II
Il diritto all’eguaglianza, fondamentale diritto dell’uomo, è
riconosciuto anche dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei
Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU); tale Convenzione
gode, in alcuni ordinamenti quali la Francia, di diretta applicabilità, e anche
nell’ordinamento italiano, a seguito delle sentenze della Cassazione penale
Polo Castro (8/5/1989) e Medrano (10/7/1993) si è riconosciuta la
possibilità di un’utilizzazione diretta delle norme della Convenzione,
attribuendole una particolare forza di resistenza, nei confronti della
legislazione nazionale posteriore. Allo stesso tempo, però, la tutela di questi
diritti trova un limite nei fondamentali margini dell’ordine pubblico e nel
pericolo di frodi alla legge.
Contestualmente alla pronuncia della Corte, la legge n° 74/1987
modifica la disciplina sostanziale del divorzio, introducendo, tra l’altro,
l’art. 12quinquies, che tutela lo straniero, il cui statuto personale non
riconosce il divorzio, anticipando il disposto di cui all’art. 31, 2° comma,
della legge n° 218.
Nel 1995 si ha la riforma del diritto internazionale privato e divorzio
e separazione personale vengono disciplinato in un’unica disposizione, l’art.
31, che individua, quali leggi applicabili, le stesse previste dall’art. 29, per i
rapporti personali tra coniugi, e, in parte, dall’art. 30, per i rapporti
patrimoniali, quasi a ricreare uno “statuto della famiglia” simile a quello di
cui all’art. 14 della legge tedesca. Tali disposizioni introducono, inoltre, un
nuovo criterio: la prevalente localizzazione della vita matrimoniale; mentre
l’art. 31, al 2° comma, impone l’applicazione della lex fori, in caso di
ignoranza degli istituti, da parte della legge, considerata come applicabile.
La trattazione prosegue con un’analisi dell’ordinamento francese,
che con l’art. 310 code civil, introdotto dalla legge 11/7/1975, rappresenta
un inedito esempio di “unilateralismo interno ed internazionale”; riferendoci
al riconoscimento e all’esecuzione delle sentenze straniere, faremo
riferimento anche alla “Convenzione di Bruxelles II”, regolamento CE n°
III
1347/2000, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione
delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori
sui figli di entrambi i genitori, che ha esteso la Convenzione di Bruxelles
anche a tali materie, al fine di uniformare il più possibile le legislazioni
interne.
Prima di accingerci ad analizzare le disposizioni, relative al tema
trattato, di alcuni Stati europei, in particolare Germania, Svizzera, Austria e
Spagna, sarà necessario soffermarci sull’utilizzo dei vari tipi di criteri di
collegamento, di tipo domiciliare o nazionale, e sulla libertà, riconosciuta ai
coniugi, in relazione alla scelta della legge applicabile.
In conclusione, è doveroso accennare alla novella Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea, possibile fonte di sviluppo delle
considerazioni già svolte, analizzando i diritti riconosciuti dalla CEDU, e
specchio dell’unione, non solo politica ed economica, ma anche dei valori,
che lega gli Stati Europei.
CAPITOLO I
2
1. La legge applicabile alla separazione personale
tra i coniugi e al divorzio nel regime previgente
all’entrata in vigore della legge 31/5/1995 n° 218:
gli articoli 17, 1° comma, e 18 delle disposizioni
preliminari al codice civile.
Il sistema italiano di diritto internazionale privato, prima
dell’entrata in vigore della legge 31/5/1995 n° 218, non
conteneva disposizioni precise riguardo alla legge applicabile alla
separazione personale e al divorzio, oggi disciplinata dall’art. 31
della legge di riforma.
Vi era, tuttavia, sostanziale concordia nel ritenere che gli
istituti fossero riconducibili o ai rapporti di famiglia, e quindi
all’art. 17, 1°comma, o alla categoria dei rapporti personali fra
coniugi, e quindi, all’art. 18 delle disposizioni preliminari al
codice civile. Il problema reale non si poneva per i coniugi di
eguale cittadinanza, al momento della separazione o del divorzio,
bensì per l’ipotesi di relativa diversità: in questo caso, infatti,
difformi erano i risultati cui conduceva l’applicazione di queste
disposizioni.
E’ necessario tenere presente il disposto di questi due
articoli, per meglio analizzare le varie argomentazioni portate a
favore dell’applicazione dell’uno, piuttosto che dell’altro.
3
L’art. 17, 1°comma, disp. prel. al codice civile disponeva
quanto segue:
“Lo stato e la capacità delle persone e i rapporti di famiglia
sono regolati dalla legge dello Stato al quale esse
appartengono”
L’art. 17, 1°comma, essendo dettato con riferimento, oltre
che allo stato e alla capacità delle persone, anche ai “rapporti di
famiglia”, veniva considerato norma di carattere generale,
rispetto alle altre disposizioni, che si riteneva potessero trovare
applicazione solo in riferimento ai rapporti che espressamente
contemplavano
1
.
