8 Shokuba no hana
occupazione militare, la nuova Costituzione, varata nel
1947, riconosceva esplicitamente l’uguaglianza dei sessi
e sanciva che “tutti i cittadini sono eguali davanti alla
legge; non esiste alcuna discriminazione nei rapporti
politici, economici o sociali fondata sulla razza, la fede,
il sesso, la condizione sociale o l’origine familiare. […].”
(art. 14, Costituzione Giapponese, 1947).
Parte del secondo capitolo affronta, in tale contesto
storico, le origini della riforma costituzionale del 1947 che
ha portato—grazie anche al prezioso contributo di figure
come Beate Sirota—all’introduzione delle prime garanzie
legali per la donna.
La nuova Costituzione rese necessaria la revisione
del Codice Civile, che entrò in vigore nel 1948. L’art. 24
della Costituzione, stabilendo che le leggi riguardanti il
matrimonio e la famiglia dovessero essere emanate “nel
rispetto della dignità individuale e nell’essenziale ugua-
glianza dei sessi,” portò all’inevitabile revisione dei Libri
IV e V del Codice Civile inerenti, rispettivamente, alla
famiglia e alla successione. Il cambiamento più importan-
te riguardava l’abolizione almeno per legge—delI’istituto
dello ie, il sistema della famiglia allargata, nel quale il
capofamiglia, solitamente l’uomo più anziano, esercitava
pieni poteri gestendo e “proteggendo” tutti i suoi membri.
Di conseguenza mutò anche il ruolo della donna nella
famiglia. Il vecchio Codice Civile del 1889 considerava
la moglie come incompetente, fornendo veste giuridica
alla consuetudine che riteneva naturale e virtuoso che
la donna servisse il capofamiglia per tutta la vita; subor-
dinata al padre prima, al marito poi e quindi al figlio. Nel
nuovo Codice Civile, in vigore ancora oggi, venne garanti-
ta alla donna, almeno sulla carta, la parità di diritti con
l’uomo nella vita familiare. La moglie è libera di gestire i
propri beni e di disporne secondo il proprio volere; marito
e moglie decidono di comune accordo dove vivere; in
caso di divorzio la donna non è più soggetta al libero
arbitrio del marito (che la poteva allontanare senza alcun
ostacolo legale); entrambi hanno diritto a ereditare un
terzo dei beni alla morte di una delle parti; la patria
potestà viene esercitata da entrambi i genitori.
Il nuovo Codice non ebbe effetti positivi immediati sullo
status femminile. Gli ultimi tre capitoli analizzano infatti
l’effettiva condizione femminile nella società contempora-
nea al di là della facciata ufficiale, mettendo a confronto
i piani legislativo e sociale, delineando le tappe della
trasformazione e le tendenze odierne; in particolare,
considerano la figura della donna in famiglia e nella
società, più precisamente nel mondo del lavoro; infine,
alcune fondamentali disposizioni di legge che hanno per-
messo alla donna giapponese notevoli progressi, quali la
legislazione sulla nazionalità, l’aborto e il divorzio.
9Introduzione
I cambiamenti della posizione domestica della donna
giapponese sono evidenti nel confronto tra il diritto di
famiglia del periodo Meiji e quello successivo all’emana-
zione del nuovo Codice Civile, improntato al rispetto dei
principi della dignità dell’individuo e della parità sessuale.
Grazie al nuovo diritto di famiglia, in vigore dal 1 genna-
io 1948, la condizione della donna migliorò sensibilmente,
avendo la moglie acquisito importanti diritti che le per-
mettevano, almeno in principio, di avere un ruolo paritario
nella gestione familiare. Tuttavia, i rapporti consuetudina-
ri stratificati nella tradizione rendevano il raggiungimento
di una vera parità sessuale difficilmente realizzabile nella
pratica. La famiglia nucleare, che si andò diffondendo
sempre più nel corso degli anni cinquanta e sessanta, a
seguito della crescita economica iniziatasi con la ricostru-
zione del dopoguerra, presupponeva la netta divisione
dei ruoli fra il marito lavoratore e la moglie casalinga,
ostacolando di fatto l’effettiva parità.
