4
Gli studiosi che si sono concentrati sulla ricerca delle fonti, si sono spesso trovati
di fronte a grosse difficoltà: da una parte, la quasi assenza di trascrizioni di musica
strumentale per teatro; dall’altra, l’abbondanza di canzoni risalenti al periodo
elisabettiano, molte delle quali con testi simili, e spesso intercambiabili, così come
le melodie che li musicavano
1
.
La maggior parte degli studiosi ha invece preferito limitarsi a prendere in esame
esclusivamente il testo shakespeareano, partendo dalle parole di una canzone o
dalle indicazioni di scena, per individuare le possibili funzioni drammatiche
assolte da un determinato episodio musicale.
Il secondo capitolo segue quest’ultima direzione, nel tentativo di determinare
l’importanza drammatica degli eventi musicali di una commedia shakespeareana,
relegando alle due appendici il compito di illustrare la musica sicuramente o
presumibilmente impiegata per le prime rappresentazioni, nonché le possibili
collaborazioni tra Shakespeare e musicisti contemporanei.
Nella vasta produzione drammatica di Shakespeare, Twelfth Night rappresenta una
delle opere più interessanti dal punto di vista musicale. Gli episodi vocali e
strumentali non sono superiori per numero ed estensione rispetto alle due
commedie scritte poco tempo prima, Much Ado About Nothing e soprattutto As
You Like It, ma è chiaro che se ne fa un uso più complesso e significativo.
In Twelfth Night, la musica è protagonista in due momenti cruciali quali l’inizio e
la fine, un prologo ed un epilogo musicali che delimitano una rappresentazione
densa di canzoni e brani strumentali. Ma la musicalità di Twelfth Night non si
limita a questo: alcuni studiosi hanno preso in considerazione vari aspetti della
commedia che possono essere descritti in termini musicali. Barbara Everett,
intravede delle assonanze tra i nomi dei personaggi. In particolare nota come
Viola, Olivia e Malvolio siano quasi degli anagrammi, mentre il suono aspro dei
termini Belch e Aguecheek, rispettivamente i cognomi in lingua originale di Sir
Tobia e Sir Andrea, sembra indicare che questi due personaggi siano, per così
dire, due note stonate, che turbano l’armonia della commedia
2
.
1
Sul problema dei testi e delle melodie che li musicavano vedi § 1.2.3 (La canzone).
2
B. Everett, ‘Or What You Will’, Essays in Criticism 35 (1985): 294-314.
5
Alcuni momenti di Twelfth Night, privi di interventi musicali veri e propri,
possono essere considerati a loro volta musicali. Nella scena della lettera
contraffatta (II.5), le fantasticherie del maggiordomo, che sogna di diventare
‘Count Malvolio’, rimandano alla ritualità dei gesti e dei movimenti del masque:
MALVOLIO Calling my officers about me, in my branched
velvet gown, having come from a day-bed where I have
left Olivia sleeping–
[. . .]
Seven of my people with an obedient start
make out for him. I frown the while, and perchance
wind up my watch, or play with my–some rich jewel.
(II.5.44-57)
Nel frattempo si crea un gioco contrappuntistico in cui il viscido violoncello di
Malvolio si alterna al comico fagotto di Tobia, Andrea e Fabiano, che ascoltano di
nascosto il monologo del maggiordomo
3
.
Nonostante queste considerazioni, una figura importante della letteratura del XX
secolo come Auden ha affermato che, se non ci fosse stato il bisogno di soddisfare
l’insaziabile richiesta di canzoni da parte del pubblico elisabettiano, l’azione di
alcune commedie, tra le quali Twelfth Night, avrebbe potuto fare a meno di un
attore cantante tra i personaggi – nel nostro caso, di Feste
4
. Questa osservazione,
relativa alle canzoni della commedia, ma che può essere estesa anche agli episodi
strumentali, ci pone di fronte ad un problema: quanta importanza riveste la musica
in Twelfth Night? Si sarebbe potuto fare a meno di essa, oppure costituisce una
parte rilevante e necessaria del tessuto drammatico?
3
P. Thomson, Shakespeare’s Theatre, London, Routlegde, 1994 (1
a
ed. 1983), p.96.
4
W.H. Auden, ‘Music in Shakespeare’ in The Dyer’s Hand and Other Essays, London, Faber &
Faber, 1957, pp.512-16.