L’art. 18 disp. prel. al codice civile prevedeva, invece, che:
“I rapporti personali tra coniugi di diversa cittadinanza
sono regolati dall’ultima legge nazionale che sia stata loro
comune durante il matrimonio o, in mancanza di essa,
dalla legge nazionale del marito al tempo della
celebrazione del matrimonio”
Il primo criterio di collegamento previsto dall’art. 18 era lo
stesso adottato dalla Convenzione dell’Aja del 1905 sui conflitti
di legge relativi agli effetti del matrimonio e ai diritti e doveri dei
coniugi, in base al cui art. 9:
1
Davì “L’adozione nel diritto internazionale privato”, I, Conflitti di leggi, Milano 1981, 65
4
“s’il advient, au cours du marriage, que les epoux n’aient
pas la même nationalité, leur dernier législation
commune…devra être consideré comme leur loi nationale”
Questa soluzione, adottata da altre legislazioni europee
(art. 14 della legge di introduzione al codice civile tedesco,
Progetto austriaco del 1913, Progetto cecoslovacco del 1929 e
art. 14 della legge polacca del 1926) e dall’art. 3 della legge
uniforme Benelux, era apparsa preferibile a quella consistente nel
far prevalere comunque la legge nazionale del marito,
consentendo anche di evitare mutamenti di cittadinanza, in danno
o in frode dei diritti dell’altro coniuge.
Per il caso in cui i coniugi non avessero mai avuto una
legge nazionale comune, l’art. 18 dichiarava applicabile “la legge
nazionale del marito al momento della celebrazione del
matrimonio”. Questo criterio era giustificato dalla preminenza
che al marito era riconosciuta nell’ambito della famiglia, oltre
che dalla difficoltà di contemperare le leggi nazionali dei
coniugi. Lo stesso criterio era suggerito dall’art. I della
Convenzione dell’Aja del 1905, con l’aggiunta che segue:
“si les epoux n’ont jamais eu la même nationalité, ces
droits et ces devoirs seront régis par la loi nationale du
mari, lors de la célébration du marriage”
Soprattutto nella giurisprudenza era prevalsa la costruzione
che prevedeva un coordinamento tra l’art. 17, 1°comma, e l’art.
5
18. Ai sensi di quest’ultimo articolo, per “rapporti personali” si
sarebbe dovuta intendere la patologia di tali rapporti, categoria
ricompresa in quella più ampia dei rapporti di famiglia: sicché
l’art. 18 veniva considerato corrispondente ad un criterio di
specializzazione, rispetto all’articolo precedente. Il
coordinamento tra le due regole operava nel senso che il divorzio
tra coniugi aventi la stessa cittadinanza era da ricomprendere
nell’ambito di applicazione dell’art. 17, 1°comma, mentre le altre
ipotesi dovevano essere riassorbite nell’ambito di applicazione
dell’art. 18.
Nel caso di differente nazionalità, varie erano le tesi a
favore dell’applicazione dell’una o dell’altra norma.
A favore dell’art. 17 giocavano argomenti sistematici,
fondati sul suo carattere di norma generale in materia di rapporti
familiari, nonché sulla difficoltà di far rientrare il divorzio nella
categoria dei rapporti personali tra coniugi: il provvedimento col
quale lo scioglimento del matrimonio viene accordato, infatti,
incide sul rapporto matrimoniale e ne determina il venir meno,
sicché non può essere identificato in un “rapporto tra coniugi”,
anche se quest’ultimo ne costituisce la premessa necessaria
2
.
Questi istituti, inoltre, pur non concretandosi unicamente in una
modificazione dei rapporti personali, ma anche di quelli
2
Mosconi “Giurisdizione e legge applicabile in materia di divorzio: tra codificazione e
leggi speciali”, in L’unificazione del diritto internazionale privato, Studi in memoria di M.
Giuliano, 1989, 687; Morelli “Elementi di diritto internazionale privato”, 12°ed. Napoli,
1986, 126; Badiali “Legge italiana sul divorzio e diritto straniero”, Padova, CEDAM, 1976,
83
6
patrimoniali, hanno il loro contenuto essenziale proprio nei
primi, essendo i secondi solo una conseguenza indiretta.
