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1. Introduzione
Quando si parla di Moto Guzzi si entra nel cuore della grande storia della
motocicletta.
Dalla sua fondazione la Casa di Mandello rappresenta non solo una delle
espressioni più riuscite della moto italiana pronta a sfidare realtà estere con mezzi e
numeri ben superiori, ma una linea di pensiero che si è sviluppata per 85 anni. La
storia vincente e l'unicità delle soluzioni tecnologiche, e persino l’eccentricità,
hanno costituito nel tempo un’identità immediatamente riconoscibile. Un carattere
preciso fatto di passione per le competizioni, amore per la libertà e gli spazi aperti,
cura meticolosa della qualità, ricerca di uno stile originale, rispetto della tradizione
e spinta continua verso le innovazioni; caratteristiche che si esaltano anche
attraverso la scelta degli accessori, non elementi aggiuntivi, ma dettagli che
arricchiscono di sfumature una personalità in continua evoluzione.
Figura 1 - Moto Guzzi Normale 500 - 1922
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1.1 → Accessori per moto: un argomento vasto
La scelta di questo tema comporta tutta una serie di considerazioni, affermare
semplicemente che s’intende prendere in esame gli accessori per moto vuol dire
tutto e niente.
Un argomento vasto che spazia dall’abbigliamento tecnico alla personalizzazione
estetica del mezzo (carene), dai capi di abbigliamento legati al brand fino agli
oggetti per la cura e la manutenzione; un mercato complicato da inquadrare, legato
al fatto che vi è una notevole differenziazione basata sui gusti dei clienti che
implicitamente questo o quel marchio portano dentro e l’ulteriore frazionamento
per tipologie di moto e gusti personali.
Se ciò non bastasse sono da tener d’acconto pure le ditte specializzate nelle
personalizzazioni più disparate, non solo per gli incontentabili del particolare, ma
magari per chi non vuole o non può comprare l’accessorio originale.
Tutto è già stato inventato quindi? Forse sì, ma non necessariamente.
Questa ricerca tenta di analizzare un vero e proprio mondo che difficilmente trova
dei paralleli perfettamente compatibili, in continuo e frenetico cambiamento, nella
speranza mettere in luce mancanze e novità, per poter sviluppare un percorso
progettuale adeguato ai nuovi corsi emergenti.
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2. La moto
Definizione:
La motocicletta è un mezzo a motore con due ruote; non può superare 1,60 m di
larghezza, 4,00 m di lunghezza e 2,50 m di altezza e la massa complessiva a pieno
carico non può eccedere 2,5 t.
La ruota anteriore serve per direzionare la motocicletta e quella posteriore è in
comunicazione con il motore tramite la trasmissione, e serve per far muovere il
veicolo.
Questo tipo di veicolo è prettamente utilizzabile da 2 persone, con l'eccezione dei
ciclomotori, che secondo il Codice della Strada sono monoutente, e dei sidecar,
motociclette con agganciata lateralmente un'appendice che consente di trasportare
un terzo passeggero.
I comandi che permettono di utilizzare il veicolo si trovano principalmente sul
manubrio e sulle pedane con questo ordine:
Manubrio:
leva destra ---> freno anteriore
leva sinistra ---> frizione per i veicoli con cambio manuale o freno
posteriore per gli scooter
manopola destra ---> acceleratore
Pedane:
pedana sinistra (leva sinistra) ---> cambio (non presente negli scooter)
pedana destra (leva destra) ---> freno posteriore per veicoli con cambio
manuale
2.1 → Ciclo e Motociclo: evoluzione di un concetto
Bicicletta e motocicletta: due facce della stessa medaglia
Per poter dare un quadro più completo possibile non si può ignorare che le radici
della moto risiedono nella comparsa ed affermazione dei velocipedi prima, e delle
biciclette poi.
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Rivendicazioni più datate e meno
attendibili fanno risalire l'invenzione di
tale mezzo ad un disegno trovato
all'interno del Codice Atlantico di
Leonardo da Vinci, ma anche ad
un’illustrazione scoperta su una finestra
di una chiesa del paese di Stoke Poges
(Buckinghamshire, Inghilterra) installata
nel XVI secolo e raffigurante un angelo
sopra un attrezzo che è stato riconosciuto
da alcuni come prototipo del modello
hobby horse. Invece si ritiene più
probabile considerarlo un congegno ad
una sola ruota che spesso si associava,
nell'iconografia medievale, a cherubini e
serafini.
