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ad imprimere un accelerazione al processo di riforma dello Stato italiano, possibilmente
in senso federale.
L idea di studiare la distribuzione sul territorio della spesa pubblica per i servizi
offerti dall operatore statale alla collettivit Ł nata proprio dall attuale situazione
politica che pone nuovamente in evidenza la differenza tra Nord e Sud dell Italia.
Non Ł questa la sede adatta per spiegare i motivi di tale divario (anche perchØ si
rischierebbe di tornare a discutere della Questione Meridionale) per il secolare
sviluppo ritardato delle regioni meridionali rispetto al resto del Paese ci ha indotto ad
interrogarci e ad indagare sugli effetti delle politiche che lo Stato ha perseguito
attraverso il bilancio.
Scopo della ricerca Ł stato, quindi, effettuare una valutazione sulla situazione
economico-finanziaria delle Regioni italiane. In poche parole: qual Ł la situazione del
dare e avere tra le Regioni italiane? E vera la tesi secondo cui il Nord paga
all erario di piø del Sud in proporzione al reddito che produce?
Per rispondere a tali interrogativi Ł stato necessario trovare un punto di unione
tra gli studi di finanza pubblica e quelli geografici e ci Ł stato raggiunto attraverso il
seguente ragionamento.
PoichØ il nostro paese Ł caratterizzato da due aree distinte geograficamente che
marciano con diverse velocit di sviluppo economico, la conoscenza della distribuzione
territoriale della spesa pubblica riveste un ruolo fondamentale nella nostra indagine. E
ci si riscontra anche nell affermazione di R. J. Bennett : gli studi sulla
distribuzione regionale della spesa sono il primo passo per costruire una geografia della
finanza pubblica, cos la soluzione a problemi economici, sociali e politici generati da
6
differenze di reddito e di ricchezza pu essere trovata solo da metodi di finanza pubblica
che tengano conto di fattori geografici (R. J. Bennett, 1980, p. 456).
Se analizziamo i servizi alle persone forniti dallo Stato, potremmo individuare
gli indicatori della spesa statale utili alla nostra ricerca. Tali servizi fanno parte di
quell ampio settore che altro non Ł che il terziario, settore che negli ultimi decenni ha
sub to una notevole crescita sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo.
Sul piano strutturale la nostra ricerca parte, quindi, proprio dallo studio del
terziario prendendo in considerazione le attivit tipiche del settore, tra cui i servizi di
uso pubblico, argomentando sulla loro distribuzione e localizzazione territoriale.
Inoltre, si Ø preferito suddividere, per comodit , i servizi alla collettivit in
infrastrutture sociali ed infrastrutture di trasporto e di comunicazione.
Il capitolo 2 analizza la situazione economico-finanziaria delle Regioni italiane.
Sono stati considerati i flussi relativi alle spese per funzioni ed alle entrate proprie dello
Stato, esaminando quello che l operatore pubblico preleva sotto forma di imposte e
tasse, evidenziandone lo squilibrio tra Regioni relativamente ricche , dove le entrate
provenienti localmente dal prelievo fiscale coprono sostanzialmente le spese, e quelle
relativamente povere , in cui le entrate fiscali sono chiaramente insufficienti a coprire
le spese.
Certamente l analisi della distribuzione regionale della spesa pubblica in
rapporto al prelievo fiscale non Ł una novit . Fin dalla fondazione dello Stato Unitario
sono stati effettuati studi sull argomento, spesso intrecciati con la tematica della
Questione Meridionale
1
, ma la novit della nostra indagine Ł rappresentata dalla
1
Notevoli i contributi storici di F. S. Nitti (1900) e quelli piø recenti di G. De Meo (1955, 1990, 1993) e
di M. Geri e M. Volpe (1993).
7
sufficiente completezza dell analisi, poichØ si sono poste a confronto le entrate e le
spese, le prime articolate per tipologia (imposte dirette ed indirette), e le seconde per
funzione (sanit , istruzione, pensioni e trasporti).