Il modello, nell’immaginario collettivo degli anni settan-
ta, era la nyu¯ famirii, o nuova famiglia: un marito e una
moglie con figli, che vivevano in armonia come buoni
amici (tomodachi fu¯fu, coniugi amici), dividendo i lavori di
casa e trascorrendo insieme la maggior parte del tempo
libero. In quanto ideale di importazione americano, la nyu¯
famirii non tardò a rivelare tutte le sue contraddizioni e,
paradossalmente, accentuò ulteriormente la divergenza
dei ruoli. Dopo avere dedicato se stessa al matrimonio,
alla casa e ai figli, la vita di una donna, giunta alla soglia
dei quarant’anni, restava improvvisamente vuota; condi-
zione questa che portò, agli inizi degli anni ottanta, al
diffondersi del fenomeno dell’alcolismo fra le casalinghe
delle aree urbane, riconosciuto come un serio problema
sociale. La condizione di casalinga era fonte di profondo
malessere ed ebbe come conseguenza un fenomeno
preciso, definito shufubanare, fuga dal ruolo di casalinga.
Sempre più donne ripresero a lavorare per trovare un
proprio spazio e fuggire dalle mura domestiche—oltre
naturalmente a necessità economiche.
Anche il mondo del lavoro, nonostante le varie dispo-
sizioni di legge, non è stato un facile approdo; anzi, la
discriminazione sessuale nei confronti della donna è sta-
ta e rimane una dolorosa realtà. La Ro¯do¯ kijunho¯, Legge
sugli standard lavorativi, entrata in vigore il 1 settembre
1947, regolava i rapporti di lavoro ed era, almano in parte,
intesa a proteggere le lavoratrici. La legge aveva dei
limiti: pur sancendo il principio della parità di salario fra
uomo e donna, non faceva alcun riferimento ad altre
forme di discriminazione sul lavoro. Tuttavia, anche se
non sempre rispettati nella realtà, ulteriori diritti erano
garantiti: le ore di lavoro vennero limitate; i lavori ritenuti
pericolosi furono proibiti; fu riconosciuto un periodo di
aspettativa per la maternità di sei settimane prima del
parto; e fu garantito un permesso mensile per il periodo
mestruale.
10 Shokuba no hana
Dalla fine dell’occupazione americana, avvenuta nel
1952, si dovettero aspettare vent’anni prima che, nel
luglio 1972, il parlamento emanasse la Legge per il
benessere delle donne lavoratrici, Josei ro¯do¯sha fukushiho¯,
mirante a tutelare specificatamente i diritti delle donne
lavoratrici, in aggiunta alle disposizioni più generali della
Ro¯do¯ kijunho¯, da una parte rendendo possibile conciliare
il loro duplice ruolo di lavoratrici e di mogli/madri, dall’al-
tra permettendo di sviluppare e sfruttare meglio le loro
capacità. La legge prevedeva infatti speciali condizioni di
lavoro e facilitazioni per le lavoratrici madri e corsi profes-
sionali a spese dello stato e delle amministrazioni locali.
Inoltre garantiva alle donne il diritto di mantenere il posto
di lavoro, anche dopo un’interruzione per gravidanza.
La discriminazione sul posto di lavoro rimase tuttavia
presente a ogni livello, dalla “guerra per l’assunzione”
(shu¯shoku senso¯), all’inquadramento salariale, fino alla
diversa età pensionabile. Nella pratica, inoltre, la maggior
parte riuscivano a trovare impiego solo come lavoratrici
part-time o ausiliarie. Per ovviare a questo stato di cose,
nel 1985 venne varata la Koyo¯ kikai kinto¯ho¯, Legge sulle
pari opportunità lavorative, la quale vietava al datore di
lavoro ogni distinzione in base al sesso in materia di
formazione e istruzione, retribuzione, età pensionabile
e licenziamento. Per quanto, invece, riguardava assunzio-
ne, incarico lavorativo e promozione, la legge, più che
obbligare, “esortava” il datore di lavoro a offrire pari
opportunità a uomini e donne. In realtà, la legge si rivelò,
una vittoria per i datori di lavoro, e tale paradosso appare
tanto più evidente se si considera la successiva elimi-
nazione, in nome della totale parità, dalla Ro¯do¯ kijunho¯
(avvenuto nel 1986) degli articoli a tutela delle lavoratrici
femminili.