Sorvolando su più che probabili errate
ricostruzioni storiche, l'origine della prima
bicicletta è da attribuirsi al barone Karl
von Drais. Inventò la sua Laufmachine (macchina da corsa) nel 1817 che fu
chiamata dalla stampa draisine (o anche draisienne, in Italia draisina) e più tardi
velocipede. L’implementazione più significativa
in questo progetto era l'aggiunta dello sterzo.
Questo progetto innescò una moda diffusa ma di
breve durata. Molte migliaia di copie furono
costruite ed usate dappertutto e ciò viene
considerato come l'origine del trasporto personale
senza uso di cavalli.
Successivamente il velocipede ebbe una rinascita
a Parigi verso la fine degli anni ’60 del 1800.
Costituito da una ruota anteriore di diametro
leggermente maggiore a cui erano ora connessi
pedivelle e pedali, era chiamato le velocipede
bicycle (da cui il termine biciclo), ma venne
Figura 2 - Ipotesi bici di Leonardo
Figura 3 – Finestra Chiesa di Stoke
Poges, Inghilterra
Figura 4 - Draisine 1817
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soprannominato anche boneshaker (scuotiossa) a causa della struttura delle ruote:
in legno rivestite di ferro dovevano vibrare in modo spaventoso.
La High Bicycle (Bicicletta Alta, ma in italiano è anche conosciuta come “Gran
Bi”) fu la logica estensione del progetto della boneshaker: la ruota anteriore venne
enormemente ingrandita fino al limite della misura interna della gamba del ciclista
(più larga era la ruota, più lontano si andava con una sola pedalata), quella
posteriore fu accorciata ed il telaio reso più leggero. La fine di questo indirizzo
risiede nell’implicita pericolosità di un baricentro troppo alto e il concreto pericolo
di cadute gravi al primo ostacolo.
Tentativi di rendere la bicicletta più sicura e di ridurre la dimensione della ruota
anteriore portarono alla fine ad un radicale cambiamento della sua ergonomia. John
Kemp Starley lanciò la moda a livello mondiale con l'introduzione nel 1885 della
Rover, dotata di ruote di uguale grandezza (di 36 pollici, ancora una misura
standard), di trazione posteriore mediante l'uso di catena con demoltiplica (per una
maggiore efficienza di pedalata) e di un telaio con la configurazione "a diamante"
con il ciclista seduto nel mezzo per un miglior bilanciamento, come nelle moderne
biciclette.
Ed è in questo contesto che muove i primi passi il motoveicolo.
I primi veicoli a motore e la comparsa della moto
Per quanto finalmente il mercato avesse a che fare con un mezzo fruibile, stabile e
dal costo nel complesso accettabile, la bici aveva ed ha un difetto intrinseco nel suo
funzionamento: per muoversi bisogna fare affidamento esclusivamente ai propri
muscoli; se poi aggiungiamo che i materiali leggeri del ventesimo secolo per
contenere il peso erano lontani
capiamo finalmente perché tanta
gente era restia a lasciare il
cavallo. Un mercato
potenzialmente grande, quindi.
Il primo tentativo,
evidentemente figlio della sua
epoca, è opera dell'inventore
francese Louis-Guillaume
Figura 5 – Prototipo Moto di Daimler e Maybach
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Perreaux, che ha depositò i primi brevetti nel 1868 per il progenitore del mezzo che
conosciamo oggi, ma funzionante a vapore.
Bisognerà aspettare il 1885 perché Gottlieb Daimler e Wilhelm Maybach,
considerati i primi inventori ufficiali, costruiscano il primo prototipo di
motoveicolo a due ruote un’officina di Cannstatt (vicino Stoccarda), forse come
esperimento per meglio collaudare la tecnologia del motore a scoppio prima di un
progetto più ambizioso tale era sostituire la carrozza con l’automobile. Entrambe le
soluzioni si riveleranno vincenti.