Il capitolo 3 tratta nello specifico delle spese per funzione; siamo partiti
dall analisi del settore sanitario, esaminando quantitativamente la spesa sanitaria in
rapporto al PIL, la sua evoluzione nel tempo, la composizione, nonchØ le caratteristiche
fondamentali, le relative inefficienze e le differenze a livello regionale.
Sulla spesa riferita all istruzione si sono analizzati i vari comparti, tenendo
presente il costo del personale docente e le spese sostenute per l istruzione secondaria,
universitaria e per la ricerca scientifica, proponendo che, in tale settore occorrono
soprattutto innovazioni organizzative che incoraggino un effettivo esercizio
dell autonomia e della responsabilit .
Sul sistema pensionistico, l analisi ha evidenziato l incremento nel numero e
nell importo delle pensioni erogate negli ultimi anni, dovuto a vari motivi, come ad
esempio l aumento della vita media della popolazione, e mostra la differente erogazione
pensionistica a livello territoriale e le modifiche legislative in atto per marginare
l emorragia, pur tentando di salvaguardare sia i diritti dei prossimi pensionati che quelli
delle nuove generazioni.
Infine, il capitolo 4 propone una valutazione sintetica delle infrastrutture di
trasporto e di comunicazione, trattando in particolare dei trasporti stradali, ferroviari,
marittimi ed aerei, e del settore delle poste ( le reti informatiche e telematiche non
vengono prese in considerazione in quanto servizi autofinanziati ), ponendo l accento
8
sull inefficienza gestionale ed economica che li caratterizza e sulla scarsa qualit dei
servizi offerti.
I dati inseriti nella ricerca sono stati ottenuti elaborando fonti interne della
Ragioneria Generale dello Stato, del Ministero del Tesoro e dell INPS, oltre a dati
forniti dall Istat e dal Ministero dei Trasporti.
L analisi si conclude con considerazioni personali sull argomento trattato e,
dove Ł stato possibile, sono stati proposti alcuni suggerimenti diretti al miglioramento
della gestione economica dei servizi offerti dall operatore pubblico.
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CAP. I - I SERVIZI
1. L evoluzione economico-produttiva in Italia
Nel corso della sua storia nazionale, ed in particolare durante gli ultimi
cinquant anni dal secondo dopoguerra, l Italia ha conosciuto rilevanti trasformazioni
economiche e sociali; tant Ł che oggi figura fra le nazioni piø industrializzate
dell Occidente. Ad ogni modo l Italia rappresenta un caso a sØ, per molti versi atipico,
nell mbito delle diverse economie occidentali; sono molte le differenze che hanno
caratterizzato l evoluzione del capitalismo italiano e che ancora oggi segnano piø o
meno profondamente la fisionomia del nostro Paese.
Per una migliore valutazione del fenomeno che andremo a considerare, Ł
opportuno operare una divisione in periodi della storia economica italiana nel secondo
dopoguerra, individuando, cos , un alternanza di cicli economici che possono essere
sintetizzati nella successiva sequenza:
• due brevi fasi iniziali di riconversione dopo il conflitto bellico (1951-1954 e
1955-1958);
• il periodo del miracolo economico (1958-1963);
• una fase recessiva (1963-1965);
• un periodo di stagnazione (1965-1967);
• una nuova lieve ripresa (1967-1969);
• una lunga fase depressiva dal 1969 al 1975;
10
• un periodo di forte inflazione dal 1976 al 1979;
• una nuova recessione negli anni 80-83;
• infine, un lungo periodo di alternanza tra fasi di crescita e fasi di recessione.
Riguardo al primo trend considerato, all indomani della Seconda Guerra
Mondiale, gli stabilimenti industriali erano in gran parte usciti illesi dallo scontro
bellico, ma la produzione era scesa a meno di un terzo di quella dell anteguerra.
Incalcolabili erano i danni inferti all agricoltura (la produzione era diminuita del 60%
rispetto al periodo precedente) e piø ancora al patrimonio zootecnico, che risultava
distrutto per tre quarti (Giardina, 1988).