La Koyo¯ kikai kinto¯ho¯ era uno dei risultati delle riforme
legislative che il governo giapponese si era impegnato
a portare a compimento a seguito della ratifica, nel 1981,
insieme ad altri 57 paesi, della Convenzione Internaziona-
le delle Nazioni Unite per l’eliminazione di tutte le forme
di discriminazione contro le donne. Ma alla prova dei
fatti si dimostrò particolarmente debole perché, oltre a
non essere ingiuntiva, non conteneva alcun riferimento
a forme di discriminazione indiretta, applicate spesso dal
datore di lavoro, senza per altro contravvenire alla legge.
Nel 1984 venne emendata la Kokusekiho¯, Legge sulla
nazionalità: rispetto alla legge preesistente, che ricono-
sceva la cittadinanza esclusivamente ai figli di padre
giapponese, la nuova norma stabilisce che il figlio di un
genitore giapponese—sia esso padre o madre—ha il dirit-
to di ottenere la cittadinanza giapponese. Inoltre, il marito
o la moglie di un cittadino giapponese può oggi ottenere
la cittadinanza a partire dal terzo anno di residenza in
Giappone, o dopo un anno a condizione di essere sposa-
to da tre.
11Introduzione
Il risultato più significativo delle riforme riguardanti la
donna è stata la Yu¯sei hogoho¯, Legge per la protezione
eugenetica, varata nel giugno del 1948, che è stata un
passo fondamentale verso la liberazione della donna.
Il bisogno, già forte negli anni trenta, di accrescere la
popolazione al fine di aumentare le riserve umane per la
guerra del Pacifico, spinse il governo a emanare nel 1940
la Kokumin yu¯seiho¯, Legge eugenetica nazionale, che proi-
biva severamente l’aborto provocato e la sterilizzazione,
se non per ragioni eugenetiche. Contemporaneamente,
la propaganda incoraggiava le donne a sposarsi e a pro-
creare il maggior numero di figli per “soddisfare la missio-
ne nazionale di maternità.” Al termine della guerra, la
pressione demografica si fece insostenibile, a causa sia
dell’impennata della natalità (il cosiddetto baby-boom)
fra il 1947 e il 1949, sia del rimpatrio di molti soldati e civili
a seguito della perdita delle colonie asiatiche. A questo
“stato di emergenza nazionale,” il governo giapponese
e lo Scap (Comando Supremo delle Forze Alleate) rea-
girono emanando, nel giugno del 1948, la Yu¯sei hogoho¯,
Legge per la protezione eugenetica, che legalizzava la
contraccezione, la sterilizzazione e la pratica dell’aborto
per la prevenzione della nascita di “figli portatori di handi-
cap,” nonché per la tutela della vita e della salute della
madre.
Nonostante programmi iniziati nei primi anni cinquan-
ta atti a sensibilizzare la popolazione e a diffondere
l’uso di diverse forme di contraccezione, l’aborto rimase
per molto tempo il metodo più usato, costituendo una
proficua fonte di reddito per i medici, gli unici abilitati
per legge a eseguire un aborto provocato. Non si deve
dimenticare, inoltre, il senso di colpa e di vergogna delle
madri che abortiscono, sentimenti su cui molti templi
buddhisti hanno fatto leva, avviando un’attività lucrativa
incentrata sui servizi commemorativi (kuyo¯) per i feti
morti (mizuko) e sulla vendita per corrispondenza di
statuine votive.
Ultima fra le “lotte” intraprese per il miglioramento della
posizione legale della donna è la questione del divorzio.
Anche se non sono più considerati un fallimento, il nume-
ro di divorzi in Giappone rimane relativamente contenuto.
Una tendenza caratteristica è l’aumento considerevole
dei divorzi fra le coppie sposate da oltre quindici anni. In
molti casi è il pensionamento del marito (che ha lavorato
sempre) all’origine della separazione: la donna, che per
anni ha gestito la casa senza alcuna interferenza, spesso
trova insopportabile la presenza del coniuge.
Nel gennaio 1991, il ministro di Giustizia iniziò la revisio-
ne del Libro IV del Codice Civile, precisamente la sezione
concernente il matrimonio e il divorzio. Dopo cinque anni,
nel gennaio 1996, fu presentata una bozza di revisione
atta a snellire la procedura e ad assicurare maggiori
garanzie alla parte offesa, considerando la necessità di
12 Shokuba no hana
stabilire una tipologia di ragioni che conducono al divor-
zio, la distribuzione dei beni matrimoniali e le indennità, la
custodia dei figli e il diritto di far loro visita.
