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Introduzione
L’adolescenza è un periodo di transizione ed evoluzione, caratterizzato da una
complessa serie di cambiamenti intrapsichici e relazionali; si assiste a
trasformazioni corporee, all’emergere di nuove responsabilit{ sociali e al processo
di definizione della propria identit{. E’ spesso durante l’adolescenza, quindi, che i
giovani iniziano a esprimere il proprio disagio attraverso l’utilizzo del corpo e
mettendo in atto comportamenti rischiosi, al fine di esprimere tensioni e stress.
Chiedendo a un’adolescente cosa significhi autoferirsi, non solo lo saprà spiegare,
ma molto probabilmente conoscerà qualcuno che mette in atto tale
comportamento; se si cercano informazioni a riguardo, consultando programmi di
condivisione in internet, come Google o You-Tube, si troveranno milioni di risultati
consultabili. Al periodo dell’adolescenza, dunque, è dedicato il primo capitolo di
questa trattazione, che riporta le maggiori difficoltà incontrate dai ragazzi durante
il periodo dello sviluppo e come queste possano contribuire all’insorgenza dei
comportamenti di autoferimento.
Di questo fenomeno, frequente tra gli adolescenti e i giovani adulti, negli ultimi
anni si è parlato in modo sempre più ricorrente, utilizzando non sempre
propriamente il nome autolesionismo. Tale termine indica il “comportamento di
chi cagiona il proprio danno” (Zingarelli), rimandando a diverse tipologie d’azione
volte al proprio danneggiamento. In letteratura sono state riscontrate difficoltà sia
nella classificazione sia nella definizione del comportamento, dovute in gran parte
alla complessit{ e all’eterogeneità degli atti autolesionistici. Essi, infatti, appaiono
trasversali a molti altri fenomeni, svolgendo funzioni diverse, in situazioni
differenti. Per meglio comprendere il fenomeno, occorre quindi uno studio attento,
che tenga conto anche delle modalità, delle motivazioni e dei vissuti emotivi e
psicologici con i quali viene compiuto il gesto autolesivo. Questi argomenti saranno
trattati specificatamente nel secondo capitolo del presente lavoro . In particolare si
parlerà di “self-injury”, un termine che implica provocarsi ferite superficiali in
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assenza d’intenzionalità suicidaria. Saranno riportate le principali posizioni
teoriche sostenute in letteratura riguardo al fenomeno, i modelli eziologici e i
fattori di rischio e protezione tendenzialmente coinvolti.
Il terzo capitolo presenta uno studio longitudinale svolto su un campione di
adolescenti parmensi. Sviluppatosi dal 2001 grazie alla collaborazione fra le ASL
della citt{ e l’università Bicocca, esso si pone come obiettivo indagare il
comportamento antisociale in tutte le sue manifestazioni.
Il quarto e ultimo capitolo riguarda nello specifico la nostra ricerca, ovvero
l’indagine del fenomeno self-injury all’interno di un campione non clinico di
popolazione italiana. Dopo aver rilevato le principali caratteristiche del
comportamento oggetto d’indagine, provando a tracciare un profilo del soggetto
autoferitore, sarà indagata l’ipotesi che alla determinazione del comportamento di
autoferimento concorra, più che la presenza di fattori singoli, la combinazione di
più variabili tra loro. A questo scopo sarà valutato il possibile ruolo di fattori di
rischio e protezione e il loro funzionamento all’interno di un modello che prevede
la presenza di fattori di moderazione.
Nonostante la letteratura attesti anche in Italia una diffusa presenza di
comportamenti di self-injury, le ricerche in proposito sono scarse. Inoltre, pur
essendo già stato studiato il ruolo di fattori di rischio e protezione delle principali
variabili considerate, così come quello di mediazione, la scelta di utilizzare il
modello della moderazione è un modo di indagare la reciproca influenza di
variabili differenti, ancora poco diffuso fra gli studi inerenti agli argomenti qui
trattati. Date queste premesse, dunque, lo studio qui proposto può essere un punto
di partenza per lo sviluppo di ulteriori ricerche e approfondimenti in proposito.
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1. L’ADOLESCENZA COME PERIODO DIFFICILE
1.1 Adolescenza: definizione e caratteristiche
Il termine adolescenza identifica quella fase del ciclo di vita che segna il passaggio
dall’infanzia all’et{ adulta.
