "del ricorso all'argomento delle libertà
conculcate".
13
La religione musulmana imporrebbe esplicitamente alle fedeli l'uso del velo (il Corano parla di hijab),
quando esse si rechino al di fuori delle mura familiari, nel periodo della loro vita che va dall'inizio del ciclo
mestruale alla menopausa. Tale obbligo troverebbe la sua origine nel versetto 31 del Corano, la cui Sura
XXIV An-Nur (La Luce) recita: "E dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non
mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non
mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai
7
appartenenza, ribellione alla stessa, rivendicazione di un'identità culturale, adesione ad
una moda, sfida al potere costituito, e, secondo le organizzazioni islamiche che si sono
battute contro il divieto del velo, consentirebbe alle donne musulmane di emanciparsi,
potendo - vestendolo - recarsi in luoghi e spazi pubblici che - secondo la più rigida logica
musulmana - sarebbero loro preclusi.
In base ad altre critiche la legge francese sui simboli non avrebbe tenuto in giusta
considerazione né la precedente giurisprudenza del Conseil d'État né gli ampi dibattiti
sollevati e le vaste indicazioni fornite dalle Commissioni Debré
14
e Stasi
15
. Si è parlato
sotto quest'ultimo aspetto di «riduzionismo simbolico»: tra tutti i significati ascrivibili al
foulard musulmano solo uno sembra aver ritenuto il preoccupato interesse della Francia:
quello che lega indissolubilmente tale capo di abbigliamento ad un Islam irriducibile a
«semplice» religione in quanto portatore di un programma politico dettagliato,
irreformabile, globale e alternativo a quello della società (europea) di nuovo
insediamento. Il foulard diventa segno brandito da opposte ideologie, quella laica e quella
figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle
schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno
interesse per le parti nascoste delle donne". Il versetto 60 della medesima Sura stabilisce che "quanto alle
donne in menopausa, che non sperano più di sposarsi, non avranno colpa alcuna se abbandoneranno i loro
veli, senza peraltro mettersi in mostra; ma se saranno pudiche, meglio sarà per loro"; il versetto 59 della
Sura XXXIII Al-Ahzab (I Coalizzati), perentoriamente stabilisce: "O Profeta! Dì alle tue spose, alle tue
figlie, e alle donne dei credenti di avvolgersi nei loro veli! Sarà il modo più semplice perché siano
riconosciute e non vengano molestate". Le opinioni in merito a tale imposizione sacra sono però discordi,
anche in ambito musulmano. Tra i tanti, Khaled Fouad Allam, professore universitario di islamologia,
algerino di nascita e musulmano, molto ascoltato anche in ambienti ecclesiastici, ha scritto in proposito, in
un articolo apparso su "La Repubblica" il 22 gennaio 2005, che "la legge del Corano non impone il velo" e
che l'affermazione relativa all'obbligo di velarsi si baserebbe su un'interpretazione massimalista che trae "da
una frase dal contenuto generico un'affermazione di principio, cui inoltre si attribuisce valore normativo".
14
Cfr. La laïcité à l'école. Un principe républicain à réaffirmer. Rapport de la mission d'information de
l'Assemblée nationale, presidée par Jean Louis Debré, Paris, 2004.
15
Commission de reflexion sur l'application du principe de laïcité dans la Republique. Rapport au
President de la Republique, remis le 11 décembre 2003, denominato "Rapporto Stasi" dal nome del suo
presidente, Bernard Stasi (il testo originale in francese è disponibile sul sito ufficiale dell'Eliseo:
http://www.elysee.fr.).
8
islamista, entrambe catturate dal mito di un'inarrivabile unità ed entrambe bisognose l'una
dell'altra"
16
.
Quella che è divenuta "la vicenda francese del foulard musulmano" rappresenta secondo
Alessandro Ferrari
17
la tentazione di sostituire alle più varie opzioni spirituali legate
all'utilizzo di tale indumento un solo argomento possibile, quello degli interpreti autentici
della libertà di coscienza individuale e degli ideali repubblicani, ed è stata da questo
autore accostata al successo "paradigmatico" dello scritto dell'iraniana Chahdortt
Djavann
18
. Fortissima è la critica di questo autore ad una concezione del velo che appare
irrimediabilmente come costrizione che, dissimulando il corpo femminile, lo colpevolizza
quale vergognoso corruttore dell'onore e della virilità dell'uomo musulmano. Egli contesta
il rifiuto dell'ipotesi di un «velo» liberamente indossato per motivi legittimi come quelli
legati, ad esempio, all'esercizio della libertà religiosa, e incolpa la Djavann di interpretare
l'uso di tale indumento, da una parte, come segno della reificazione sessuale della donna;
dall'altra, essendo impossibile ignorare una realtà francese in cui, proprio la mancanza di
un obbligo, può mettere in luce la libera scelta delle donne, come strumento di
ostentazione e di provocazione, inalberato da donne inconsapevoli della mutilazione
psicologica subita e della prostituzione a cui sono condannate
19
. L'importanza data alla
problematica relativa all'uso dei simboli religiosi sarebbe l'ulteriore manifestazione di
un'islamofobia galoppante, fomentata dalla grave incapacità della classe politica francese
16
Cfr. A. FERRARI, La lotta dei simboli e la speranza del diritto. Laicità e velo musulmano nella Francia
di inizio millennio, in E. DIENI, A. FERRARI, V. PACILLO, Symbolon/Diabolon. Simboli, religioni, diritti
nell'Europa multiculturale, Bologna, 2005, p. 193 ss.