13
La Costituzione Meiji
Dopo la politica di quasi totale isolamento (sakoku) del
paese del periodo Tokugawa (1603–1868), con la Restau-
razione Meiji (Meiji ishin) avvenuta il 3 gennaio 1868,
il Giappone riapriva le porte verso il mondo esterno,
ripristinando il potere imperiale e instaurando una nuova
forma di governo centralizzato. Il nuovo governo del 1871,
spinto dalle pressioni esterne a “modernizzare” il paese,
si trovò di fronte alla necessità di adottare un sistema
legale di stampo occidentale vista l’inadeguatezza del-
l’ordinamento tradizionale a raggiungere gli obiettivi di
rinnovamento, affrancamento dallo stato di inferiorità
verso potenze occidentali e consolidamento della base
di potere nel restaurato governo imperiale.
Per una nazione che aspirava a una posizione di parità
economica e militare con i paesi europei, fu inevitabile
guardare all’Europa come modello sul quale costruire il
nuovo ordinamento legale: il Giappone infatti abbandonò
quasi completamente il diritto tradizionale per assimilare
quello straniero. Durante il periodo Tokugawa, gli olande-
si—unici occidentali cui era stato consentito di continua-
re a commerciare attraverso la base di Deshima, nella
baia di Nagasaki—avevano già introdotto alcune idee
politiche e concetti legali europei. Tuttavia fu il diritto
francese a esercitare la maggior influenza sul processo
di rinnovamento del sistema legale giapponese, almeno
nei primi anni settanta dell’Ottocento. Il governo imperia-
le del Giappone, alla ricerca del miglior modello europeo,
ritenne quello francese il più avanzato. Il primo Ministro
di giustizia giapponese, Ito¯ Shinpei, fece tradurre i codici
francesi e il primo Codice Penale giapponese, promul-
gato nel 1880, era basato su quello francese, nonostante
alcune influenze belga e italiana. 1 Nel decennio succes-
sivo, tuttavia, si assistette a un graduale spostamento
verso la giuspubblicistica tedesca: in particolare, la
monarchia costituzionale prussiana, in cui il governo era
libero dal controllo parlamentare, rispondendo diretta-
mente al Kaiser, meglio soddisfaceva le esigenze del-
l’oligarchia al potere in Giappone. 2 Inoltre, proprio in
1
Oda Hiroshi (1992) pp. 26–7.
2
“[…] Una serie di provvedi-
menti che, non rivendicati da
classi sociali in formazione
ma elargiti ‘illuministicamente’
dall’alto, formano il nucleo del-
la ‘riforma Meiji’ con tutti i
limiti propri di un’operazione
politica condotta da una clas-
se dominante che non cede
il potere ma opera le neces-
sarie ristrutturazioni a livello
economico, sociale ed istitu-
zionale per mantenere la pro-
pria sfera di influenza e di
comando.” Franco Gatti (1976)
p. 52 .
1. L’anteguerra
14 Shokuba no hana
quegli anni la Prussia lavorava ai propri codici legislativi
e poteva quindi considerarsi il paese europeo con il
sistema giuridico più avanzato. 3
La promulgazione della Costituzione nel 1889—insie-
me all’introduzione del sistema di gabinetto e del Parla-
mento Imperiale nel 1890—segnò il consolidamento del
potere Imperiale e il passaggio definitivo dal modello
legislativo francese a quello prussiano. Il dibattito costi-
tuzionale, benché ispirato alle teorie occidentali, rimase
tuttavia legato agli interessi della classe dominante che
legittimò in tal modo il proprio potere assoluto. La Costi-
tuzione Meiji rappresentò, insomma, la fusione di modelli
occidentali con la realtà giapponese, basata sul potere
indiscusso della famiglia imperiale, legittimato dalle pro-
prie origini divine ed espresso nel concetto di kokutai,
termine interpretato come “spirito nazionale,” “essenza
nazionale” o “struttura nazionale.” 4
La legge prussiana del 1850 fu quindi il modello
ideale, anche se vennero consultate molte altre fonti. 5
Tutto il materiale a disposizione fu reinterpretato secon-
do l’ideologia del kokutai, eliminando quindi tutti gli ele-
menti contrari alla realtà giapponese, e dando origine
a una Costituzione che riuscì a mediare il carattere
sacro dell’Imperatore con il sistema parlamentare e che
rappresentò un forte strumento di controllo nelle mani
dell’oligarchia Meiji: “perciò, non venne […] creata una
monarchia costituzionale, in linea con i tempi e le istanze
emerse o emergenti in Europa, ma venne istituita una
monarchia assoluta che accentrava nelle sue mani il
potere decisionale.” 6
La Costituzione, redatta nella massima segretezza,
fu promulgata l’11 febbraio 1889 ed entrò in vigore il
29 novembre 1890, 7 presentata come dono elargito dal-
l’Imperatore al popolo. Il primo articolo proclamava la
sacralità e l’inviolabilità dell’Imperatore, il quale avrebbe
continuato a guidare il paese in virtù della sua origine
divina. La leggenda della fondazione divina della nazione
intorno al 660 a.C. da parte degli antenati della famiglia
imperiale, divenne così la dottrina ufficiale dell’impero,
nonostante fosse priva di qualunque fondamento storico.
