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direttrici di sviluppo più importanti che hanno caratterizzato ciascuna fase
individuando, di volta in volta, gli elementi che hanno avuto degli effetti positivi e
quelli che hanno avuto effetti negativi. Dal lato della domanda agroalimentare, dopo un
breve cenno a questioni di tipo quantitativo, ho preferito soffermarmi su questioni di
tipo qualitativo in quanto più attinenti con il resto del lavoro. Così ho preferito parlare
principalmente dell’evoluzione dei consumi e di questioni relative ai modelli alimentari
che si sono affermati nel corso del tempo. Infine ho proposto un’analisi delle principali
direttrici di sviluppo dei consumi odierni come cause di fondo dell’evoluzione sia dei
consumi che dei modelli alimentari. Questa disamina permette di giustificare la
distinzione e la classificazione dei consumatori di prodotti del sistema agroalimentare in
tre categorie ognuna delle quali con caratteristiche diverse di cui le aziende devono
tener conto per collocare la loro offerta. La nota che traspare da tutto il lavoro è
l’intento di riuscire a fare quasi un’opera di mediazione in cui, da un lato, si analizzano
e si studiano le caratteristiche del consumatore identificandone le categorie “tipo” e,
dall’altro, si consigliano delle attività di marketing, per le aziende, in grado di
soddisfare queste esigenze.
Prima di passare alla discussione di questioni più vicine al consumatore e al
marketing mi è sembrato opportuno fare luce, nel secondo capitolo, sul concetto di
prodotti tipici e come questi si differenziano dai generici prodotti agroalimentari. Per
capire la reale essenza di questi prodotti è necessario vedere cosa succede e quali
sarebbero le conseguenze nell’ipotesi della loro estinzione. Allora ecco chiamato in
causa il concetto di biodiversità considerando anche i rischi che il nostro pianeta corre
ogni volta che questo patrimonio, per vari motivi, si assottiglia. Il gruppo dei prodotti
tipici, però, non è unanimemente distinto ma bensì il concetto di tipicità mostra diversità
interpretative da parte dei diversi soggetti. In buona sostanza il concetto di tipicità nel
consumatore non è ben chiaro ma ognuno in base alle proprie esperienze e alla propria
formazione costruisce il proprio concetto. Inoltre i marchi europei che tutelano i
prodotti tipici risultano scarsamente conosciuti dai consumatori per quanto riguarda le
sigle che le distinguono. Sulla base di queste riflessioni mi è sembrato opportuno fare
un po’ di chiarezza sia sul concetto di prodotto tipico che sulle sigle maggiormente
utilizzate nei paesi europei. Il sistema agroalimentare analizzato nel primo capitolo
viene così scomposto per analizzarne, dal punto di vista dei significati, la naturale
differenziazione nella macrocategoria dei prodotti tipici contenente al suo interno la
sub-categoria dei prodotti agroalimentari tradizionali. Il rapporto esistente tra il prodotto
5
e il territorio è l’elemento cardine su cui muove le mosse la suddetta differenziazione
naturale. E’ proprio questo rapporto che viene analizzato e approfondito come elemento
caratterizzante la tipicità e in grado di dar senso ad una differenziazione che è lontana
dalla logica con cui vengono attuate le differenziazioni di prodotto nelle aziende
industriali. Inoltre gli scandali più o meno recenti dei polli alla diossina e del vino al
metanolo arricchiti dal più recente caso della mucca pazza hanno comportato un forte
cambiamento nelle modalità di consumo e nei criteri di scelta del consumatore, il quale
è sempre più attento alle caratteristiche qualitative. Un consumatore che prima aveva
come criterio guida il prezzo, in quanto quasi tutti i prodotti venivano considerati simili
dal punto di vista qualitativo e salutistico. Ai nostri giorni, invece, il nuovo consumatore
cerca la qualità controllata lungo tutta la filiera, informazioni sul produttore e
sull’allevatore, sui luoghi di origine e sulle tecniche di allevamento e coltivazione. I
nuovi modelli di consumo mettono tra i primi posti tutti questi criteri di scelta facendo
assumere al prezzo un ruolo secondario. Alla luce di tali evoluzioni il legislatore
comunitario e nazionale non ha potuto far altro che accogliere queste nuove esigenze
con provvedimenti normativi quali i regolamenti comunitari n°2081/92 e 2082/92 e più
tardi con le norme sulla tracciabilità ed etichettatura dei prodotti. In seguito ho descritto
l’opera di una associazione privata che in pochi anni ha assunto connotati
internazionali: Slow Food. Il suo obiettivo è la tutela dal degrado del patrimonio di
biodiversità che i vari stati, l’Italia in testa, possiedono. I progetti posti in essere da
questa associazione tra cui l’Arca del Gusto e i Presìdi sono relativi non solo ai prodotti
che hanno ottenuto il marchio comunitario ma anche a quelli che non ne beneficiano ma
le cui caratteristiche rispecchiano un contenuto di tipicità inteso come comprovato
rapporto tra territorio e prodotto. Infine l’analisi della macrocategoria dei prodotti tipici
si conclude con un’applicazione pratica sulla filiera lattiero-casearia della regione
Sicilia. L’analisi della suddetta filiera e in particolare di due suoi prodotti: la Vastedda
della Valle del Belìce e in Ragusano D.O.P. servono a capire lo scenario di riferimento
su cui si basa la ricerca effettuata in occasione del Salone del Gusto di Torino.
