6
La tesi prende in considerazione l’argomento e sostiene che il cambiamento, per
essere efficace, deve partire dal basso ed incidere sul senso di responsabilità dei
soggetti in gioco; ovviamente questo processo di mutazione del burocrate deve, a
mio avviso, lasciare immutato il contesto etico dello scenario, sia quello
individuale che quello della società. I principi e l’etica professionale nella
pubblica amministrazione sono ben definiti nel codice etico dell’American Society
for Public Administration del 1994 (Pasini, 1996, 183-195).
La tesi si snoda in cinque capitoli a loro volta suddivisi in tre parti. Il primo
capitolo affronta i problemi della burocrazia, dimostrando come l’imposizione di
uno strumento legislativo del cambiamento, unito all’inevitabile confronto ed
all’effetto trainante dell’Europa, ma, disgiunto da una sostanziale impreparazione
del corpus burocratico, ha rallentato e, talvolta, ostacolato il cambiamento. In
Sanità, questo processo è stato un po’ più fluente; l’utilizzo di criteri di
governance, uniti all’esigenza di far quadrare i conti e dare ascolto agli ineludibili
bisogni del cittadino, ha, obtorto collo , creato le condizioni per una forzata
inversione di rotta. Questo è il motivo che mi ha spinto a trattare l’argomento
nelle Aziende Sanitarie (aziende ospedaliere e aziende sanitarie locali) .
Nel secondo capitolo ho espanso il core della materia, affrontando la trattazione
specifica di quanto enunciato sopra; in buona sostanza ho voluto tratteggiare la
figura del professionista in sanità, il contesto in cui opera e gli strumenti che la
normativa ha messo a disposizione per favorire il più possibile che l’agire si
discosti da quello burocratico.
Il terzo capitolo racchiude tutti gli aspetti che attengono ai bisogni del cittadino,
alle sue aspettative, alla percezione degli effetti ed all’esigenza di semplificazione
amministrativa; in estrema sintesi questa parte comprende tutto ciò che lo stato ha
voluto fare e ciò che il cittadino ha ottenuto; ho cercato di rappresentare il gap tra
gli aspetti teorici e la concretezza del processo in sanità.
7
Gli ultimi due capitoli sono dedicati al caso studio. Ho preso in considerazione
l’azienda in cui lavoro, l’Azienda Sanitaria Locale della provincia di Cremona, ne
ho descritta l’organizzazione, ho elencato gli sforzi del cambiamento ed ho
esemplificato, con la descrizione dell’Ufficio di Assistenza alle Imprese, il caso
pratico attuativo. La scelta della direzione strategica di istituire un ufficio per
assistere e informare gli imprenditori è rilevante, non solo per l’innovazione
organizzativa introdotta, ma soprattutto per il contestuale intervento sulla
professionalità di dirigenti e personale di comparto.
Infine ho tratteggiato diffusamente le conclusioni su cui poggia la mia tesi.
Negli anni ’90 il legislatore si è sforzato di incanalare il cambiamento attraverso
lo strumento che gli è proprio: la norma. Tuttavia, proprio la Pubblica
Amministrazione di questi anni ha dimostrato che solo ove il cambiamento è stato
“digerito e metabolizzato” dai soggetti attivi, è stato percepito all’esterno;
l’esempio portato nella tesi dimostra quanto asserisco. Anche in questo caso posso
affermare che ogni cambiamento non può prescindere dalla partecipazione attiva,
etica e responsabile dei soggetti.
8
PARTE I
Le riforme della pubblica amministrazione: gli anni Novanta
9
CAPITOLO I
Dal modello weberiano alla New Public Management
Sommario: 1.1. Introduzione – 1.2. La governance – 1.3. Il processo di
aziendalizzazione della pubblica amministrazione – 1.4. Il caso italiano – 1.5. La
burocrazia italiana e l’egemonia dei giuristi – 1.6. L’innovazione nella pubblica
amministrazione come processo culturale
1.1 Introduzione
È difficile interpretare lo scenario innovativo della Pubblica Amministrazione
dopo che i governanti che si sono avvicendati in questi ultimi anni hanno messo
mano in maniera diversa, più o meno radicale, più o meno decisa, all’esigenza
innovativa scaturita dalla nostra società. È per questo che bisogna capire:
- “lo stato dell’arte” attuale del processo innovativo sostenuto dai governi;
- la meta futura a cui potrà giungere il processo di governance
1
dei sistemi politici
occidentali.
