6
La tesi prende in considerazione l’argomento e sostiene che il cambiamento, per 
essere efficace, deve partire dal basso ed incidere sul senso di responsabilità dei 
soggetti in gioco; ovviamente questo processo di mutazione del burocrate deve, a 
mio avviso, lasciare immutato il contesto etico dello scenario, sia quello 
individuale che quello della società. I principi e l’etica professionale nella 
pubblica amministrazione sono ben definiti nel codice etico dell’American Society 
for Public Administration del 1994 (Pasini, 1996, 183-195). 
 
La tesi si snoda in cinque capitoli a loro volta suddivisi in tre parti. Il primo 
capitolo affronta i problemi della burocrazia, dimostrando come  l’imposizione di 
uno strumento legislativo del cambiamento, unito all’inevitabile confronto ed 
all’effetto trainante dell’Europa, ma, disgiunto da una sostanziale impreparazione 
del corpus burocratico, ha rallentato e, talvolta, ostacolato il cambiamento. In 
Sanità, questo processo è stato un po’ più fluente; l’utilizzo di criteri di 
governance, uniti all’esigenza di far quadrare i conti e dare ascolto agli ineludibili 
bisogni del cittadino, ha, obtorto collo , creato le condizioni per una forzata 
inversione di rotta. Questo è il motivo che mi ha spinto a trattare l’argomento 
nelle Aziende Sanitarie (aziende ospedaliere e aziende sanitarie locali) .  
 
Nel secondo capitolo ho espanso il core della materia, affrontando la trattazione 
specifica di quanto enunciato sopra; in buona sostanza ho voluto tratteggiare la 
figura del professionista in sanità, il contesto in cui opera e gli strumenti che la 
normativa ha messo a disposizione per favorire il più possibile che l’agire si 
discosti da quello burocratico. 
 
Il terzo capitolo racchiude tutti gli aspetti che attengono ai bisogni del cittadino, 
alle sue aspettative, alla percezione degli effetti ed all’esigenza di semplificazione 
amministrativa; in estrema sintesi questa parte comprende tutto ciò che lo stato ha 
voluto fare e ciò che il cittadino ha ottenuto; ho cercato di rappresentare il gap tra 
gli aspetti teorici e la concretezza del processo in sanità.   
 
 
 7
Gli ultimi due capitoli sono dedicati al caso studio. Ho preso in considerazione 
l’azienda  in cui lavoro, l’Azienda Sanitaria Locale della provincia di Cremona, ne 
ho descritta l’organizzazione, ho elencato gli sforzi del cambiamento ed ho 
esemplificato, con la descrizione dell’Ufficio di Assistenza alle Imprese, il caso 
pratico attuativo. La scelta della direzione strategica  di istituire un ufficio per 
assistere e informare  gli imprenditori  è rilevante, non solo per l’innovazione 
organizzativa introdotta, ma soprattutto per il contestuale intervento sulla 
professionalità di dirigenti e personale di comparto. 
 
Infine ho tratteggiato diffusamente le conclusioni su cui poggia la mia tesi.  
Negli anni ’90 il legislatore si è sforzato di incanalare il cambiamento attraverso 
lo strumento che gli è proprio: la norma. Tuttavia, proprio la Pubblica 
Amministrazione di questi anni ha dimostrato che solo ove il cambiamento è stato 
“digerito e metabolizzato” dai soggetti attivi, è stato percepito all’esterno; 
l’esempio portato nella tesi dimostra quanto asserisco. Anche in questo caso posso 
affermare che ogni cambiamento non può prescindere dalla partecipazione attiva, 
etica e responsabile dei soggetti. 
 8
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PARTE  I 
Le riforme della pubblica amministrazione: gli anni Novanta 
 
  
 9
 
CAPITOLO I 
Dal modello weberiano alla New Public Management 
  
Sommario: 1.1. Introduzione – 1.2. La governance – 1.3. Il processo di 
aziendalizzazione della pubblica amministrazione – 1.4. Il caso italiano – 1.5. La 
burocrazia italiana e l’egemonia dei giuristi – 1.6. L’innovazione nella pubblica 
amministrazione come processo culturale 
 
 
 
