5
posizioni di diversi autori facenti capo all’interazionismo simbolico. La ricerca che
verrà presentata alla fine del lavoro, prende le mosse dalla convinzione che le persone
accettano le spiegazioni che il senso comune, attraverso giornali e mass media, fornisce
di ciò che accade nel mondo. Gli individui nel formarsi le credenze fanno proprie alcune
spiegazioni, che provengono da fonti esterne, di cui gli organi di informazione
costituiscono i principali rappresentanti. Nel fare proprie queste opinioni, l’uomo della
strada ha un ruolo attivo, e come dimostreremo, entrano in campo molteplici variabili,
di cui la distanza/vicinanza dell’osservatore rispetto fenomeno e il ruolo impersonato
sono alcune tra le principali. La scala d’atteggiamento che è stata costruita a partire da
una ricognizione condotta da A. Salvini sul materiale giornalistico, comprende venti
diverse ipotesi di spiegazione del tifo violento che fanno capo a diversi tipi di cause, tra
cui cause sociali, cuturali, criminali, istintive e psicopatologiche. La consapevolezza che
il fenomeno Ultras non sia costituito solo dai fatti di violenza di cui spesso si viene a
conoscenza, ma comprenda una serie di aspetti che non necessariamente fanno capo alla
violenza, non è stata abbandonata nella ricerca: il fatto che tutti gli item facciano
riferimento al “tifo violento” non significa che quello violento sia l’unico aspetto
pregnante del fenomeno del tifo; se consideriamo però che giornali e televisioni si
occupano di tifo solo quando succedono disordini capiamo come quello violento sia
fondamentalmente l’unico aspetto del tifo che viene considerato dai mass media e come
questo si rifletta sulle opinioni del senso comune. Le tre categorie di persone che sono
state interpellate sono Ultras, Forze dell’Ordine e persone “comuni”. La metodologia di
ricerca ha previsto l’utilizzo dell’analisi fattoriale per leggere i risultati della scala, l’α
6
di Cronbach per misurare la coerenza interna, l’ANOVA e il test T di Student per i
confronti fra categorie e all’interno di esse. Per l’analisi ci si è serviti del pacchetto
statistico SPSS. L’analisi fattoriale, uno degli strumenti principe nella metodologia delle
scienze sociali, è stata preziosa per il lavoro svolto e ha permesso di cogliere risultati
importanti, in linea con la teoria di riferimento e di formulare considerazioni interessanti
che verranno esposte in modo dettagliato nell’ultima parte del lavoro.
7
Capitolo 1
LA NASCITA DEL CALCIO COME SPORT E LA COMPARSA
DEL FENOMENO ULTRAS IN ITALIA.
Puffidimerda scrive: scrivo questo topic non per un amarcord di partite e trasferte
ma per raccontare le nostre esperienze nella vita di curva
di momenti in cui a distanza di anni ci pensi, ricordi e ti viene la pelle d’oca
Batallon de Castigo risponde: ti dovrei raccontare la mia vita
Dal Forum dell’US Cremonese
1.1 La nascita del calcio come sport.
Affrontare il fenomeno del tifo, in particolare di quella forma di tifo che viene
accomunata alla parola Ultras, significa in primo luogo affrontare la genesi di uno sport,
il calcio, che ospita, all’interno delle proprie manifestazioni sportive, ieri come oggi,
espressioni di appartenenza così come di aggressività. D’altra parte “qualunque studio
riguardante lo sport che non sia anche studio della società è privo di contesto”
1
. La
proposta di questo capitolo introduttivo è quella di partire dall’illustrazione di come uno
sport popolare come quello del calcio sia nato e si sia evoluto fino alla forma attuale,
adottando una chiave di lettura che accomuna il processo di “sportivizzazione dei loisir”
al “processo di “civilizzazione”
2
, per arrivare a delineare il profilo attuale del
movimento Ultras nel nostro paese, partendo da considerazioni sulla sua nascita ed
evoluzione.