Il processo di aziendalizzazione ha introdotto nella pubblica amministrazione
alcuni concetti economici importati derivanti dal privato; il più importante è la
pianificazione per obiettivi.
In Italia questo processo d’innovazione, avviato negli anni 90 e fortemente voluto
a livello legislativo, si è scontrato con la burocrazia e l’egemonia dei giuristi.
Occorre tempo e coinvolgimento dal basso per far si che il cambiamento possa
penetrare ed incidere sulla cultura aziendale.
In questo capitolo si è cercato di evidenziare quali sono gli approcci più recenti
sulle politiche di riforma amministrativa, cercando di sottolineare i limiti di queste
ultime se applicate nel nostro Paese. Contestualmente si è cercato di definire la
burocrazia italiana di fronte alle politiche di riforma amministrativa.
1
Sul concetto di governance si vedano le pagine seguenti.
10
1.2 La governance
Il processo di aziendalizzazione o governance delle pubbliche amministrazioni è
un percorso ineludibile dopo che tutto il mondo occidentale ha intrapreso
un’opera di snellimento burocratico a seguito delle crisi economico-finanziarie
conseguenti la crisi energetica degli anni ’70 e gli sconquassi sociali a cui stiamo
assistendo.
Negli ultimi venti anni si possono ritrovare due filoni culturali che sono diventati
vere ortodossie del cambiamento amministrativo soprattutto, ma ormai non solo,
negli Stati Uniti e nei paesi di lingua anglosassone.
A partire dagli anni ottanta, sono stati elaborati una serie di paradigmi che hanno
ispirato l’intervento dei governi nell’attività di riforma del settore pubblico. Il
centro dell’attenzione si è dunque spostato dallo studio delle proprietà strutturali
degli assetti amministrativi a quello delle politiche pubbliche volte a modificarli e
a modernizzarli. Ci si riferisce principalmente al New Public Management
2
(NPM) e alla governance theory
3
, entrambi particolarmente prolifici negli anni
novanta. Il primo prende le mosse dalla tradizione di business administration
statunitense che dai lavori di Taylor
4
in avanti si è particolarmente diffusa nel
contesto anglosassone e che ha avuto come priorità quella di migliorare
l’efficienza e l’economicità del settore pubblico.
[…“L’approccio della governance costituisce una sorta di risposta europea al
managerialismo americano, facendo leva sui valori dell’equità e della
partecipazione, intesi come obiettivi strategici di qualsiasi riforma del settore
pubblico.”…] (Gualmini, 2003:16).
2
Le origini e le evoluzioni del New Public Management (NPM)sono state efficacemente descritte
da Christopher Hood in un noto saggio del 1991 (A Public Management for All Seasons?).
Numerosi autori hanno cercato di esaminare se e in che modo gli apparati amministrativi siano
stati in grado di recepire e applicare gli insegnamenti del NPM (Zifcak 1994; Flynn e Strehl 1996;
Farnham ed al.1996; Lane 1997)
3
governance theory: l’autore che ha cercato di circoscrivere operativamente il concetto con
riferimento allo studio delle riforme amministrative è sicuramente Rhodes (1996a;1997). I lavori
di Rhodes sono stati integrati da altri ricercatori e in particolare dal gruppo di studiosi guidato da
Kickert (1997°; 1997b)
4
Il cosi detto “taylorismo”, è una teoria economica dell’organizzazione scientifica del lavoro,
elaborata all’inizio del Novecento dall’ingegnere statunitense Frederick W. Taylor
11
Il termine governance, utilizzato in contrapposizione a quello di government, si
riferisce al superamento o meglio alla dissoluzione dei modelli dirigistici di
direzione politica, in cui lo stato era l’attore dominante, e all’emergere di relazioni
orizzontali e cooperative tra Stato e società.
Il concetto sarebbe utile dunque per segnalare in altre parole il passaggio dalle
forme gerarchiche di programmazione del policy making a forme alternative, che
gerarchiche non sono, come quelle di mercato, della comunità e soprattutto della
rete.