 
1.1  Introduzione  
 
È difficile interpretare lo scenario innovativo della Pubblica Amministrazione 
dopo che i governanti che si sono avvicendati in questi ultimi anni hanno messo 
mano in maniera diversa, più o meno radicale, più o meno decisa, all’esigenza 
innovativa scaturita dalla nostra società. È per questo che bisogna capire: 
- “lo stato dell’arte” attuale del processo innovativo sostenuto dai governi; 
- la meta futura a cui potrà giungere il  processo di governance
1
 dei sistemi politici 
occidentali. 
Il processo di aziendalizzazione ha introdotto nella pubblica amministrazione 
alcuni concetti economici importati derivanti dal privato; il più importante è la 
pianificazione per obiettivi.  
In Italia questo processo d’innovazione, avviato negli anni 90 e fortemente voluto 
a livello legislativo, si è scontrato con la burocrazia e l’egemonia dei giuristi. 
Occorre tempo e coinvolgimento dal basso per far si che il cambiamento possa 
penetrare ed incidere sulla cultura aziendale. 
In questo capitolo si è cercato di evidenziare quali sono gli approcci più recenti 
sulle politiche di riforma amministrativa, cercando di sottolineare i limiti di queste 
ultime se applicate nel nostro Paese. Contestualmente si è cercato di definire la 
burocrazia italiana di fronte alle politiche di riforma amministrativa. 
 
                                                 
1
 Sul concetto di governance si vedano le pagine seguenti. 
 10
 
1.2  La governance 
 
Il processo di aziendalizzazione o governance delle pubbliche amministrazioni è 
un percorso ineludibile dopo che tutto il mondo occidentale ha intrapreso 
un’opera di snellimento burocratico a seguito delle crisi economico-finanziarie 
conseguenti la crisi energetica degli anni ’70 e gli sconquassi sociali a cui stiamo 
assistendo. 
Negli ultimi venti anni si possono ritrovare due filoni culturali che sono diventati 
vere ortodossie del cambiamento amministrativo soprattutto, ma ormai non solo, 
negli Stati Uniti e nei paesi di lingua anglosassone. 
A partire dagli anni ottanta, sono stati elaborati una serie di paradigmi che hanno 
ispirato l’intervento dei governi nell’attività di riforma del settore pubblico. Il 
centro dell’attenzione si è dunque spostato dallo studio delle proprietà strutturali 
degli assetti amministrativi a quello delle politiche pubbliche volte a modificarli e 
a modernizzarli. Ci si riferisce principalmente al New Public Management
2
 
(NPM) e alla governance theory
3
, entrambi particolarmente prolifici negli anni 
novanta. Il primo prende le mosse dalla tradizione di business administration 
statunitense che dai lavori di Taylor
4
 in avanti si è particolarmente diffusa nel 
contesto anglosassone e che ha avuto come priorità quella di migliorare 
l’efficienza e l’economicità del settore pubblico.  
[…“L’approccio della governance costituisce  una sorta di risposta europea al 
managerialismo americano, facendo leva sui valori dell’equità e della 
partecipazione, intesi come obiettivi strategici di qualsiasi riforma del settore 
pubblico.”…] (Gualmini, 2003:16).  
                                                 
2
 Le origini e le evoluzioni del New Public Management (NPM)sono state efficacemente descritte 
da Christopher Hood in un noto saggio del 1991 (A Public Management for All Seasons?). 
Numerosi autori hanno cercato di esaminare se e in che modo gli apparati amministrativi siano 
stati in grado di recepire e applicare gli insegnamenti del NPM (Zifcak 1994; Flynn e Strehl 1996; 
Farnham ed al.1996; Lane 1997) 
3
 governance theory: l’autore che ha cercato di circoscrivere operativamente il concetto con 
riferimento allo studio delle riforme amministrative è sicuramente  Rhodes (1996a;1997). I lavori 
di Rhodes sono stati integrati da altri ricercatori e in particolare dal gruppo di studiosi guidato da  
Kickert (1997°; 1997b) 
4
 Il cosi detto “taylorismo”, è una teoria economica dell’organizzazione scientifica del lavoro, 
elaborata all’inizio del Novecento dall’ingegnere statunitense Frederick W. Taylor 
 