3
In giurisprudenza l’opinione prevalente era a favore
dell’applicabilità di questo articolo, con argomentazioni
sostanzialmente identiche: “…deve farsi ricadere nella disciplina
della detta norma ogni questione che concerne la formazione e
quelle, inoltre, che influiscono sulla persistenza del vincolo
matrimoniale…; i rapporti personali tra coniugi cui si riferisce
l’art. 18 comprendono i diritti e i doveri che nascono dal
matrimonio ….e si è soggiunto non potersi definire il divorzio
effetto del matrimonio. Mancando nel nostro ordinamento una
specifica norma di diritto internazionale privato relativa alla
legge regolatrice del divorzio…si dovrebbe ricercare nell’ambito
del vigente sistema quale sia la norma che possa far meglio al
caso…per l’appunto l’art. 17 disp. prel. cod. civ.” (Corte
d’Appello di Milano, 19/9/1975, Schrömbgens c. Mars
4
). Sempre
a favore dell’applicabilità dell’art. 17 disp. prel. cod. civ. può
essere citata un’altra sentenza della Corte d’Appello di Milano
(4/4/1986, Gruère Gillette c. Gennburg
5
), la quale ricorda che
l’orientamento, oltre a riscuotere consensi in dottrina, era anche
quello cui si atteneva la Suprema Corte
6
.
3
Davì “Separazione personale dei coniugi (diritto internazionale privato)” in Enc. Dir. XLI,
Milano 1989, 1412
4
Mengozzi “Atti normativi e giurisprudenza in materia di diritto internazionale privato”
Bologna, Clueb, 1994, p.100.
5
Mengozzi “Atti normativi e giurisprudenza in materia di diritto internazionale privato”,
op. cit., 103
6
Cass. 29/1/1971 n° 3041, Cass. 27/1/1977 n° 415, Cass. 19/9/1978 n° 4189, Cass.
22/12/1978 n°6152 e Cass. 6/3/1979 n° 1403.
7
A favore dell’art. 18 ha finito col deporre l’opportunità di
riferirsi ad un’unica legge, nonostante la diversa cittadinanza; dal
ricorso all’art. 17 derivava, infatti, la necessità di ricostruire la
disciplina applicabile avvalendosi delle diverse leggi nazionali
dei coniugi. Per un esempio giurisprudenziale a favore
dell’applicabilità di questo secondo articolo, v. Trib. Milano,
22/7/1976
7
che, nel caso, giunge ad applicare la legge nazionale
del marito al tempo della celebrazione del matrimonio.
Gli autori
8
che hanno ritenuto fosse preferibile
l’applicazione dell’art. 17 disp. prel., bocciando l’art. 18 anche
per il suo favore verso una sola delle parti del rapporto, hanno
cercato di dare un diverso contenuto e una diversa motivazione
alla tesi del “coordinamento” delle due leggi nazionali
concorrenti, tenendo conto sia del principio della “parità di
stato”, emergente dalla legge sul divorzio, sia dell’esigenza di
coordinamento tra legge sul divorzio e norme di diritto
internazionale privato, sia, infine, dello scopo di uniformità di
trattamento dei rapporti.
Il principio della “parità di stato” implicava che il divorzio
potesse essere pronunciato solo se ambedue le leggi nazionali
avessero ammesso, nel caso concreto, lo scioglimento: senza
questa convergenza, uno dei due coniugi si sarebbe trovato, nel
proprio ordinamento, ancora vincolato dal matrimonio,
7
Trib. Mi 22/7/1976 in Dir. Fam. Pers. 1977, 610
8
Ballarino “La réforme du droit italien de la famille et le droit international privé”, in Rev.
Crit. 1979, 285 e Badiali, “Legge italiana sul divorzio e diritto straniero”, op. cit., 93
8
venendosi così a creare la situazione che la legge italiana sul
divorzio tende ad evitare (art. 3, punto 2, lett. e) della legge n°
898/1970).
La necessità che entrambe le leggi nazionali prevedessero
una disciplina del divorzio veniva giustificata anche sulla base
dell’esigenza di non creare situazioni giuridiche incompatibili
con la legge designata competente, in materia di stato e capacità
delle persone, dall’art. 17, 1°comma disp. prel.
La soluzione, infine, sembrava anche ben conciliarsi con lo
scopo di uniformità, soddisfatto garantendo la parità di stato fra
gli ex coniugi e il coordinamento fra la condizione acquisita col
divorzio e la loro legge nazionale.
Il parallelismo tra le due leggi nazionali non era indicato in
senso formale, come se si fosse richiesta una perfetta identità fra
le due leggi, bensì in senso sostanziale, in relazione alla
fattispecie concreta: era sufficiente che sussistessero, per
ambedue le leggi, motivi validi per il divorzio, anche se
eventualmente diversi.