Prima della fine del XIX secolo i primi esemplari funzionanti vennero messi in
vendita e da quel momento si assistette ad una continua evoluzione della
motocicletta, grazie ad aziende di tutto il Mondo, sia in Europa che negli USA.
Nei primi decenni lo sviluppo perfeziona il veicolo, ma rimane sempre un oggetto
costoso riservato a pochi facoltosi amanti dell’avventura, con una marcata
parentela con la bicicletta e un’affidabilità ancora tutta da costruire. Non era
infrequente, difatti, che i primi coraggiosi centauri dovessero essere per forza di
cose dei meccanici perlomeno discreti, e comunque costretti a portarsi dietro tutta
una serie di ricambi che equivalevano a buona parte della meccanica. Solo
leggermente meglio se la cavava l’automobile anch’essa ai suoi primi passi.
Il salto di qualità decisivo si ha dopo la Grande Guerra; per esigenze belliche questi
e altri mezzi sostanzialmente ancora
immaturi ricevettero un grande impulso.
Dopo il conflitto, non a caso, ci fu un
gran proliferare di nuovi costruttori che
portarono a far conoscere al grande
pubblico la moto. Esattamente come per
l’auto l’entusiasmo per questi nuovi
mezzi di locomozione portò ad una
notevole inventiva e ad un’esplosione
delle competizioni sportive, che ne
accelerò il raffinamento.
Il lungo periodo che inizia dal secondo
dopoguerra e che interessa tutto l'arco
degli anni Cinquanta sino a fine anni
Sessanta può essere considerato come la
fase di maggiore stasi nell'evoluzione della motocicletta. Ciò è dovuto
Figura 6 – Secondo Dopoguerra e il
Miracolo economico italiano
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principalmente alle mutate esigenze del mercato che richiede mezzi più semplici ed
economici, di piccola cilindrata, per uso prevalentemente utilitario. Si diffondono i
ciclomotori e gli scooter come la Vespa e la Lambretta destinate a coloro che non
possono permettersi l'automobile. In questi anni l'evoluzione della moto continua
quasi esclusivamente per merito dell'attività agonistica che riprende con grande
vitalità in ogni Paese e che si rivela essenziale per lo sviluppo e il progresso tecnico
del veicolo.
Il cosiddetto "boom della motocicletta" inizia alla fine degli anni Sessanta quando
la comparsa delle prime "moto pesanti", considerato che i tempi erano maturi per
un ritorno alla motocicletta ad alte prestazioni, vista come mezzo sportivo e per il
tempo libero. I giovani e i milioni di utenti che ormai possiedono l'automobile
possono trovare nella moto una nuova espressione di evasione per riacquistare quel
senso di libertà che l'uso sempre più stressante dell'auto aveva negato da tempo.
Nonostante la discreta varietà di modelli italiani e stranieri che compaiono sul
mercato, si perde, ancora una volta, l'occasione di vedere la moto secondo criteri
veramente innovativi. L'introduzione dei freni a disco sulla moto, all'inizio degli
anni Settanta, è forse il fatto tecnico più importante di questo periodo, ma non è
sufficiente ad incidere sul disegno dell'insieme che continua a mantenere,
pressoché inalterati, gli stessi caratteri.
La fine degli anni sessanta segna la grande affermazione delle case giapponesi che
grazie a soluzioni, sperimentate soprattutto nelle competizioni, sbaraglieranno sul
piano commerciale la concorrenza inglese e italiana. Ed è proprio sul fronte delle
competizioni che la motocicletta assumerà nuove caratteristiche formali.
Difatti l'aumento progressivo delle prestazioni ha reso la protezione del pilota e
l'aerodinamica del mezzo sempre più decisive dal punto di vista funzionale,
formale e commerciale. Fino agli inizi degli anni ottanta, le carenature sono
appannaggio delle corse ma qualche anno più tardi cominceranno ad affacciarsi,
anche sul mercato, mezzi molto veloci derivati dalle competizioni: le cosiddette
"replica" che stravolgeranno, grazie al progresso tecnologico legato all'incremento
delle prestazioni, le obsolete linee spartane del passato.