Convenzionalmente, questo tempo di sviluppo è individuato tra gli undici anni,
momento della pubertà, e i ventuno anni, età in cui avviene il passaggio alla fase
successiva, quella del giovane adulto (Bush e Simeons, 1987). Tale periodo è parte
di un processo attivo e dinamico nel quale la biologia dell’individuo e le sue
esperienze di vita s’influenzano vicendevolmente. Lo sviluppo si può intendere
quindi come interazione tra aspetti psicofisiologici, influenze ambientali e ruolo
attivo del soggetto, intendendo con “ruolo attivo” l’utilizzo di simboli nella
costruzione di sé e del proprio rapporto con il mondo, per soddisfare i compiti di
sviluppo che deve affrontare in ogni fase della vita (Baiocco e Langhi 2008). Il
ragazzo subisce grandi cambiamenti a livello fisico e poco alla volta acquisisce
competenze e requisiti che gli permetteranno di assumere responsabilità di adulto.
Secondo Winnicott (1968) l’adolescente attraversa una “fase di bonaccia” nella
quale si sente futile e non ha ancora trovato se stesso. La realtà evolutiva, infatti,
comprende stabilità e cambiamento, continuità e discontinuità. Secondo la
letteratura (Charmet, 2000; Leonelli Langer e Campari, 2004), elementi che
possono mediare tale continuità e discontinuità sono le influenze genetiche
(temperamento, suscettibilità ai pericoli ambientali), la sensibilità allo stress, i
meccanismi di coping e di difesa, la probabilità di esposizione a rischi ambientali e
il modo in cui si concettualizza ciò che accade.
Olbrich (1984) sostiene che quando un adolescente si trova di fronte ad un nuovo
problema, mette in atto un processo cognitivo che consiste nel valutare il
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potenziale comportamentale disponibile e nel decidere quale comportamento
attivare.
Cicchetti (Cicchetti e Aber 1998) sottolinea l’importanza del “crescente significato
soggettivo attribuito alle esperienze”.
Durante il periodo dell’adolescenza il ragazzo desidera “costruire la sua concezione
del mondo, fondandosi sulla sua esperienza” (Dartington 1994). Mette in atto
meccanismi di ribellione o isolamento romantico per far fronte alla “sfida della
pubert{”, ossia quel dilemma che deve affrontare per riuscire a procedere nel
processo di sviluppo, senza negare i bisogni di vulnerabilità e dipendenza che
appartengono alla parte infantile del Sé (Miller, 1994). I giovani intraprendono una
lotta per spostarsi dalle intense relazioni emozionali primarie con i genitori, verso
la possibilità di altre relazioni; affrontano cambiamenti e sviluppo, interni, graduali
e faticosi ed entrano potentemente in contatto con i loro impulsi pericolosi e
indomabili. Il gruppo dei pari, in questo contesto, gioca un ruolo primario per la
funzione di formazione dell’identit{.
Secondo Havighurst (1952) tutta la vita dell’individuo è caratterizzata da una
successione di compiti che devono essere risolti in un periodo opportuno e che
cambiano in relazione alle trasformazioni della nostra società. Alcuni sono
pressoché simili, altri più specifici di un determinato ambiente. L’autore definisce
un compito di sviluppo come un compito che si presenta in un determinato
periodo della vita di un individuo, la cui buona risoluzione conduce alla felicità e al
successo nell’affrontare i problemi successivi, mentre il fallimento di fronte ad esso
conduce all’infelicit{, alla disapprovazione da parte della societ{ e a difficolt{ di
fronte ai compiti che si presentano in seguito. Essi derivano da spinte differenti:
possono essere biologicamente determinati o derivanti dalle pressioni culturali
della società.
Havighurst specifica dieci compiti di sviluppo che si manifestano in particolare
nell’adolescenza:
1 - Instaurare relazioni nuove e più mature con coetanei di entrambi i sessi.
2 - Acquisire un ruolo sociale femminile o maschile.
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3 – Accettare il proprio corpo e usarlo in modo efficace.
4 – Conseguire indipendenza emotiva dai genitori e dagli altri adulti.
5 – Raggiungere la sicurezza e l’indipendenza economica.
6 – Orientarsi verso, e prepararsi per un’occupazione o professione.
7 – Prepararsi al matrimonio e alla vita familiare.
8 – Sviluppare competenze intellettuali e conoscenze necessarie per la competenza
civica.
9 – Desiderare e acquisire un comportamento socialmente responsabile.