L’idea di analizzare il mercato dei prodotti tipici non avrebbe potuto trovare
luogo migliore di indagine. Il Salone del Gusto di Torino rappresenta un punto di
incontro di notevole interesse sia per gli addetti al settore che per i consumatori. E’ il
luogo ideale in cui trovare soggetti che sono interessati ai prodotti alimentari che
esprimono un certo legame con il territorio quindi in linea con il mio obiettivo di
identificare chi siano effettivamente i consumatori “tipo” dei prodotti tipici e
6
agroalimentari tradizionali. L’indagine, dopo alcune considerazioni di tipo teorico e
metodologico, è stata condotta attraverso una ricerca qualitativa per la quale mi sono
avvalso della tecnica dell’osservazione partecipante. La scelta della tipologia di ricerca
e della tecnica da utilizzare è maturata dopo un’analisi teorica del settore di riferimento
e tenendo conto della particolarità sia dell’ambiente di riferimento che dell’oggetto di
studio. La tecnica dell’osservazione partecipante mi ha permesso di chiacchierare con i
visitatori del Salone in maniera non invasiva rilevando i loro punti di vista e le
motivazioni che li spingono a comprare tali prodotti o a visitare simili manifestazioni.
La mia osservazione è stata di tipo scoperto ma tuttavia ciò non ha determinato notevoli
problemi anzi, nella maggior parte dei casi, la gente era ben propensa a chiacchierare su
questioni relative ai prodotti tipici ed agroalimentari tradizionali. Infine un’attenta
analisi e rielaborazione delle chiacchierate effettuate con i visitatori e con gli espositori
della manifestazione mi ha portato alla identificazione, nel terzo capitolo, di tre
categorie di consumatori: nostalgico, errante e “edonista enogastronomico”. Queste tre
categorie costituiscono il risultato centrale del mio lavoro la comprensione delle quali è
necessaria per meglio capire e mettere in pratica le implicazioni di marketing del
capitolo successivo. L’analisi è stata condotta in prevalenza sui prodotti del settore
lattiero-caseario della regione Sicilia ma anche su tutti gli altri prodotti della suddetta
regione presenti al Salone del Gusto. Ritengo, quindi, che i significati assegnati dai
consumatori ai prodotti alimentari tipici siano da ricercare nelle tre tipologie di
consumatori identificati e che sulla base di queste considerazioni le imprese devono
attrezzarsi con opportuni strumenti di marketing.
La naturale conseguenza di questa analisi non poteva che essere una discussione
sulle implicazioni di marketing possibili per le aziende che si occupano di questa
tipologia di prodotti. Inizialmente, nel quarto capitolo, ho cercato di mettere in evidenza
le evoluzioni che la funzione di marketing ha subito nel corso degli anni e come questa
non sia ancora ben definita in maniera univoca nelle aziende che producono tali
prodotti. In seguito ho approfondito l’analisi delle singole variabili del marketing mix.