Le opinioni che le cronache ci rimandano riguardo i fatti di violenza che accadono
dentro e fuori gli stadi farebbero pensare che l’associazione sport/violenza sia un
1
N. Elias, E. Dunning, Sport e aggressività, 1986.
2
N. Elias, E. Dunning, Sport e aggressività, 1986.
8
questione piuttosto attuale, tipica della società contemporanea, oltre che ingiustificata e
priva di “ragionevoli motivazioni”. Cercare di chiarire le ragioni di certi comportamenti
sarà compito dei prossimi capitoli, mentre si può immediatamente sfatare il mito che la
violenza associata allo sport sia una problematica attuale; in effetti già nel Medio Evo,
in particolare in Inghilterra si praticava un gioco, molto simile al gioco del calcio
attuale, anche se in una forma primitiva. Le partite coinvolgevano un numero indefinito
di persone, centinaia, a volte migliaia, spesso di villaggi vicini ma in qualche modo
rivali, che inseguivano grossi palloni cercando di portarli alla meta prescelta, senza
risparmiarsi in quanto ad aggressività e violenza nei confronti degli avversari. Il
bilancio di queste “partite” era sempre gravissimo, se pensiamo che, non essendoci
regole che disciplinavano il gioco, le persone che vi partecipavano potevano far sfoggio
della loro prestanza fisica in qualsiasi modo: “si rompevano a volte il collo, la schiena,
le gambe e le braccia e altre volte il sangue colava dalle narici e dalla bocca”. Nato
perciò come gioco popolare piuttosto rozzo e violento, il calcio era sì molto amato dalla
popolazione, che lo praticava in occasione di feste e celebrazioni tradizionali, o anche
per “regolare” dispute tra villaggi, ma era altresì mal visto dalle autorità che lo
ritenevano pericoloso e cercarono a più riprese di bandirlo. Uno dei primi decreti
emanati in questo senso fu emesso nel 1314 da Lord Mayor di Londra e recitava:
essendo provato che si fa gran clamore per le strade cittadine a seguito di certi
tumulti provocati dall’inseguire dei grossi palloni e che da ciò possono derivare
molti mali – che Iddio non voglia – noi comandiamo e proibiamo, in nome del re e
sotto pena del carcere, che tale gioco sia d’ora innanzi praticato in città.
9
Le persone non si fecero intimorire da questi decreti e continuarono a praticare questa
forma rudimentale di gioco del calcio. Il braccio di ferro tra la gente che continuava le
sue violente abitudini e le autorità che cercavano di contenerle e sopprimerle, presto si
trasferì anche nel nostro paese, in Italia, dove il gioco era ugualmente amato (dalla
popolazione) e odiato (dalle autorità), con queste ultime che cercavano a più riprese di
vietarlo. Come nel 1580 quando venne pubblicato a Bologna il “Bando sopra il gioco
del calzo” nel quale il Governatore:
conoscendosi per esperienza il pericolo che apporta il gioco del calzo in questa
magnifica città e perciò desiderando […] provedere alle risse, scandoli ed
inimicizie che da ciò possono nascere […] con il presente bando ordina, proibisce,
vuole e comanda che nessuna persona di qual si voglia stato, grado, conditione per
l’avvenire ardisca […] né dentro la città né fuori di giocare al detto gioco del calzo
[…]
Il calcio, in quanto sport, nasce perciò come gioco popolare, praticato in forme che
potevano variare da un luogo all’altro, le cui regole erano tutt’altro che univoche e
condivise. Anzi si può dire che anche per il fatto che il gioco fosse ancora in una forma
primitiva, priva di regole ben precise, nulla era vietato e tutto era concesso, e nessuno si
faceva scrupoli nell’utilizzare ogni mezzo per mettere fuori gioco l’avversario e
conquistare il pallone. Un gioco come quello che è stato descritto fino adesso non
assomiglia molto alla forma attuale di quello sport che oggi chiamiamo calcio,
10
altrettanto amato dalla gente, ma profondamente regolato e in cui sia il pubblico che gli
spettatori corrono un rischio pressoché nullo di subire gravi infortuni.
