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Tendiamo costantemente alla perfezione, alla ricerca maniacale
della certezza, pretendiamo di codificare e definire il mondo
secondo leggi razionali e immutabili. Cerchiamo così di mettere
a tacere la nostra ansia, il nostro smarrimento.
Presuntuosamente esigiamo misurare ciò che ci circonda,
indipendentemente dalla sua natura; calcoliamo il nostro peso,
la distanza da percorrere, arrivando a voler definire in termini
numerici persino i sentimenti, i pensieri, le relazioni.
Quale desiderio utopico è il nostro!
La scienza, in particolare modo la fisica, rivela la fallacia
dell’uomo. Nonostante la ricerca maniacale del dettaglio, della
precisione, anche gli scienziati sono consapevoli dei limiti umani
e sono così costretti ad accettare l’incertezza della misura.
Così scrive Heisenberg nel
1927, riferendosi al neo-nato
principio di indeterminazione.
Una scoperta notevole:
l’influenza dello scienziato sulla
sua misurazione non può più
essere trascurata, diventando
la principale causa della sua
imprecisione, seppur appena percettibile. Indeterminazione
generata dall’interazione, interazione tra uomo e spazio,
macrocosmo e microcosmo, oggettivo e soggettivo. La
scienza diviene così “umana”. Ogni risultato scientifico richiede
un’interpretazione, una lettura critica, così come avviene per
un’opera d’arte. La fisica punta a spiegare il mondo, seppur
consapevole e aperta al piccolo scarto tra ciò che la realtà
è e ciò che l’uomo può arrivare a conoscere; così l’arte si
prefigge di parlare del medesimo mondo, aggiungendo però
all’osservazione oggettiva un nuovo elemento, emotivo,
soggettivo, unico.
Definire la misura di una grandezza si pone certamente all’apice
del processo conoscitivo, atto a muovere l’uomo verso una
continua evoluzione e un costante apprendimento. L’aver
sancito grandezze fisiche fondamentali ha sicuramente facilitato
la comunicazione, così come lo sviluppo di teorie sempre più
precise ed avanzate. In una società “scientifica” come quella
odierna, la razionalità pare però essere investita di un’importanza
smodata, arrivando ad essere ritenuta la soluzione ad ogni
problema, la risposta ad ogni quesito. Il metodo scientifico non
viene quindi utilizzato solamente per arrivare alla conoscenza
Nell’ambito della realtà le cui condizioni sono
formulate dalla teoria quantistica, le leggi
naturali non conducono quindi a una completa
determinazione di ciò che accade nello spazio e
nel tempo; l’accadere (all’interno delle frequenze
determinate per mezzo delle connessioni) è
piuttosto rimesso al gioco del caso.
1
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1 W. Heisenberg, Uber den anschauclichen Inhalt der quantentheoretischen Kinematik und Mechanik, Zeitschrift für Physik (1925),
pp.33
della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile, ma
applicato ad ogni ambito della vita, alla soggettività dell’individuo,
alla sua interiorità, al suo inconscio.
Che cosa accadrebbe invece se i ruoli si invertissero, se al
posto di applicare la metrologia al soprasensibile si utilizzasse
l’emotività, l’imperfezione umana per definire, spiegare una
grandezza fisica?
Sarebbe dunque possibile modificare posizioni e ruoli ricoperti
dal razionale e l’irrazionale, in modo tale da farli interagire
inversamente? Unicamente l’arte, che solo apparentemente vive
lontana e separata dalla scienza, può essere in grado di rendere
ciò possibile.
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L’arte, sin dalle sue origini, si è interessata ai cambiamenti
culturali dell’epoca a lei contemporanei; non stupisce dunque
come oggi, in un’era così “scientifica”, la relazione tra arte e
scienza sia un tema ampiamente trattato ed indagato. Ci
troviamo davanti ad una moda che andrà scomparendo
all’arrivo di un tema più accattivante o tra queste due discipline
esiste realmente un saldo legame che è andato rafforzandosi e
modificandosi nel corso della storia?
A detta di alcuni, arte e scienza sono germogliate dallo stesso
terreno; nonostante lo scorrere del tempo abbia mutato il
rapporto tra artisti e scienziati, i quali iniziarono ad operare in
maniera differente indirizzando i loro studi verso funzioni sociali
apparentemente molto diverse, il legame tra questi risulta
evidente.
Gli artisti hanno costantemente nutrito un forte interesse verso le
ricerche e le scoperte scientifiche: ne sono esempi le assonanze
tra le forme barocche e l’ellisse di keplero, gli studi fiamminghi
sulla luce simili a quelli newtoniani, la spazialità di Cezanne e la
relatività di Eistein, la meccanica quantistica e il puntinismo di
Seurat.