 11
Il termine governance, utilizzato in contrapposizione a quello di government, si 
riferisce al superamento o meglio alla dissoluzione dei modelli dirigistici di 
direzione politica, in cui lo stato era l’attore dominante, e all’emergere di relazioni 
orizzontali e cooperative tra Stato e società. 
Il concetto sarebbe utile dunque per segnalare in altre parole il passaggio dalle 
forme gerarchiche di programmazione del policy making a forme alternative, che 
gerarchiche non sono, come quelle di mercato, della comunità e soprattutto della 
rete.  
In queste nuove forme di coordinamento dei processi decisionali la partecipazione 
è aperta e gli scambi sono continui.  
L’applicazione dell’approccio della  governance allo studio delle riforme 
amministrative avrebbe quindi la finalità di mettere in risalto le nuove opportunità 
di partecipazione dei cittadini all’erogazione dei servizi e quindi la possibilità da 
parte di questi ultimi di esercitare un controllo sul grado di equità dell’azione 
amministrativa (il concetto di governance sanitaria verrà affrontato al punto 2.4, 
in questo capitolo). 
E’ indubbio che le riforme citate abbiano inteso sostituire all’approccio 
burocratico stili e modelli di gestione di tipo aziendale. Il New Public 
Management da un lato e il paradigma della governance dall’altro, il primo 
incentrato sull’imperativo dell’efficienza, il secondo su quello della qualità e della 
trasparenza, costituiscano i due perni intorno a cui è ruotato il processo di policy 
change (Gualmini, 2003). 
L’adozione delle tecniche manageriali è stata una policy cavalcata sia dai governi 
di centro-destra (si veda, a titolo di esempio: Stati Uniti e Regno Unito) che da 
quelli di centro-sinistra (si veda, a titolo di esempio: Italia, Francia e Spagna). Il 
mito dell’efficienza sembra aver  esercitato un fascino diffuso, al di là di ogni 
credo politico e al di là della capacità dei singoli governi di dare attuazione agli 
obiettivi prefissati nelle leggi.  
Più in dettaglio, per quanto riguarda il funzionamento interno delle 
amministrazioni, in alcuni paesi (si veda, a titolo di esempio: Stati Uniti, Regno 
Unito, Francia, Italia, Spagna, Germania) è stato adottato il metodo della 
 12
pianificazione per obiettivi che si compone nella catena: programmazione – 
gestione – controllo – valutazione - validazione del modello. 
Bisogna, tuttavia, far notare una differenza di fondo che riguarda i due tipi di 
approccio o la metodologia di aggressione del problema. In estrema sintesi si sono 
confrontati sul tema due scuole metodologiche: quella nord americana, basata sul 
pragmatismo e sulla prassi consolidata da norme diffuse e trasversali e quella 
latina improntata all’adozione di un metodo codificato e burocratizzante. 
 
 13
1.3  Il processo di aziendalizzazione della pubblica amministrazione 
 
Sino alla fine degli anni settanta, la centralità in Europa del modello burocratico di 
tipo legale – razionale non è mai stata messa in discussione. L’amministrazione 
weberiana continuava ad essere considerata come il principale strumento 
operativo dello stato moderno, nonostante il passaggio delle funzioni regolative 
dello stato “limitato” ai compiti e alle attività di intervento che sempre più 
caratterizzavano lo stato “sovraccarico” dell’era del welfare.
5
 Nell’ultima parte 
del XX secolo, le amministrazioni centrali europee hanno infatti preso le distanze 
dal modello burocratico (per quanto riguarda il modello burocratico si rimanda al 
paragrafo 2.2.), cercando di incorporare razionalità e tecniche di gestione tipiche 
del settore privato, maggiormente orientate al risultato. Si può asserire che la 
traiettoria manageriale è stata certamente intrapresa dai diversi paesi come 
orientamento dominante della riforma amministrativa, ma che questa traiettoria è 
stata costantemente filtrata dalla storia e dalle istituzioni nazionali con risultati 
non sempre congruenti rispetto ai principi teorici del New Public Management. 
Per quanto riguarda la capacità dei governi di dare realizzazione alle innovazione, 
il caso italiano è sintomatico. Ad una prolifica attività di formulazione delle 
politiche di modernizzazione del settore pubblico non è corrisposta un’altrettanto 
forte capacità di messa in opera, specialmente a livello centrale. Nel confronto con 
la Francia, infatti, da un lato l’Italia spicca per una più intensa attività di 
normazione in materia di pubblica amministrazione e per una maggiore radicalità 
delle innovazioni, dall’altro molto maggiore sembra essere  l’abilità della 
burocrazia francese di mettere in atto le riforme, di progettare e di perseguire 
obiettivi soddisfacenti. 
                                                 
