1
La creatività non comincerebbe forse proprio da
questo sentimento perseverante, ossessivo, che
ci sia qualche cosa da capire, che ci sia qualche
cosa – non si sa esattamente cosa – da dire sul
mondo, da dire al mondo? Una passione
estetica? Una finalità senza contenuto e senza
fine?
[…] Cos’è la creatività di un pensiero, se non un
rapporto privilegiato che esso intrattiene con
l’episteme del suo tempo? Può essere efficace
come l’intento di un conferenziere che si adatta
al livello del suo pubblico, vuole essere bello
come una parola sulla bocca dell’amata. Se e
quando succede, è un momento di Kairos che ci
permette di sentirci un po’ meno soli. Alcuni la
confondono con l’originalità, il suo apparire
illusorio che si vende alle aste.
Rischiamo ad ogni istante di essere intrappolati
dalla singolarità. Vi può capitare di immaginare
che attraverso le astuzie dell’intelligenza vi
rendiate capaci di dire con semplicità alcune
semplici verità. Errore, il vostro interlocutore vi
dirà con tutta semplicità: ma è banale, caro
amico!
Da A. J. GREIMAS, “C’est très simple” ; Tr. It.
“È molto semplice…” in Miti e figure (1995).
2
PREFAZIONE
NOTA PERSONALE DELL’AUTORE
Da molti anni ormai, a chiunque mi chieda che cosa abbia intenzione di fare
dopo gli studi, rispondo fermamente di voler fare il pubblicitario. Il mio interesse
nei confronti dell’advertising risale ai tempi in cui ero ancora un infante. Due
semplici aneddoti saranno più che sufficienti a spiegarmi meglio.
Nella mia famiglia tutti ricordano che io, appena raggiunta l’età delle prime
parole, producevo di tanto in tanto una combinazione di suoni che potremmo
trascrivere in questo modo: E tu, e tu, tu tutte buttìe! I miei genitori non
riuscivano proprio a capire che cosa cercassi di dire. Poi un giorno ripetei quella
frase mentre in tv passava un vecchio spot della bibita Crodino. Nel filmato, un
barman stappava una fila di aperitivi e i tappi cadevano a terra con un rumore tipo
tu tu tu. Fu così che mio padre e mia madre capirono che io dicevo Tu tu tu tutte le
bottiglie! riferendomi allo spot Crodino. Almeno non ero pazzo.
Qualche tempo più tardi, la mia infanzia venne sconvolta da un altro evento:
un vecchio spot di Cesare Ragazzi mi terrorizzava. Vi si vedeva un uomo
inizialmente calvo a cui improvvisamente cresceva una folta capigliatura. Ogni
volta che lo vedevo, correvo ad attaccarmi alla sottana di mia madre.
Quando ripenso a questi episodi, mi sembra di leggervi una morale: è da
quando sono nato che sono destinato ad occuparmi di pubblicità.
Il mio interesse giustifica la scelta del percorso di studi: dopo il Liceo, ho
scelto Scienze della Comunicazione, nonostante l’insistenza di chi vedeva in me
un futuro da ingegnere, visti gli ottimi voti nelle materie scientifiche.
Nel corso di questi anni, ho affinato le mie competenze per un futuro da
pubblicitario. Ho capito che volevo fare il creativo, ovvero volevo inventare le
pubblicità, piuttosto che fare le analisi di mercato e di marketing, come gli
account o i marketing manager. Ho scoperto che il mestiere a cui pensavo aveva
un nome: il copywriter, ovvero colui che, in coppia con l’art director, si occupa
tendenzialmente della parte verbale dell’annuncio.
3
Ho letto e studiato vari libri di comunicazione pubblicitaria. Libri scritti da
professori, studiosi, grandi professionisti. Ho dato esami, ho fatto stage, ho
avviato collaborazioni.
Insomma, per anni il mio unico scopo in chiave professionale è stato quello
di arrivare presto a ricoprire il ruolo di creativo per inventare le pubblicità.
