Introduzione
Questa tesi di laurea vuole analizzare la vita e le opere di Shirin
Neshat, un’artista visiva che esprime con la sua arte le contraddizioni e le
assurdità del suo paese d’origine, l’Iran.
L’elaborato è strutturato in sei capitoli e ripercorre i punti salienti
della vita e dell’arte di Neshat.
Il primo capitolo si apre con la biografia dell’artista, che a 17 anni
lasciò il suo paese d’origine per andare a studiare in America, poco prima
della rivoluzione. Con la rivoluzione islamica del 1979, Neshat non poté
ritornare in Iran fino alla fine della rivoluzione, nel 1990. Il capitolo
percorre le tappe fondamentali che l’hanno portata fino ad oggi, passando
dalle mostre nelle gallerie, per la presentazione delle sue fotografie e delle
sue video-installazioni, al tappeto rosso, per la presentazione del suo film.
Shirin Neshat, infatti, cambia varie volte medium, per trovare il pubblico
adatto all’idee che vuole trasmettere, utilizzando per prima la macchinetta
fotografica, e in seguito la videocamera.
Successivamente, viene trattata in un secondo paragrafo la
condizione femminile in Iran, guardando al passato del paese, quando,
sotto la dinastia Pahlavi, le donne erano al loro status maggiore,
comprendendo quali sono state le cause e le conseguenze di questo
enorme cambiamento. Si analizzano inoltre delle leggi e degli articoli
contraddittori tratti dal codice civile e penale iraniano.
Il secondo capitolo è dedicato a quegli artisti che sono nati e vivono
ancora a Teheran, e che si rifiutano di lasciare il paese, nonostante tutte
le censure e le accuse a cui vengono sottoposti dal loro stesso governo,
analizzando cinque diversi artisti. Nel paragrafo successivo, viene trattata
la censura nel mondo del cinema, osservando la nascita di un vero e
proprio accanimento da parte delle autorità iraniane contro l’industria
cinematografica.
Nel terzo capitolo viene trattato l’approccio di Shirin Neshat al
mondo della fotografia, di come il suo ritorno in Iran, dopo tanti anni le
fece trovare l’ispirazione per il suo primo ciclo fotografico Women of Allah,
una serie che fornisce una riflessione sulla condizione delle donne nella
cultura islamica, costantemente rappresentate non come vittime ma come
“ribelli silenziose”, donne che comunque prendono posizione e
combattono.
Nel quarto capitolo viene analizzato il cambio di medium da parte
dell’artista, che, dopo aver sperimentato con la fotografia, va alla ricerca di
dinamicità abbandonando la macchinetta fotografica e passando alla
videocamera, riuscendo così con le sue video-installazioni ad espandere le
sue idee e a coinvolgere attivamente lo spettatore. Infatti la maggior parte
delle sue video-installazioni sono proiettate a due schermi opposti,
coinvolgendo così lo spettatore nel video. Realizzò così una trilogia che la
portò al successo nel mondo dell’arte visiva, associando ad ogni video-
installazione un tema, costruiti su una visione della contraddizione
uomo/donna.
Nel quinto capitolo viene esaminata un’altra fase della vita di Shirin
Neshat, l’adattamento cinematografico del romanzo di Shahrnush Parsipur
Donne senza Uomini, che le ha fatto vincere nel 2009 il Leone d’Argento
per la migliore regia alla 66° edizione della Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia. Lo scopo di Neshat era quello di rivolgersi ad
un pubblico più vasto, trattando un argomento che era stato quasi
dimenticato, il colpo di stato in Iran nel 1953, intrecciando così nella storia
la vita e il destino di quattro donne diverse e mantenendo il realismo
magico che caratterizza il libro. Verrà inoltre approfondito il contesto
storico e politico, e Shahrnush Parsipur, l’autrice del libro Donne senza
Uomini.