10 – Acquisire un sistema di valori e una coscienza etica come guida al proprio
comportamento.
Questi compiti diventano specifici per ogni soggetto nel rapporto tra individuo,
appartenenza sociale e ambiente in cui è inserito.
Anche Palmonari (2001) indica alcuni compiti generali dell’adolescente nella
nostra cultura: gestione della pubertà e della maturazione sessuale, ampliamento
degli interessi con acquisizione del pensiero ipotetico - deduttivo, maturazione di
una nuova identità con la riorganizzazione del sé. Da essi derivano poi compiti
specifici per ognuno, nel contesto reale e temporale della storia di vita personale.
L’adolescente deve affrontare una ridefinizione complessiva del senso di Sé:
cambia quello che sa fare ma anche quello che lui è e come si vede. Questo
processo coinvolge una ristrutturazione sia cognitiva sia affettiva. A livello emotivo
cambia il modo in cui l’adolescente vive le proprie emozioni, che sono più estreme
e meno stabili, e viene acquisita una progressiva capacità di distinguere le
percezioni emotive dalla loro espressione, imparando cosi a controllare la loro
manifestazione. A livello cognitivo si assiste a un rimodellamento cerebrale (Giedd,
1999), allo sviluppo di processi di simbolizzazione emotiva più elaborati e
all’unificazione di aspetti diversi di sé, che portano alla costruzione dell’identit{
(Erikson, 1968; Meltzer e Harris, 1981).
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1.2 Come cambia l’adolescente
Culture diverse utilizzano ed hanno utilizzato varie strategie per la trasformazione
di ragazzi in uomini adulti. Ciò che le accomuna è la preoccupazione di “fabbricare
forme di umanit{” (Cristiani, 2004) attraverso il compimento degli stessi compiti
evolutivi che toccano anche oggi gli adolescenti della nostra cultura: separazione
dalla nicchia primaria, metabolizzazione del corpo sessuato, acquisizione
dell’identit{ di genere e d’ideali estetici sociali e culturali.
L’adolescente moderno nasce nel XIX secolo, caratterizzandosi come apprendista o
studente, in opposizione al giovane cavaliere. La culla dell’adolescente
contemporaneo è dunque la scuola e sono sempre più preminenti l’apprendimento
e lo sviluppo cognitivo (Mitteraurer, 1986) in preparazione all’ingresso nel mo ndo
del lavoro, l’acquisizione d’indipendenza economica e la costituzione di una nuova
famiglia.
L’immaturit{ una volta concepita come sfida verso lo sviluppo, è oggi vista più che
altro come un’opportunit{. Riti iniziatici erano eseguiti per permettere il confronto
con le diverse situazioni che l’individuo avrebbe dovuto gestire in futuro. Ora Il
mondo adulto sembra preferire lasciar liberi i ragazzi di scegliere quale sarà il loro
destino, se affrontarlo da soli o con il gruppo dei pari, e quando sottrarsi
all’universo infantile. Tuttavia, sottovalutando le difficoltà della crescita in una
società in continuo cambiamento, il rischio è di negare punti di riferimento, utili
per conquistare il Sé adulto non solo con fatica ma anche con il piacere della
consapevolezza e della responsabilità di essere diventati grandi (Cristiani, 2004).
Diverse sono le differenze fra gli adolescenti di oggi e di ieri; prima di tutte il
concetto di “generazione” (Miscioscia, 2004). Mannehim (1923) ha definito
generazione “non tutti i giovani che hanno la stessa collocazione storica , ma un
campo culturale e sociale che manifesta atteggiamenti di differenziazione e
opposizione rispetto ai modelli sociali del mondo adulto”.
L’adolescente attuale vive la sua generazione come un vero e proprio soggetto
psicologico con cui confrontarsi, identificarsi, e/o confondersi. Mezzi di
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comunicazione potenziati, mass media e globalizzazione dei consumi, hanno
consentito ai ragazzi di vivere la propria generazione come una rete di relazioni
reali e virtuali in cui ognuno è immerso, e la cultura generazionale come un luogo
di stimoli, modelli e orientamenti culturali con cui rapportarsi interattivamente. La
cultura giovanile, strumento d’identit{ collettiva (Miscioscia, 2004), deve
distinguersi attraverso l’individuazione di caratteristiche proprie e la ricerca di
nuove soluzioni per elaborare i compiti di sviluppo. Inoltre le madri spesso
impegnate nel lavoro avviano i figli a precoci separazioni, e i padri, sempre più
partecipi della vita dei figli, non si caratterizzano più come figure alle quali dover
opporsi.