3
Oda Hiroshi riconosce tre
ragioni principali per questa
scelta. Innanzitutto la Prussia
era fra gli ultimi paesi europei
a intraprendere il processo
di modernizzazione, e la sua
situazione era considerata
simile a quella giapponese; in
secondo luogo, la delegazio-
ne giapponese che aveva pre-
cedentemente visitato la Prus-
sia era stata positivamente
impressionata dalla politica di
Bismark e di von Morthke;
terzo, in Prussia il Keiser
aveva apparentemente forti
poteri e autorità sul parla-
mento, in contrasto con le
Costituzioni francese e britan-
nica considerate troppo libe-
rali e democratiche. Oda Hiro-
shi (1992) pp. 28–9. Per
un approfondimento sulle
influenze prussiane sulla legi-
slazione giapponese in gene-
rale e sul Codice Civile, ibid.
pp. 27, 133–7.
4
Marco Del Bene (1999).
5
Per le maggiori Costituzioni
europee, ibid.
6
Franco Gatti (1976) pp. 25–6.
7
Per maggiori dettagli sulla
stesura della Costituzione
Meiji si veda l’introduzione
di Lawrence W. Beer & Ito¯
Hiroshi (1978 ); Lawrence W.
Beer (1979); Marco Del Bene
(1999); Tanaka Hideo (1976)
pp. 621–85.
15
Il potere sovrano dell’Imperatore era in qualche misura
limitato dalle disposizioni della Costituzione, anche se
la sua volontà rimaneva prevalente rispetto a quella del
parlamento in molti settori della vita pubblica: le leggi
emanate dall’organo di rappresentanza del popolo neces-
sitavano dell’approvazione imperiale. L’Imperatore aveva
inoltre il potere di emanare editti imperiali e ordinanze
con valore di legge. 8
“Diritti e doveri dei sudditi”
Trattati nel secondo capitolo della Costituzione Meiji, dirit-
ti e doveri dei sudditi si configuravano come elargiti dalla
volontà illuminata dell’Imperatore. 9 Il popolo giapponese
continuava a essere un popolo di “sudditi,” senza che
venissero loro riconosciuti i diritti umani “naturali” che
l’uomo può rivendicare in quanto individuo.
La Costituzione garantiva questi diritti, stabilendo che
qualunque limitazione avrebbe dovuto essere prescritta
per legge e approvata dal parlamento. Sarebbe certa-
mente contro lo spirito della Costituzione Meiji ritenere
che ogni tipo di restrizione fosse possibile purché stabili-
ta per legge, ma di fatto non vi erano garanzie contro
usurpazioni legislative di tali diritti. 10 Gli articoli riguar-
danti i diritti e i doveri dei cittadini (artt. 18-32) concede-
vano diritti quali la libertà di domicilio (art. 22), la libertà
personali (art. 23), il diritto di essere giudicato secondo
la legge (art. 24), l’inviolabilità del domicilio (art. 25),
la riservatezza della corrispondenza epistolare (art. 26),
l’inviolabilità della proprietà (art. 27), la libertà di fede
religiosa (art. 28), di parola e di associazione (art. 29).