Ma com’era possibile che la gente amasse tanto questo gioco violento, pericoloso,
senza regole e alla fine del quale poteva succedere di ritrovarsi con le ossa rotte? La
domanda contiene già in sé un errore fondamentale. Essa è infatti portatrice di un
giudizio morale: guarda ad un evento passato attraverso le lenti del presente, riflettendo
così regole e norme attuali, non applicabili alla società del tempo. E’ perciò necessario
provare a capire in quale sistema di significati, di norme e di regole condivise si
iscrivesse e fosse possibile, a quel tempo, praticare un simile passatempo. Per farlo si
prenderà in esame la “teoria della civilizzazione”, tramite la quale N. Elias tenta di
spiegare come le società si siano evolute nel tempo, attraverso stadi successivi di
“civilizzazione”. In parallelo egli fa notare come anche la nascita degli sport abbia avuto
un percorso simile e parallelo, un processo che egli chiama di “sportivizzazione”.
Secondo Elias, società che si trovano ad un livello antecedente di “civilizzazione”
hanno una soglia di ripugnanza della violenza più bassa rispetto a società ad uno stadio
di “civilizzazione” più maturo (è importante precisare come in questa affermazione non
si intenda dire che una società sia migliore e l’altra peggiore, semplicemente si prende
atto del fatto che ci siano regole diverse che guidano i comportamenti e le azioni). Nel
Medio Evo, come nelle età precedenti, la gente rimaneva meno impressionata, rispetto
ad oggi, davanti a spettacoli violenti; passatempi che oggi riterremmo riprovevoli nei
periodi storici passati appassionavano molto il pubblico: basti pensare alle lotte fra
gladiatori e leoni nell’antica Roma, alle impiccagioni o esecuzioni pubbliche a cui
11
nessuno voleva mancare nei secoli successivi, allo stesso gioco del calcio nella sua
forma antica piuttosto violenta. La nostra società, giunta ad uno stadio di civilizzazione
più avanzato di quello presente nel Medio Evo, oggi non è più disposta ad accettare una
simile violenza. Secondo la teoria della civilizzazione di Elias la storia moderna del
mondo occidentale può essere letta come una lenta e costante rivoluzione che, nel corso
dei secoli, ha prodotto una radicale trasformazione dei comportamenti ritenuti, in
ciascun periodo storico, normali e corretti, e ha col tempo portato al formarsi di potenti
barriere sia psicologiche che istituzionali contro la manifestazione incontrollata dei
sentimenti. Col passare del tempo perciò, la soglia della ripugnanza nei confronti della
violenza si è alzata, e parallelamente le manifestazioni esteriori delle emozioni sono
divenute più controllate. Lo stesso è successo nella trasformazione che è avvenuta da
forme di attività ludiche come l’antico gioco del calcio fino all’ aspetto attuale. Se il
punto di svolta storico che, secondo l’autore, ha portato all’attuale stadio di
civilizzazione, è stata la “parlamentarizzazione” delle classi terriere d’Inghilterra, a
partire dal XVIII° secolo, così, quasi contemporaneamente, il processo di
“sportivizzazione” delle attività di loisir ha portato alla forma attuale degli sport (anche
del calcio). Perché un’attività come quella del calcio potesse essere accettata all’interno
del contesto di una società ad uno stadio più avanzato del processo di “civilizzazione”,
era necessario che ci fosse una condivisione di regole ben precise e un maggior
controllo delle emozioni. Ciò che ha reso possibile la trasformazione del gioco popolare
medievale nel calcio attuale sono stati: la codifica di regole precise e condivise, il
criterio dell’imparzialità, un maggiore controllo del rispetto delle regole (arbitri);
12
ancora, la formazione di squadre per disputare incontri regolari, l’istituzione di tornei,
prima regionali, poi nazionali, quindi internazionali, infine la costituzione di un
apparato burocratico di supporto. La professionalizzazione del gioco è l’ultimo tassello
di questa trasformazione, che ha reso il calcio, come altri giochi, un passatempo e
divertimento più per chi ne è spettatore che per chi lo pratica.