Inoltre, il Paese era stato spezzato in due tronconi in conseguenza
dell andamento delle operazioni militari e, perci , era amministrato da due governi,
quello della Repubblica sociale al Nord, e quello del Regno al Centro-Sud, con poteri
piø che affievoliti, con due sistemi monetari. Una divisione che ripeteva,
approssimativamente, la storica differenziazione economico-sociale della Penisola e che
aveva contribuito a determinare un ulteriore destrutturazione del sistema economico e
del suo funzionamento.
Fu soltanto alcuni mesi dopo la fine della guerra, in coincidenza con la
formazione del primo governo De Gasperi, che, grazie agli aiuti dell UNRRA (United
Nations Relief and Rehabilitation Administration) e del Piano Marshall (o ERP,
European Recovery Program), prese il via la ricostruzione e, di conseguenza, il
graduale inserimento del Paese nell economia mondiale (Balletta, 1991).
Certo fu difficile adunare tutti i fattori dello sviluppo economico su una scala
abbastanza vasta per effettuare la trasformazione. Infatti, oltre ad avere rilevanti
11
difficolt ambientali, per la mancanza delle risorse da coinvolgere nelle prime fasi del
processo di riconversione industriale e per la scarsezza di aree utilizzabili, l Italia aveva
difficili comunicazioni interne e forti squilibri regionali (Mori, 1994).
Nei confronti del Nord, soprattutto riguardo all area del cosiddetto triangolo
industriale , incentrato sulle citt di Milano, Torino e Genova, la politica dei governi di
centro si orient verso un intervento a sostegno della ripresa industriale, finanziando
prima di tutto l industria meccanica.
In sostanza, il governo segu due criteri, da un lato, tent di rafforzare le
industrie di base (siderurgica, elettrica e metalmeccanica), dall altro, cerc di garantire i
mezzi finanziari per accrescere l importazione delle attrezzature richieste per la
riconversione produttiva e per il superamento del divario tecnologico (Castronovo,
1995).
Di fatto, fu sufficiente l adozione di alcuni procedimenti tecnici piø aggiornati
ed una migliore utilizzazione delle risorse
2
per realizzare, nel settore metalmeccanico
3
,
consistenti e rapidi aumenti di produttivit .
Tuttavia, tra i fattori dello sviluppo non bisogna dimenticare la progressiva
liberalizzazione degli scambi che sfoci nell adesione dell Italia al Mercato Comune
Europeo nel 1957 (Balletta, 1991).
Si smantellarono, cos , le vecchie barriere protezionistiche, eredit del periodo
fascista, ma si mantenne, per , un livello di protezione, piø elevato che in altri paesi, a
favore di alcune produzioni agricole (come il grano, lo zucchero, i vini) ed industriali
(come i filati, le automobili, i trattori e gli apparecchi elettrici).
2
Attraverso varie economie esterne, una maggiore specializzazione delle maestranze, ed alcuni
perfezionamenti dell organizzazione del lavoro.
12
La liberalizzazione degli scambi fu peraltro controbilanciata da un complesso
sistema protettivo interno (fatto di sussidi alle imprese, agevolazioni fiscali ed altre
forme di aiuto dirette o indirette) che, per , contribu a produrre non poche anomalie
rispetto alle regole di un autentica economia di mercato
4
.
Nel Sud del Paese, invece, i progressi compiuti in agricoltura furono dovuti
all azione dei governanti, grazie ad interventi mirati al miglioramento delle condizioni
dei piccoli coltivatori, all attuazione della Riforma Agraria (1950), alla costituzione
della Cassa per il Mezzogiorno (sempre nel 1950) per lo sviluppo delle regioni
meridionali, all approvazione dei due Piani Verde (1960 e 1962) ma anche ad aiuti
diretti all attivit produttiva, specialmente all artigianato e al turismo, oltre
all agricoltura, attivit che dovevano favorire il superamento del gap rispetto al Nord
(Castronovo, 1995).
Tali interventi, finalizzati allo sviluppo del Mezzogiorno, resero maggiormente
sensibili le politiche regionali ai problemi meridionali. Anche se i risultati furono
alquanto modesti (parziale meccanizzazione dell agricoltura, lieve miglioramento della
produzione, discreto aumento di nuovi posti di lavoro), ebbero l importante compito di
non aver fatto perdere il passo rispetto ad un Nord lanciato in un impetuoso sviluppo.