Ma, come si sa, nella vita la necessità di fare delle scelte può portare ad
imboccare strade fino a quel momento inaspettate. Dopo la laurea triennale
dovevo scegliere una laurea specialistica. La semiotica si era lentamente fatta
spazio nella mia mente, forse perché nel corso degli studi si era rivelata l’unica
disciplina, tra le tante affrontate, che si sforzasse di dire qualcosa di concreto e
sistematico sulla comunicazione. Da qui la scelta di intraprendere un corso di
laurea specialistica in semiotica. Da qui anche la voglia di non abbandonare lo
studio della semiotica appena terminati gli studi.
Così adesso mi trovo di fronte ad un bivio. Cosa scegliere? Occuparsi di
creatività pubblicitaria oppure di semiotica? Fare il creativo o fare il semiologo?
Ebbene, io sono convinto che queste due strade possano riunirsi appena
dietro l’angolo. Sono convinto che queste due prospettive siano conciliabili. Sono
convinto che si possa creare le pubblicità con una salda competenza semiotica alle
spalle. E diro di più: credo che la semiotica possa aiutare la creatività pubblicitaria
nel suo percorso produttivo, finalizzandola al meglio e ottimizzandone le risorse.
Sto parlando non di una semplice (e banale) semiotica della pubblicità,
ovvero di una semiotica che analizza i testi pubblicitari già prodotti. Bensì intendo
una semiotica della creatività pubblicitaria, che supporti l’invenzione creativa nel
suo farsi. Una semiotica che potrebbe proficuamente trovare posto in un’agenzia
pubblicitaria. Questo lavoro di tesi va in questa direzione: conciliare creatività,
pubblicità e semiotica.
4
INTRODUZIONE
Una nuova prospettiva:
semiotica e creatività pubblicitaria
Che cosa può dirci la semiotica a proposito della creatività, in particolare di
quella pubblicitaria? Il nostro lavoro nasce dal tentativo di dare una risposta a
questa domanda. Formulato così, è un quesito molto generico e molte questioni
possono essere affrontate. Non a caso, anche noi in questa sede ci occuperemo di
molteplici aspetti. Parleremo infatti dei rapporti tra semiotica e pubblicità, degli
strumenti metodologici che la semiotica mette a disposizione per analizzare i testi
pubblicitari, della complessa questione di una semiotica generativa capace di
intervenire nella fase produttiva di un testo pubblicitario. Cercheremo inoltre di
leggere i processi di creatività individuale alla luce delle dinamiche culturali nella
società.
Anche se le questioni in ballo sembrano numerose, in realtà sono tutte
riconducibili ad uno stesso tema che guida il nostro lavoro: se e come la semiotica
possa fungere da supporto alle creazione \ produzione di un messaggio
pubblicitario. Lo scopo principale del nostro studio è, in pratica, quello di dare
delle risposte plausibili alle seguenti domande. La semiotica può essere utile a
produrre testi pubblicitari? Determina maggiore consapevolezza “produttiva” in
chi è preposto alla creazione e alla realizzazione di questi testi? È possibile per il
semiotico intervenire anche ex ante, durante le fasi produttive, e non solo ex post,
cioè a produzione già avvenuta?
Prima di entrare nello specifico di questi argomenti, una buona introduzione
deve inquadrare questa problematica all’interno del percorso produttivo di un
testo pubblicitario. Ovvero: come è organizzato il lavoro in un’agenzia di
pubblicità e dove si colloca la fase creativa, della quale intendiamo principalmente
5
occuparci? Seguiamo Lombardi
1
nell’esposizione del classico iter di lavoro in
un’agenzia. Ammettiamo che un cliente nuovo venga contattato per la prima
volta. Il primo passo è il cosiddetto briefing: il cliente (rappresentato dal reparto
marketing, in particolare dal product \ brand manager) mette al corrente l’agenzia
(rappresentata dal reparto contact, in particolare dall’account executive) dei
problemi che vuole risolvere e degli obiettivi di natura commerciale che vuole
raggiungere. A questo punto, l’account executive deve organizzare il lavoro
dell’agenzia, razionalizzare i compiti da eseguire, chiamare ed informare gli
specialisti necessari al product team, a cui viene fornito il materiale informativo
necessario. Si appronta l’analisi situazionale, che inquadra il problema nel
mercato di riferimento. Il reparto planning è particolarmente coinvolto in questa
fase. Il primo passo produttivo avviene adesso: si stende la copy strategy, ovvero
la sintesi del pensiero strategico. Questo documento deve essere veramente
operativo, quindi chiaro, semplice, conciso e che contenga al suo interno la
visione di una strada comunicazionale rilevante e idealmente originale. In seguito,
si passa all’impostazione delle scelte di valori: come veicolare i contenuti della
copy strategy. In questo momento, assume grande rilevanza anche la strategia
media.