In queste nuove forme di coordinamento dei processi decisionali la partecipazione
è aperta e gli scambi sono continui.
L’applicazione dell’approccio della governance allo studio delle riforme
amministrative avrebbe quindi la finalità di mettere in risalto le nuove opportunità
di partecipazione dei cittadini all’erogazione dei servizi e quindi la possibilità da
parte di questi ultimi di esercitare un controllo sul grado di equità dell’azione
amministrativa (il concetto di governance sanitaria verrà affrontato al punto 2.4,
in questo capitolo).
E’ indubbio che le riforme citate abbiano inteso sostituire all’approccio
burocratico stili e modelli di gestione di tipo aziendale. Il New Public
Management da un lato e il paradigma della governance dall’altro, il primo
incentrato sull’imperativo dell’efficienza, il secondo su quello della qualità e della
trasparenza, costituiscano i due perni intorno a cui è ruotato il processo di policy
change (Gualmini, 2003).
L’adozione delle tecniche manageriali è stata una policy cavalcata sia dai governi
di centro-destra (si veda, a titolo di esempio: Stati Uniti e Regno Unito) che da
quelli di centro-sinistra (si veda, a titolo di esempio: Italia, Francia e Spagna). Il
mito dell’efficienza sembra aver esercitato un fascino diffuso, al di là di ogni
credo politico e al di là della capacità dei singoli governi di dare attuazione agli
obiettivi prefissati nelle leggi.
Più in dettaglio, per quanto riguarda il funzionamento interno delle
amministrazioni, in alcuni paesi (si veda, a titolo di esempio: Stati Uniti, Regno
Unito, Francia, Italia, Spagna, Germania) è stato adottato il metodo della
12
pianificazione per obiettivi che si compone nella catena: programmazione –
gestione – controllo – valutazione - validazione del modello.
Bisogna, tuttavia, far notare una differenza di fondo che riguarda i due tipi di
approccio o la metodologia di aggressione del problema. In estrema sintesi si sono
confrontati sul tema due scuole metodologiche: quella nord americana, basata sul
pragmatismo e sulla prassi consolidata da norme diffuse e trasversali e quella
latina improntata all’adozione di un metodo codificato e burocratizzante.
13
1.3 Il processo di aziendalizzazione della pubblica amministrazione
Sino alla fine degli anni settanta, la centralità in Europa del modello burocratico di
tipo legale – razionale non è mai stata messa in discussione. L’amministrazione
weberiana continuava ad essere considerata come il principale strumento
operativo dello stato moderno, nonostante il passaggio delle funzioni regolative
dello stato “limitato” ai compiti e alle attività di intervento che sempre più
caratterizzavano lo stato “sovraccarico” dell’era del welfare.
5
Nell’ultima parte
del XX secolo, le amministrazioni centrali europee hanno infatti preso le distanze
dal modello burocratico (per quanto riguarda il modello burocratico si rimanda al
paragrafo 2.2.), cercando di incorporare razionalità e tecniche di gestione tipiche
del settore privato, maggiormente orientate al risultato. Si può asserire che la
traiettoria manageriale è stata certamente intrapresa dai diversi paesi come
orientamento dominante della riforma amministrativa, ma che questa traiettoria è
stata costantemente filtrata dalla storia e dalle istituzioni nazionali con risultati
non sempre congruenti rispetto ai principi teorici del New Public Management.
Per quanto riguarda la capacità dei governi di dare realizzazione alle innovazione,
il caso italiano è sintomatico. Ad una prolifica attività di formulazione delle
politiche di modernizzazione del settore pubblico non è corrisposta un’altrettanto
forte capacità di messa in opera, specialmente a livello centrale. Nel confronto con
la Francia, infatti, da un lato l’Italia spicca per una più intensa attività di
normazione in materia di pubblica amministrazione e per una maggiore radicalità
delle innovazioni, dall’altro molto maggiore sembra essere l’abilità della
burocrazia francese di mettere in atto le riforme, di progettare e di perseguire
obiettivi soddisfacenti.