Questa precisazione si ritrova anche in giurisprudenza: v.
per tutte Cassazione 2/11/1978 n° 4978
9
, che precisa in
motivazione “la mancata osservanza, da parte del giudice
straniero, della norma di diritto internazionale privato che
imponga l’applicazione della legge nazionale delle parti…non
impedisce di per sé la delibazione positiva della pronuncia resa
9
Cass. 2/11/1978 n° 4978 in Dir. Fam. Pers. 1979, 622
9
da quel giudice, atteso che tale preclusione si verifica solo
quando la sentenza straniera risulti in contrasto con l’ordine
pubblico italiano. In particolare, tale contrasto non è ravvisabile
quando il giudice straniero abbia pronunciato il divorzio per
“ragioni sostanzialmente analoghe” a quelle previste dalla legge
italiana…trattandosi di conseguenza generale ed inevitabile della
accettazione delle regole sulla competenza internazionale, e della
conseguente rilevanza, per l’ordinamento interno, dei cosiddetti
momenti di collegamento…”
10
2. Aspetti sostanziali: la separazione personale dei
coniugi.
Il problema della legge applicabile alla separazione
personale e al divorzio viene oggi esplicitamente risolto dall’art.
31 della legge di riforma del diritto internazionale privato, legge
31/5/1995 n° 218, in maniera unitaria, per quanto concerne la
separazione personale e il divorzio: il legislatore non ha dato
rilievo alla profonda differenza esistente tra i due istituti, il primo
dei quali lascia sussistere il vincolo matrimoniale, che il secondo,
invece, mira a sciogliere.
E’ necessaria, quindi, un’analisi sommaria dei principali
caratteri di questi due differenti istituti.
Nella disciplina della crisi coniugale, l’istituto del divorzio
è stato inserito accanto a quello della separazione personale che,
fino all’introduzione del divorzio, costituiva il solo rimedio
offerto dall’ordinamento per ovviare ai difetti del rapporto
matrimoniale. Diventata passaggio quasi obbligato per il
divorzio, la separazione ha visto ridurre la propria rilevanza ad
una funzione meramente strumentale, quasi di termine, previsto a
scopo sostanzialmente dilatorio. In realtà, la conservazione
dell’istituto negli ordinamenti che contemplano il divorzio, oltre
a rappresentare una testimonianza dell’accoglimento di istanze
pluralistiche, sembra esprimere la propensione dell’ordinamento
a consentire un recupero della comunità familiare.
11
Nell’ambito della codificazione del 1942, anche in questo
campo si era accolta una concezione autoritaria della famiglia e
di conseguenza la separazione legale era ammessa solo in
particolari e precisi casi, mentre la separazione consensuale era
sempre ammessa ma non aveva effetto senza l’omologazione del
Tribunale. Gli articoli 151, 152 e 153 cod. civ. indicavano le
cause della separazione in una concezione “sanzionatoria” della
stessa: si andava, perciò, alla ricerca delle colpe che l’avevano
determinata, quasi che l’impossibilità di proseguire la convivenza
dovesse essere necessariamente attribuita ad un atteggiamento
riprovevole, imputabile ad un coniuge.
La separazione consensuale era efficace solo se omologata
dal Tribunale: essa è stata conservata dalla riforma del diritto di
famiglia del 1975 (legge 19/5/1975 n° 151), ma si è circoscritto
l’ambito di intervento del Tribunale; in questa separazione si
esprime la salvaguardia dell’autonomia della famiglia e dall’altro
l’esigenza di un controllo pubblico a tutela dell’interesse
preminente dei figli, o per evitare posizioni di approfittamento
del coniuge debole.
La innovazione più profonda arrecata dalla riforma è stata
l’abrogazione della separazione giudiziale per colpa: la crisi di un
modello di famiglia fondato sull’autorità e l’emergere della
figura del consenso, infatti, richiedevano un diverso assetto
dell’istituto. L’art. 151 pone a fondamento della pronuncia di
separazione il verificarsi di fatti che:
12
“anche indipendentemente dalla volontà di uno o di
entrambi i coniugi siano…tali da rendere intollerabile la
prosecuzione della convivenza, o da recare grave
pregiudizio all’educazione della prole”
Il secondo comma dell’art. 151 attribuisce al giudice il
potere di dichiarare, “ove ne ricorrano le circostanze e ne sia
richiesto”, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione.
Il giudice, quindi, deve indicare il coniuge “responsabile”
del fallimento, quasi che ritornasse quella nozione di “colpa”
aberrata dalla riforma. La pronuncia di addebito, tuttavia, si
differenzia dalla separazione per colpa, perché occorre
dimostrare l’efficacia causale che la violazione dei doveri, che
nascono dal matrimonio, ha esercitato sul suo fallimento. La
pronuncia di addebito, inoltre, ha carattere meramente eventuale,
solo dove ne ricorrano le circostanze.