Oggi, il coinvolgimento con l’oggetto generazione nasce durante lo sviluppo, allo
stesso modo di altri oggetti speciali dell’adolescenza (amicizia, gruppo dei pari,
relazioni amorose), perché fin dalla giovane et{ l’individuo si trova immerso in
essa attraverso gli innumerevoli mezzi a disposizione.
Non riconoscendosi così trasgressivi, affermano per lo più l’importanza delle
relazioni interpersonali, non solo amicali ma anche familiari (Buzzi, Cavalli e De
Lillo 2002). Il conflitto prevalente diventa quello tra legame e perdita, nella paura
di veder mancare la stabilità di base che permette di gestire le emozioni, contare
sull’aiuto di qualcuno e impegnarsi in qualcosa che piace. Gli adolescenti, che
apparentemente credono di essere immortali e invincibili, sanno che questo non è
vero e temono praticamente ogni cosa: la propria morte, la morte dei loro genitori,
gli incidenti, i brutti voti, l’emarginazione dal gruppo degli amici (Millstein e
Halpern-Felsher, 2001).
Grazie ad una maggiore possibilit{ d’informazioni sul mondo esterno, si assiste a
un’attivazione precoce dei compiti evolutivi e a una facilitazione del processo di
autonomia affettiva e separazione dall’infanzia. Questo però avviene con un minor
controllo da parte dei genitori e con maggiori rischi di deviare da un percorso
naturale, più lento ma più funzionale allo sviluppo di una personalità equilibrata.
L’opportunit{ di scegliere tra molti modelli culturali permette un’acquisizione
precoce anche dell’identit{ sessuale (Petruccelli, 2004). I diversi modelli femminili
e maschili, proposti continuamente attraverso i mass media, risvegliano
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precocemente il corpo erotico portando a una trasformazione repentina
dell’immagine di sé e delle proprie relazioni.
La realtà virtuale costituisce uno spazio intermedio tra realtà oggettiva e fantasia e
permette una maggiore sperimentazione di sé. Questo però rinforza anche la
ricerca di potere e protagonismo, propria della fase di sviluppo, dando spazio agli
aspetti esibizionistici e manipolatori caratteristici del narcisismo adolescenziale.
1.3 Percezione, uso del corpo e costruzione dell’identit{ in
adolescenza
Durante l’adolescenza, la dimensione corporea assume una notevole rilevanza per
la persona: le trasformazioni fisiche sono le prime a caratterizzare questo periodo
e nel corpo si concentrano aspettative e fantasie del proprio sé ideale, immaginato
ma ancora in costruzione.
Il tema della manipolazione del corpo, per aiutare il raggiungimento di tale
immagine ideale, è ricorrente nella cultura contemporanea; basti pensare al tempo,
alle parole, alle pubblicità che sono spese in diete, palestre, interventi chirurgici e
prodotti di bellezza. Diventa più semplice, così, interagire con il corpo, considerarlo
modificabile e pensare di poterlo utilizzare come oggetto.
In quest’ottica possiamo forse considerare come modalit{ di manipolazione anche
l’utilizzo di piercing e tatuaggi, alcol e droghe, fino ad arrivare alla modificazione
tramite agiti fisicamente auto distruttivi (Federici, 2005).
La discrepanza psicologica tra il corpo ideale e la percezione del proprio corpo
reale, può portare alla nascita di un sentimento negativo verso se stessi. Tale
sentire può concretizzarsi nell’attuazione di comportamenti nocivi per la salute,
come segnale di un urgente bisogno di aiuto, non verbalizzato, che necessita di una
risposta adeguata da parte dell’ambiente. Diventa quindi importante riuscire a
cogliere la sofferenza psichica dell’adolescente tanto quanto quella fisica , e non
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difendersi da essa attraverso meccanismi di negazione, evitamento o svalutazione ,
ma tollerare di accogliere tale disagio e contenerlo (Jeammet, 2008).
Secondo Baudry (2008) agire sul corpo permette di stabilire un rapporto
personale con l’esistenza, in un momento in cui immagine di sé e immagine
corporea sono confuse.
L’adolescente, per diventare consapevole del suo diritto ad esistere, ha bisogno di
battersi; contemporaneamente però necessita che l’ambiente circostante sappia
sopravvivere allo scontro.
