VI
INTRODUZIONE
La “tela di Penelope”
La “tela di Penelope” della disciplina dei servizi pubblici locali è stata tessuta
completamente oppure ne manca ancora un pezzo? Una domanda legittima che sarebbe
opportuno si ponessero molti operatori del settore, pubblici o privati che siano.
È difficile individuare un altro ambito normativo che, come questo, negli ultimi anni abbia
visto il proprio quadro di riferimento comporsi e scomporsi.
Sono passati ormai più di ventuno anni dalla promulgazione della legge sull’ordinamento
degli enti locali
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che rivoluzionò la materia dei servizi pubblici locali. Tale norma
prevedeva accanto alle tradizionali forme di gestione (l’affidamento in concessione a terzi,
l’azienda municipalizzata e la gestione diretta) delle nuove forme tra cui l’affidamento dei
servizi a nuove società a capitale misto pubblico-privato.
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Questa legge innanzitutto
definiva il concetto di servizio pubblico locale identificandolo nella produzione di beni,
servizi e attività rivolte a realizzare fini sociali e promuovere lo sviluppo economico e
civile delle comunità locali. Questo nuovo concetto superava la Legge Giolitti del 1903 che
elencava le fattispecie del servizio pubblico, apportando un dinamismo che dava all’ente
locale la possibilità di decidere e delineare il concetto di servizio a rilevanza pubblica, al
fine di interpretare le esigenze della propria comunità. Si afferma quindi un nuovo quadro,
ancora attuale, nel quale il concetto di servizio pubblico muta sia nel tempo che nello
spazio, in quanto a seconda delle caratteristiche territoriali e della volontà politica del
momento si affermano specifiche e sostanziali differenze [Bigoni 2009].
Ventuno anni, quindi uno in più dei venti che impiegò complessivamente Ulisse per fare
ritorno a Itaca mentre Penelope tesseva e poi disfaceva la sua tela. Esattamente come il
nostro legislatore con la disciplina sui servizi pubblici locali: affannato nella ricerca di un
assetto che a ogni riforma riuscisse a essere più coerente con i sempre più stringenti
principi europei pro-concorrenziali di apertura dei mercati ai privati e contemporaneamente
tenesse conto delle spinte, sempre più pressanti, di quel vastissimo mondo che sui servizi
pubblici fonda la sua sopravvivenza [Perticarari 2011].
1
Legge 142/1990: Ordinamento delle autonomie locali.
2
Un nuovo soggetto con forma privatistica e azionariato misto pubblico-privato.
VII
Le ragioni della gestione pubblica dei servizi
L’esito dei quesiti referendari del 12 e 13 giugno 2011 evidenzia come l’estensione dei
principi concorrenziali al sistema di fornitura dei servizi pubblici non sia stato ancora
“metabolizzato” pienamente dai cittadini Italiani. Le ragioni di questa avversione verso il
privato e la “predilezione” per il pubblico sembrano essere profondamente radicate nel
tessuto sociale Italiano e si rifanno a molteplici ragioni. Le più nobili all’esigenza di
garantire ad ogni individuo la possibilità di usufruire dei servizi pubblici essenziali a prezzi
“politici” - ossia accessibili a tutti - assicurando contemporaneamente un elevato livello di
qualità del servizio. Infatti il gestore pubblico viene da sempre visto come colui che è in
grado di garantire non solo il raggiungimento di tali principi ma anche di assicurare, la
tenuta del nostro tessuto imprenditoriale fatto di piccole-medie imprese la cui
sopravvivenza, spesso legata allo svolgimento delle commesse per conto di società
pubbliche, risulterebbe messa a rischio se queste ultime scomparissero per lasciare il posto
alle grandi aziende private. La realtà ha spesso deluso le attese: da un lato l’accesso alle
tariffe ridotte per i servizi pubblici essenziali è stato possibile solamente a fronte
dell’enorme costo, di cui oggi più che mai avvertiamo il peso, rappresentato dall’aumento
vertiginoso del debito pubblico nazionale, conseguenza diretta della necessità di ripianare
gli enormi disavanzi di bilancio accumulati dai gestori pubblici locali, basti pensare che
negli anni ottanta il solo debito imputabile alle aziende municipali ammontava a 1800
miliardi di lire. Dall’altro non si può certo dire che l’obiettivo di garantire un elevato o
almeno accettabile livello di qualità dei servizi sia stato raggiunto come ben sanno tutti i
pendolari che ogni giorno attraversano l’Italia o i cittadini di Napoli circondati dai rifiuti.
Quanto finora detto induce a chiedersi se dietro l’avversione verso i meccanismi
concorrenziali non vi siano meno nobili intenzioni e motivazioni, poiché in un paese come
il nostro, dove la meritocrazia e l’imparzialità della pubblica amministrazione sono qualità
ancora ben lontane dal definirsi raggiunte, è spontaneo pensare che dietro alla gestione
diretta di tali servizi, da parte degli enti locali, si nascondano le pretese meno nobili di
politici e dirigenti di indirizzare le assunzioni, di affidare incarichi nei consigli
d’amministrazione e di distribuire una moltitudine di consulenze esterne ad amici e parenti.