Nella maggior parte degli articoli, tuttavia, la garanzia
e l’applicazione dei diritti civili era limitata da clausole
del tipo “entro i limiti legali,” “se non in accordo con la
legge,” “eccetto che nei casi previsti dalla legge,” “senza
pregiudicare la pace e l’ordine sociale,” e potevano esse-
re revocati per ordine imperiale nel corso di emergenze
nazionali o di guerre (art. 32).
Nel 1889, all’atto della promulgazione della Costituzio-
ne, Ito¯ Hirobumi 11 pubblicò un suo Commento ai singoli
articoli. 12 Nell’introduzione alla sezione dedicata ai “diritti
e doveri dei sudditi,” egli sottolineava come
8
Il parlamento non veniva con-
sultato per trattati e dichiara-
zioni di guerra, e l’esercito era
guidato direttamente dall’Im-
peratore che ricopriva il ruolo
di Capo di Stato Maggiore;
l’apparato giudiziario esercita-
va la sua funzione in nome
dell’Imperatore.
9
“[…] gift of the Emperor to
his subjects.” Tanaka Hideo
(1976) p. 622 .
10
Ibid. p 637.
11
Ito¯ Hirobumi—uno tra i princi-
pali protagonisti della Restau-
razione Meiji—su ordine del-
l’Imperatore guidò la Commis-
sione per la stesura della
nuova Costituzione che, tra
il 1882 e il 1883 , compì un
viaggio di studio in Europa
ed elaborò la Costituzione.
Ito¯ elaborò una bozza costitu-
zionale assistito da Hermann
Rösler, consigliere giuridico
tedesco, il quale sosteneva
un sistema costituzionale più
conservativo della Costituzio-
ne prussiana, eliminando le
istituzioni democratiche e libe-
rali importate dall’Inghilterra
tramite la Francia e il Belgio.
Per il contributo di Rösler si
veda Oda Hiroshi (1992) p. 29.
Si veda anche Johann Sie-
mens (1968 ) Hermann Rösler
and the Making of the Meiji
Constitution of Japan, Tokyo:
Sophia University.
12
Ito¯ Hirobumi (1978 ):
parte del Commento di Ito¯
Hirobumi inerente al primo
capitolo della Costituzione,
riguardante l’Imperatore, è
riportato in Franco Gatti
(1976) pp. 60–2 .
L’anteguerra . La Costituzione Meiji
16 Shokuba no hana
la caratteristica essenziale della politica degli antenati imperiali
era l’amore e la cura verso i sudditi, che erano pertanto denomi-
nati “il grande tesoro.” […] Da una parte, gli Imperatori hanno
preso a cuore di mostrare amore e affetto al popolo, trattandolo
come il tesoro del paese; mentre, dall’altra, il popolo è sempre
stato fedele al Sovrano, e si è sempre considerato felice e bene-
detto. […] Dalla Restaurazione, […] tutti i cittadini giapponesi,
senza alcuna discriminazione, possono ora godere dei loro diritti
e compiere i propri doveri. 13
Il sistema familiare dello ie
L’istituzione dello ie—la famiglia tradizionale giappone-
se—trovava il suo fondamento nel concetto chiave del-
l’ideologia dello stato giapponese prima del 1945, il
kokutai, “spirito nazionale,” che comprendeva due compo-
nenti strettamente legate fra loro: il sistema imperiale
(tenno¯sei) e il sistema familiare (kazoku seido). 14 Entrambi
erano legati al modello dello stato-famiglia incentrato
sulla figura dell’Imperatore; la lealtà verso l’Imperatore
corrispondeva alla pietà filiale, che non era soltanto un
dovere privato, ma anzitutto civile.
Lo ie era un’unità sociale basata sulla struttura patri-
lineare. Nel periodo Meiji, il capo dello ie era solitamente
il membro maschio più anziano che esercitava pieni pote-
ri, fra cui decidere il domicilio di tutti i membri, controllare
la scelta dello sposo o della sposa e, se necessario,
espellerli dalla famiglia; aveva inoltre autorità indiscussa
sulle proprietà della famiglia. Le relazioni fra i membri
della famiglia erano basate sulla disuguaglianza, ovvero
sul rapporto fra superiore e inferiore: genitore e figlio,
marito e moglie, fratello maggiore e fratello minore.