Il vero e proprio processo creativo inizia solo adesso, quando cioè il product
team dell’agenzia ha assimilato il briefing del cliente, dandosi delle coordinate di
senso e di valore che, auspicabilmente, hanno già al loro interno uno o più
elementi creativi. La copy strategy serve da base per la redazione del copy brief,
che chiarisce ai creativi il compito richiesto. Il gruppo creativo (copywriter e art
director, sotto la supervisione del direttore creativo) lavora ora in piena
autonomia, condizione basilare allo sviluppo del pensiero laterale, ricorrendo a
verifiche preliminari di quanto eseguito nelle diverse forme, più o meno
definitive. Tali verifiche possono essere all’interno del product team, oppure dei
pre-test, cioè indagini presso il consumatore.
Una volta trovata l’idea creativa e formulato il messaggio pubblicitario,
occorre presentarsi al cliente per l’approvazione del compito svolto. Raggiunto un
1
LOMBARDI M., Il nuovo manuale di tecniche pubblicitarie, Milano, Franco Angeli, 1998,
p. 40-42.
6
consenso (o più spesso un compromesso), si procede all’esecuzione dell’idea
oppure ad un nuovo studio creativo. Quando il messaggio, prodotto e pre-testato,
è pronto, viene consegnato ai media, che nel frattempo la centrale media avrà
comperato e prenotato. La campagna viene in seguito tenuta costantemente sotto
controllo; una campagna pubblicitaria, infatti, è come un organismo vivente, che
nasce, si sviluppa, invecchia. I post-test aiutano questo processo continuo di
valutazione.
Con questo lavoro, intendiamo occuparci specificamente della fase creativa,
lasciando sottintesa la precedente fase account \ marketing, così come le altre fasi
(verifica post-test, pianificazione media etc.). I motivi di questa scelta sono
essenzialmente due: innanzitutto, il nostro personale interesse verte sulla
dimensione creativa, e solo secondariamente sul lavoro di account o di marketing.
Inoltre, in semiotica molti studiosi si sono occupati di analisi dei messaggi
pubblicitari, ma, a nostro avviso, senza un’attenta considerazione della
dimensione creativo-produttiva. Infatti, sono numerosi i lavori di semiologi che
hanno lavorato ex post su testi pubblicitari già prodotti ai fini di un’analisi di
mercato, di marketing o di brand. Mentre, invece, non è facile rintracciare studi
semiotici sulla creatività e sulla produzione in pubblicità, ambiti nei quali la
semiotica potrebbe inserirsi e lavorare in progress (e non solamente a produzione
già avvenuta).
Fino ad ora, quando in semiotica si è parlato di creatività, non si è inteso
parlare di un atto privo di regole e improntato magari a genio o irrazionalità, come
sarebbe l’accezione di “creatività” secondo il senso comune. La semiotica ha
parlato invece di “creatività” riferita ad un codice che abbia la capacità di
modificare le sue caratteristiche iniziali in base a delle regole
2
. Non è questo che a
2
Stefano Gensini nel suo Manuale di semiotica passa in rassegna la trattazione della
“creatività” in semiotica. È possibile distinguere tre tipi di creatività: la creatività regolare,
proprietà per cui un codice può arricchire in modo illimitato il suo inventario di segni applicando
senza modificarle le regole di formazione-combinazione di cui dispone (Humboldt, Chomsky). La
creatività non regolare implica invece la possibilità che un codice accetti al suo interno, cioè senza
smettere di funzionare, segni costruiti in violazione contingente delle sue proprietà combinatorie.
Infine, la creatività di regole consiste nella possibilità di riformare interi pezzi del codice,
aggiungendo o togliendo regole, senza che questo cessi di funzionare (Wittgenstein). Per una
trattazione più estesa, cfr. GENSINI S., Manuale di semiotica, Roma, Carocci, 2004, p. 107-112.