La domanda del consumatore di prodotti tipici si è evoluta perciò egli non chiede solo
un prodotto, ma tutta una serie di esperienze che assumono connotati diversi a seconda
delle tre categorie di consumatori identificati con la mia ricerca. Un prodotto che non è
solo e semplicemente materiale ma che talvolta acquisisce le caratteristiche della
memorabilità in grado di lasciare al consumatore un’esperienza che può essere:
divertente, educativa, scovatrice o estetica. E’ in conformità a queste nuove
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caratteristiche della domanda che deve essere pilotata l’evoluzione dei prodotti tipici e
tradizionali senza snaturarne i caratteri di tipicità. Anche la comunicazione ha subito
delle evoluzioni che devono necessariamente essere in linea con le caratteristiche dei
nuovi target di consumatori che si vogliono raggiungere. Così i canali, gli strumenti e le
tecniche di comunicazione utilizzate devono essere opportunamente valutati in relazione
alla categoria di consumatori cui sono diretti, in modo da ottenere il massimo risultato
in termini di risposta al messaggio con il minimo sforzo comunicativo possibile. Il
prezzo, invece, non costituisce un elemento discriminante per le politiche di marketing
di queste aziende poiché solitamente si tratta di consumatori che hanno un’elevata
disponibilità sia economica sia culturale tuttavia deve essere comprensivo di una serie
di servizi aggiuntivi che sono in grado di dare, agli occhi del consumatore, maggiore
valore aggiunto al prodotto. La distribuzione, infine, deve adeguarsi e sviluppare
tecniche e canali che siano in linea con le caratteristiche dei consumatori considerati
quindi forme di distribuzioni non convenzionali quali fiere, sagre paesane,
manifestazioni in genere sono ideali per queste tipologie di consumatori. In seguito
vengono analizzarti gli aspetti positivi e quelli negativi dell’utilizzo del canale
telematico che, da un lato, costituisce una opportunità mentre, dall’altro, si scontra con
le particolari caratteristiche proprie di queste tipologie di prodotti. Il quarto capitolo
costituisce sia una rappresentazione del quadro di riferimento su questioni relative al
marketing, per le aziende che producono prodotti tipici, ma contiene anche le linee
evolutive che si ritiene tali aziende debbano seguire alla luce dei consumatori rilevati
dalla presente ricerca. In questo senso il capitolo che chiude il lavoro può essere
considerato come un insieme di consigli, volti alle aziende che operano in questo
settore, articolato per ogni singola variabile del marketing mix. Comunque bisogna
considerare che tutte le variabili del marketing mix devono essere opportunamente
integrate in un sistema che persegue degli obiettivi univoci altrimenti il rischio è quello
di non riuscire a raggiungere i risultati sperati per le dissonanze che si verrebbero a
creare tra le diverse variabili.
A questo punto il filo logico dell’opera mi sembra molto chiaro si tratta di
un'analisi del consumatore dei prodotti tipici e tradizionali tramite un’indagine diretta
sulla base della quale ho costruito le categorie di consumatori possibili. Questo è
sostanzialmente lo zoccolo duro su cui ho successivamente costruito le implicazioni in
termini di variabili di marketing dell’azienda. Tuttavia per poter capire bene questo
consumatore e ciò che esso comporta per le aziende produttrici mi è sembrato più
8
opportuno introdurre l’oggetto di studio attraverso un’analisi del sistema agroalimentare
in generale sia dal punto di vista dell’offerta che della domanda per poi passare a
spiegare più approfonditamente che cosa si intende per prodotti tipici e agroalimentari
tradizionali, da quali normative sono tutelate e come funzionano i marchi comunitari.
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“Ai miei genitori”
10
CAPITOLO 1
IL SISTEMA AGROALIMENTARE ITALIANO
1.1 Introduzione
Il sistema agroalimentare italiano affonda le proprie radici nel tempo ed è per
questo che ho ritenuto opportuno dedicare un po’ di spazio alla descrizione della sua
evoluzione storica che s’intreccia con le varie evoluzioni tecniche, scientifiche e sociali.