5
Lo Stato “sovraccarico”: in questo contesto si è spesso utilizzato il concetto di derivazione
cibernetica, di sovraccarico (overload) per definire la situazione nella quale si troverebbero i
governi. Alla radice di questa situazione ci sarebbe lo squilibrio tra le aspettative della società nei
confronti della funzione di governo e le capacità delle istituzioni statali di soddisfarle. La grande
riscoperta del “mercato” e delle sue potenzialità come strumento di regolazione di importanti
aspetti della vita sociale, che ha caratterizzato gli ultimi due decenni, non solo sul piano delle idee
ma anche più concretamente delle politiche pubbliche, può essere interpretato forse proprio come
un meccanismo di aggiustamento di sistemi politici che avevano scoperto di essere diventati
eccessivamente “sovraccarichi”. Si veda in merito WRIGHT, V. (a cura di) 1994, Privatizzazione
in Western Europe: Pressures, Problems and Paradoxes.
14
Il metodo della pianificazione per obiettivi, che si compone nella catena:
programmazione, gestione e controllo – valutazione - validazione, è incentrato
sull’analisi costi/benefici. Nella pubblica amministrazione l’applicazione
sistematica di questo metodo di gestione permette di aumentare la trasparenza
delle decisioni politiche, rafforzando le basi della democrazia liberale (Petroni,
2004). L’introduzione dell’analisi costi/benefici nella gestione della res pubblica,
tanto nella fase di programmazione quanto di consuntivo, ha rappresentato la
principale novità amministrativa degli ultimi decenni. L’introduzione
generalizzata di questa analisi come guida per l’azione politica e per l’azione
amministrativa in un Paese dalla tradizione costituzionale e amministrativa come
l’Italia richiede un passaggio fondamentale, che è di tipo sia normativo che
culturale. In effetti, l’uso generalizzato dell’analisi costi/benefici viene spesso
rimproverato di essere basato su di una visione di stampo economicistico e
utilitaristico dell’individuo: una visione che contrasterebbe con la visione
dell’uomo e della soddisfazione dei suoi bisogni. In proposito, va sottolineato che
l’analisi costi/benefici delle politiche pubbliche porta a un uso più efficiente delle
risorse delle quali la mano pubblica può disporre. L’analisi costi/benefici, se è uno
strumento obiettivo di misurazione della realtà economica, ha tuttavia delle
profonde conseguenza sui sistemi politico-amministrativi una volta che venga
adottata in modo sistematico. Un aspetto particolarmente rilevante sono le sue
conseguenze proprio sul rapporto tra politica e amministrazione. Quando viene
adottata in sede di programmazione, l’analisi costi/benefici equivale a dare una
valutazione a diverse alternative di politiche pubbliche che non sono state ancora
realizzate. Il risultato dell’analisi sarà che alcune politiche, possibili, saranno
valutate come più efficienti di altre. Di fronte a questa valutazione, come si porrà
il decisore politico? Sebbene il momento, tipicamente amministrativo, della
valutazione costi/benefici nei Paesi dove la pratica è largamente e da più tempo
diffusa non rappresenti un vincolo giuridico alle decisioni degli organi politici, è
del tutto evidente come esso rappresenti comunque una limitazione di fatto della
loro discrezionalità. Vi è chi potrebbe vedere in questo un pericolo, ovvero il
pericolo di favorire un approccio tecnocratico alle decisioni pubbliche, a scapito
dei principi del governo democratico.
15
Questo pericolo sembrerebbe scarsamente rilevante perché l’applicazione
sistematica dell’analisi costi/benefici tende ad aumentare la trasparenza delle
decisioni politiche, e quindi a rafforzare le fondamenta della autentica democrazia
liberale. (Petroni, 2004)
L’aspetto economicistico del metodo della pianificazione per obiettivi si scontra
con alcune caratteristiche della pubblica amministrazione; sono peculiarità che
rendono impossibile una gestione di tipo privatistico:
• La natura eterogenea dei prodotti dell’attività, che è diretta conseguenza
dell’evoluzione dell’intervento pubblico.
• La specificità della conoscenza normativa. Gli atti amministrativi sono in
alcuni casi strumento diretto di attuazione delle leggi e da esse discendono
direttamente, mentre altre volte costituiscono lo strumento di regolazione di
rapporti negoziali, in termini economici di regolazione degli scambi.
• L’interdipendenza tra riti e tempi gestionali e riti e tempi istituzionali. Il
processo decisionale è condizionato dai tempi e dai ritmi che riguardano il
momento istituzionale quale: crisi di governo, elezione, formazione governo.
