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La parola “genere” è stata introdotta nel dibattito scientifico da
Gayle Rubin nel 1975, con l’opera The Traffic in Women
3
. Il termine ha
favorito la nascita di un’ottica più articolata, attraverso cui osservare
l’interazione fra i sessi, nella quale convivono insieme uguaglianza e
diversità, conflitto e complicità.
L’ambito sessuale, in senso lato, ha finito per invadere tutte le
manifestazioni umane, persino quelle che poco, o nulla, condividono con
esso, e ha legittimato, per motivi che saranno oggetto di questa tesi, una
forma di supremazia maschile. Quest’ultima agisce nell’ambito pubblico,
ad esempio il posto lavorativo, come nella sfera privata, familiare, e può
assumere, di volta in volta, forme plateali, oppure sottili e persino
subdole.
L’idea di un’identità maschile, contrapposta ad una femminile, influenza
ogni aspetto della vita sociale: tale convinzione funge da sostrato a tutte
le altre discriminazioni, relative a classe, reddito, etc.
Però, fatto di estrema importanza, la sudditanza femminile, a differenza
della disuguaglianza naturale, non ha, e probabilmente non avrà mai, una
dimostrazione scientifica. Eppure, nonostante tutte queste
considerazioni, sembra che la triste ed ineludibile condizione imposta
alle donne sia una realtà impossibile da cambiare. Probabilmente, la
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Piccone Stella Simonetta – Saraceno Chiara, 2006, Genere. La costruzione sociale del femminile e
del maschile, Bologna, il Mulino. Pag. 7.
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ragione di ciò si trova nella remota genesi di tale atteggiamento: volendo
rintracciare l’origine della disparità fra uomini e donne, bisogna spostare
lo sguardo molto indietro nel tempo, cioè nel momento in cui l’uomo
primitivo iniziò ad organizzare il proprio pensiero, combinando insieme i
pochi e semplici dati in suo possesso. I primi dati provenivano
dall’osservazione diretta del corpo, e dell’ambiente in cui esso è
immerso, e, sicuramente, poche cose, come l’incongruenza fisica tra i
due sessi, si dimostrarono tanto evidenti. Così, la dicotomia
maschio/femmina, da inserire nella più generale identico/differente,
insieme ad altre coppie oppositive, come quelle giorno/notte,
secco/umido etc., costituirono la griglia interpretativa attraverso cui
l’individuo strutturò la percezione di sé e la conoscenza della realtà.
Da quel lontano passato, sino ai giorni nostri, l’uomo non ha fatto altro
che abbarbicarsi sulla torre formata dalle sue certezze, o presunte tali.
Tale propensione, cioè la continua ricerca di punti fermi, è una delle
principali caratteristiche umane, insieme ad una spiccata attitudine a
rivolgere la propria riflessione verso i grandi enigmi della vita, come
l’esistenza o meno di una realtà ultraterrena, trascurando l’analisi dei
fenomeni quotidiani, giudicati scontati, o addirittura giusti.
6
Burr
4
(2003: 13):
«Spesso gli aspetti apparentemente più ovvi della vita, quelli a cui
pensiamo di meno e che meno mettiamo in discussione,
rappresentano in realtà gli elementi cruciali della nostra esistenza di
esseri umani. Di rado siamo consapevoli dell’aria che respiriamo e
dell’atto della respirazione. Nondimeno, questi elementi sono
fondamentali per la nostra esistenza».
Sicuramente, le brillanti speculazioni filosofiche e le bellissime
immagini poetiche inerenti il Paradiso sono fra le vette più alte raggiunte
dall’intelletto umano, ma ciò non toglie che l’indagine delle tante
disuguaglianze presenti sulla Terra (etniche, sociali, ed ovviamente
sessuali) meriti altrettanta importanza.
A tal riguardo Burr
5
(2003: 13) ritiene che «il genere (l’identità sessuale)
è la quinta sul cui sfondo ciascuno rappresenta la sua vita e che la
permea al punto che, come la respirazione, scompare ai nostri occhi per
la sua familiarità».
4
Burr Vivien, op. cit.
5
Burr Vivien, op. cit.
7
Questa tesi non si propone di cancellare tutte le ingiustizie sessuali,
poiché condivido l’opinione di Héritier
6
(2002: 14):
«dubito che si possa mai arrivare a una eguaglianza idilliaca in tutti
i campi dal momento che le società non potrebbero essere costruite
se non su quell’insieme di armature strettamente saldate le une alle
altre che sono la proibizione dell’incesto, la ripartizione sessuale dei
compiti, una forma legale o riconosciuta di unione stabile e,
aggiungo, la valenza differenziale dei sessi».
E non vuole neppure sposare alcun tipo di causa, tanto meno quella
femminista. Penso che non dovrebbe scaturire alcun sentimento di
orgoglio dal fatto di nascere donna, piuttosto che uomo, dal momento
che l’unica dimensione veramente rivendicabile è quella individuale.
La mia ricerca intende fornire un contributo originale allo studio del
rapporto fra sesso e genere, al fine di avvalorare la posizione di quanti
hanno fermamente creduto nell’infondatezza scientifica di quest’ultima
categoria. A questo proposito è doveroso sottolineare che tali ricerche,
inaugurate da Margaret Mead, ultimamente hanno compiuto enormi
passi in avanti nell’ambito dell’antropologia americana, francese ed
inglese, mentre, in Italia ci siamo trovati per lungo tempo in una
6
Héritier Françoise, 2002, Maschile e femminile. Il pensiero della differenza, Roma,
Economica Laterza.