5
 Lo Stato “sovraccarico”: in questo contesto si è spesso utilizzato il concetto di derivazione 
cibernetica, di sovraccarico (overload) per definire la situazione nella quale si troverebbero i 
governi. Alla radice di questa situazione ci sarebbe lo squilibrio tra le aspettative della società nei 
confronti della funzione di governo e le capacità delle istituzioni statali di soddisfarle. La grande 
riscoperta del “mercato” e delle sue potenzialità come strumento di regolazione di importanti 
aspetti della vita sociale, che ha caratterizzato gli ultimi due decenni, non solo sul piano delle idee 
ma anche più concretamente delle politiche pubbliche, può essere interpretato forse proprio come 
un meccanismo di aggiustamento di sistemi politici che avevano scoperto di essere diventati 
eccessivamente “sovraccarichi”. Si veda in merito WRIGHT, V. (a cura di) 1994, Privatizzazione 
in Western Europe: Pressures, Problems and Paradoxes. 
 
 14
Il metodo della pianificazione per obiettivi, che si compone nella catena: 
programmazione, gestione e controllo – valutazione - validazione, è incentrato 
sull’analisi costi/benefici. Nella pubblica amministrazione l’applicazione 
sistematica di questo metodo di gestione permette di aumentare la trasparenza 
delle decisioni politiche, rafforzando le basi della democrazia liberale (Petroni, 
2004). L’introduzione dell’analisi costi/benefici nella gestione della res pubblica, 
tanto nella fase di programmazione quanto di consuntivo, ha rappresentato la 
principale novità amministrativa degli ultimi decenni. L’introduzione 
generalizzata di questa analisi come guida per l’azione politica e per l’azione 
amministrativa in un Paese dalla tradizione costituzionale e amministrativa come 
l’Italia  richiede un passaggio fondamentale, che è di tipo sia normativo che 
culturale. In effetti, l’uso generalizzato dell’analisi costi/benefici viene spesso 
rimproverato di essere basato su di una visione di stampo economicistico e 
utilitaristico dell’individuo: una visione che contrasterebbe con la visione 
dell’uomo e della soddisfazione dei suoi bisogni. In proposito, va sottolineato che 
l’analisi costi/benefici delle politiche pubbliche porta a un uso più efficiente delle 
risorse delle quali la mano pubblica può disporre. L’analisi costi/benefici, se è uno 
strumento obiettivo di misurazione della realtà economica, ha tuttavia delle 
profonde conseguenza sui sistemi politico-amministrativi una volta che venga 
adottata in modo sistematico. Un aspetto particolarmente rilevante sono le sue 
conseguenze proprio sul rapporto tra politica e amministrazione. Quando viene 
adottata in sede di programmazione, l’analisi costi/benefici equivale a dare una 
valutazione a diverse alternative di politiche pubbliche che non sono state ancora 
realizzate. Il risultato dell’analisi sarà che alcune politiche, possibili, saranno 
valutate come più efficienti di altre. Di fronte a questa valutazione, come si porrà 
il decisore politico? Sebbene il momento, tipicamente amministrativo, della 
valutazione costi/benefici nei Paesi dove la pratica è largamente e da più tempo 
diffusa non rappresenti un vincolo giuridico alle decisioni degli organi politici, è 
del tutto evidente come esso rappresenti comunque una limitazione di fatto della 
loro discrezionalità. Vi è chi potrebbe vedere in questo un pericolo, ovvero il 
pericolo di favorire un approccio tecnocratico alle decisioni pubbliche, a scapito 
dei principi del governo democratico.  
 15
Questo pericolo sembrerebbe scarsamente rilevante perché l’applicazione 
sistematica dell’analisi costi/benefici tende ad aumentare la trasparenza delle 
decisioni politiche, e quindi a rafforzare le fondamenta della autentica democrazia 
liberale. (Petroni, 2004) 
L’aspetto economicistico del metodo della pianificazione per obiettivi si scontra 
con alcune caratteristiche della pubblica amministrazione; sono peculiarità che 
rendono impossibile una gestione di tipo privatistico: 
• La natura eterogenea dei prodotti dell’attività, che è diretta conseguenza 
dell’evoluzione dell’intervento pubblico.  
• La specificità della conoscenza normativa. Gli atti amministrativi sono in 
alcuni casi strumento diretto di attuazione delle leggi e da esse discendono 
direttamente, mentre altre volte costituiscono lo strumento di regolazione di 
rapporti negoziali, in termini economici di regolazione degli scambi. 
• L’interdipendenza tra riti e tempi gestionali e riti e tempi istituzionali. Il 
processo decisionale è condizionato dai tempi e dai ritmi che riguardano il 
momento istituzionale quale: crisi di governo, elezione, formazione governo. 
Si assiste ad una forte accelerazione dei lavori pubblici in prossimità delle 
elezioni e rallentamenti nei blocchi decisionali legati alla sfera politica. 
• L’oggettiva complessità logica nella valutazione della attività amministrativa.  
Nel privato il criterio di valutazione è la redditività della impresa, gli indici 
misurano la performance della impresa; questo bagaglio non può essere usato 
nel pubblico perché le logiche di mercato non sono presenti. 
• Lo stato giuridico dei dipendenti pubblici. La convergenza dello status quo è 
un elemento di freno all’innovazione (sia nell’assunzione che nella cessazione 
del rapporto). 
• L’influenza politica. I programmi dei partiti politici e le leggi influenzano 
anche dal punto di vista economico.  
A titolo di esempio l’effetto annunciato, cioè dire prima quello che si farà, è 
una specificità della pubblica amministrazione ed è influente perché scatena 
mobilitazione. Un altro esempio: la dimensione politica crea resistenza 
all’aumento delle tariffe perché questo non crea consenso. Inoltre, quasi mai 
l’utente del servizio sopporta l’onere, c’è sempre un “terzo pagatore”. (a titolo 
 16
di esempio, gli anziani sono esenti e sono anche quelli che utilizzano 
maggiormente i servizi sanitari, a fronte di maggiori costi ci sono categorie 
che non sopportano l’onere). 
• L’assenza del prezzo. Non c’è prezzo perché non c’è mercato. Viene a 
mancare quindi la funzione di apprezzamento o deprezzamento di un prodotto, 
senza prezzo/mercato non si crea la selezione. L’assenza del prezzo rende 
l’offerta sempre uguale e la domanda diventa infinita, ne è un esempio l’abuso 
della prescrizione di farmaci quando non c’è il ticket. (Borgonovi, 2000) 
 