Per non parlare dell’abitudine tutta Italiana di utilizzare le società partecipate al fine di
aggirare facilmente le regole di finanza pubblica fissate dal patto di stabilità, riguardo
all’assoggettamento delle società partecipate al patto di stabilità interno degli enti locali
che ne detengono le quote.
VIII
Il mercato come “panacea”?
Detto ciò non si vuol affermare che il ricorso al mercato rappresenti sempre e
comunque la “panacea” di tutti i mali che affliggono i nostri servizi pubblici, ma solo
prendere atto che finora il rendimento di molte municipalizzate prima e delle società
pubbliche poi è stato tutt’altro che rassicurante [De Leonardis 2011]. Sarebbe utile e
interessante che le scelte tra affidare i servizi a operatori privati e la gestione diretta dei
servizi tramite l’istituto dell’ in house fossero dettate da ragioni di opportunità economica
in seguito ad approfonditi e dettagliati studi del mercato e non come troppo spesso accade,
in base alle necessità politico-elettorali del momento. Fatta questa sintetica, ma debita
premessa, riguardo la passione tutta Italiana per le aziende pubbliche, possiamo notare che
anche il Governo Monti ha rispettato l’ormai consolidato copione che vede ogni nuovo
Governo cimentarsi con la riforma più o meno estesa, più o meno radicale, dei servizi
pubblici locali. Infatti come si osserverà sono tantissime le modifiche normative apportate
da ogni Governo che si è succeduto indipendentemente dalla composizione più o meno
variegata della maggioranza e del colore politico. Non resta che fare chiarezza
ripercorrendo la normativa a partire dal Tuel del 2000, che semplicemente ripropone la
normativa del 1990, per arrivare fino al più recente decreto approvato nel gennaio 2012
conosciuto come “Cresci Italia” o “decreto Liberalizzazioni”.
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CAPITOLO I
Evoluzione normativa dei servizi pubblici locali
Gli interventi degli anni ’90 successivamente armonizzati nel Tuel
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hanno rinnovato
completamente la materia dei servizi pubblici locali definendo un nuovo ruolo per Comuni,
Provincie e Regioni. All’interno del nuovo testo unico sono state ridefinite le norme in due
articoli: il 112 che ha dato rilievo al ruolo dell’ente locale delineandone l’oggetto delle
attività di pubblico servizio, così come già definito dalla normativa del 1990, e il 113 che
ha disciplinato in modo più analitico le forme di gestione e le società a capitale pubblico
minoritario.
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1.1 La fase delle liberalizzazioni: la legge 448/2001
Mentre la normativa degli anni ’90 si è concentrata sull’introduzione di nuovi istituti
gestionali, le riforme dei primi anni del 2000 hanno spostato l’attenzione sulla necessità di
introdurre nuovi meccanismi concorrenziali al fine di migliorare l’efficienza, l’efficacia,
tenere il passo con la normativa europea, la giurisprudenza comunitaria e le pressioni per
l’apertura del mercato dei servizi pubblici
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alla concorrenza. Come sottolinea Garlatti con
gli interventi posti in essere nel XXI secolo:
“Perdono di rilevanza gli aspetti di disciplina interna delle singole forme gestionali ed
assumono importanza preminente le relazioni tra l’ente locale e il soggetto gestore, nel
duplice aspetto delle modalità d’affidamento dei servizi e degli strumenti per il
controllo concomitante e successivo sui risultati [Garlatti 2005, pag. 77],
dunque per i servizi a rilevanza industriale
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si è rafforzato il ruolo dell’ente locale come
arbitro. La riforma è attuata con la finanziaria 2002
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la quale ha apportato modifiche
sostanziali all’art. 113 del Tuel e ha introdotto la denominazione servizi a rilevanza
3
D.lgs.18 agosto 2000 n. 267 , Testo Unico sull’Ordinamento degli Enti locali.
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Le società a capitale pubblico minoritario ora sono regolate dall’art. 111 del Tuel.
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La giurisprudenza comunitaria, in deroga alla concorrenza, a partire dalla sentenza Teckal afferma che gli
affidamenti diretti c.d. in house sono possibili solo in presenza dei seguenti elementi:
- L’amministrazione deve esercitare sul soggetto affidatario un “controllo analogo” a quello
esercitato sui propri servizi;
- Il soggetto affidatario deve svolgere la maggior parte della propria attività in favore dell’ente
pubblico di appartenenza;
- Il capitale deve essere interamente in mano pubblica.
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Successivamente il nome verrà cambiato in servizi a rilevanza economica.
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Legge 448 del 2001 art. 35, c.d. finanziaria 2002.