CAPITOLO PRIMO
VITA ED OPERE DI GIANNI VATTIMO
VITA ED OPERE DI GIANNI VATTIMO
Gianni Vattimo è nato il 4 Gennaio 1936 a Torino, città nella quale è stato allievo di
Pareyson ed in cui si è laureato nel 1959. Successivamente ha conseguito la
specializzazione ad Heidelberg, ove ha studiato con Gadamer e Löwith. Dal 1964 è
professore presso l’Università di Torino, nella quale è stato preside, negli anni Settanta,
della Facoltà di Lettere e Filosofia. Ha insegnato come visiting professor in varie
Università degli Stati Uniti. Ha diretto la Rivista di estetica, ed è stato editorialista per i
quotidiani La Stampa e La Repubblica. E' membro di comitati scientifici di varie riviste
italiane e straniere, e socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino. Per
le sue opere ha ricevuto lauree honoris causa delle Università di La Plata, Palermo e
Madrid. Ha svolto inoltre attività politica in diverse formazioni della sinistra.
La riflessione di Vattimo dedica grande attenzione alle opere di Nietzsche e Heidegger,
il cui pensiero è oggetto di discussione ed approfondimento nella quasi totalità dei suoi
scritti. In particolare, le prime pubblicazioni di Vattimo, tra le quali Essere, storia e
linguaggio in Heidegger (1963), Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema
della liberazione (1974), costituiscono veri e propri commenti alle opere dei due filosofi
tedeschi. Negli scritti degli anni successivi, tra cui Le avventure della differenza. Che
cosa significa pensare dopo Nietzsche ed Heidegger (1980), Il pensiero debole (1983),
La fine della modernità (1985), La società trasparente (1989), lo studioso torinese
estende la propria riflessione anche all’analisi della cultura e della società
contemporanea, proponendo una nuova modalità di esercitare il pensiero che,
coerentemente alle indicazioni ed ai suggerimenti delle filosofie di Nietzsche e
Heidegger, sappia rispondere alle esigenze del tempo presente. Infine, nelle opere più
recenti, come Credere di credere (1996) e Dopo la cristianità: per un cristianesimo non
religioso (2002), Vattimo approfondisce la riflessione, accennata negli scritti
precedenti, in merito alle caratteristiche ed al compito della religione cristiana nella
società attuale.
L’elemento comune all’intera riflessione di Vattimo è rappresentato dall’attenzione
dedicata all’evoluzione della filosofia e del pensiero occidentale; un’attenzione proposta
dalle opere di Nietzsche ed Heidegger ed estesa da Vattimo anche all’analisi della
cultura e della religione dell’Occidente contemporaneo.
9
CAPITOLO SECONDO
LA FILOSOFIA DI NIETZSCHE
LA FILOSOFIA DI NIETZSCHE
1. LA METAFISICA COME FORMA DI RASSICURAZIONE
L'analisi dell'origine e delle caratteristiche della cultura occidentale, e la proposta di un
pensiero che possa, in qualche modo, oltrepassarla, rappresentano i contenuti della
riflessione di Nietzsche a cui Vattimo dedica la maggiore attenzione.
L'origine della cultura occidentale è riconducibile, secondo il filosofo tedesco, al
bisogno di sicurezza che caratterizza l'esistenza umana. L'uomo, infatti, spinto
dall’istinto di conservazione e dalla ricerca del piacere, cerca sempre di individuare
delle «forme di rassicurazione del pensiero1», che lo sostengano nell’affrontare le
incertezze dell’esistenza, rendendo «in qualche modo tollerabile il caos della vita2». Gli
espedienti che consentono all'individuo di nascondere il dolore che caratterizza
l'esistenza (la quale risulta così accettabile) sono indicati da Vattimo coi termini
«maschera3» e «travestimento4». Nell’antica Grecia, come ha notato Nietzsche, è stata
soprattutto la «cultura apollinea5», con l’immagine delle divinità olimpiche, a
predisporre la maschera nei confronti della sofferenza umana, colta invece dalla
«sapienza dionisiaca6». Nelle epoche successive, osserva lo studioso torinese, sono state
perlopiù le categorie elementari elaborate dalla filosofia tradizionale, come l’«idea di
sostanza e l’idea di libertà7» (o anche il principio di causalità, dal quale trova origine la
scienza), a svolgere il ruolo di forme di rassicurazione del pensiero.