 17
1.4  Il caso italiano 
 
Il processo di cambiamento dei modelli di gestione amministrativa ha preso avvio 
in Italia con un decennio di ritardo rispetto all’esperienza anglosassone, ovvero a 
partire dai primi anni novanta. Il rapporto Giannini del 1979 
6
 aveva in realtà già 
tracciato le linee principali della riforma in senso aziendale della pubblica 
amministrazione
7
, ma durante gli anni ottanta non erano ancora mature le 
condizioni, politiche e sociali, per introdurre un mutamento di così ampio respiro. 
È evidente come l’impostazione dirigistica e burocratizzante dell’”apparato” abbia 
ostacolato, di fatto, il cambiamento albeggiante, trincerandosi dietro 
un’applicazione pedissequa della norma. Non va dimenticato come il modello 
italiano di pubblica amministrazione abbia storicamente incarnato i principi di 
funzionamento della burocrazia legale–razionale basati su una rigida applicazione 
del dato normativo (Gualmini, 2003). 
I primi anni novanta inaugurarono una stagione intensa di riforme riguardante 
soprattutto i processi di gestione amministrativa. I motivi che permettono di 
rendere ragione delle innovazioni varate in quel decennio sono: l’urgenza di 
rimettere in sesto i conti dello Stato in vista dell’entrata nella Unione Monetaria 
Europea (che implicava anche la riorganizzazione del settore pubblico); le 
opportunità presentatesi ai governi tecnici di Amato e Ciampi di superare i veti 
dei partiti, coinvolti nella crisi seguita a Tangentopoli; la mancata opposizione dei 
sindacati che vedevano nella progressiva delegificazione la possibilità di 
incrementare la propria area di influenza; e infine il desiderio di emulare 
l’esperienza di altre democrazie europee. 
La logica prevalente è stata quella delle riforme che si sono potute configurare 
come tali solo grazie alla capacità decisionale di alcuni governi che negli anni ’90 
sono riusciti a superare le numerose resistenze settoriali. Questa impostazione ha 
incontrato una duplice difficoltà, metodologica e strumentale. La prima, causata 
                                                 