Inoltre, l’evoluzione del sistema agroalimentare, è fortemente influenzata dalle politiche
agricole della comunità europea ed a questo proposito ho voluto mostrare le iniziative
che Bruxelles ha varato negli ultimi anni nel tentativo di tutelare il territorio dalla
depauperazione del patrimonio di biodiversità e dal degrado ambientale. Il capitolo
contiene una suddivisione del sistema agroalimentare in tre fasi ciascuna analizzata più
approfonditamente, nel paragrafo 1.3, dal punto di vista delle caratteristiche delle
aziende che ne fanno parte.
Il paragrafo 1.3 contiene un’analisi del settore nel suo complesso mostrando i
nuovi orientamenti della politica comunitaria e le tendenze del commercio con l’estero
sia dal punto di vista globale che suddivisi per regioni. In seguito analizza: le tendenze
della fase agricola agli albori del terzo millennio, la dinamica della fase di
trasformazione in relazione alla dinamica dell’industria alimentare e l’evoluzione della
fase commerciale attraverso l’analisi del settore distributivo.
Infine, l’ultimo paragrafo, contiene una panoramica su quello che è stato
l’andamento dei consumi nel primo anno del nuovo millennio e la loro variazione
rispetto al precedente anno per tentare di mostrare qual è il trend che si prospetta. Eventi
eccezionali hanno, da un lato, turbato gli andamenti della domanda e, dall’altro,
contribuito al manifestarsi di nuove esigenze salutistiche e qualitative nel consumatore
le quali determinano l’evoluzione della classica bipartizione dei modelli di consumo. Le
nuove esigenze dei consumatori e le nuove direttrici evolutive (delocalizzazione,
destrutturazione dei pasti, servizi incorporatati e destagionalizzazione) portano alla
classificazione di tre tipologie di consumatori.
11
1.2 Origini e ruolo dell’agroalimentare nel terzo millennio
La storia dell’Italia e dell’Europa è caratterizzata dai diversi popoli che si sono
succeduti nella conquistata e nel dominio di questi territori, di conseguenza la cultura
alimentare italiana ed europea è stata influenzata prevalentemente da due direttrici: una
proveniente dal sud e l’altra proveniente dal nord (Scaltriti, 2001). Intorno ad otto mila
anni a.C. l’agroalimentare europeo si fondava sulla raccolta, per opera degli abitanti del
luogo, dei prodotti locali. Questa forma neonata di agricoltura fu introdotta, dalla
Mezzaluna fertile alla Sicilia e poi a tutta l’Italia meridionale. La cultura che influenzò
la pianura padana e tutta l’Italia settentrionale, invece, fu quella dei Celti provenienti dal
Medio Oriente attraverso il centro Europa. Tuttavia mettendo assieme entrambe le
origini il problema alimentare manifesta due grandi ondate di pensiero succedutesi
progressivamente. Agli esordi il problema era il soddisfacimento del fabbisogno
energetico mentre più tardi nel Rinascimento italiano e nella corte di Re Sole in Francia
si è orientato verso il miglioramento e l’arricchimento della qualità dei beni alimentari
perseguendo questa via fino ai nostri giorni (Cantarelli, 2001). Un grande cambiamento,
verso la metà dell’800, fu rappresentato dall’applicazione delle leggi economiche,
grazie alle conquiste della Rivoluzione Industriale del 700, che trasformarono il
prodotto alimentare in business a scapito delle piccole imprese impreparate e prive dei
mezzi necessari e a favore delle imprese di più grande dimensione. In buona sostanza
l’uomo ha utilizzato il cibo prima per sopravvivere, poi per vivere meglio e infine ha
cercato di avere una sempre più ampia possibilità di scelta con obiettivi di lucro. Di
conseguenza si sono affermate differenti matrici alimentari, le più importanti delle quali
sono: la cucina aristocratica e quella della gente povera la cui evoluzione, nel corso dei
secoli, ha contribuito a portarci in eredità il patrimonio di prodotti tipici ed
agroalimentari tradizionali.
L’importanza rivestita dall’agricoltura nelle politiche comunitarie è fortemente
influenzata dalla sua multifunzionalità che la fa assurgere a qualcosa di più che la
semplice produzione di beni (Bove e Senatore, 2001). L’agricoltura ha anche il compito
di curare, tutelare, proteggere, preservare, custodire e gestire il territorio rurale, che
altrimenti sarebbe candidato all’abbandono. La soluzione per la rivitalizzazione delle
aree rurali è data dalla diversificazione sia produttiva che economica (Ismea, 2001).