Elias sostiene perciò l’idea che vi sia un legame tra il processo di civilizzazione che
ha portato ad un innalzamento dei livelli di intolleranza nei confronti della violenza, e la
crescente tendenza alla serietà nella pratica degli sport. Con l’avanzare
dell’industrializzazione anche il rapporto tra lavoro e tempo libero è cambiato,
aumentando l’importanza sociale di quest’ultimo, che viene nella società
contemporanea e occidentale, considerato aspetto imprescindibile dell’esistenza, veicolo
di un’eccitazione gradevole, nonché strumento di appartenenza collettiva ed
identificazione col gruppo “in” rispetto a quello “out”.
Il calcio si presenta oggi come uno spettacolo, messo in scena soprattutto per i suoi
spettatori. Ed è proprio in questo che Elias trova un’ambiguità di fondo. Nella società
attuale viene attuato un forte controllo delle emozioni e della violenza fisica, sia dalla
persona che da organi esterni; lo spettacolo sportivo però crea la tensione,
quell’eccitazione data dalla competitività che è in gioco nella partita. Questa tensione
creata dallo spettacolo sportivo deve essere però commisurata alla sensibilità rispetto
alla violenza fisica caratteristica della società contemporanea. Come possono coesistere
aspetti così antitetici (eccitamento da una parte, controllo della tensione dall’altra)
all’interno dello stesso contesto? La risposta è in quello che Elias chiama “eccitamento
13
mimetico”: ovvero, secondo l’autore, sport in cui due fazioni o persone si sfidano per
avere la meglio l’una sull’altra provocherebbero un certo tipo di tensione, un
eccitamento gradevole che consentirebbe un flusso più libero di sentimenti, e questo
sarebbe dato dal fatto che la partita, (vissuta da spettatori e giocatori come una
“battaglia”) non sarebbe altro che l’evocazione di situazioni violente della vita
quotidiana, ma senza la paura di rimanere feriti o uccisi. La “battaglia mimetica” della
partita riuscirebbe perciò a ricreare una situazione di eccitazione gradevole, senza il
minimo danno. In una società in cui la violenza fisica è poco tollerata, assistendo a
partite di calcio si possono sperimentare certe emozioni (gioia, paura, angoscia) del tutto
simili alle analoghe emozioni che si proverebbero nelle situazioni quotidiane, ma in un
contesto “mimetico” (ovvero immaginario, controllato e non violento), senza nessun
rischio, essendo queste emozioni trasposte in chiave diversa e permettendo di
sperimentare una sorta di piacere. Da un punto di vista fisiologico si può dire che i due
fenomeni emozionali (partita vs situazione quotidiana) siano uguali, ma da un punto di
vista psicologico l’eccitamento mimetico non è pericoloso. Almeno fino a quando,
attraverso l’eccitamento delle folle, esso non si trasformi da “mimetico” in eccitamento
“reale”.
Il fatto che uno sport come il calcio, nella sua forma moderna e attuale, costituisca
una forma “astratta” di un combattimento vero, non è però garanzia del fatto che si
rimarrà entro un ambito “mimetico” anche per quanto riguarda la violenza fisica. Se
infatti la crescita dell’importanza della competitività negli sport ha portato ad una
crescita dell’importanza della vittoria, è venuta meno col passare del tempo quell’”etica
14
del dilettantismo” tipica delle fasi precedenti, il che ha portato ad un aumento dell’uso
della violenza “strumentale” e all’uso occasionale della violenza aperta, sia nei giocatori
che negli spettatori.
Riservandoci il tentativo di spiegazione della violenza nel calcio per i prossimi
capitoli, passiamo ad una analisi della nascita del fenomeno Ultras in Italia, a partire da
alcuni studi tra i quali quello riportato da A. Roversi nello studio pubblicato nel libro
Calcio, tifo e violenza – Il teppismo calcistico in Italia, edito nel 1992.