1
Limitandosi ad un’indagine superficiale, potremmo dedurre che
solamente l’arte abbia attinto dalle risorse della scienza e non
l’opposto, dando luogo così ad uno scambio unidirezionale. La
smentita di questo assunto può essere dimostrata già dall’analisi
dei paragoni sopra elencati, in cui sarà possibile notare come
le correnti artistiche abbiano preceduto la formulazione delle
teorie fisiche di quasi un decennio. Inoltre, poiché l’arte influenza
risaputamente il modo in cui l’uomo “vede” il mondo, essa è
stata ed è tutt’ora in grado di influenzare il modo in cui la scienza
“vede” la natura, riuscendo a concretizzare concetti scientifici
astratti fino a renderli “visibili”, visualizzabili.
Verso la fine del diciottesimo secolo, la ragione iniziò a acquistare
un ruolo superiore rispetto all’anima. Grazie alle numerose
scoperte, spesso sovversive, di Newton e dei suoi collaboratori,
nel 1725 la scienza riuscì a superare la religione, divenendo la
forza dominante nella cultura europea. Se Newton riteneva che
il mondo fosse costituito da 5 essenze - spazio, tempo, luce,
materia e movimento - i filosofi ne introdussero successivamente
una sesta: la mente. L’aggiunta venne ferocemente denigrata
dallo scienziato, in quanto non provabile dalla ragione e dalle
evidenze sperimentali. Newton, così come aveva già fatto
Leonardo, non fu il solo a prendere posizione riguardo alla
relazione tra razionale ed irrazionale: anche Immanuel Kant,
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così come Julien de la Mettrie o William Blake, si schierarono in
epoca illuminista dalla parte di scienza o arte.
Il filosofo tedesco riuscì, grazie all’utilizzo di parole trattate
come equazioni, ad elevare la filosofia al pari della matematica
applicandone la rigidità
“scientifica”. Secondo le sue
credenze il mondo non era
spiegabile solamente grazie
ai dati raccolti dall’esperienza; da quest’intuizione egli definì
dunque spazio e tempo come a priori, organi di percezione.
Nello stesso periodo, grazie a Renè Descartes, si insinuò in
filosofia così come in ambito scientifico l’idea di Dubbio:
un’affermazione rivoluzionaria, in grado di distaccare
completamente la scienza dalla religione.
Per provare la verità è necessario dunque porre la propria
esistenza in discussione. Il cosiddetto dubbio cartesiano
è metodologico; il suo scopo è quello di arrivare ad una
conoscenza certa scovando elementi impossibili da confutare.
La fallibilità dei dati sensoriali, in particolare, è il soggetto
principale. I think, therefore I am
3
, dunque. In risposta a
questi filosofi razionalisti, Blake affermò “I feel, therefore I am”.
Intuizione e sentimenti come guide superiori alla ragione. Si può
quindi affermare che, in epoca illuministica, arte e scienza erano
entità distinte, ritenute diametralmente opposte.
Attualmente pare che l’opinione maggiormente diffusa rimanga
quella settecentesca.
La razionalità cognitiva scientifica e l’irrazionalità immaginativa
artistica appaiono distanti e di difficile associazione. La scienza
è generalmente vista come un processo in grado di svelare le
strutture profonde della natura attraverso strumenti razionali,
servendosi infatti di un metodo caratterizzato da precisione,
imparzialità e ripetitività. La molteplicità del mondo viene dunque
sintetizzata in unità; tutti gli avvenimenti, anche i più misteriosi e
disparati, cercano di essere catalogati in precisi schemi.
L’arte, dal canto suo, appare l’esatto opposto. Prima di tutto
ingloba la soggettività, sia dell’artista sia del pubblico fruitore,
lasciando spazio anche all’idea di gusto, completamente
trascurata in scienza. La precisione richiesta da quest’ultima
anche dal punto di vista esplicativo, viene rovesciata, capovolta
“Nonostante tutta la conoscenza inizi con
l’esperienza, non tutta necessariamente scaturisce
da questa”.
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1 Leonard Shlain, Art & Physics, Parallel visions in Space, Time and Light (1993), pp.24
2 Immanuel Kant, Kritik der reinen Vernunft. (1781), Einführung
3 Renè Descardes, Meditationes de prima philosophia, in qua Dei existentia et animæ immortalitas demonstratur (1637), Primo
paragrafo, IV parte
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tanto da esaltare l’ambiguità caratteristica dell’opera d’arte,
ritenendola non più difetto ma grande pregio. In sintesi, la
scienza appare ai più concettuale, distaccata e critica, mentre
l’arte sentimentale e viscerale, soggettiva.
Un’approfondita analisi condotta da Sheldon Richmond
dimostrerebbe invece l’esistenza di credenze differenti, in cui
arte e scienza vivono profondamente unite. Secondo questa
corrente di pensiero, il monismo cognitivo si relaziona all’arte
così come alla scienza. Per essere più chiari, l’arte utilizza
simboli o segni per rappresentare la realtà e scoprire questa
realtà, così come la scienza: due discipline tendenti verso una
conoscenza profonda.