6
Ogni singolo episodio musicale della commedia è stato preso in esame per
scoprirne il tipo di legame con la scena in cui è stato inserito, e, più in generale
con tutta la rappresentazione, postulando che la musica abbia un ruolo importante,
che vada oltre il semplice intrattenimento. Durante la ricerca, è emerso un aspetto
interessante: ogni episodio considerato può assolvere molteplici funzioni
drammatiche, e non solamente una. Di solito le opere dedicate al ruolo della
musica in Shakespeare prendono in considerazione tutta la vasta produzione
teatrale del drammaturgo, limitando l’analisi dei singoli episodi a poche righe
5
. In
questo modo, alle volte non vengono contemplate tutte le potenzialità
drammatiche che un brano vocale o strumentale può nascondere.
A differenza di quanto Auden aveva affermato, la musica è certamente cruciale in
Twelfth Night, sebbene non raggiunga il livello di integrazione del caso particolare
di The Tempest, in cui le melodie di Ariel, oltre a permeare quasi ogni scena, sono
anche un potente strumento retorico e condizionante, che piega il volere dei
personaggi, imponendo la propria armonia. In Twelfth Night, la musica è
comunque un aspetto inscindibile dall’intreccio: serve a caratterizzare i
personaggi che cantano e quelli che ascoltano; descrive momenti di baldoria e di
vita di corte; contribuisce a creare la particolare atmosfera malinconica che
distingue questa commedia dalle precedenti; accompagna l’entrata o l’uscita di
scena di personaggi; in un caso probabilmente sottolinea un momento
particolarmente emotivo e sentimentale.
Oltre alla funzione drammatica, si è tentato di determinare il tipo di
strumentazione impiegata per i vari episodi, e la funzione delle non molte, ma
interessanti allusioni e metafore musicali, la cui interpretazione ha contribuito a
chiarire aspetti della personalità dei personaggi ed i rapporti fra di loro.
5
Ad esempio ‘Ballads, Songs, and Masques in the Plays of Shakespeare’, un lungo e ben fatto
capitolo di Winifred Maynard in Elizabethan Lyric Poetry and Its Music (Oxford, Clarendon
Press, 1986), ma anche il testo molto citato, Shakespeare’s Use of Song di Richmond Noble
(Oxford, Oxford University Press, 1966) e il lavoro di John H. Long, Shakespeare’s Use of Music
(Gainesville, University of Florida Press, 1955).
7
Dal momento che il contesto drammatico varia di volta in volta, non è stato
possibile formulare troppe generalizzazioni sulla natura della musica nella
commedia. La già nota distinzione ed alternanza tra la musica della corte di
Orsino e le canzonette dei protagonisti dell’intreccio secondario è forse il dato
generale più rilevante, ma per il resto, ogni singolo evento musicale ha una vita
propria ed un ruolo particolare all’interno del momento drammatico di cui fa
parte. Le considerazioni di carattere generale sono comunque state prese in esame,
ma trovano spazio all’interno dei paragrafi relativi agli episodi particolari.
8
Capitolo 1 - Shakespeare e la musica
1.1 - La musica e il teatro elisabettiano
Prima di considerare i vari aspetti della musica in Shakespeare, è utile accennare
al ruolo della musica nel teatro elisabettiano e, più in generale, nel Rinascimento
inglese. L’abbondanza di canzoni, brani strumentali, oltre che di allusioni e
metafore musicali, osservabile nella vasta opera shakespeareana appare meno
sorprendente se si prende in esame la cultura inglese ed europea contemporanea:
‘The age of Shakespeare was one in which music, both in England and in other
countries, reached an extraordinarily high artistic level. Not merely is it an age of
great composers all over Europe, but an age in which music was widely cultivated
and appreciated’
6
. La tradizione musicale inglese è decisamente ricca in questo
periodo, e in particolare, secondo lo studioso Richmond Noble, la musica secolare
polifonica inglese è insuperata
7
.
Non è possibile tracciare in maniera completa l’evoluzione di questa tradizione. I
documenti manoscritti o a stampa precedenti al XVI secolo si riferiscono
principalmente a musica ecclesiastica. La musica secolare, diffusa principalmente
tra le classi più basse e analfabete, veniva di solito appresa e tramandata a
memoria. Inoltre si trattava di una musica di consumo, e non trascorreva molto
tempo prima che una canzone o una danza stancassero il pubblico, che ne
richiedeva delle altre. In base a queste considerazioni, la carenza di documenti di
musica secolare è facilmente spiegabile
8
.