7
noi interessa in questa sede. Quello che invece vogliamo fare è mettere “alla
prova” la semiotica sulla “creatività pubblicitaria”, seguendo cioè l’accezione più
comune di creatività (applicata alla dimensione produttiva della pubblicità). Così
facendo, ci sembra che il nostro lavoro acquisti una maggiore originalità teorica,
perché va ad inserirsi in un ambito quasi per niente dibattuto, che potrebbe
veramente essere foriero di nuove professionalità e interessanti spunti di
riflessione.
Con queste premesse, presentiamo l’organizzazione della nostra trattazione.
Il primo capitolo verte sul ruolo della pubblicità in una strategia di
marketing e spiega perché la semiotica è indicata per l’analisi di testi pubblicitari.
Il secondo capitolo inaugura la serie dedicata alla cosiddetta “scatola degli
attrezzi”, nella quale si vuole fornire una panoramica degli strumenti e delle
pertinenze dell’intervento semiotico in pubblicità. Inizialmente parleremo del
percorso generativo, con esempi concreti di analisi e momenti più prettamente
teorici. Nel terzo capitolo, ci concentreremo sul livello della manifestazione.
Infine, nel quarto capitolo cercheremo di comprendere nell’analisi il destinatario
della comunicazione pubblicitaria: polisensorialità, passioni, interpretazione.
Il quinto capitolo getta le basi di una semiotica produttiva e generativa.
Discuteremo alcune opinioni all’interno di un recente dibattito sulle possibilità di
una semiotica “produttiva” e cercheremo di capire come organizzare il lavoro di
analisi della semiotica “produttiva” (cioè ex ante) nel processo creativo
pubblicitario, senza incorrere nell’accusa di “genetico”.
Il sesto capitolo è quello più importante. Prosegue le considerazioni
sviluppate nel precedente capitolo. Propone un’analisi semiotica del processo
creativo ed uno schema di intervento della semiotica nel processo creativo.
Il settimo capitolo affronta la questione della creatività individuale del
creativo pubblicitario, legandola alle dinamiche culturali all’interno della società.
Le Conclusioni, infine, abbozzano la possibilità di generalizzare ad altri
ambiti produttivi le considerazioni svolte a proposito di una semiotica
“produttiva” in campo creativo-pubblicitario.
8
CAPITOLO UNO
Semiotica, marketing e pubblicità
Questo lavoro di tesi vuole essere un’analisi della creatività pubblicitaria e
del processo di creazione dei messaggi pubblicitari effettuata con uno “sguardo
semiotico”. Noi crediamo che la semiotica possa dire molto a questo riguardo, ma
prima di addentrarci nelle questioni più specifiche, occorre introdurre i nostri
argomenti e circoscrivere il focus dell’analisi.
È necessario spiegare esattamente di cosa stiamo parlando (la pubblicità), e
del perché usare una metodologia semiotica d’analisi. Qual è il ruolo della
pubblicità all’interno di una più generale strategia di marketing? Perché la
semiotica è la disciplina più indicata per l’analisi della pubblicità? A queste
domande cercheremo di rispondere rapidamente in questo primo capitolo di
carattere introduttivo.
1.1. PUBBLICITÀ E MARKETING MIX
Tutti sanno (più o meno) che cosa si intenda per pubblicità. Ma forse non
tutti hanno chiaro che la pubblicità è solo una componente comunicativa del mix
di comunicazione, ben più complesso e articolato della singola azione
pubblicitaria. A sua volta, ogni scelta di comunicazione è parte di una più
generale strategia di marketing, che trova applicazione attraverso il cosiddetto
marketing mix. Russell S. Winer spiega che il marketing mix è costituito da:
prezzo, comunicazione, promozione e canali di distribuzione. La coerenza della
comunicazione (intesa in termini di comunicazione integrata) è assicurata dal
communication mix:
L’obiettivo della comunicazione integrata di marketing è assicurare che tutti gli
elementi del mix di comunicazione siano coordinati con la strategia di marketing e
coerenti con il posizionamento del prodotto o servizio e la proposizione di valore del
segmento obiettivo […].