L'aspetto aerodinamico e quindi formale assume sempre più rilievo, avendo come
risultato lo studio più puntuale da parte delle case delle strutture esterne e di quelle
a contatto con l'uomo. Le linee diventano sempre più sinuose, protettive,
accattivanti, ergonomiche, taglienti e avvolgenti. La moto è pensata ormai
imprescindibilmente dalle forme e dai movimenti dell'uomo che la indossa. Dalle
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sperimentazioni nelle competizioni arrivano ormai, in modo sempre più massiccio,
innovazioni tecnologiche che in futuro cambieranno radicalmente il nostro rapporto
con il mezzo di trasporto.
Nonostante questo il mercato rimane comunque aperto, ogni regione si è ritagliata
una determinata tipologia di clientela, permettendo anche a piccole realtà italiane
non solo di non chiudere, ma persino di accrescere il proprio prestigio e le vendite,
dimostrando la grande vitalità di questo mezzo di trasporto.
2.2 → Breve storia della Moto Guzzi
Gli inizi risalgono ai tempi del Primo conflitto Mondiale, quando Giorgio Parodi e
Carlo Guzzi prestano servizio nella Regia Aeronautica Italiana. Appassionati di
motori e meccanica, i due passano molto tempo in compagnia dell’ufficiale
Giovanni Ravelli, uno dei più promettenti piloti del panorama motociclistico
nazionale anteguerra. Sarà proprio da queste amicizie e dalla formazione pratica e
tecnica durante il servizio di leva nella giovane aviazione che scaturirà l’idea di un
progetto di motocicletta rivoluzionaria più che per le soluzioni, comunque
intelligenti adattamenti e miglioramenti, per la grande affidabilità in grado
d’assicurare percorrenze sino ad allora sconosciute.
Ruoli subito definiti: Guzzi parte tecnica, Parodi amministrazione, mentre Ravelli
spetterà il compito di collaudare le nuove moto in gara per convincere i potenziali
clienti. Sfortunatamente proprio quest’ultimo perderà la vita in un volo
d’addestramento poche settimane dopo la firma dell’armistizio. In sua memoria il
marchio verrà sovrastato da un’aquila ad ali spiegate per il passato da aviatore.
Ricevuto un finanziamento iniziale da parte del padre di Parodi, noto armatore
genovese, la società viene fondata nel Gennaio del 1919.
Partono subito i lavori per il primo prototipo che viene realizzato nello stesso anno,
nell'officina di Mandello del Lario, con l'aiuto del fabbro Giorgio Ripamonti;
denominata G.P. (Guzzi-Parodi), è una monocilindrica da 500 cm³, con
distribuzione ad asse a camme in testa a quattro valvole. La potenza erogata è di 12
CV, la velocità massima di 100Km/h.
La fabbrica vera e propria venne costituita il 15 Marzo 1921, capitale fissato
500.000 lire per una durata di 10 anni.
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Fin dall’inizio le moto si segnalarono per la loro robustezza, buone prestazioni e
per l’elevata qualità generale, oltre che l’inconsueta architettura d’assieme. Ben
presto arrivò un ottimo successo commerciale e la Casa si ingrandì rapidamente.
Nel 1928 nasce la prima Gran Turismo della storia della motocicletta: viene
realizzata la Guzzi G.T., una moto dotata di telaio elastico grazie alla sospensione
posteriore. La moto prenderà il nome di Norge dal raid al Circolo Polare Artico.
Poiché al tempo la legislazione agevolava dal punto di vista fiscale i modelli sino ai
175 cm³, a partire dai primi anni Trenta la Guzzi produsse modelli in tal senso. Nel
1934 la Moto Guzzi è la più importante fabbrica italiana di motociclette.
Le affermazioni nelle competizioni viaggiano di pari passo con le innovazioni
tecnologiche. Nel trionfale Tourist Trophy del 1935 la Moto Guzzi di Stanley
Woods impiega la sospensione posteriore, e ben presto il telaio elastico si diffonde
tra tutte le moto da competizione.
Le moto sono la monocilindrica 250cc e la bicilindrica 500cc, con l'inedito motore
a V di 120° capace di superare i 200 km/h, e di dominare i circuiti di tutto il mondo
per quasi vent'anni.