Nel sesto capitolo, infine, vengono prese in considerazione “voci” di
altre artiste che trattano argomenti simili e che riflettono sul tema della
donna in generale. Per prima cosa verrà descritta la fotografa Shadi
Ghadirian, anche lei iraniana, e le principali caratteristiche di due delle sue
particolari serie di fotografie, Qajar e Like Everyday. In seguito, verrà
illustrata una fotografa sudamericana, Jodi Bieber famosa per la sua
fotografia apparsa sulla copertina del Time, Bibi Aisha, una ragazza di 18
anni che, come punizione, è stata sfigurata dal marito per essere scappata
di casa.
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I. Una vita tra Occidente e Medio Oriente
I.1 La vita di Shirin Neshat
Shirin Neshat è nata nel 1957 a Qazvin, una delle città più
religiose dell’Iran. E’ nata da una famiglia di alta borghesia, da un padre
medico e da una madre casalinga.
All’età di 17 anni, nel 1974, quindi poco prima della rivoluzione
islamica, lasciò l’Iran per studiare arte all’Università di Berkeley in
California. Con la rivoluzione islamica del 1979, Neshat non poté ritornare
nella sua patria fino al 1990.
Dopo essersi laureata si trasferì a New York, dove sposò il coreano
Kyong Park, direttore e fondatore dello Storefront for Art and Architecture.
Neshat aiutò il marito a dirigere lo Storefront, dove acquisì molta
esperienza e molti concetti che sarebbero poi diventati parte integrante
della sua opera d’arte.
Con la morte dell’Ayatollah Khomeini nel 1989, Neshat poté
finalmente tornare nella sua terra nel 1990. Ma quello che si trovò davanti
per Neshat fu scioccante: rimase fortemente colpita dai cambiamenti che il
regime teocratico impone alla popolazione e in particolar modo alle donne.
La differenza tra quello che ricordava e quello a cui stava assistendo era
enorme. Ed è da questo momento che la sua carriera di artista ebbe inizio.
Il suo primo lavoro riprende appunto da questa sua esperienza,
che diventa una profonda riflessione dove per la prima volta riesce a
vedere con occhi esterni e diversi quante differenze separano la cultura
occidentale da quella islamica, con particolare attenzione al ruolo della
donna, rivolgendosi al significato sociale, politico e psicologico dell’essere
donna nelle società islamiche contemporanee. Da questo nasce il suo
primo corpo maturo di lavori, la serie Woman of Allah. Tra il 1993 e il
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1997 produsse questa innovativa serie di fotografie in bianco e nero dove
l’artista ritrae dei soggetti con dei particolari di alcune parti del corpo
(mani, piedi, viso) coperte da eleganti scritture persiane che riportano
poesie di autrici iraniane, giustapposti poi da armi da fuoco. In queste
fotografie si riflette il senso di Neshat di come la rivoluzione abbia
cambiato l’Iran che conosceva, specialmente la vita delle donne, sempre in
cerca di ribellione e di libertà.
Nei lavori successivi volge la sua attenzione al cinema e alle video-
installazioni, evadendo dalla staticità delle fotografie e coinvolgendo così lo
spettatore anche fisicamente.
Nel 1996 iniziò a produrre una trilogia di video-installazioni:
Turbulent, nel 1998, Rapture, nel 1999, Fervor, nel 2000, che riguardano i
ruoli dell’uomo e della donna nella società islamica restrittiva. Lo
spettatore viene catapultato e proiettato nell’opera, come se si trovasse in
una realtà parallela. In Turbulent usa la metafora del cantare come segno
di libertà, ispirato dal divieto delle donne di cantare in pubblico. Rapture
mostra una storia di alcune donne che si spostano per il deserto e di come
alcune di loro infine riesce a liberarsi e ad andarsene su una piccola barca.
Fervor, affronta il tema dello sguardo velato, esprime il desiderio
appassionato di una coppia che non può entrare in contatto se non con i
loro occhi, chiudendo la trilogia con un’enfasi sugli elementi comuni
condivisi tra i sessi.
La fama internazionale di Neshat si affermò nel 1999, in seguito
alla vincita del Premio Internazionale alla 48a Biennale Internazionale
d'Arte di Venezia, con Turbulent e Rapture.
Nel 1999 creò la sua prima video-installazione a colori, riguardante
la sua situazione personale, Soliloquy. L’artista usò due proiezioni,
ponendo un’immagine di sé stessa nel Medio Oriente su uno schermo, e
l’immagine di sé stessa in Occidente su un altro schermo, mostrando
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visivamente la scissione tra le due diverse culture che sono entrambe
parte della sua vita.