Ancora una volta fu diverso il modo dello sviluppo, in quanto la politica attuata
per il progresso delle regioni meridionali era di tipo assistenzialista, puntando quasi
esclusivamente sulla valorizzazione delle risorse interne, come l agricoltura
specializzata, il turismo, l artigianato e la piccola impresa, precludendo, quindi,
l industrializzazione (Bagnasco, 1977).
3
Preferito all industria tessile, fino ad allora esportatrice per eccellenza.
4
E anche questo uno dei motivi per cui, in Italia, si parla di economia mista (Castronovo, 1995).
13
Nell mbito del trend 1958 ed il 1963 l economia italiana conobbe una fase
espansiva senza precedenti. In verit , la crescita dell industria italiana si era delineata
fin dal 1953, quando ancora si nutrivano forti apprensioni sulle capacit competitive del
nostro sistema produttivo appena uscito da una lunga convalescenza. Infatti, gli
investimenti nell industria manifatturiera, fermi in media al 4,5% del reddito nazionale
lordo, salirono nel 1958 al 5,2% per portarsi tra il 1962 ed il 1963 al 6,3%, mentre il
valore aggiunto pass , nel decennio successivo al 1953, dal 20,6% al 27,6%. Un
incremento alquanto considerevole si registr nell occupazione industriale che gi nel
1961 (con piø di 7 milioni di unit ) rappresentava il 37,4% della popolazione attiva
totale contro il 32,2% dei servizi (Mori, 1994).
Diversi furono i fattori che consentirono tale straordinaria espansione. Un ruolo
determinante ebbero, soprattutto, la disponibilit di un abbondante serbatoio di
manodopera a buon mercato
5
e l adozione di alcune tecniche gi collaudate nei paesi
piø avanzati.
Nel quadro dello sviluppo industriale le attivit piø moderne (metallurgia,
meccanica e mezzi di trasporto, chimica, estrazioni minerarie, lavorazione di minerali
non metallici) assunsero un posto rilevante. Inoltre, la liberalizzazione degli scambi e
l ingresso nel Mercato Comune favorirono in particolare l industria automobilistica, la
meccanica di precisione e la metallurgia.
5
Per tutto il decennio 1953-1963, nonostante la ripresa di ingenti flussi migratori verso l America ed gli
altri paesi europei, la disoccupazione rimase elevata, pari al 7,3% della forza lavoro disponibile quando
negli altri paesi dell Europa occidentale la disoccupazione si aggirava in media intorno al 2%. L industria
italiana fece leva sulla rilevante offerta di braccia (un vero serbatoio, venutosi a formare in seguito ad un
ingente flusso migratorio dal Sud e dalle altre aree rurali dell Italia, quali le valli alpine, il Veneto, ecc.)
per contenere o calmierare la domanda salariale.
14
In complesso, fra il 1958 ed il 1963, le esportazioni italiane crebbero ogni anno
del 16,1%, per questo si parl di una economia aperta , orientata verso il
conseguimento di maggiori livelli competitivi e di piø intense relazioni di scambio
(Castronovo, 1995).
In conclusione, il miracolo economico fu il risultato di un complesso di
mutamenti strutturali che l economia italiana non aveva mai conosciuto prima.
Quello che nei cicli precedenti era stato un processo di evoluzione ad intermittenza ed
incapace comunque di imprimere una sterzata decisiva, ora Ł un processo di evoluzione
costante di natura prettamente industriale.
Se ancora all inizio degli anni Sessanta la popolazione attiva nell agricoltura era
oltre sei volte quella dell Inghilterra e piø del triplo della Germania occidentale, Ł anche
vero che l industria ed i servizi assicuravano ormai oltre il 75% del prodotto interno
lordo e che le campagne andavano sempre piø spopolandosi (Castronovo, 1995).