L'evoluzione tecnologica è continua. Nel 1939 arriva l'Airone 250, con un cambio
a quattro marce comandato dal pedale: un modello che diventerà, per 15 anni, la
"media cilindrata" più diffusa in Italia.
Con il secondo conflitto mondiale alle porte, anche in questa circostanza l'ingegno
e l'adattabilità dei progettisti Moto Guzzi si fa valere. Nasce il mitico Trialce, un
originale motocarro smontabile, progettato per poter essere paracadutato. Il sidecar
Alce, con ruota motrice a lato scocca, monta anche un'originale barra di torsione
per evitare coricamenti laterali e sbandamenti in curva.
La fine della guerra vede un mutamento nei gusti e nelle tendenze del pubblico. La
Moto Guzzi coglie questo e annuncia al mercato la sua prima due tempi, il Guzzino
65. Tra le più famose di queste motoleggere vanno ricordati il Cardellino, lo Zigolo
e il Galletto. In particolare quest’ultimo è un curioso e riuscito veicolo a metà tra lo
scooter e una moto vera, con un successo tale da rimanere in produzione dal 1950 a
metà anni Sessanta.
La tendenza ad anticipare i tempi si vede anche nella costante ricerca delle migliori
metodologie progettuali e costruttive. Primo e unico costruttore mondiale, nel 1950
la Moto Guzzi costruisce la prima Galleria del Vento in cui è possibile provare i
prototipi in scala reale, portando allo sviluppo delle primissime carenature
moderne.
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Così equipaggiate
impongono la loro
leadership in tutte
le competizioni. La
squadra corse è un
team vincente e
geniale; grazie al
sommarsi di tutti
questi fattori
favorevoli si può
arrivare a
sviluppare una moto
così estrema quale
sarà la V8-500: Otto Cilindri, con 80 CV e 285 km/h di velocità massima. Nessuno
proverà in seguito a tentare la strada di un frazionamento così esasperato, in quegli
anni normalmente riservato alle vetture ad alte prestazioni e alle grosse berline
americane. La carriera potenzialmente eccezionale di una moto unica viene
interrotta dal ritiro di Moto Guzzi dalle competizioni.
Nei primi anni Cinquanta la Moto Guzzi è una vasta e solida azienda. Ma questo
decennio segna anche l'inizio della crisi per l'industria motociclistica italiana. Il
boom economico spinge gli italiani dal mondo delle due ruote, a quello più comodo
delle automobili utilitarie.
La crisi di Moto Guzzi si rivelerà ufficialmente nel 1964. I fondatori sono ormai
scomparsi dalla scena: Emanuele Vittorio Parodi era morto negli anni della guerra,
il figlio Giorgio era improvvisamente scomparso nel 1955. Carlo Guzzi, ormai
anziano e malato, si era ritirato a vita privata, e morirà proprio nel 1964 a 75 anni.
Alla guida di Moto Guzzi subentra Enrico Parodi, fratello di Giorgio, e già da
diversi anni all'interno dell'azienda con incarichi direttivi.
Nel febbraio 1967 la Moto Guzzi viene rilevata dalla Seimm (Società Esercito
Industrie Moto Meccaniche) controllata dall'IMI.
Per far fronte alla situazione e seguire l'andamento del mercato, si sceglie la
strategia di riduzione dei prezzi per conquistare le fasce inferiori del mercato.
Parallelamente si procede allo sviluppo di un bicilindrico a V di 90°, un propulsore
destinato a diventare il simbolo stesso della Moto Guzzi. Nascono la Guzzi V7, con
Figura 7 - L’esaltante Moto Guzzi 8 cilindri del ‘55
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cilindrata di 703cc, bene accolta dal mercato, seguita dalla V7 Special e dalla V7
Sport.
Anche il mercato USA è attirato dalla tecnologia italiana, e vengono allestite le
versioni Special, California e Ambassador.
Le poderose ed eleganti "cruiser" italiane entrano nell'immaginario collettivo, e
compaiono all'interno di film e pubblicità. Un successo d'immagine tale da
proiettare oltreoceano una passione che ancora oggi coinvolge migliaia di
appassionati statunitensi dell'Aquila di Mandello.