Uno dei principali modi per uscire dal paradosso di ricerca d’indipendenza e
contemporaneo bisogno di dipendenza, è la contrapposizione. Ciò permette di
appoggiarsi all’altro (adulto, generalmente genitore) disconoscendolo, quindi
senza doverne prendere coscienza. L’adolescente lancia quindi sfide al mondo
adulto e si espone a condotte che in molti modi diversi mettono a rischio la sua
incolumità.
Due sono i rischi principali legati a questa dinamica. Se l’ambiente circostante non
da risposta adeguata a tali comportamenti, il ragazzo si troverà a dover
intensificare la gravità dei propri agiti. Inoltre i comportamenti negativi di
opposizione possono esercitare un effetto di fascinazione su chi li mette in atto; si
attiva così una forza di attrazione, verso agiti masochistici e caratterizzati da
violenza distruttrice.
Attaccare il proprio corpo spesso rappresenta un grande messaggio di protes ta,
contenente, però, anche speranza e richiesta d’aiuto; un modo forte di
riappropriarsi dell’ambiente, costringendolo ad assumere una duplice funzione:
accogliere la sofferenza e le emozioni incontrollabili e allo stesso tempo porvi degli
argini (Aliprandi, 2008).
L’adolescente deve ancora imparare a conoscere i propri limiti: compiere scelte e
correre rischi gli permette di sperimentarsi (Brunelli, 2009), di riappropriarsi del
proprio corpo come analogia di una riorganizzazione del mondo interno .
Mettere in atto l’intera gamma dei diversi comportamenti possibili, permette di
sperimentare vari aspetti di sé nelle relazioni con gli altri.
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In questa situazione, la trasformazione, involontaria e incontrollabile, del corpo
che diventa sessuato, provoca una rottura al senso di continuità psichica (Freddy,
2008), precipitando il ragazzo in una dimensione d’indefinitezza. Il tema
dell’identit{ è di assoluta rilevanza e criticit{ per un giovane, soprattutto alla luce
di processi, da un lato di globalizzazione e omologazione, dall’altro, di
frammentazione e individuazione, che caratterizzano la condizione di ricerca e
costruzione del proprio Sé personale e sociale. Per reazione l’adolescente sente
ancor più il bisogno di controllo e di possesso di sé e afferma, attraverso agiti sul
corpo, il suo dominio esclusivo su di esso. L’attacco al corpo dunque, può essere
una risposta a sentimenti di passività e impotenza intollerabili.
Mantenersi vivi diventa un’esigenza, anche a fronte dell’improvvisa
consapevolezza del tempo che passa, giunta grazie ai veloci cambiamenti fisici.
Tale consapevolezza porta con sé anche quella della possibilità della morte.
Un attacco alle potenzialità evolutive e alle proprie capacità può essere una
strategia, inconscia, volta al raggiungimento di diversi fini: allontanamento nel
tempo dell’incapacit{ emotiva di affrontare processi trasformativi, esorcismo della
paura e astrazione dal mondo in cui si è, per vivere fuori di sé.
La possibilità di disfarsi (Jeammet, 2008) realizza l’onnipotenza: distruzione come
estrema difesa di un Io che sente di non poter far nulla. Quel corpo che riceve le
ferite e ne conserva le cicatrici è anche lo stesso corpo che le infligge (Carbone,
2009).
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2 Autoferimento
2.1 Definizione
Esistono diverse forme di azione lesiva rivolte contro il proprio corpo, e in
letteratura sembra non essere presente un accordo sulla definizione delle
stesse.
Riguardo alle condotte autolesive, infatti, termini differenti, che implicano
sfumature di significato diverse, indicano comportamenti all’apparenza similari
e spesso riconducibili a fattori comuni, motivo per cui a volte utilizzati
indistintamente gli uni dagli altri.
Self-harm, ad esempio, indica un qualsiasi insieme di comportamenti che
implichino modifica o danno, fisico o psicologico (Hawton et al. 2000; Hawton
et al. 2003; Haavisto et al. 2005). Non necessariamente, tuttavia, tali
comportamenti sono determinati da una componente antisociale; basti pensare
a pratiche come tatuaggi, piercing, fumare o tenere condotte sessuali rischiose.
L’espressione self-poisoning è specifica per autoavvelenamento ed
autointossicazione, mentre self-mutilation suggerisce che l’intento primario sia
quello di menomare o amputare il corpo (Martison, 1999; Sarno, 2008).