Ma tale eccezionale exploit dell economia italiana non era il frutto di un
processo di crescita omogenea e lineare: vaste aree erano rimaste escluse o appena
lambite dall industrializzazione, ed altre accusavano sensibili ritardi. Si era trattato,
perci , di un processo di sviluppo ineguale che aveva accentuato, e non ridotto, il
divario tra il Nord ed il Sud, ed in ogni caso aveva finito per rafforzare la tradizionale
preminenza del triangolo industriale del Nord-ovest rispetto al resto del paese (Mori,
1994).
Era inevitabile che il passaggio cos rapido ed intenso da un economia
semiautarchica a un economia aperta con l adozione di modelli di consumo di una
societ di massa comportasse una serie di squilibri e di sfasature. La maggiore domanda
15
di prodotti proveniente dall estero, soddisfatta dalle imprese italiane piø attrezzate e
competitive, localizzate per lo piø nel triangolo industriale , contribuiva certamente
allo sviluppo dell economia nazionale, aumentando i saldi attivi della bilancia
commerciale ed i flussi creditizi, ma favoriva principalmente le imprese esportatrici del
triangolo a danno delle altre. Con l aumento della produzione si provocava
indirettamente un sempre maggiore immobilizzo di mezzi finanziari che venivano
sottratti ad una politica di investimenti pubblici diretti al sostegno di un processo piø
omogeneo e piø generale di modernizzazione dell apparato industriale italiano. Si era,
cos , delineato oltre ad un peggioramento delle distanze tra Nord e Sud, anche una
differenziazione sempre piø accentuata tra i diversi settori industriali (le industrie
metallurgiche, meccaniche, chimiche e dei mezzi di trasporto che registrarono tra il
1951 ed il 1962 i piø rilevanti progressi nell esportazione furono anche quelle che
conobbero i piø elevati saggi di produttivit , i piø consistenti margini di redditivit ed i
maggiori indici di concentrazione), creando, cos , una sorta di dualismo fra tali comparti
industriali e le altre lavorazioni manifatturiere piø tradizionali con bassi livelli di
produttivit (Castronovo, 1995).
D altro canto la tendenza del settore industriale a privilegiare per competitivit
gli investimenti destinati all aumento della produttivit attraverso il rinnovamento degli
impianti, e non gi tramite l aumento della manodopera, spinse la maggior parte dei
disoccupati e di quanti erano alla ricerca di un primo impiego a riversarsi verso i campi
di attivit meno qualificati o nella pubblica amministrazione. Fra il 1951 ed il 1963 la
manodopera aument di circa il 100% nei servizi commerciali e dell 84% nell edilizia
rispetto al 40% dell industria manifatturiera. In tal modo allo sviluppo dei settori
16
trainanti dell economia italiana corrispose una continua proliferazione di quelli piø
tradizionali e meno produttivi (Balletta, 1991).
Alla fine del 1963 la crescita dell economia italiana sub una battuta d arresto.
Dopo la nazionalizzazione dell energia elettrica (1962), si diffuse nel paese una sfiducia
tra gli imprenditori; i risparmiatori non gradirono l inasprimento delle imposte, la
manodopera cominci a scarseggiare, ed i salari crebbero piø della produttivit del
lavoro; i consumi privati aumentarono, si ampliarono, cos , le importazioni di beni di
consumi e, di conseguenza, crebbe il disavanzo della bilancia dei pagamenti. Per porre
riparo alla crisi, il governo e la Banca d Italia, attuarono una politica di restrizione del
credito con l intento di far diminuire la domanda interna e far aumentare le esportazioni
all estero. Tuttavia, non si tenne conto degli effetti negativi che ne scaturirono, in
particolare diminuirono gli investimenti con conseguenze negative per le innovazioni
tecnologiche delle imprese (Balletta, 1991).
Si era spento, ormai, l entusiasmo degli imprenditori ed il grande desiderio di
consumo della popolazione: in poche parole, era finito il periodo del miracolo
economico (Muscar , 1992).
Il trend che va dalla fine degli anni Sessanta alla met degli anni Settanta,
invece, fu caratterizzato da una radicalizzazione dello scontro sociale che ebbe come
protagonisti prima gli studenti, poi la classe operaia. Quest ultima era supportata dai
sindacati che avevano rafforzato il loro potere e chiedevano ulteriori aumenti salariali,
superiori alla crescita della produttivit ed una riforma sociale.