Durante il XVI secolo, l’espansione culturale del Rinascimento coinvolse anche le
classi meno elevate, mentre nelle corti aumentarono le cerimonie secolari, e
6
E.J. Dent, ‘Shakespeare and Music’ in A Companion to Shakespeare Studies, a cura di H.
Granville-Barker and G.B. Harrison, Cambridge, Cambridge University Press, 1962 (1
a
ed. 1934),
pp.137-61. (p.137)
7
R. Noble, Shakespeare’s Use of Song, Oxford, Oxford University Press, 1966 (1
a
ed. 1923),
p.11.
8
Dent, ‘Shakespeare and Music’, p.137.
9
musica di ogni tipo cominciò ad essere stampata in gran quantità. In Inghilterra, la
stampa di musica secolare cominciò nel 1530 grazie a Wynkyn de Worde
9
.
1.1.1 - La canzone
Gli inglesi del Rinascimento avevano una particolare inclinazione per il canto, e la
prima pubblicazione musicale profana di Wynkyn de Worde fu proprio un libro di
canzoni. Il termine song veniva usato al tempo per la musica polifonica, che
prevedeva un’esecuzione da parte di più voci, ma è noto che nella pratica, tali
canzoni venivano spesso eseguite da una voce sola accompagnata da strumenti
10
.
La varietà degli stili di musica vocale fiorenti nell’Inghilterra di Shakespeare è
impressionante, tanto che l’epoca elisabettiana è indicata spesso come ‘the golden
age of English song’
11
.
Nel 1986, Winifred Maynard affronta analiticamente il vasto repertorio della
canzone elisabettiana di cui un drammaturgo poteva avvalersi. Ballate, dance-
songs, part songs
12
, consort songs, madrigali, ayres e masque songs sono solo
alcuni tra i generi di canzoni fiorenti all’epoca di Shakespeare
13
.
Negli anni cinquanta John H. Long cercò di individuare i principali tipi di canzone
utilizzati nel teatro inglese del XVI e XVII secolo. Il seguente elenco non è
completo, ma si riferisce genericamente alle forme vocali più sfruttate dai
drammaturghi del tempo
14
:
Le folk songs erano dei componimenti musicali anonimi e tipicamente popolari
che servivano per più di un testo lirico. Le melodie erano semplici, a volte banali,
e i ritmi marcati, adatti alla danza. La musica di accompagnamento era prodotta
9
idem
10
ibidem, p. 138.
11
J.H.Long, Shakespeare’s Use of Music: A Study of the Music and Its Performance in the
Original Production of Seven Comedies, Gainesville, University of Florida Press, 1955, p.1.
12
Canzoni a più voci.
13
W. Maynard, Elizabethan Lyric Poetry and Its Music, Oxford, Clarendon Press, 1986, p.151.
14
Long, Shakespeare’s Use of Music, pp.1-2.
10
dal pipe and tabor
15
, dalla cetera, oppure dal violino. La stessa canzone poteva
essere interpretata come ballata, three-man song, o catch
16
.
Nelle street songs, a differenza delle folk songs, l’autore del testo era noto ed il
suo compito era quello di adattare le parole a folk tunes, in genere melodie per
voce sola. Il tema di tali canzoni variava sensibilmente: si poteva narrare di
esecuzioni capitali, confessioni di criminali o vicende amorose. Una peculiarità
delle street songs stava nel fatto che venivano di solito cantate per strada, e spesso
pubblicizzavano le merci dei venditori ambulanti.
La ayre, detta anche art song, era una sorta di canzone d’autore. Il compositore
era colto e scriveva sia la melodia per la voce che l’accompagnamento
strumentale. La musica poteva essere semplice come quella folk o più elaborata e
contrappuntistica. Il ritmo, sincopato o con frequenti cambi di tempo, era in
genere più complesso rispetto alle folk songs, dal momento che le ayres non
venivano concepite per essere danzate. Il numero delle voci poteva variare da uno
a cinque. Robert Johnson scrisse ayres per teatro come forse anche Thomas
Morley, Thomas Ravenscroft e altri compositori del tempo.