Il monismo estetico invece non vede l’arte come razionale, ma
ritiene la scienza irrazionale quanto l’arte. Le teorie vengono
dunque accettate o rifiutate a seconda degli standard estetici
di semplicità ed unità, dopo essere state scoperte grazie ad
intuizioni e visioni al di là del razionale.
Secondo Karl Popper, filosofo ed epistemologo austriaco del
‘900, le scoperte scientifiche
scaturiscono da atti intuitivi
creativi. La prova di queste
intuizioni, passo successivo nel processo di conoscenza,
permette di capire il loro grado di rilevanza nella realtà. La
scienza ha dunque la funzione di esaminare il prodotto
dell’immaginazione, scandagliarlo, distruggerlo e ricostruirlo,
fino a renderlo teoria: la razionalità gioca un ruolo “distruttivo”,
mentre l’irrazionalità un ruolo “creativo”. L’immaginazione ricerca
tentativi di soluzione ai problemi che la razionalità riuscirà a
privare degli errori nascosti.
Se questo è il ruolo dell’immaginazione nella Scienza, anche
la razionalità, a suo modo, è presente in arte. Continuando ad
attingere dalle teorie che Popper esplica in Logica della scoperta
scientifica, la razionalità in arte ha lo scopo paradossale di
rendere manifesto quanto più irrazionale è l’opera, in maniera
da definirne l’efficacia: razionalità, dunque, come critica artistica.
Ciò che traspare chiaramente dalle riflessioni di Richmond
e Popper è l’elemento basilare che muove arte e scienza,
mettendole in relazione: l’incontro e il successivo tentativo
di risoluzione di un dato problema. Imbattendosi in questioni
apparentemente irrilevanti, la capacità di artisti e scienziati è
proprio quella di superare un approccio superficiale, andando
The artist is a scientist in his own manner.
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ad indagare i vari livelli che portano alla nascita di tale problema:
il livello cosciente, che può emergere dalla lettura degli scritti
degli studiosi, il livello inconscio, una rete di emozioni, situazioni
e turbamenti interni a scienziati/artisti, ed il livello oggettivo, in
riferimento al contesto in cui
questi vivono e in cui il problema
si manifesta. L’artista tenta di
affrontare i problemi inconsci
servendosi di stili e simboli
che appartengono al piano
oggettivo. Lo scienziato cerca di risolvere i problemi oggettivi
attingendo dalle visioni che si verificano a livello inconscio.
La scienza e l’arte non possono avere contatti sul piano
oggettivo, tantomeno a livello conscio, perché scienziati e
artisti ignorano le conoscenze degli altri (per lo meno in parte). Il
legame è dunque più sottile, profondo e vive a livello inconscio.
Se arte e scienza presentano il dubbio come punto comune,
che spinge ad una continua ricerca dell’efficacia dell’opera
al pari delle teorie scientifiche, è altrettanto possibile vedere
l’insorgere del problema come motore di entrambe le discipline.
È necessaria comunque una precisazione: la scienza lavora
incessantemente per arrivare alla soluzione di tale problema,
mentre l’arte ha lo scopo di relazionarsi ad esso e renderlo
visibile, senza la pretesa di voler arrivare ad una soluzione. L’arte
è libera, anche se mai completamente estranea al mondo in cui
vive e viene concepita; grazie alla personalità del suo creatore,
affronta questioni secondo punti di vista differenti, utilizzando la
soggettività, il sentimento, il vissuto del singolo come strumento
di indagine, differentemente dall’ambito scientifico. Il metodo
induttivo rimane in entrambe le discipline il più utilizzato,
probabilmente poiché ritenuto maggiormente efficace: se la
scienza, grazie all’osservazione di un fenomeno, seguita da
numerosi esperimenti, può arrivare alla formulazione di una
legge universale, così l’arte partendo dall’esperienza del singolo,
punta alla creazione un “oggetto pubblico”, che parli dell’autore
ma in grado di essere compreso, o per lo meno di suscitare una
reazione nel pubblico fruitore.
Nella scienza, scoperte e innovazioni avvengono
conseguentemente al riscontro di un’anomalia. Secondo
Thomas Kuhn, in The Structure of Scientific Revolutions
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,
l’uomo per indole manifesta la tendenza a preservare ciò che
“Science is an abstraction of the role of rationality
in art, and art is an abstraction of the role of
imagination in science”.
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4 Sheldon Richmond, The Interaction of Art and Science, Leonardo Vol. 17, No. 2 (1984), pp. 82
5 Sheldon Richmond, The Interaction of Art and Science, Leonardo Vol. 17, No. 2 (1984), pp. 84
6 Thomas Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions (1962)