Diversificazione produttiva significa competere meglio sui vari mercati soddisfacendo
12
le più disparate esigenze del consumatore. Diversificazione economica, invece, porta
ad utilizzare le esternalità positive dell’agricoltura svolgendo servizi alla collettività per
il recupero del dissesto idro-geologico, la gestione delle risorse naturali, la difesa delle
biodiversità, la promozione del territorio, del turismo e dell’agriturismo. Bisogna quindi
limitare le esternalità negative dell’agricoltura soprattutto quando queste creano
inquinamento e degrado ambientale in generale. Inoltre bisogna considerare che,
solitamente, gli agricoltori delle zone rurali sono più sensibili alle questioni legate alla
difesa dell’ambiente mentre nelle zone ad agricoltura intensiva, o comunque moderna, il
problema della tutela delle risorse naturali non viene avvertito come tale ma bensì come
un mezzo per raggiungere i risultati di maggiore produzione e produttività in un’ottica,
sicuramente, di breve periodo (www.slowfood.it). Ecco allora la necessità di sviluppare,
dove non esista già, una maggiore coscienza ambientalista svincolata da meri obiettivi
di carattere economico. La diversificazione economica trova un maggiore supporto
grazie all’intervento del legislatore con la riforma dell’articolo 2135 del codice civile, il
quale per lunghi anni ha gettato un velo d’incertezza, attraverso diverse interpretazioni,
sul riconoscimento del titolo d’imprenditore agricolo. Il legislatore ha voluto estendere
tale titolo a più soggetti che svolgono diverse attività tra cui anche quella ricreativa, di
ricezione e di ospitalità.
La politica ambientale comunitaria già dagli anni novanta si muove in questa
direzione, infatti, il Trattato di Maastricht del 1992 fissa delle regole per lo sviluppo
sostenibile, nei paesi della comunità, e definisce la necessità di una maggiore
integrazione tra le politiche produttive e quelle per la tutela dell’ambiente (Inea, 2001).
Il rafforzamento della funzione ecologica dell’agricoltura e della silvicoltura, da parte
dell’Ue, è portata avanti attraverso elementi funzionali alla tutela delle biodiversità
come: la maggiore attenzione all’erosione dei suoli, alla conservazione degli ecosistemi
di sostegno del ciclo idrogeologico e alla conservazione degli habitat naturali.
Particolare importanza riveste la gestione del suolo e delle acque giacché l’Italia, per la
particolare conformazione morfologica e le condizioni climatiche, è soggetta a
fenomeni di dissesto idrogeologico e di erosione del suolo molto massicci incentivati
dalle pratiche colturali, dagli insediamenti civili ed industriali.
Inoltre il sesto programma comunitario, per il periodo 2001-2010, è entrato in
vigore nel 2001 ed ha come obiettivo, da un lato, l’integrazione di politiche ambientali
di diversi settori quali: trasporti, energia e agricoltura e, dall’altro, la pianificazione
territoriale e gli interventi a livello regionale e locale in attuazione di politiche di
13
sviluppo sostenibile. La politica ambientale dell’Ue si sta muovendo verso un principio
diverso rispetto agli anni passati in pratica “chi inquina paga”. Ai paesi membri, infatti,
è stata riconosciuta, attraverso il regolamento cosiddetto “orizzontale” cioè reg.
1259/99, la facoltà di subordinare il pagamento degli aiuti diretti garantiti dalla PAC al
rispetto dei requisiti ambientali minimi. Il regolamento prevede anche la possibilità di
applicare la modulazione vale a dire la riduzione degli aiuti nell’ipotesi che il numero di
addetti risulti troppo basso, celando situazioni di lavoro sommerso illegali, oppure se
l’azienda ha già delle entrate abbastanza alte al di sopra di determinati limiti. Altre
iniziative comunitarie per la tutela dell’ambiente sono (Inea, 2001):
• LIFE III per il periodo 2000-2004, uno strumento finanziario per il sostegno della
politica ambientale dell’Ue. Il programma si articola in tre categorie di cui:
Natura, Ambiente e Paesi terzi;
• Direttiva 92/43/CEE il cui obiettivo è quello di salvaguardare la biodiversità
relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, della flora e della
fauna selvatica. Vengono, infatti, identificati i siti d’importanza comunitari (SIC)
che vanno a costituire la rete Natura 2000;
• Direttiva 79/409/CEE sulla salvaguardia degli uccelli selvatici. Prevede la
costituzione di zone di protezione speciali (ZPS) che vanno ad aggiungersi alla
rete Natura 2000;
• LEADER + relativo al periodo 2000-2006 che riguarda iniziative pilota di
sviluppo rurale. E’ relativo alla valorizzazione delle risorse naturali e culturali che
costituiscono la rete Natura 2000. Si inserisce nel novero dei programmi con
finalità strutturale, promuove nuove forme di valorizzazione del patrimonio
culturale e naturale, il potenziamento dell’ambiente economico e migliora la
capacità organizzativa delle varie comunità di riferimento.