Le prime due categorie fanno parte della forma popolare della ballata. Possono
essere genericamente denominate popular songs, in contrasto con il carattere
artistico e sofisticato delle ayres. Oltre a queste categorie, Long considera anche il
madrigale e la canzonetta, ma queste composizioni apparivano raramente in un
contesto drammatico. Tuttavia è doveroso ricordare che il madrigale, secondo
molti esperti fu il genere vocale più fiorente nel XVI secolo. Nacque in Italia
durante la prima metà del Cinquecento, grazie ad una felice fusione tra la poesia
italiana e la musica fiamminga, la quale era molto apprezzata nelle corti italiane.
15
Il pipe era un piccolo flauto che si suonava con una mano sola mentre l’altra, munita di una
bacchetta, percuoteva il tabor, una sorta di tamburello, che stava appeso al braccio che suonava il
flauto. Malgrado il pipe fosse munito di tre fori solamente, era in grado di suonare molte note. I
due strumenti erano considerati una sorta di orchestra del povero, con i quali si potevano eseguire
danze e accompagnare canzoni. Vedi Long, Shakespeare’s Use of Music, p.22-3.
16
Per la definizione di catch vedi § 2.2.2, n.46.
11
L’influenza del madrigale italiano in terra inglese si fece sentire solamente dopo
la pubblicazione, nel 1588, di una raccolta di madrigali italiani con testi in inglese,
Musica Transalpina. Questa opera dette inizio alla grande scuola dei madrigalisti
inglesi. I madrigali venivano di solito eseguiti nelle case delle grandi famiglie, sia
a Londra che in provincia, ma non ebbero un grande successo a teatro, se non nel
masque
17
.
1.1.2 - La musica strumentale e la danza
Nel XVI secolo inglese la musica strumentale non era popolare e diversificata
come quella vocale. Sono pochi gli esempi sopravvissuti fino ai nostri giorni, di
composizioni scritte per essere suonate, e non cantate
18
. Long annovera solamente
tre forme strumentali: In Nomine, Fancy (o Fantasy) ed un’altra chiamata
Browning
19
. In generale si può affermare che la musica suonata non si era ancora
emancipata dalle forme vocali e dalla danza. Si scriveva musica per liuto,
virginale e organo, ma difficilmente per altri strumenti, e anche in questi casi si
trattava spesso di adattamenti strumentali di brani vocali
20
.
Se la danza fu a lungo combattuta dalla Chiesa, era comunque una forma di
intrattenimento profondamente radicata nella tradizione inglese, specialmente in
quella rurale, dove l’avvicendarsi delle stagioni era scandito da festival e
celebrazioni. La danza divenne sempre più importante anche a corte, dove veniva
elaborata e resa più complessa, fino a trionfare nella pantomima simbolica del
masque. In quanto aspetto essenziale e richiesto della vita di corte, la danza veniva
praticata persino dalla regina Elisabetta, anche se non prese mai parte a
rappresentazioni ufficiali.
17
Dent, ‘Shakespeare and Music’, p.139.
18
Long, Shakespeare’s Use of Music, p.16.
19
ibidem, p.43, n.2.
20
ibidem, p.26.
12
La varietà delle danze riscontrabili nel periodo elisabettiano manifesta l’enorme
popolarità di un’arte apprezzata e praticata da tutte le classi. Se la pavana era
caratterizzata da un movimento solenne che annunciava l’entrata trionfale di dei e
imperatori nella finzione del masque, il rapido ritmo della gagliarda dava ai
gentiluomini più giovani, ma anche agli umili, la possibilità di esibire agilità e
grazia
21
.
1.1.3 - La pratica musicale e l’educazione del gentiluomo elisabettiano
All’epoca di Shakespeare la musica faceva parte della vita quotidiana di re, nobili,
cortigiani, ma anche di contadini, artigiani, fabbri e in linea di massima tutti la
praticavano con entusiasmo, anche se spesso senza le dovute conoscenze teoriche.
Accanto ai musicisti di corte e ad altri gruppi ufficiali, si devono ricordare anche
esecutori più modesti che venivano chiamati ad intrattenere gli invitati ai
matrimoni, oppure suonavano musica strumentale e cantavano ballate o catches in
taverne e bordelli. In questo caso però, non essendo al servizio di nobili, erano
considerati alla stessa stregua di vagabondi e furfanti. Nel XVI e XVII secolo non
era inconsueto udire il suono di una cetera provenire dal negozio di un barbiere,
dove i clienti che attendevano il loro turno, potevano esercitarsi con questo
strumento.