8
posizione di ritardo rispetto alle altre scuole europee e ,solo oggi, grazie
ad alcuni studiosi
7
, stiamo tentando di recuperare il divario accumulato.
Per effettuare questo lavoro ho consultato vari testi, che spaziano dalla
Biologia alla Sociologia, passando per la Primatologia
8
, fermamente
convinta che la comprensione di un fenomeno tipicamente umano, cioè il
predominio maschile, necessiti lo spostamento della propria prospettiva
oltre la specie Homo. L’enorme ventaglio di organizzazioni sociali
offerta da questi nostri “parenti” dimostra come il modello di vita da noi
adottato sia solo una delle tante possibilità. Quindi, tutto ciò che da
sempre abbiamo dato per ovvio, senza porci molte domande, non è
assolutamente un fenomeno naturale, e mi auguro che la consapevolezza
di questa semplice ma importante verità possa servire a far ragionare
molte persone.
La struttura di questo lavoro si articola in quattro capitoli, seguiti dalla
bibliografia, contenente le informazioni inerenti i testi da cui ho tratto
interessanti spunti. Nel primo capitolo, di argomento propriamente
biologico, prendo in esame le reali differenze genetiche, anatomiche,
ormonali e cerebrali fra i due sessi. Il secondo è articolato in due parti:
7
Per citarne solo alcuni: Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno.
8
La Primatologia è lo studio dei primati e si collega a diverse discipline, quali la Biologia,
l’Antropologia, la Psicologia etc.. L’Antropologia Fisica, in particolare, potrebbe essere considerata
una branca della Primatologia, riguardante la specie Homo sapiens. Lo studio dei primati non umani,
almeno sino al 1960, si è presentato come un campo minato da troppi stereotipi. Solo negli ultimi
decenni, grazie a pionieri come Jane Lancaster, ci si è avvicinati all’argomento con animo finalmente
sgombro da luoghi comuni e pregiudizi.
9
la prima è un viaggio a ritroso nella storia evolutiva umana, per
rintracciare l’origine comune di tutti i primati e, nella seconda, attraverso
il continuo confronto con questi, dimostro come la nostra nozione di
genere sia esclusivamente una costruzione culturale. Nel terzo si parte
dalla nascita della società di genere, momento storicamente
rintracciabile, per arrivare all’analisi di molte istituzioni umane fondate
sulla presenza di due sessi diversi
9
. Infine, il quarto è dedicato alla
sistemazione e all’esposizione di tutte le riflessioni prodotte da questa
ricerca.
9
Come ad esempio le gerarchie di status, la parentela etc..
10
I
Riscoprire la propria natura
1. Premessa
Sino al 1700 non veniva riconosciuta al corpo femminile
un’esistenza autonoma, ma lo si considerava una versione inferiore di
quello maschile. Secondo questa concezione “ad un solo sesso”
gli organi esclusivamente femminili erano copie meno sviluppate
degli organi maschili. Ad esempio, la vagina era vista come
un pene imperfetto. Anche esperienze esclusivamente inerenti
la vita delle donne, come il ciclo mestruale, non erano interpretate
nel giusto modo: si credeva che questo sanguinamento coinvolgesse
solo le donne perché creature più calde degli uomini e, per tale ragione,
costrette ad eliminare più liquidi in eccesso.
Dopo il 1700 si diffuse una nuova visione, cioè quella “bisessuale”.
Piccone Stella e Saraceno
10
(2006: 47):
«Gli organi che avevano avuto lo stesso nome – le ovaie ed
i testicoli – erano ora linguisticamente distinti. Gli organi che
non erano contraddistinti da un loro nome specifico – la
10
Piccone Stella Simonetta – Saraceno Chiara, 2006, Genere. La costruzione sociale del femminile e
del maschile, Bologna, il Mulino.
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vagina ad esempio – ne ricevettero uno. Quelle strutture che fino
ad allora erano state considerate comuni sia all’uomo che alla
donna – lo scheletro ed il sistema nervoso – furono differenziate
perché potessero corrispondere alla cultura del maschio e
della femmina».
La visione bisessuale acquistò progressivamente sempre più credito
durante il periodo compreso fra il 1800 a la prima parte del 1900,
condizionando notevolmente la società e la cultura: l’evoluzione della
nozione di genere influì indirettamente sull’avvento
dell’industrializzazione, sul diffondersi dell’urbanizzazione, sulla
divisione fra lavoro domestico e sfera pubblica etc.
Ma, nonostante si fosse giunti a questa rinnovata consapevolezza,
molti studiosi, principalmente le femministe del XX secolo, si opposero
lungamente all’idea di introdurre il dato biologico nella riflessione sul
genere. Questo netto rifiuto nasceva dalla paura di sfociare in
una forma di determinismo biologico: riconoscere la reale
disuguaglianza naturale fra uomo e donna poteva condurre a
considerare lo status quo immutabile.
Brizendine
11
(2007: 22): «La biologia influenza potentemente la vita
delle donne, ma non la imprigiona».
11
Brizendine Louann, 2007, Il cervello delle donne, Milano, Rizzoli.