Mix di comunicazione
Pubblicità Marketing diretto Promozione Propaganda\Pubbliche relazioni Altro
9
Che cos’è allora la pubblicità? È semplicemente uno degli elementi del
communication mix:
[…] Tradizionalmente per pubblicità si intende una qualunque forma di
comunicazione non personale, posta in essere da un ente o istituzione dietro
pagamento di un compenso, relativa a un’organizzazione, prodotto, servizio o idea.
Ma ormai la pubblicità non è più necessariamente impersonale, perché può
dipendere in grande misura dalle interazioni tra l’organizzazione e un singolo ente
1
.
Anche Giulia Ceriani, autrice cui faremo spesso riferimento, considera la
pubblicità come uno degli elementi comunicativi (chiamiamoli testi) che
concorrono alla definizione dell’identità di una marca o di un prodotto:
[…] in una logica di communication mix non è difficile pensare l’identità di marca
come un macro-testo molto stratificato la cui coerenza e il mantenimento sono
assicurati dall’intervento semiotico:
MARCA
Concetto Logo Design\Pack Pubblicità\cataloghi Punto vendita
Manifestazione
Discorsività
Narratività
Valori
2
Adesso è un po’ più chiaro che cosa si intenda per pubblicità e quale sia il
suo ruolo all’interno della più generale strategia comunicativa di una marca o di
un prodotto. Cerchiamo ora di capire perché valga la pena applicare lo sguardo
semiotico alla pubblicità: quando si è iniziato a farlo e perché continuare a farlo.
1.2. SEMIOTICA E PUBBLICITÀ
Quand’è che la semiotica ha iniziato ad interessarsi all’analisi della
pubblicità? Rubando le parole a Ceriani
3
, la semiotica ha cominciato ad
interessarsi alle applicazioni concrete (né letterarie né filosofiche) a partire dagli
anni Sessanta con le riflessioni di Roland Barthes in Francia e di Umberto Eco in
Italia.
1
WINER R. S., Marketing Management, Milano, Apogeo, 2002, pag. 219-220.
2
CERIANI G., Marketing Moving, Milano, Franco Angeli, 2001, pag. 201.
3
CERIANI G., Marketing Moving, cit., pag. 11-12.
10
Quando, nel 1957, Barthes pubblica Miti d’oggi, comincia di fatto
l’avventura “mondana” della semiotica, quella che l’ha spinta ad addentrarsi ben
oltre il proprio ambito inizialmente concentrato sulle forme letterarie e
folkloristiche delle favole, tra i racconti quotidiani di un fast food, di un incontro
di catch, di una pubblicità di pasta dal nome italiano. E quando, nel 1968, Eco
sviluppa, in La struttura assente, l’analisi dei rapporti tra retorica e ideologia, il
messaggio pubblicitario si mostra, tra gli altri, uno dei campi d’applicazione più
fertili.
Da allora, molti progressi sono stati compiuti. La semiologia di Barthes è
stata superata da una semiotica, che ha visto in Greimas il suo più prolifico
studioso. La nozione di percorso generativo del senso è risultata particolarmente
utile nell’applicazione a testi come quelli pubblicitari. In particolare, gli studi di
Floch hanno portato all’elaborazione del quadrato assiologico dei valori di
consumo
4
; altri studiosi hanno elaborato sistemi semiotici per costruire mapping
delle marche
5
; e recentemente uno dei temi più “caldi” è stato quello della
costruzione dell’identità
6
. Con questo breve elenco, non vogliamo ripercorrere
esaurientemente i progressi compiuti dalla semiotica nell’analisi dei testi
pubblicitari. Avremo occasione, in seguito, di trattare più approfonditamente
questi aspetti. A partire dal capitolo due, cercheremo anche di riassumere le
modalità di intervento semiotico in pubblicità. Per adesso, ci interessa
semplicemente sottolineare che c’è stata una lunga tradizione di analisi semiotica
della pubblicità, che ha praticamente accompagnato la semiotica moderna fin dalla
sua nascita. Anche Gianfranco Marrone
7
pone in evidenza questo fatto. Secondo
lui, non è un caso che sin dalle sue origini semiologiche la scienza della
significazione abbia mostrato un grande interesse nei confronti della pubblicità,
sia per quel che riguarda i suoi meccanismi testuali, sia per quel che riguarda i
4
vedi FLOCH J.M., Sous les signes les stratégies. Sémiotique, marketing, communication,
Paris, PUF, 1990 ; trad. it. in Semiotica marketing e comunicazione, Milano, Franco Angeli, 1992.