Le donne erano considerate inferiori agli uomini: 15 la
moglie “incompetente” a livello legale, e la madre subor-
dinata perfino al figlio primogenito, il quale succedeva
al capofamiglia e fin dalla nascita godeva di uno status
privilegiato rispetto agli altri fratelli. Il matrimonio era
prima di tutto la garanzia per la continuazione della linea
familiare e la moglie non era considerata altro che la
procreatrice di nuovi figli per perpetuarne l’esistenza.
Il diritto di divorzio per la donna esisteva solo in principio.
Le cause di divorzio riconosciute (rikon gen’in) erano
elencate nel Codice Civile Meiji del 1898 (art. 813) 16 , nel
quale fu introdotto per la prima volta il divorzio consen-
suale (kyo¯gi rikon), 17 che era in realtà un abuso al quale
la donna doveva acconsentire anche contro la propria
13
Ito¯ Hirobumi (1978 )
pp. 38–40.
14
Il primo si basava sulla mito-
logia shintoista, la quale legit-
timava l’origine divina della
famiglia imperiale; il secondo
si basava sulla moralità tradi-
zionale giapponese, influenza-
ta dai precetti confuciani. Cfr.
Kurt Steiner (1987) p. 189.
15
Furuya Tsunatake (1967) Meiji
Women: Landmarks They Have
Left, XIV, 3 pp. 318–25.
16
Per l’articolo 813 del Codice
Civile Meiji si veda Tanaka
Hideo (1976) p. 78 .
17
Prima del periodo Meiji, il
divorzio era un privilegio
esclusivamente maschile,
un atto unilaterale del marito,
il quale aveva la possibilità
di allontanare la moglie in
base al vecchio costume della
cosiddetta “nota di tre righe
e mezzo” (mikudari han), nella
quale semplicemente la infor-
mava della sua intenzione.
Tale espediente fu ufficialmen-
te abolito con il Codice Civile
Meiji (l 875, 209), anche se
sopravvisse ancora nel costu-
me tradizionale. Cfr. Watana-
be Yozo (1963) p. 367.
17
volontà. 18 Pur tuttavia, per la prima volta la donna poteva
chiedere il divorzio—diritto riconosciuto nel 1873—in casi
di maltrattamento o abbandono, ma non per adulterio del
marito (art. 813). Questi invece poteva divorziare in caso
di adulterio della moglie o altre condotte non consone
alla vita matrimoniale (art. 813).
L’ordine patriarcale dello ie andava oltre i limiti dome-
stici: l’organizzazione politica, infatti, si basava su regole
e subordinazioni di tipo familiare. La relazione fra padre
e figlio era il paradigma dei rapporti all’interno delle
altre unità sociali, sia nella sfera pubblica (dal villaggio
allo stato) che in quella privata (per esempio, il gruppo
sul posto di lavoro) perché in famiglia si imparavano
ad accettare la struttura gerarchica e le relazioni sociali
alla base del sistema imperiale. Ugualmente importante
era l’accento posto sulla collettività. Individualismo ed
egualitarismo erano in contrasto con il modo di pensare
giapponese: come gli interessi della famiglia avevano
priorità sull’individuo, così il dovere verso la collettività
aveva il sopravvento sugli obblighi, gli interessi e i diritti
dell’individuo.
Per rafforzare la stabilità che tale sistema familiare
conferiva all’ordine sociale, il governo riconobbe legal-
mente lo ie, introducendolo nel Codice Civile del 1898. 19
Il diritto di famiglia
Introdotto nel Codice Civile, il diritto di famiglia Meiji rima-
se in vigore per quasi cinquant’anni, fino al 1947. Prodotto
del Giappone moderno, fu uno dei pilastri della società
prebellica e condizionò notevolmente l’evoluzione della
nuova legislazione emanata negli anni dell’occupazione
americana.
Il koseki seido (il sistema del registro di famiglia) costi-
tuì la base del diritto di famiglia dello stato Meiji—di fatto
un potente strumento di controllo della popolazione.
Promulgato come legge nel 1871, introduceva la divisione
della popolazione in base alle unità di residenza (ko),
anziché distinguerla in classi sociali come nel periodo
Tokugawa. Il capofamiglia, con il dovere di garantire la
continuità della famiglia, fungeva da livello minimo di
controllo del sistema burocratico statale, che stabiliva
in tal modo una rete di sorveglianza all’interno della
società; inoltre, basandosi sul registro di famiglia, poteva
facilmente regolare nuove politiche di tassazione, sanità,
educazione, ecc.