Edward W. Naylor descrive il costume musicale dell’epoca attraverso l’analisi di
alcuni passi tratti da A Plain and Easy Introduction to Practical Music (1597) del
famoso compositore e musicista Thomas Morley. Possedere delle nozioni
musicali era segno di distinzione e di buona educazione. Nel XVI secolo la
musica era considerata un aspetto essenziale anche nell’educazione di un
sacerdote. Il canto estemporaneo di un descant (la seconda voce di una melodia),
in armonia con un plainsong (canto ecclesiastico) scritto, veniva considerato
un’adeguata forma di ricreazione dopo lo studio
22
.
21
A. Brissenden, Shakespeare and the Dance, London, Macmillan, 1981, pp.2-5.
22
E.W. Naylor, Shakespeare and Music: With Illustrations from the Music of the 16
th
and 17
th
Centuries, London, J.M.Dent, 1896, pp.8-17.
13
Ma anche la musica strumentale veniva praticata con entusiasmo. Enrico VIII,
non essendo primogenito, ricevette un’educazione ecclesiastica e divenne un buon
compositore. George Herbert (1593-1633), poeta e sacerdote nato a corte,
considerava la musica (e non solo quella ecclesiastica) la sua ricreazione preferita.
Anna Bolena fu un’appassionata musicista, mentre il diario di re Edoardo VI ci
informa che era un liutista, e lo stesso si potrebbe dire per altri nobili e regnanti
dell’epoca. E’ noto che la regina Elisabetta, oltre a praticare la danza, fosse una
buona suonatrice di virginale.
Il manoscritto più famoso che riguarda la musica per virginale è infatti
un’antologia conosciuta col nome di Queen Elizabeth’s Virginal Book
23
. La
popolarità del virginale, testimoniata dalla pratica musicale della regina Elisabetta,
portò ad una produzione straordinaria di composizioni per questo strumento.
Curiosamente Shakespeare non vi fa mai riferimento, ma le innumerevoli partiture
per virginale rimangono comunque una delle fonti principali per il recupero di
tunes utilizzati dal drammaturgo
24
.
Se in epoca medievale la pratica musicale era considerata disonorevole, Il
cortegiano di Castiglione, tradotto in inglese nel 1561, la raccomandava come
indispensabile per il gentiluomo. Morley sostiene che l’incapacità da parte di un
ospite di eseguire a vista una parte vocale di una canzone era considerata una
grave mancanza per un gentleman. Del resto, nelle residenze delle famiglie nobili
era quasi obbligatoria la presenza di compositori, i quali si guadagnavano da
vivere istruendo i giovani (Morley stesso fu un maestro privato)
25
. Tra gli
strumenti, i manuali di comportamento consigliavano quelli a corda come la viola
da gamba o il liuto, mentre quelli a fiato non essendo considerati aristocratici, non
godevano di grande popolarità tra le classi più elevate
26
.
23
Dent, ‘Shakespeare and Music’, p.140.
24
ibidem, pp.157-8: ‘…Shakespeare’s songs to what is called folk-music…a large number of
simple tunes…their authorship is for the most part unknown…They are frequently to be found in
the works of the serious composers, used for instance as themes for elaborate sets of variations for
the virginals.’
25
ibidem, pp.138-9.
26
F.W. Sternfeld, ‘The Dramatic and Allegorical Function of Music in Shakespeare’s
Tragedies’, Annales Musicologiques 3 (1955): 265-82. (p.268)
14
Brissenden afferma che gli Inns of Court non erano solo le scuole di legge del
tempo, ma anche un luogo dove acquisire tutte le virtù del gentiluomo: la danza
era un momento ricreativo e un esercizio che raffinava la grazia del praticante.
Nel 1531 Sir Thomas Elyot pubblicava The Book Named the Governor , l’opera
che più di ogni altra del XVI secolo, comprendeva una descrizione dettagliata e
completa delle danze dell’epoca. La danza é per Elyot una buona ricreazione che
ritempra lo spirito e solleva il praticante dallo sforzo mentale delle altre attività.
Era quindi considerata uno studio necessario ma anche un nobile passatempo e
sembra che verso la fine del XVI secolo esistessero delle vere e proprie scuole
27
.