5
vedi SEMPRINI A., Le marketing de la marque, Paris, Liaison, 1992 ; trad. it. Marche e
mondi possibili, Milano, Franco Angeli, 1997.
6
vedi FLOCH J. M., Identités visuelles, Paris, PUF, 1995; trad. it. Identità visive, Milano,
Franco Angeli, 1997.
11
suoi aspetti sociali. Nei confronti della pubblicità c’è sempre stata, in semiotica,
una grande, costante attenzione.
La domanda è: perché? Che cosa ha fatto sì che la semiotica e la pubblicità
si siano avvicinate così naturalmente fin da subito?
Marrone risponde così:
Già a livello intuitivo la comunicazione commerciale si presenta come uno degli
oggetti privilegiati di una scienza della significazione interessata ai fenomeni
sociali. Innanzitutto perché si tratta di un’attività comunicativa i cui scopi precipui –
attirare l’attenzione, persuadere, sedurre, valorizzare – sono del tutto espliciti, e per
quanto spesso socialmente denigrati, in ogni caso comunemente accettati. In
secondo luogo perché, per raggiungere questi obiettivi, essa mette in moto una serie
di procedure retoriche talvolta molto complesse, sia sul piano della lingua verbale
sia su quello dei linguaggi non verbali quali l’immagine o la musica. Infine, perché
essa è un discorso sociale fortemente competitivo che si inserisce tra gli altri
discorsi sociali, parlando della società stessa entro cui si trova a vivere ed agire
8
.
Ugo Volli ci fornisce un’osservazione ulteriore: nel recente volume
Semiotica della Pubblicità
9
, l’autore sostiene che la pubblicità è quella parte
dell’attività di comunicazione che comporta l’uso predominante e programmato di
testi. Proprio questo aspetto eminentemente testuale dell’attività pubblicitaria
autorizza l’uso della semiotica per analizzarne la struttura. Possono essere
considerati anche altri punti di vista, ad esempio le teorie psicologiche o
sociologiche, ma la semiotica è particolarmente adatta per il fatto che mantiene la
propria attenzione focalizzata sulla dimensione testuale dell’attività pubblicitaria e
inoltre vi applica le proprie conoscenze e teorie sul funzionamento dei testi in
generale.
Diventa, dunque, evidente a tutti che la semiotica possiede gli strumenti più
idonei per lavorare sui supporti comunicativi. Chiudiamo richiamando Ceriani:
Nel progetto della disciplina semiotica, che può essere definita come una teoria
generale della produzione e della interpretazione delle relazioni significanti, ci sono
di fatto tutti gli strumenti per la costruzione di una applicazione corretta e
scientificamente controllata a qualsiasi tipo di oggetto, atta a ridurre il più possibile
l’intervento soggettivo dell’analista.
7
MARRONE G., Corpi sociali: processi comunicativi e semiotica del testo, Torino, Einaudi,
2001, pag. 137.
8
MARRONE G., Corpi sociali: processi comunicativi e semiotica del testo, cit., pag. 137.
9
VOLLI U., Semiotica della Pubblicità, Roma, Laterza, 2003.
12
Lo “sguardo semiotico” altro non è, dunque, che la possibilità offerta all’interprete –
nel nostro caso uomo di marketing o ricercatore, o pubblicitario – di agire
consapevolmente su qualsiasi supporto di comunicazione
10
.
Questo nostro lavoro si inserisce in scia a queste osservazioni. Intendiamo
considerare la produzione pubblicitaria e svolgere alcune riflessioni semiotiche
concentrandoci in particolare su un aspetto ben preciso: la fase di creatività. E
dunque, ecco spiegato il topic del nostro lavoro, sottolineato dal titolo sul
frontespizio: Semiotica e creatività pubblicitaria. Analisi e gestione del processo
creativo in pubblicità.
10
CERIANI G., Marketing Moving, cit., pag. 12.