Nel corso del tempo poi, sono stati utilizzati i termini più svariati per far
riferimento ad una categoria generale di atti autolesivi, quali ad esempio
partial-suicide (Menninger, 1938), parasuicidal behavior (Gardner e Cowdry,
1985), self-inflicted violence (Mazelis, 1990), caratteristiche che non
identificano in modo preciso il fenomeno qui considerato.
Nella presente tesi, si vuole invece far riferimento a un costrutto più specifico,
la cui definizione più accreditata è quella di Favazza (1998). L’autore utilizza il
termine non-suicidal self-injury (NSSI), o semplicemente self-injury (SI) per
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identificare “comportamenti che implicano l’alterazione fisica, deliberata e
diretta della superficie corporea, senza un intento suicidario cosciente”. Tale
definizione è stata ulteriormente approfondita da Claes e Vandereycken
(2007), i quali, parlando di self-injurious behavior (SIB), sottolineano che si
deve trattare di comportamenti “socialmente non accettati”. Una definizione
precisa, chiara e completa potrebbe dunque essere: “Comportamenti
socialmente non accettati, che implicano l’alterazione fisica, deliberata e diretta
della superficie corporea, senza un intento suicidario cosciente e senza che tali
condotte comportino ferite tanto gravi da mettere a repentaglio la vita”
(Herpetz, 1995; Sarno, 2008).
Tale concetto permette di considerare le varie forme di ferimento, senza dover
attribuire specifici valori o motivazioni all’atto (Sarno, 2008), evitando così di
stigmatizzare il comportamento e permettendo di indagare le diverse ragioni
cliniche, che possono contribuire al manifestarsi del comportamento stesso.
Il termine autoferimento è stato coniato come traduzione italiana di self-injury
(Sarno, 2008), per definire la distruzione deliberata dei tessuti corporei senza
un’intenzione suicidaria cosciente (Favazza, 1989). Le ferite, ripetute e dirette,
non solo non comportano una minaccia per la vita (Scharfetter, 1992) ma
neanche la ricerca di tale minaccia; l’elemento “intenzionalit{” è, infatti,
determinante per distinguere il SIB dal tentato suicidio.
Nella definizione fornita, è sottolineato inoltre come tali comportamenti non
siano accettati da parte della società, per distinguerli da pratiche rituali e
comunitarie che possono comportare anche lesione fisica (ad esempio
rimozione dell’imene, infibulazione e circoncisione).
Le modalità di autoferimento più frequentemente utilizzate sembrano essere:
1) Tagli o incisioni sulla pelle
2) Bruciarsi la pelle (ad esempio con accendini o sigarette)
3) Mordersi
4) Grattarsi fino a far uscire il sangue
5) Colpirsi
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6) Scavarsi o grattarsi ferite, interferendo con la guarigione
7) Scavarsi la pelle fino a far uscire del sangue
8) Inserimento di oggetti nella pelle e sotto le unghie
9) Tatuarsi da soli
10)Strapparsi i capelli
11)Raschiarsi la pelle fino al sangue
Per ciò che riguarda la sede delle lesioni, le parti più frequentemente prese di
mira sono braccia, gambe, torace, ed altre aree frontali, probabilmente perchè
più facilmente accessibili (Claes e Vandereycken, 2007).
Le caratteristiche del self-injury si sono delineate nel corso del tempo, grazie al
contributo di diversi autori.
Nel 1935 Menninger individuò sei categorie patologiche:
Autolesionismo nevrotico: caratteristico delle compulsioni, comtempla
tricotillomania, graffi, ricerca di interventi chirurgici non necessari.
Autolesionismo religioso: comprende atti rituali con scopi ascetici o punitivi
Cerimonie puberali: generalmente legate a tradizioni culturali o religiose,
consistono ad esempio in rimozione dell’imene e circoncisione
Automutilazioni in pazienti psicotici: come l’enucleazione di un occhio,
l’asportazione dei genitali, il taglio di un orecchio, l’autoamputazione di un
arto
Automutilazioni in disturbi organici: fratture volontarie delle dita o di altre
parti del corpo
Automutilazioni in soggetti normali: mangiarsi le unghie o spuntare i capelli
e tagliare la barba in modo compulsivo. Nello stesso gruppo oggi si possono
annoverare anche alcune forme di depilazione.