1.1.4 - La musica nel teatro elisabettiano
La musica era parte della vita sociale rinascimentale, forse più di quanto non lo
sia oggi. Nella rappresentazione di eventi contemporanei, il drammaturgo
elisabettiano non poteva trascurare un aspetto così fondamentale. Dalla serenata
alla musica da banchetto, dalla marcia militare alla ballata popolare, le opere
teatrali elisabettiane riproducono le realtà musicali della loro epoca. Ma lo
spettatore medio del teatro elisabettiano esigeva la presenza di musica strumentale
o cantata a prescindere dalla pertinenza di tali interventi con l’azione drammatica.
Imitazione di un aspetto della società e condiscendenza verso le richieste della
grande maggioranza del pubblico giustificano quindi il massiccio impiego della
musica nel teatro all’epoca di Shakespeare. Oltre a queste considerazioni, è utile
ricordare un’osservazione generale di Frederick William Sternfeld: da sempre,
secondo lo studioso, la presenza della musica e di effetti spettacolari nel teatro ha
cercato di prevenire una sensazione di stanchezza nel pubblico, originata dai
dialoghi drammatici, spesso in verso. Sternfeld aggiunge inoltre che i
drammaturghi di tutti i tempi se ne sono serviti al fine di aggiungere un’altra
27
Brissenden, Shakespeare and the Dance, pp.6-10.
15
dimensione al dramma, per esprimere delle idee che non avrebbero potuto essere
inserite verbalmente
28
.
Le produzioni dell’epoca annoverano un numero di canzoni e interventi musicali
che non hanno niente a che vedere con l’azione. Probabilmente questo impiego
era più frequente nelle rappresentazioni accademiche e di corte. Le compagnie che
lavoravano nei teatri pubblici non potevano permettersi di inserire canzoni
totalmente estranee al dramma
29
. Ma le funzioni della musica nel teatro
elisabettiano e giacobino andavano spesso oltre il semplice intrattenimento. Long
individua alcune possibilità drammatiche e scenografiche che le canzoni e i brani
strumentali potevano ricoprire all’epoca di Shakespeare. Ci si serviva della
musica per caratterizzare un personaggio o anticipare proletticamente gli sviluppi
dell’azione. Inoltre, l’assenza nel palcoscenico elisabettiano di un apparato
scenico, di illuminazione e di altri supporti visivi, costringevano il drammaturgo
ad un uso tecnico del supporto musicale. Attraverso la musica si poteva così
indicare lo scarto di tempo fra una scena e l’altra, suggerire che un’azione si
svolgeva fuori scena, accompagnare l’entrata e l’uscita dei personaggi, descrivere
un ambiente
30
.
Interventi strumentali venivano normalmente impiegati anche per intensificare
l’impatto emotivo del linguaggio. In questo caso il gruppo strumentale utilizzato
doveva essere posto ad una certa distanza dagli attori, oppure doveva essere in
grado di eseguire una musica sommessa, in modo da non oscurarne la voce
31
.
Scene di baldoria potevano essere accompagnate da allegre melodie, mentre tristi
canzoni di prigionia erano inserite in scene di carcere.
Nella maggior parte delle tradizionali forme drammatiche ci si avvaleva del
supporto musicale. I misteri medievali, che sopravvivevano malgrado la censura
puritana, erano caratterizzati dall’associazione della musica col divino. Questa
28
F.W. Sternfeld, ‘Shakespeare and Music’ in New Companion to Shakespeare Studies, a cura di
K. Muir, S. Schoenbaum, Cambridge, Cambridge University Press, 1971, pp.157-67. (p.157)
29
Long, Shakespeare’s Use of Music, p.11.
30
ibidem, p.8.
31
ibidem, p.40.
16
associazione, che risaliva a Platone, ed era giunta fino al XVI secolo attraverso
varie elaborazioni compiute soprattutto in epoca medievale, è una parte
importante dell’inventario filosofico elisabettiano
32
. Nei mystery cycles il paradiso
veniva rappresentato con Dio posto su di un’impalcatura e attorniato da angeli,
che attraverso strumenti musicali, producevano un’armonia celeste. Questa
colonna sonora era il simbolo di un ordine divino, della sinfonia cosmica del
paradiso. Ma accanto ad un uso simbolico della musica ne coesisteva anche uno
naturalistico
33
. In generale, nei misteri si faceva uso di inni latini e di antifone,
sebbene sia documentata anche la presenza di carols (canti, ballate o inni natalizi)
e di canzoni folk inglesi, e nei testi non mancano indicazioni per musica
strumentale
34
.