6
 Massimo Severo Giannini è stato  Ministro della Funzione Pubblica nel 1979. Il rapporto 
Giannini tratta dei principali problemi dell’Amministrazione dello Stato, viene trasmesso alle 
Camere il 16 novembre 1979. 
7
 Il Rapporto Giannini, come subito sarebbe stato chiamato, costituì il portato migliore di quel 
riformismo amministrativo che, seppure spesso sconfitto, aveva tuttavia proposto costantemente, 
sin dal dopoguerra, un’alternativa al modello burocratico dominante. (Melis, 1996: 501) 
 18
dall’eccessivo formalismo dovuto all’applicazione del modello ope-legis; la 
seconda dalla mancanza di una preventiva predisposizione e coinvolgimento degli 
attori del processo di cambiamento, vale a dire gli stessi burocrati (Fedele, 1998). 
 Se il ciclo delle riforme è stato impetuoso dal punto di vista della produzione 
legislativa, va aggiunto tuttavia che numerosi ostacoli gravano ancora sulla fase di 
implementazione. Permangono nei primi anni del duemila accentuate disparità nei 
livelli di recepimento delle innovazioni fra gli enti, i comparti e le aree territoriali. 
Va sottolineato inoltre che le riforme manageriali hanno maggiormente coinvolto 
gli enti locali rispetto ai ministeri, sia perché la normativa si è dapprima rivolta a 
questo settore sia perché le tecniche introdotte risultano più facilmente utilizzabili 
nelle strutture a diretto contatto con gli utenti. 
Ciò nonostante, gli stili di gestione aziendale sono diventati, così come aveva 
auspicato Giannini nel 1979, i parametri di riferimento del processo di 
cambiamento della pubblica amministrazione che ha inciso su almeno cinque 
dimensioni.  
a) il procedimento amministrativo;  
b) la valutazione dei risultati;  
c) il sistema dei controlli;  
d) i rapporti con i cittadini;  
e) la comunicazione e l’informazione. 
 
I tentativi di riforma dei rapporti tra pubbliche amministrazioni e cittadini devono 
necessariamente farsi risalire alle due leggi fondamentali del 1990, la n. 142 dell’8 
Giugno 1990 “ordinamento delle autonomie locali” e la n. 241 del 7 Agosto 1990 
“nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai 
documenti amministrativi”. Queste leggi, come è noto, hanno profondamente 
modificato la posizione del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione 
e hanno aperto la strada a un radicale processo di trasformazione dell’agire 
amministrativo stabilendo alcuni principi fondamentali. In particolare assumono 
rilevanza i principi di garanzia formale (previsione di un termine di conclusione 
del procedimento, obbligo di adozione di un provvedimento espresso e motivato, 
individuazione di un responsabile dell’intero iter procedimentale); di garanzia 
 19
sostanziale (partecipazione dei cittadini al procedimento in funzione di 
“coamministrazione”, affermazione di un modello “negoziale” di azione 
amministrativa); di economicità (che rinvia, a sua volta, al principio di 
semplificazione, qui inteso come massima riduzione degli adempimenti 
burocratici a carico dei cittadini); di pubblicità (conoscenza e comunicazione degli 
atti della pubblica amministrazione, disponibilità delle informazioni presso le 
pubbliche amministrazioni e diritto di accesso alle stesse da parte dei cittadini). 
Ma, al di là dei principi sanciti dalle due leggi, il dato più rilevante è proprio 
l’emergere di un diverso rapporto fra cittadini e pubblica amministrazione dove, 
rispetto al profilo della mera protezione degli interessi e dei diritti particolari dei 
cittadini che possono venir lesi dall’esercizio del potere amministrativo, assume 
sempre maggiore importanza il profilo dell’efficace soddisfazione, proprio 
attraverso l’azione amministrativa, dell’interesse pubblico, che viene a 
identificarsi con l’”interesse del pubblico”, inteso come interesse collettivo, 
affidato alla cura dell’amministrazione, che si concretizza in capo al singolo 
cittadino. Ciò, nella prospettiva di un’amministrazione che sempre più spesso si 
presenta come soggetto che eroga un servizio o prestazione, e non come soggetto 
che esercita un potere giuridico in modo autoritativo.  
Con questi strumenti legislativi, tanto numerosi quanto estremamente tecnici, si è 
trasmessa l’idea che il cambiamento era l’inevitabile sbocco alla crescente 
esigenza di trasparenza e partecipazione del cittadino. 
Il cittadino non è portatore di un interesse diverso da quello curato 
dall’amministrazione, ma proprio dello stesso interesse a essa affidato, con la 
conseguenza che il procedimento amministrativo non è più visto solo come 
strumento “garantista”, ma soprattutto come strumento attraverso il quale il 
cittadino è chiamato a “partecipare” all’azione delle pubbliche amministrazioni 
(Lacava e  Vecchi, 1995:193).