13
CAPITOLO DUE
La scatola degli attrezzi:
percorrere il percorso generativo
Dopo avere ben inquadrato il focus dell’analisi e i legami tra semiotica e
pubblicità, è venuto il momento di organizzare la scatola degli attrezzi
dell’analista semiotico. Come vedremo meglio al capitolo cinque, l’analista
semiotico può essere visto come il medico della comunicazione, che somministra
terapie per correggerne le aberrazioni (per lo meno, quelle identificabili) ex-ante,
durante la produzione, ed ex-post, a produzione avvenuta prima che intervenga la
fase della distribuzione del prodotto semiotico. Come ogni buon medico, il
semiologo cura la vita dei testi. Questa prospettiva è molto interessante soprattutto
nel processo di produzione creativa dei messaggi pubblicitari.
2.1. LA SCATOLA DEGLI ATTREZZI: UNA PREMESSA
In questo e nei successivi due capitoli, vogliamo fornire una panoramica
degli strumenti e delle pertinenze dell’intervento semiotico in pubblicità. Non
intendiamo certo trattare esaurientemente ogni tipologia di intervento, vogliamo
semplicemente elencare una serie di strumenti e di ambiti di intervento che a noi
sembrano particolarmente efficaci nell’analisi semiotica della pubblicità. Questo
resoconto può servire da scatola degli attrezzi al medico semiotico nel suo lavoro
di analisi, sia in fase ex post, a produzione già avvenuta, davanti al testo
realizzato, sia in fase ex ante, durante la produzione. Stesse metodologie
semiotiche, diversi momenti di utilizzo. Non occorre nemmeno precisare che, per
la nostra tesi, ci interessa soprattutto l’utilizzo in progress nel corso della fase
creativa dei messaggi pubblicitari.
Ci occuperemo innanzitutto dello strumento principe nell’analisi dei testi, il
percorso generativo, con esempi concreti di analisi e momenti più prettamente
teorici. Presteremo, poi, grande attenzione al livello della manifestazione, un po’
trascurato, secondo noi, dai semiologi. Infine, cercheremo di aprire la nostra
14
analisi fino a comprendere il destinatario della comunicazione pubblicitaria:
polisensorialità, passioni, interpretazione.
Ripetiamo ancora una volta che non è nostro interesse trattare
esaustivamente ognuno degli argomenti tracciati. Alcuni di questi potrebbero
apparire non sufficientemente sviscerati. Il nostro obiettivo non è fornire un
manuale onnicomprensivo dell’attuale semiotica della pubblicità (cosa di cui
peraltro ci sarebbe grande bisogno), bensì offrire una visione d’insieme delle aree
di analisi semiotica in pubblicità che possano servire per il lavoro dell’analista
semiotico. Resta il fatto che ogni argomento abbozzato è suscettibile di maggiore
approfondimento in sede di ricerca semiotica, e noi auspichiamo che ciò avvenga
presto.
2.2. PERCORRERE IL PERCORSO GENERATIVO
Per spiegare che cosa sia il percorso generativo del senso, ricorriamo
all’aiuto di Floch
1
. Il percorso generativo è una ricostruzione dinamica del modo
in cui la significazione di un enunciato (testo, film, immagine etc.) si costruisce e
si arricchisce secondo un “percorso” che va dal più semplice al più complesso, dal
più astratto al più figurativo, fino ai segni che ne assicurano la manifestazione
verbale o non verbale. Il semiotico lavora su degli enunciati, su qualunque tipo di
enunciato. Anche un concetto o un’idea, come quelle ricercate dal creativo
pubblicitario, sono degli enunciati dal momento in cui vengono espressi,
formulati, scritti.
Veniamo alle tappe della costruzione progressiva della significazione. Si
distinguono due grandi tappe nel percorso generativo della significazione: le
strutture semio-narrative e le strutture discorsive. Premettiamo che ogni enunciato
implica un’enunciazione, cioè un’istanza logica di produzione del senso. La
distinzione tra strutture semio-narrative e strutture discorsive deve essere
compresa in rapporto all’enunciazione, all’immagine di un a monte (le strutture
semio-narrative) e di un a valle (le strutture discorsive).
1
FLOCH J. M., Sous le signes les stratégies. Sémiotique, marketing et communication, Paris,
PUF, 1991. Trad. it. In Semiotica, marketing e comunicazione, Milano, Franco Angeli, 1992, pag.
167 e seg.