17
Cfr. A. FERRARI, La lotta dei simboli e la speranza del diritto. Laicità e velo musulmano nella Francia
di inizio millennio., cit., p. 1.
18
Cfr. CHAHDORTT DJAVANN, Bas le voiles!, Paris, 2003, la quale è accusata da A. Ferrari, sopra
citato, di non contestualizzare il porto del velo nella società francese, operando una tendenziale
equiparazione con la propria esperienza vissuta in Iran (paese nel quale il porto del velo è obbligatorio), con
frasi del tipo: "J'ai porté dix ans le voile. C'etait le voile ou la mort. Je sais de quoi je parle", p. 7.
19
A. FERRARI, Velo musulmano e laicità francese: una difficile integrazione, in Islam ed Europa, Roma,
2006.
9
di fronteggiare i problemi legati al multiculturalismo e specificamente quelli relativi
all'integrazione di più di sei milioni di «citoyens» musulmani
20
.
Non meno pesanti le critiche emerse in relazione alla nozione stessa di «laïcité», alle sue
mille sfaccettature e alle sue mille evoluzioni, peculiarità francese
21
; il Rapport Stasi
opera una ricostruzione del principio di laicità che si riversa in parte nella legge e nella
sua circolare applicativa, giudicata "un passo indietro rispetto alle più recenti acquisizioni
in materia", e "con la quale sembra si voglia assegnare agli ideali repubblicani un ruolo
esclusivo di garanzia delle libertà della persona", e nelle quali "non è difficile cogliere la
riproposizione di una sorta di religione civile repubblicana"
22
.
La laicità scolastica assume in Francia contenuti del tutto diversi rispetto agli altri Paesi
europei: la sottoposizione anche degli studenti all'obbligo di «stricte neutralité» che
incombe sugli insegnanti e sugli altri dipendenti pubblici produrrebbe un grave attentato
alla libertà di espressione degli alunni, peraltro con modalità che lo rendono ancora più
rigido e vincolante di quanto non sia per gli insegnanti ed i dipendenti pubblici, per i quali
il divieto dell'uso di simboli e altri segni religiosi è affermato solo in via
giurisprudenziale
23
.
20
Cfr. P. CAVANA, Modelli di laicità nelle società pluraliste. La questione dei simboli religiosi nello
spazio pubblico, in Tavola rotonda: crocifisso, velo e turbante. Simboli e comportamenti religiosi nella
società plurale, in http://www.olir.it, Campobasso, 21-22 aprile 2005: "La crisi dei processi di integrazione
sociale, i costi della globalizzazione, il crescente degrado della vita sociale e delle condizioni di sicurezza
dei cittadini, oltre alle gravi responsabilità di una parte della classe politica, pronta ad assecondare in
termini populistici i timori e le reazioni popolari di fronte ai cambiamenti sociali, hanno segnato negli ultimi
anni un forte recupero dei valori repubblicani della tradizione nazionale anche a scapito della libertà
religiosa, che tende a restituire al principio di laicità quel carattere di intransigenza e di rottura nei confronti
della religione che si pensava avviato ad un sostanziale superamento".
21
Cfr. P. OSTELLINO, Francia laicista, Italia cinica e il disagio di un liberale, in Corriere della sera, 20
dicembre 2003, p. 10: "ecco il caso esemplare di «giacobinismo applicato»: (...) lo Stato che impone per
legge ai suoi cittadini l'obbligo di essere laici, impedendo loro di «ostentare» in pubblico i simboli della
propria religione. La Francia «laicista» (...) tende ad attribuire ai valori, alle credenze e ai simboli dello
Stato lo stesso carattere di sacralità che la religione attribuisce ai suoi".
22
Cfr. P. CAVANA, I segni della discordia. Laicità e simboli religiosi in Francia, Torino, 2004, p. 26 ss.
23
Ibidem, p. 117 ss.
10
Occorre procedere per gradi. Si tenterà, nel corso della trattazione e dell'analisi (di una
minima parte) delle numerose posizioni in materia, di dare una risposta «plausibile» alla
domanda che intitola questa introduzione: se, cioè, la problematica attinente il «velo»
necessitasse di una risposta legislativa e, in caso di risposta affermativa, se questa
necessità fosse dettata dal bisogno di sopperire a lacune di tipo giuridico o, piuttosto, a
carenze e difficoltà politiche.