Il 1973 vede il passaggio dell'azienda al Gruppo De Tomaso Industries Inc.
Inizia la produzione dei propulsori a 4 cilindri, che porta alla realizzazione del
modello più riuscito, la Guzzi 254, nel 1975. Ma il pubblico mostra di essere legato
alla tradizione, e ben presto si torna all'evoluzione del classicissimo bicilindrico a
V di 90°.
Questa soluzione viene successivamente adattata a cilindrate più piccole, e
appaiono sul mercato la Guzzi V35 e V50, da cui si svilupperà la produzione Moto
Guzzi degli anni Ottanta.
Di questo periodo le versioni "American Style", come la Custom e la Florida, e le
enduro con carenature parziali. La produzione si ramifica nei due filoni principali
delle moto da Gran Turismo e di quelle ad alte prestazioni.
La Gran Turismo per eccellenza è la California, mentre l'eredità sportiva è accolta
dalla Le Mans, dalla Daytona, dalla Centauro e dalla Sport 1100.
Gli anni Novanta sono gli anni più problematici, caratterizzati da ripetuti
mutamenti nella compagine aziendale e nell'assetto societario di Moto Guzzi.
Nel 1988 viene decisa la fusione con la F.lli Benelli, che dà vita alla Guzzi-Benelli
Moto (G.B.M. S.p.A.). Seguono la cessione degli stabilimenti Benelli e la chiusura
della Innocenti.
Il bilancio del 1993 risulta in passivo, e l'anno seguente la De Tomaso Industries
Inc. affida il mandato di gestione della G.M.B. S.p.A. alla Finprogetti. All'inizio
del 1996, anno in cui viene celebrato il 75° anniversario della Casa e con il bilancio
nuovamente in attivo, la G.M.B. cambia ragione sociale e si ritorna a Moto Guzzi
S.p.A. Nella D.T.I.-De Tomaso Industries entra direttamente la Finprogetti con una
consistente quota azionaria.
Nell'agosto del 1996, con il ritiro di De Tomaso, la D.T.I. prende il nome di
Trident Rowan Group Inc. (TRG).
Alla fine del 1998 la Casa di Mandello del Lario è sotto la guida di Mario Tozzi-
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Condivi, che assume anche la carica di Amministratore Delegato.
Contemporaneamente, iniziano le trattative per trovare accordi tecnologici, o
addirittura di cessione, con altre aziende del settore. E il 14 aprile 2000 vede la
firma dell'accordo per il passaggio del controllo di Moto Guzzi ad Aprilia S.p.A.
In questi anni si inizia un cammino alla ricerca delle origini, intese come equilibrio
tra innovazione e valori tradizionali, che culmina con un periodo di ridefinizione
della gamma in corrispondenza dell’ottantesimo anniversario; questo non evita
l’ennesimo cambiamento e nel Dicembre 2004 viene firmata l'acquisizione del
Gruppo Aprilia - Moto Guzzi da parte del Gruppo Piaggio.
Nasce il polo italiano delle due ruote: Moto Guzzi entra a far parte di un Gruppo
con il 24% del mercato europeo delle "due ruote" e 35% del mercato italiano.
2.3 → Possibili scenari futuri
Negli ultimi anni si è assistito a un incredibile sviluppo di nuovi modelli, dopo che
pareva essere già stato inventato tutto.
BMW, che in passato aveva due linee di prodotto, oggi presenta nuovi modelli in
continuazione; la Yamaha cerca nuovi mercati affidandosi all’estero per la
progettazione di moto nuove come l’MT03; la Triumph ripropone uno scrambler;
la Ducati entrerà nel mercato dei supermotard. E’ indubbio che ci sia un grande
fermento nel mondo delle moto, e che questa accelerazione sia sempre più forte.
Dal momento che spesso ci si chiede il perché di scelte che sembrano tanto
bizzarre, può essere utile una piccola analisi economica della situazione.
Ma per capire cosa avviene oggi, occorre fare un passo indietro, avendo come
riferimento il mercato italiano.