Lo ie, per come era codificato nel Codice Civile, era
in realtà la riformulazione del ko, l’unità di residenza del
sistema del registro di famiglia, perpetuando la forma
18
Ibid. p. 367.
19
Per maggiori informazioni sul-
lo ie, si veda ibid. pp. 364–5 ;
Fukutake Tadashi (1982)
pp. 25–32 ; Isono Fujiko
(1964) pp. 39–44
L’anteguerra . Il sistema familiare dello ie
18 Shokuba no hana
di controllo dall’alto verso il basso adattata al processo
di modernizzazione del paese. Questa forma di orga-
nizzazione era necessaria se si considera la grande
importanza economica dell’impresa familiare (non solo
in agricoltura, ma anche nel commercio e nell’industria)
dovuta alle particolari caratteristiche del processo di
accumulazione del capitale in Giappone: il controllo sul
lavoro della famiglia e la concentrazione della proprietà
familiare nelle mani del capofamiglia assicuravano e
mantenevano l’attività economica dello ie. L’ordine dello
ie doveva dunque essere autoritario al fine di mantenere
stabili le relazioni al suo interno. 20
Fin dalla sua promulgazione, la legge sul diritto di
famiglia suscitò molte critiche, legate soprattutto ai cam-
biamenti che la società stava vivendo. Già dopo due anni,
Ume Kenjiro¯, uno degli estensori del Codice, in un artico-
lo pubblicato dallo Yomiuri Shinbun il 5 gennaio 1900,
così prevedeva il destino della legge nel ventesimo seco-
lo: “Il sistema familiare […] scomparirà, non fra cento, ma
fra venti o trent’anni. Questo perché il sistema familiare,
vestigia del feudalesimo, è totalmente incompatibile con
il progredire della società di oggi.” 21 Nei primi decenni
del Novecento, dunque, lo ie era di fatto già superato
e il Codice Civile Meiji non conteneva norme giuridiche
appropriate per la moderna famiglia nucleare, la nuova
realtà che si sarebbe sviluppata prepotentemente a parti-
re dal dopoguerra.
Già nell’ultimo decennio dell’Ottocento, lo ie come
sistema familiare completamente governato dal capo-
famiglia iniziava a mostrare uno scollamento rispetto ai
mutamenti in atto nella società. Tale cambiamento era
alimentato dalle nuove condizioni sociali determinate dal
processo di urbanizzazione nella prima fase di industria-
lizzazione. Cominciava allora a prendere forma una nuo-
va famiglia composta solo dai genitori e dai figli. Per
rispondere a tali cambiamenti, nel 1919 fu istituito un
apposito consiglio deliberativo in materia di legge con
lo scopo di rafforzare quegli elementi tradizionali e di
costume ritenuti indispensabili alla società giapponese.
Nel 1925 venne pubblicata una bozza per la revisione
della legge sulla famiglia e nel 1927 un’altra per la legge
di successione. Non potendo più ormai ignorare la realtà
della nuova famiglia che veniva formandosi dalla fine
dell’Ottocento, queste prime revisioni concessero molto
alla nuova, moderna famiglia nucleare.
Un ulteriore passo avanti si verificò nel 1933, quando
la Camera Bassa, nel dichiarato intento di “elevare lo
status delle donne sposate,” appoggiò la revisione del
20
Maggiori informazioni sul dirit-
to di famiglia Meiji e sui
limiti e le contraddizioni del
sistema dello ie in Toshitani
Nobuyoshi (1994) pp. 69–71.
21
Ibid. p. 67.
19
Codice Civile e, più precisamente, l’abolizione del termine
“incompetente” riferito alle donne sposate. Tale revisione
si riproponeva di concedere alcuni diritti anche alla don-
na, fra i quali il diritto al divorzio e all’eredità. Nel 1939 le
condizioni erano mature per una revisione ufficiale del
Codice Civile, purtroppo il Giappone era ormai alla vigilia
della guerra e la revisione non fu mai portata a termine.
La proposta di una revisione del Codice Civile dovette
quindi attendere la fine del conflitto e l’occupazione
americana per poter riprendere il suo cammino.
L’anteguerra . Il sistema familiare dello ie