15
1.1 Nascita ed evoluzione del fenomeno Ultras in Italia.
La nascita del tifo calcistico in Italia, può essere fatta risalire all’inizio del secolo
scorso, quando iniziarono a disputarsi i primi incontri ufficiali
3
; nei primi tempi questi
erano seguiti da poche centinaia di persone, ma durante il primo decennio del secolo la
partecipazione di pubblico andò via via crescendo, fino ad arrivare, nel 1913 a quella
che potrebbe considerarsi la prima trasferta organizzata, quando cioè i tifosi genoani
(120 in tutto) organizzarono un treno speciale per seguire l’incontro della loro squadra a
Vercelli.
Il primo episodio di “violenza” nel nostro paese può invece esser fatto risalire al
1925, quando tifosi genoani e bolognesi si scontrarono nella stazione di Torino Porta
Nuova; dopo gli incidenti in occasione di quell’incontro scattò anche la prima misura
volta ad arginare il fenomeno, ovvero venne data comunicazione dalla FIGC che la
partita sarebbe stata disputata a porte chiuse. Gli Anni ‘30 e ‘40 del secolo scorso sono
caratterizzati da un crescente aumento dell’interesse del pubblico verso il calcio e sono
punteggiati da questi primi episodi, che però rimangono ancora circoscritti ed isolati.
Gli anni ’50 nel nostro paese, complice anche una certa voglia di riscatto dopo gli
orrori della guerra, sono caratterizzati dall’esplodere della passione per il calcio, una
passione che non è più solo un passatempo e che raccoglie molte persone, soprattutto
appartenenti a ceti sociali medio-bassi, che accolgono la partita domenicale non più solo
come momento di svago, ma sempre di più come occasione per manifestare una
3
Il primo si disputò il 6 gennaio 1898 tra il Genoa Cricket and Football Club e il Football Club Torinese,
e fu seguito da un pubblico di 200 persone.
16
condizione di tifoso e un attaccamento all’identità locale, rappresentata dai giocatori e
dalla società calcistica. Lo stadio è in questi anni anche un luogo privilegiato dove
questo tipo di tifoso può rivelare, attraverso manifestazioni di virilità e dei valori
maschili, quell’identità maschile e patriarcale tanto confermata dalla società del tempo,
società in cui non esisteva ancora un’uguaglianza tra i due generi sessuali. Accanto
quindi a una forte identificazione sulla base dell’identità maschile, ribadita anche al di
fuori dello stadio, in questi anni le manifestazioni aggressive dei tifosi sono per lo più
legate all’andamento della partita e ai suoi episodi, e dirette ai protagonisti
dell’incontro, e si manifestano sotto forma di invasioni di campo, aggressioni o tentativi
di aggressione ai dirigenti di gara, giocatori avversari, lancio di oggetti contro il
pullman della squadra avversaria.
La nascita di gruppi di giovani che vanno allo stadio, assistono alle partite di calcio
della squadra della loro città in modo sistematico, portando una nuova forma di tifo, va
ricercata in Inghilterra, dove tra il 1966 e il 1967, ha inizio quel fenomeno che verrà
chiamato col nome di football hooliganism
4
; a tal proposito si scrive:
alleanze ad hoc tra gruppi di adolescenti e di ragazzi provenienti dai quartieri e
dalle periferie operaie iniziarono in quel periodo a rivendicare le curve dei campi di
calcio come loro territori e, in modo più preordinato di prima, ad escludere da
queste zone sia gli spettatori più anziani che i giovani sostenitori delle squadre
4
Per differenziarlo da un altro fenomeno, detto spectator disorderness, entro cui sono racchiuse quelle
manifestazioni di intemperanza messe in atto dagli spettatori, appartenenti a diversi settori non
necessariamente alla curva, e indirizzate ai protagonisti della partita (arbitri, guardialinee, giocatori,
allenatori, dirigenti), quindi essenzialmente legati all’andamento dell’incontro e al clima da esso creato. A
differenza degli episodi di football hooliganism, le intemperanze del pubblico hanno luogo
essenzialmente dentro lo stadio e non sono programmate.