Se nel dopoguerra i motori hanno significato per il paese la voglia di modernità, di
cambiamento, di libertà e benessere, la moto è stato il primo approdo per molte
persone a questo mondo. In anni in cui l’auto era guardata come un mito
irraggiungibile, appannaggio di pochi fortunati, l’attenzione si concentrò sulle due
ruote, che i bassi stipendi di allora permettevano di comprare. Anche se con molta
fatica.
Non dobbiamo infatti dimenticarci che gran parte delle moto prodotte dalla fine
degli anni ‘40 a tutti gli anni ’60 furono soprattutto veicoli volti alla massima
praticità ed economicità d’uso, come la Ducati, che ebbe successo grazie al
21
Cucciolo, un veicolo decisamente economico, non comparabile con l’attuale
immagine di quel marchio.
Ma dalla seconda metà degli anni ’70 sia nel mercato dell’auto che in quello della
moto, accade un fenomeno nuovo fino ad allora; la concorrenza con i prodotti
esteri. Per anni il “basso di gamma” della produzione di veicoli era stato soprattutto
in mano ai produttori nazionali, Fiat per l’auto, Gilera, Benelli, Moto Morini e
molti altri per le moto. L’alto di gamma invece si divideva abbastanza equamente
tra la tedesca BMW e l’italiana Moto Guzzi.
L’avvento delle grandi compagnie giapponesi fu un duro colpo per i marchi
nazionali, sia di auto che di motociclette, che furono impreparati a rispondere ai
nuovi parametri di qualità a basso prezzo, ma anche di innovazione tecnologica e di
sportività.
Per spiegare quello che accade oggi, il modo migliore è analizzare le ragioni della
sostanziale sconfitta dei produttori nazionali di moto tra gli anni ’70 ed ’80.
La forza che muoveva i grandi gruppi giapponesi non era il basso costo del lavoro
(come si diceva allora), né gli orari massacranti degli operai. Per troppo tempo le
nostre aziende furono portate ad avere un atteggiamento di “impotenza” verso
questi prodotti che giungevano sempre più numerosi ed erano sempre più richiesti,
quasi la colpa fosse dell’iniquità del sistema economico.
Ma la ragione andava cercata soprattutto nella diversificazione dei gruppi
giapponesi e nelle loro dimensioni. La loro capacità fu proprio quella di creare
gruppi altamente diversificati nei prodotti, garantendosi quindi la sostenibilità degli
investimenti. In parole povere, la presenza nel gruppo di alti ricavi in settori diversi
da quello delle moto (nell’esempio di Kawasaki, i treni), permise loro di non aver
bisogno di ritorni immediati sugli investimenti, che si tradusse con una politica di
produzione di molti modelli, in tanti paesi diversi e di politiche di prezzo
spregiudicate.
E le nostre aziende italiane? La differenza con l’auto è esemplificativa. Fiat aveva
già capito negli anni ‘80 la necessità di rafforzarsi per poter investire nella qualità
come le aziende giapponesi, e fece politiche di forte concentrazione acquistando
man mano tutti i produttori di auto del paese. I produttori di moto invece,
politicamente meno influenti ed abituati a combattersi tra di loro, non riuscirono a
fare altrettanto; ed i gruppi che erano alle spalle di quelle aziende, spesso ricche
famiglie di appassionati, non avevano certamente i mezzi finanziari per fare fronte
ai cambiamenti che la nuova situazione richiedeva. Quindi continuarono a vivere
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parzialmente di rendita, consapevoli che il nostro mercato è un mercato tra i più
grandi al mondo, per le moto, e che gli acquirenti sono appassionati che fanno
spesso scelte “di cuore”. Ma così facendo ottennero solo la rovina lenta ed
inarrestabile delle loro quote di mercato.
Poi, negli anni ’90-2000, e’ iniziato un processo nuovo e radicale anche in Italia.
Complici le nuove teorie economiche per le quali nei mercati saturi le “nicchie”
sono l’unico modo -insieme con le economie di scala- per avere successo, i grandi
gruppi finanziari si sono finalmente accorti delle potenzialità dei nostri marchi e
dei nostri prodotti, ed hanno incominciato ad investire.