In Italia, la politica nazionale a tutela dell’ambiente oltre a recepire le
direttive comunitarie ha emanato norme nel campo della tutela delle acque, dell’aria,
della difesa del suolo, per lo sviluppo delle aree protette e per le procedure di
pianificazione.
In altre parole, da quanto fin qui argomentato si può notare che, l’agricoltura non
può svolgere un ruolo chiuso a se stesso ma deve adeguarsi alle esigenze dei diversi
consumatori, delle attività più a valle del settore agroalimentare e dei territori dove
svolge la propria attività. Il ruolo dell’agricoltore non è solo quello di produrre prodotti
14
per soddisfare le esigenze dei consumatori ma, anche, di produrre con tecniche e
modalità che tutelino la natura e l’ambiente circostante. Sostanzialmente possiamo
scomporre il sistema agroalimentare in tre fasi (Ismea, 2001):
• la fase primaria relativa all’agricoltura;
• la fase intermedia relativa alla trasformazione dove ci rientra
a pieno titolo l’industria alimentare;
• la fase finale relativa alla distribuzione che deve svolgere un compito da qualche
tempo trascurato ma che recentemente si è dimostrato essere strategico per la
valorizzazione dei prodotti: la commercializzazione.
Tanto la diversificazione produttiva quanto quella economica trovano, per la
valorizzazione delle zone rurali, un naturale alleato nelle politiche di qualità del
prodotto. Una migliore qualità del prodotto comporta anche una maggiore competitività
di tutto il sistema agroalimentare. Attuare una politica di qualità del prodotto non
significa, solo, assicurare il consumatore di aver rispettato lungo tutta la filiera le norme
previste dai disciplinari di produzione ma anche di aver posto in essere procedure di
autocontrollo
1
e di sottoporsi a controlli di organismi terzi preposti a tale attività.
Passiamo ora ad analizzare più approfonditamente le caratteristiche dell’offerta
per ciascuno delle tre fasi in cui il sistema agroalimentare può essere suddiviso.
1
Costituiscono un esempio tutte le norme ISO ed UNI EN ISO
Sistema Agro-Alimentare
Fase primaria:
agricoltura
Fase intermedia:
trasformazione
Fase finale:
distribuzione
15
1.3 L’offerta agroalimentare agli albori del terzo millennio
Il terzo millennio, per il sistema agroalimentare, si apre positivamente con una
crescita della produzione in linea con la tendenza a livello mondiale. Alcuni fattori
quali: l’incremento del prezzo del petrolio, il rapporto di cambio tra euro e dollaro a
favore di quest’ultimo e il rallentamento dell’economia statunitense lasciano pensare ad
una crescita più moderata dell’economia mondiale negli anni a venire (Ismea, 2001).
Altri fattori di carattere straordinario come gli attentati terroristici dell' 11 settembre
2001, hanno fatto sì che la crescita dell’economia mondiale subisse dei contraccolpi per
poi riassestarsi lungo tutto il 2002.