17
rivali. Così come il portiere difendeva la sua porta dagli attacchi dei giocatori
avversari, allo stesso modo, con una estensione quasi naturale, costoro difendevano
il territorio alle sue spalle dai tifosi rivali
5
.
Il primato di questa nuova forma di tifo appartiene perciò all’Inghilterra, e da qui viene
esportato nel vecchio continente dove viene osservato, imitato, e quindi adottato come
modello comportamentale, anche se assumerà nei vari paesi fisionomie differenti.
In particolare gli Anni ’60 nel nostro paese sono caratterizzati dalle nuove forme di
tifo, iniziano a vedersi i colori della squadra, inizia a comparire, anche se a livello
embrionale una qualche forma di organizzazione. Le evoluzioni più significative del
fenomeno che si riscontrano in questi anni fanno riferimento a una maggiore diffusione
del calcio come passatempo in tutte le classi sociali (a differenza dell’Inghilterra in cui
il tifo rimane per lungo tempo un fenomeno essenzialmente legato alla working class), e
alla diffusione in tutto il territorio nazionale, grazie alla televisione, e
all’industrializzazione del mondo del calcio. Una differenza tra il tifo di questi anni e le
precedenti è che gli episodi di “violenza” iniziano a spostarsi fuori dagli stadi e ad
essere diretti anche contro la polizia, ricalcando in qualche modo gli scontri di piazza
attivi in quegli anni.
La nascita del movimento Ultras nel nostro paese può essere fatta risalire ai primi
anni ’70, quando in alcuni stadi italiani iniziarono a comparire i primi gruppi di tifosi,
radunati dietro uno striscione e portatori di un nuovo modo di tifare la squadra locale.
Come si presentano questi gruppi di persone? Innanzitutto la maggior parte dei giovani
5
E. Dunning, P. Murphy e J. Williams, The Roots of FootballHooliganism, cit, p.165.
18
che in quegli anni si radunano in gruppi Ultras frequentano gli stadi già da tempo; questi
gruppi nascono sulla base di legami amicali preesistenti, non necessariamente tra
persone di pari età, ma più spesso tra persone appartenenti a stessi ambienti scolastici,
di quartiere o anche a medesimi gruppi politici. Dai “colleghi” inglesi, studiati sia
direttamente che indirettamente, questi primissimi Ultras italiani prendono innanzitutto
l’abitudine di portare sciarpe coi colori del club, ma con stampato il nome del gruppo
invece che quello della società calcistica.
Con la nascita dei gruppi, che spesso portano nomi che rimandano etimologicamente
a organizzazioni militari
6
, e spesso sono legati a militanze politiche, di estrema destra o
sinistra, anche la fisionomia dello stadio cambia. In primo luogo si assiste ad un
cambiamento del modo di tifare, che prevede un sostegno incondizionato alla propria
squadra, che si esplica tramite i colori, le bandiere, gli striscioni, i fumogeni, ma anche
una nuova sonorità, grazie ai cori, sempre più numerosi e coinvolgenti e all’utilizzo di
megafoni e tamburi per amplificare il suono. La curva di casa viene così ad assumere il
carattere di luogo “sacro”, di esclusiva proprietà dei tifosi, inviolabile dall’avversario,
comunque da difendere ad ogni costo. E’ proprio nel tentativo di violare la curva di casa
da parte dei tifosi avversari (in questo periodo non c’è ancora una netta divisione dei
settori allo stadio), per impossessarsi di striscioni e bandiere, che nascono i primi
incontri/scontri tra diverse tifoserie, che poi si tramutano in rivalità che si protraggono
nel tempo e creano nuove occasioni di ritorsione ad ogni successivo incontro con la
stessa tifoseria.
6
Alcuni esempi: Commandos, Brigate, Fedayn, Ordine Nuovo, Skonvolts, Viking, Vigilantes, Warrior.