La commedia plautina poteva contare sulla presenza di un gran numero di episodi
musicali. Nelle edizioni di Plauto del XVI secolo le canzoni, o cantica, venivano
segnalate tipograficamente. Nelle opere elisabettiane ispirate all’autore latino, si
nota la cospicua presenza di ballate popolari e di canzoni celebri, oltre che di
danze. E’ il caso della celebre commedia Ralph Roister Doister (ca. 1552) di
Nicholas Udall
35
.
La tragedie di Seneca sono prive di canzoni o di musica strumentale, e lo stesso si
può dire per i primi drammi inglesi che si rifacevano all’esempio di questo autore.
Gorboduc, tragedia in versi sciolti di Thomas Sackville e Thomas Norton
rappresentata nel 1562 al cospetto della regina Elisabetta, contiene un coro di
quattro antichi saggi britannici che pronunciano versi morali alla fine di ogni atto,
ma non ci sono didascalie o altri indizi che dimostrino che fossero cantati. E’ pero
con questa tragedia che ha forse origine la tradizione del dumbshow, una
pantomima accompagnata da musica strumentale. Le dettagliate didascalie di
Gorboduc indicano anche gli strumenti utilizzati per la musica del dumbshow che
32
Vedi § 1.2.5
33
J. Stevens, ‘Shakespeare and the Music of the Elizabethan Stage: An Introductory Essay’ in
Shakespeare in Music, a cura di P. Hartnoll, London, Macmillan, pp.3-48. (p.5)
34
Dent, ‘Shakespeare and Music’, pp.145-6.
35
A. Sanders, The Short Oxford History of English Literature, Oxford, Oxford University Press,
2000, p.105.
17
inaugurava ogni atto della tragedia, e fanno pensare ad una musica elaborata
36
.
Anche John Marston include molti interludi tra gli atti dei suoi drammi,
testimoniati dalle abbondanti didascalie
37
, lo stesso si può affermare per le opere
di Thomas Heywood e William Cornish
38
. Sternfeld osserva che la musica inserita
tra un atto e l’altro di un’opera drammatica permetteva agli attori di riposarsi
mentre i musicisti intrattenevano il pubblico
39
.
Ma l’impiego di musica tra gli atti non era una prerogativa inglese: la
commedia italiana rappresentata a corte, soprattutto nella seconda metà del XVI
secolo, includeva spesso il cosiddetto intermedio musicale, una forma di
intrattenimento teatrale, basata sulla musica, il canto ed il ballo. Danze e cori
dominavano anche il finale delle rappresentazioni italiane. Questa consuetudine
venne poi riproposta in Inghilterra con le cosiddette jigs, che concludevano le
commedie nei teatri pubblici
40
. Nelle jigs, gli attori adattavano un dialogo –
probabilmente dal contenuto osceno – ad una melodia, e danzavano allegramente.
Fu popolare soprattutto tra il pubblico meno esigente dei groundlings, da sempre
avidi di canzoni e di danze, mentre alcuni drammaturghi, tra cui Ben Jonson, ne
presero le distanze. L’unica copia stampata di stage jig sopravvissuta fino ai nostri
giorni porta il titolo di Frauncis new Jigge: between Frauncis a Gentleman and
Richard a Farmer (1595)
41
. Probabilmente le jigs erano estranee all’intreccio
delle commedie in cui erano inserite, così come lo erano i primi dumbshows, ma
verso la fine del secolo il teatro inglese si emancipò dal modello senechiano e da
altri modelli umanistici, e la musica entrò progressivamente a far parte del tessuto
drammatico. Il nuovo impiego del dumbshow è testimoniato da opere come The
Spanish Tragedy (1592) di Thomas Kyd, Hamlet (1599-1601) e Titus Andronicus
(1594), The Duchess of Malfi (1613) di John Webster.
36
Dent, ‘Shakespeare and Music’, p.146.
37
Stevens, ‘Shakespeare and the Music of the Elizabethan Stage’, p.11.
38
F.W. Sternfeld and C.R. Wilson, ‘Music in Shakespeare’s Work’ in William Shakespeare: His
World, His Work, His Influence, a cura di John F. Andrews, 3 voll., New York, Charles Scribner’s
Sons, 1985, vol.2, pp.417-24. (p.417)
39
Sternfeld, ‘Shakespeare and Music’, p.157.
40
Sternfeld, ‘Music in Shakespeare’s Work’, p.417.
41
Stevens, ‘Shakespeare and the Music of the Elizabethan Stage’, p.9.