Si assiste ad una forte accelerazione dei lavori pubblici in prossimità delle
elezioni e rallentamenti nei blocchi decisionali legati alla sfera politica.
• L’oggettiva complessità logica nella valutazione della attività amministrativa.
Nel privato il criterio di valutazione è la redditività della impresa, gli indici
misurano la performance della impresa; questo bagaglio non può essere usato
nel pubblico perché le logiche di mercato non sono presenti.
• Lo stato giuridico dei dipendenti pubblici. La convergenza dello status quo è
un elemento di freno all’innovazione (sia nell’assunzione che nella cessazione
del rapporto).
• L’influenza politica. I programmi dei partiti politici e le leggi influenzano
anche dal punto di vista economico.
A titolo di esempio l’effetto annunciato, cioè dire prima quello che si farà, è
una specificità della pubblica amministrazione ed è influente perché scatena
mobilitazione. Un altro esempio: la dimensione politica crea resistenza
all’aumento delle tariffe perché questo non crea consenso. Inoltre, quasi mai
l’utente del servizio sopporta l’onere, c’è sempre un “terzo pagatore”. (a titolo
16
di esempio, gli anziani sono esenti e sono anche quelli che utilizzano
maggiormente i servizi sanitari, a fronte di maggiori costi ci sono categorie
che non sopportano l’onere).
• L’assenza del prezzo. Non c’è prezzo perché non c’è mercato. Viene a
mancare quindi la funzione di apprezzamento o deprezzamento di un prodotto,
senza prezzo/mercato non si crea la selezione. L’assenza del prezzo rende
l’offerta sempre uguale e la domanda diventa infinita, ne è un esempio l’abuso
della prescrizione di farmaci quando non c’è il ticket. (Borgonovi, 2000)
17
1.4 Il caso italiano
Il processo di cambiamento dei modelli di gestione amministrativa ha preso avvio
in Italia con un decennio di ritardo rispetto all’esperienza anglosassone, ovvero a
partire dai primi anni novanta. Il rapporto Giannini del 1979
6
aveva in realtà già
tracciato le linee principali della riforma in senso aziendale della pubblica
amministrazione
7
, ma durante gli anni ottanta non erano ancora mature le
condizioni, politiche e sociali, per introdurre un mutamento di così ampio respiro.
È evidente come l’impostazione dirigistica e burocratizzante dell’”apparato” abbia
ostacolato, di fatto, il cambiamento albeggiante, trincerandosi dietro
un’applicazione pedissequa della norma. Non va dimenticato come il modello
italiano di pubblica amministrazione abbia storicamente incarnato i principi di
funzionamento della burocrazia legale–razionale basati su una rigida applicazione
del dato normativo (Gualmini, 2003).
I primi anni novanta inaugurarono una stagione intensa di riforme riguardante
soprattutto i processi di gestione amministrativa. I motivi che permettono di
rendere ragione delle innovazioni varate in quel decennio sono: l’urgenza di
rimettere in sesto i conti dello Stato in vista dell’entrata nella Unione Monetaria
Europea (che implicava anche la riorganizzazione del settore pubblico); le
opportunità presentatesi ai governi tecnici di Amato e Ciampi di superare i veti
dei partiti, coinvolti nella crisi seguita a Tangentopoli; la mancata opposizione dei
sindacati che vedevano nella progressiva delegificazione la possibilità di
incrementare la propria area di influenza; e infine il desiderio di emulare
l’esperienza di altre democrazie europee.
La logica prevalente è stata quella delle riforme che si sono potute configurare
come tali solo grazie alla capacità decisionale di alcuni governi che negli anni ’90
sono riusciti a superare le numerose resistenze settoriali. Questa impostazione ha
incontrato una duplice difficoltà, metodologica e strumentale. La prima, causata
6
Massimo Severo Giannini è stato Ministro della Funzione Pubblica nel 1979. Il rapporto
Giannini tratta dei principali problemi dell’Amministrazione dello Stato, viene trasmesso alle
Camere il 16 novembre 1979.