Nel 2001 creò un’opera commissionata dal compositore americano
Philip Glass, Passage. Ispirato al conflitto israelo-palestinese, in particolare
alle immagine televisive dei corpi tenuti in alto durante le processioni
funebri. Attinge a molti simboli e rivela una ricerca concettuale del
passaggio dalla vita alla morte.
Tra il 2001 e il 2002 collaborò con la cantante iraniana Sussan
Deyhim, protagonista femminile del video Turbulent, e creò Logic of the
birds, una lunga produzione multimediale sulle profonde differenze che
separano la cultura occidentale, a cui è ormai assimilata, e quella islamico-
orientale, da cui proviene.
Col passare del tempo il regime islamico divenne ancora più
oppressivo e invadente, conducendo Neshat ad esprimersi attraverso le
sue opere d’arte sempre molto più politicamente e sovversivamente
contro, continuamente combattuta dalla sua terra d’origine e dalla cultura
in cui attualmente vive.
Nel 2006 vinse il “The Dorothy and Lillian Gish Prize”
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, uno dei
premi artistici più ambiti, che dal 1994 viene dato annualmente a “un
uomo o una donna che ha dato un eccellente contributo alla bellezza del
mondo, alla gioia dell’umanità e alla comprensione della vita”.
Nel 2009 Neshat vinse il Leone d’argento come miglior regista alla
66° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con il suo debutto nel
mondo del cinema con Women Without Men, il suo primo lungometraggio
basato sull’omonimo romanzo di Shahrnush Parsipur. Donne senza uomini,
titolo italiano del film, ci illustra come quattro donne cercano di
sopravvivere all’oppressione della cultura islamica nell’Iran degli anni ’50,
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Come riportato dal sito ufficiale, http://gishprize.com/neshat/neshat_bio.html
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durante il conflitto iraniano per emanciparsi dalle potenze europee e
ottenere la nazionalizzazione della Anglo-Iranian Oil Company. I loro
destini sembrano essere determinati dagli uomini della loro vita, padri,
mariti e fratelli, private di ogni diritto e letteralmente invisibili nel mondo.
Nello stesso anno con Games of Desire, Neshat ci porta fuori dal
mondo islamico, precisamente nel Laos. Infatti l’artista, mentre visitava il
paese asiatico, trovò delle somiglianze con la cultura iraniana, soprattutto
perché il comunismo e il khomeinismo hanno cercato di eliminare le
culture tradizionali. Il video che ne è stato creato è centrato su una sua
esperienza nel paese, in particolare mentre assisteva ad un piccolo gruppo
di persone anziane di un villaggio che partecipavano ad una festa
religiosa, intonando canti di corteggiamento con testi con riferimenti
sessuali: con una specie di duello, maschi e femmine, tra i 60 e gli 80
anni, si lanciano delle provocazioni inizialmente leggere poi sempre più
disinvolte e piccanti. Oltre al video, l’artista produsse una serie di 14 foto
con i protagonisti della festa.
Nel luglio del 2009 Neshat prese parte allo sciopero della fame
dalla durata di 3 giorni al quartier generale delle Nazioni Unite a New
York, in segno di protesta delle elezioni presidenziali iraniane del 2009.
Nel 2010 Shirin Neshat fu nominata Artista del Decennio dal critico
G. Roger Denson del blog statunitense ‘The Huffington Post’
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, per "la
misura in cui gli eventi del mondo hanno incontrato l'artista nel fare la sua
arte cronicamente rilevante per una cultura sempre più globale", per
riflettere "sulla guerra ideologica in atto tra Islam e il mondo laico sulle
questioni di genere, religione e democrazia , "e perché l'impatto del suo
lavoro trascende di gran lunga i regni d'arte che riflettono la lotta più
importante e profonda per far valere i diritti umani”.
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Come riportato su http://www.huffingtonpost.com/g-roger-denson/sherin-neshat-artist-of-
t_b_802050.html#s216201&title=Attributed_to_alWasiti