La rinascita più celebre è quasi certamente quella di Ducati; l’acquisto da parte di
un gruppo finanziario americano prima (la Texas Pacific Investments) , ed italiano
poi (Investindustrial), ha dato all’azienda la possibilità di espandersi su scala
globale con risultati impensabili nei mercati americani e giapponesi. Poi è stata la
volta dell’MV Agusta, infine la recente creazione del cosiddetto polo “Colaninno”
con la concentrazione di Piaggio, Guzzi, Aprilia, Gilera e Derbi.
Oggi, con i marchi italiani ricapitalizzati e concentrati particolarmente nelle fasce
ad alto valore aggiunto del mercato, si potrebbe pensare che finalmente il mercato
nazionale abbia trovato una sua stabilità, e che ci siano nuovi equilibri consolidati.
Non è così, e l’esempio col passato è calzante. Oggi il cambiamento si chiama
Cina. 1.500.000.000 di potenziali acquirenti di moto, in una situazione di
sostanziale creazione dal nulla di un mercato dei mezzi di trasporto, ed in un
contesto di grande sovraffollamento nei centri urbani.
Una manna per i produttori stranieri, ma anche una situazione che ricorda l’Italia
degli anni ’50, con molte officine meccaniche cinesi che incominciano a produrre
le prime moto, e che in un paese così popoloso significa anche creare dal nulla
gruppi industriali immensi. La vicenda dell’acquisto della Benelli da parte di un
gruppo cinese è allarmante, in questo senso.
Cosa comporta tutto ciò per gli equilibri mondiali? Moltissimo. Innanzitutto la
necessità di rafforzare ulteriormente i gruppi proprietari per investire in quel paese.
Inoltre la competizione tra Giappone ed Italia (ma anche di BMW e Triumph) è
destinata ad acuirsi sempre di più; se infatti fino ad oggi il mercato del basso di
gamma era saldamente in mano ad Honda (che da sola ha il 50% del mercato
mondiale di moto) ed alle altre giapponesi, in futuro potrebbero essere i cinesi ad
occupare queste fasce di mercato, portando i produttori giapponesi a competere in
nicchie di prodotto oggi appannaggio di marchi italiani, inglesi e tedeschi.
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Il cambiamento è sotto gli occhi di tutti, una lotta per occupare le fasce alte del
mercato da parte di tutti i produttori, che cercano sempre più di entrare anche nei
settori non tradizionali, ove vi siano aspettative di crescita o di forte redditività.
Per noi acquirenti non è mai un male, e certamente si tradurrà in un aumento della
qualità generale e di una maggior possibilità di scelta. Basta un rapido conto di
quanti sono i modelli disponibili oggi rispetto a ieri e della frequenza con cui ne
vengono proposti di nuovi.
Chi vincerà non é dato saperlo, ma di una cosa possiamo esser certi: cioè che il
futuro prossimo vedrà marchi, nazionalità ed equilibri molto diversi da oggi.
2.4 → Assimilazione motocicletta-cavallo
Le origini psicologiche dell’immaginario collettivo del binomio motociclista-moto
sono più antiche di quanto si pensi. La figura di questi è il centauro, risalente alla
mitologia greca, metà uomo e metà cavallo.
L'equino, nel II millennio a.C., era ancora poco conosciuto in Grecia. Perciò è
possibile supporre che questo animale, la cui importanza era davvero notevole per
un popolo di nomadi migratori, fosse oggetto di culto. È anche probabile che in
alcune regioni lontane, quali la Tracia o la Tessaglia, vivessero delle tribù
semiprimitive che si dedicavano all'ammaestramento degli animali selvatici. Per
questo si sarebbe potuta creare l'immagine di un essere mitico che univa il
cavaliere alla sua
cavalcatura.
La loro particolarità
è che possedevano
tutti i pregi e tutti i
difetti del genere
umano, portati però
a livelli
elevatissimi, tanto
che nella mitologia
sono stati riservati
loro ruoli completamente contrastanti: dall'estrema saggezza all'incredibile
crudeltà. E tale idea perdurò nel tempo. Durante il Medioevo, l'immagine del
Figura 8 – Curiosa personalizzazione con sella da Cavallo