7
Il Rapporto Giannini, come subito sarebbe stato chiamato, costituì il portato migliore di quel
riformismo amministrativo che, seppure spesso sconfitto, aveva tuttavia proposto costantemente,
sin dal dopoguerra, un’alternativa al modello burocratico dominante. (Melis, 1996: 501)
18
dall’eccessivo formalismo dovuto all’applicazione del modello ope-legis; la
seconda dalla mancanza di una preventiva predisposizione e coinvolgimento degli
attori del processo di cambiamento, vale a dire gli stessi burocrati (Fedele, 1998).
Se il ciclo delle riforme è stato impetuoso dal punto di vista della produzione
legislativa, va aggiunto tuttavia che numerosi ostacoli gravano ancora sulla fase di
implementazione. Permangono nei primi anni del duemila accentuate disparità nei
livelli di recepimento delle innovazioni fra gli enti, i comparti e le aree territoriali.
Va sottolineato inoltre che le riforme manageriali hanno maggiormente coinvolto
gli enti locali rispetto ai ministeri, sia perché la normativa si è dapprima rivolta a
questo settore sia perché le tecniche introdotte risultano più facilmente utilizzabili
nelle strutture a diretto contatto con gli utenti.
Ciò nonostante, gli stili di gestione aziendale sono diventati, così come aveva
auspicato Giannini nel 1979, i parametri di riferimento del processo di
cambiamento della pubblica amministrazione che ha inciso su almeno cinque
dimensioni.
a) il procedimento amministrativo;
b) la valutazione dei risultati;
c) il sistema dei controlli;
d) i rapporti con i cittadini;
e) la comunicazione e l’informazione.
I tentativi di riforma dei rapporti tra pubbliche amministrazioni e cittadini devono
necessariamente farsi risalire alle due leggi fondamentali del 1990, la n. 142 dell’8
Giugno 1990 “ordinamento delle autonomie locali” e la n. 241 del 7 Agosto 1990
“nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi”. Queste leggi, come è noto, hanno profondamente
modificato la posizione del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione
e hanno aperto la strada a un radicale processo di trasformazione dell’agire
amministrativo stabilendo alcuni principi fondamentali. In particolare assumono
rilevanza i principi di garanzia formale (previsione di un termine di conclusione
del procedimento, obbligo di adozione di un provvedimento espresso e motivato,
individuazione di un responsabile dell’intero iter procedimentale); di garanzia
19
sostanziale (partecipazione dei cittadini al procedimento in funzione di
“coamministrazione”, affermazione di un modello “negoziale” di azione
amministrativa); di economicità (che rinvia, a sua volta, al principio di
semplificazione, qui inteso come massima riduzione degli adempimenti
burocratici a carico dei cittadini); di pubblicità (conoscenza e comunicazione degli
atti della pubblica amministrazione, disponibilità delle informazioni presso le
pubbliche amministrazioni e diritto di accesso alle stesse da parte dei cittadini).
Ma, al di là dei principi sanciti dalle due leggi, il dato più rilevante è proprio
l’emergere di un diverso rapporto fra cittadini e pubblica amministrazione dove,
rispetto al profilo della mera protezione degli interessi e dei diritti particolari dei
cittadini che possono venir lesi dall’esercizio del potere amministrativo, assume
sempre maggiore importanza il profilo dell’efficace soddisfazione, proprio
attraverso l’azione amministrativa, dell’interesse pubblico, che viene a
identificarsi con l’”interesse del pubblico”, inteso come interesse collettivo,
affidato alla cura dell’amministrazione, che si concretizza in capo al singolo
cittadino. Ciò, nella prospettiva di un’amministrazione che sempre più spesso si
presenta come soggetto che eroga un servizio o prestazione, e non come soggetto
che esercita un potere giuridico in modo autoritativo.
Con questi strumenti legislativi, tanto numerosi quanto estremamente tecnici, si è
trasmessa l’idea che il cambiamento era l’inevitabile sbocco alla crescente
esigenza di trasparenza e partecipazione del cittadino.
Il cittadino non è portatore di un interesse diverso da quello curato
dall’amministrazione, ma proprio dello stesso interesse a essa affidato, con la
conseguenza che il procedimento amministrativo non è più visto solo come
strumento “garantista”, ma soprattutto come strumento attraverso il quale il
cittadino è chiamato a “partecipare” all’azione delle pubbliche amministrazioni
(Lacava e Vecchi, 1995:193).