Dal punto di vista del mercato il settore agricolo è stato caratterizzato, fino al
2000, da aiuti cosiddetti “a pioggia” dove l’Unione Europea si faceva carico di
garantire le frontiere commerciali e di sostenere i prezzi in un sistema di tipo
protezionistico. La riforma siglata “Agenda 2000” prevede il riorientamento verso il
mercato del settore agricolo europeo attraverso i cosiddetti aiuti “mirati”. Ciò non
significa che il sistema agricolo è lasciato in balia a se stesso tuttavia cambiano i criteri
d’intervento dell’Unione europea. Il nuovo sistema prevede di non aiutare più tutte le
aziende indistintamente per il semplice fatto di aver fatto quella determinata
produzione, ma di aiutare le aziende che dimostrano di raggiungere determinati obiettivi
individuati a priori. Dal punto di vista delle aziende agricole questo significa non più
redditi sicuri derivati dagli aiuti ma competitività sul mercato. Anche nelle politiche
strutturali c’è un’inversione di tendenza rispetto al passato, infatti, gli aiuti dell’Ue sono
stati estesi a tutti i paesi della Comunità non limitandoli solo a zone con particolari
problematiche. Cambiano anche, nelle politiche strutturali, i criteri per l’erogazione dei
finanziamenti che sono ora subordinati al rispetto di misure agro-ambientali all’interno
dei piani di sviluppo rurale (Ismea, 2001).
Gli scambi commerciali del settore agroalimentare, nel 2000, hanno fatto
registrare un peggioramento rispetto all’anno precedente dovuto ad una crescita delle
importazioni maggiore rispetto a quella delle esportazioni (Inea, 2001). La maggior
parte del commercio avviene all’interno dell’Unione europea, come mostra la fig. 1.1, e
principalmente con Francia e Germania, sia per l’import che per l’export. Gli Stati Uniti
giocano il doppio ruolo di fornitore e di cliente; il principale mercato di sbocco italiano
è quello Svizzero mentre i principali fornitori sono: Brasile e Argentina.
16
Tra i paesi dell’Europa orientale sono compresi la Russia, l’ex Iugoslavia e
l’Albania mentre i Paesi Terzi del Mediterraneo (PTM) comprendono paesi che si
affacciano sul mediterraneo ma extra Unione Europea, africani e asiatici.
0
10
20
30
40
50
60
70
Import ed Export
Importazioni 67,2 8,3 2,5 2,2 3,2 16,7
Esportazioni
65,5 20,3 2,3 3,3 3,3 5,4
UE
Paesi
sviluppa
ti
PECO
Europa
Oriental
e
PTM
Resto
del
mondo
Fig. 1.1 Distribuzione geografica del commercio agroalimentare
dell’Italia nel 2000.
(fonte: nostra elaborazione su dati Inea, 2001).
All’interno del territorio italiano, come si può notare dalla tab. 1.1, esiste una forte
differenziazione territoriale, per quanto riguarda gli scambi agroalimentari nel loro
complesso, che vede ai primi posti quattro regioni del nord: Lombardia, Piemonte,
Veneto ed Emilia Romagna. Altre regioni che si collocano in posizioni di tutto rispetto
sono: Toscana, Lazio e Campania mentre tutte le altre presentano dei valori più
contenuti.
17
Tab. 1.1 Gli scambi con l’estero di prodotti agroalimentari per regioni.
Piemonte 9,9 12,4
Valle d’Aosta 0,1 0,1
Lombardia 23,7 15,5
Trentino Alto Adige 2,8 5,2
Veneto 14,4 12,3
Friuli Venezia Giulia 2,3 2,8
Liguria 4,3 3,1
Emilia Romagna 13,1 15,9
Toscana 6,6 7,1
Umbria 1,1 1,5
Marche 1,4 0,8
Lazio 6,4 2,4
Abruzzo 1,4 1,6
Molise 0,2 0,2
Campania 5,2 8,1
Puglia 3,0 5,6
Basilicata 0,2 0,3
Calabria 0,8 0,5
Sicilia 2,2 3,7
Sardegna 0,9 0,9
ITALIA 100,0 100,0
(fonte: nostra elaborazione su dati Inea 2001).
Il sistema agroalimentare italiano si differenzia dagli altri perché accanto a
poche grandi imprese ci sono una miriade di micro-aziende. Questo sistema così
frantumato ha avuto il vantaggio di essere trainato dall’immagine creata dalle piccole
imprese con i prodotti tipici e tradizionali. In seguito i volumi registrati dalle grandi
imprese, per sfruttare il good will dell’immagine, hanno dovuto raggiungere livelli
qualitativi sempre più elevati.