Per far fronte all aumento del costo del lavoro, le grandi imprese adottarono
nuove tecnologie, con macchinari piø sofisticati, e si fece ricorso ad un decentramento
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produttivo aziendale e territoriale, attraverso la creazione di numerose piccole imprese
che facevano parte dello stesso processo di produzione, con un piccolo numero di
operai, poco sindacalizzati ed a basso costo (Giardina, 1988).
In conseguenza dell aumento dei costi, diminuirono i profitti delle imprese, la
crescita del prodotto interno lordo si dimezz , crebbe sia il disavanzo della bilancia dei
pagamenti sia quello del bilancio statale che la fuga dei capitali all estero.
Non meno importanti furono le conseguenze del rincaro eccezionale dei prezzi
nel decennio 1970-1980. Le cause di tale situazione avevano radici nel sistema
economico internazionale. All inizio degli anni Settanta, infatti, fu stabilita
l inconvertibilit del dollaro in oro e dal 1973 l Italia rese fluttuante la lira (aggravando,
cos , l inflazione, in quanto la conseguente svalutazione fece aumentare i prezzi
all importazione
6
), ma il colpo maggiore all economia (data la forte dipendenza
dell attivit di molte industrie italiane dall importazione di petrolio) fu dato
dall aumento del prezzo del petrolio, che si ebbe nel 1973 e nel 1979. Il governo
affront la situazione con una politica di austerit al fine di ridurre la domanda di
petrolio, politica che, se da un lato, riusc a contenere la crescita del disavanzo della
bilancia dei pagamenti, dall altro nulla potØ contro la disoccupazione. Per sostenere la
domanda di beni di consumo furono aumentate ulteriormente le spese pubbliche tramite
la politica assistenzialistica: sussidi alle famiglie, pensionamento anticipato degli
impiegati statali, Cassa Integrazione, ed altro (Castronovo, 1995).
6
L inflazione era dovuta in parte all aumento del prezzo del petrolio, ma anche alla crescita dei consumi
e della spesa pubblica; ed i suoi effetti furono amplificati dal nuovo meccanismo di scala mobile
introdotto nel 1975 da un accordo fra sindacati e Confindustria, meccanismo che assicurava ai salari un
piø rapido adeguamento al costo della vita.
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Nel complesso, per , il sistema economico italiano ha manifestato in questo
travagliato decennio, anche nei momenti di crisi piø acuta, una notevole vitalit . Il
fenomeno si spiega soprattutto con la crescita della cosiddetta economia sommersa:
ossia quella miriade di piccole imprese disseminate nella provincia italiana e
caratterizzate (grazie ai prolungati turni di lavoro, all assenza di controlli sindacali, alla
mobilit della manodopera, all elevata evasione fiscale) da alta produttivit , da bassi
costi e da una notevole capacit di adattamento alle esigenze di mercato (Saba A.,
1980).
Nonostante le capacit di recupero mostrate dall economia italiana dopo una
crisi prolungatasi dagli anni 70 alla met degli anni 80, la vitalit ed il dinamismo di
cui hanno dato prova una miriade di piccole imprese, la diffusione intensa delle attivit
produttive e del benessere nelle regioni del Nord-est e del Centro della Penisola, il
costante ampliamento del settore terziario non hanno, per , esorcizzato, ma reso ancor
piø evidenti, le incongruenze e le disfunzioni che si ripercuotono su tutto il sistema.
Ancora oggi non s Ł trovato il modo di sanare le carenze dell amministrazione statale,
di rendere piø efficienti i servizi pubblici, di ammodernare le infrastrutture.
Sta di fatto che questo sistema di governo e di mediazione sociale, privilegiando
in ogni caso le ragioni di scambio e non quelle della funzionalit , non ha dato luogo nØ
all avvento di un autentico Welfare State nØ ad un reale miglioramento delle prestazioni
e dei servizi d interesse collettivo, ma ad un aumento di insostenibili sprechi.