Le categorie citate costituiscono le «nozioni più elementari8» tramite cui l’individuo
cerca di organizzare un «mondo razionalmente ordinato9». L’uomo infatti preferisce
rapportarsi ad una realtà che si presenta comprensibile, in quanto «il dolore è tanto più
insopportabile quanto più ce ne sfuggono l’origine, il senso, lo scopo, e diventa invece
tollerabile nella misura in cui possiamo “capirlo”10». La ricerca del significato è quindi
1
Rovatti P.A. e Vattimo G. (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano, 1983, p.18
2
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, Laterza, Roma-Bari, 1985, p.20
3
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, Bompiani, Milano,
1974, p.18
4
Ivi, p.17
5
Ivi, p.21
6
Ibidem
7
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.55
8
Ibidem
9
Ivi, p.20
10
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.127
13
anche «ricerca di sicurezza11», e risulta tanto più efficace quanto più le categorie
elaborate dal pensiero astratto si presenteranno come forti, ossia come difficilmente
assoggettabili al dubbio. Lo studioso torinese nota infatti che «l’illusione di afferrare
essenze e strutture eterne rassicura, perché dà una sorta di punto fermo sul quale
stare12». Per questo motivo, la filosofia ha privilegiato le «categorie unificanti, sovrane,
generalizzanti13», come, ad esempio, «l’essere e i suoi attribuiti, la causa “prima”14», e
«la coscienza di sé15», presentandosi in questo modo come una «metafisica16» (cioè
come una riflessione finalizzata alla ricerca dei principi e dei fondamenti della realtà).
Vattimo osserva inoltre che anche il sorgere della religione e dell’arte è ricondotto da
Nietzsche alla necessità di individuare certezze, soprattutto in quei momenti in cui la
metafisica non era stata ancora formulata «in proposizioni e in costruzioni filosofiche
sistematiche17».
Il filosofo tedesco individua la caratteristica rassicurante dell’arte nel raffigurare, «con
la perfezione dei suoi prodotti18» (così lontani dalla realtà comune), un «tranquillizzante
rovesciamento del mondo di tensione e di minaccia in cui generalmente si svolge la
nostra vita19». I dolori e le difficoltà dell’esistenza risultano in questo modo
momentaneamente dimenticati, tramite una consolazione il cui carattere risulta
«effimero20», ma il cui pregio consiste nel rendere immediatamente presente «un mondo
diverso da quello dell’insicurezza quotidiana, non teorizzandolo né promettendolo
semplicemente, come fanno metafisica e religione21».
La funzione rassicurante della religione è invece caratteristica della «mentalità
primitiva22». Quest’ultima, infatti, non essendo ancora in grado di individuare delle
cause precise per il verificarsi degli eventi naturali, interpreta «tutto ciò che accade
come manifestazione di una volontà, quella divina23», la quale rassicura e garantisce in
11
Ivi, p. 127
12
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., pp.56-57
13
Vattimo G., Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche ed Heidegger,
Garzanti, Milano, 1980, p.10
14
Ivi, p.10
15
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.103
16
Ivi, p.20
17
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.125
18
Ivi, p.135
19
Ivi, p.134
20
Ivi, p.135
21
Ibidem
22
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.57
23
Ibidem
14
merito alla «razionalità del tutto24», seppure una tale razionalità non si presenti come
pienamente comprensibile da parte della ragione. In questo modo l’individuo risulta
confortato sia nell’affrontare le difficoltà della vita presente, in cui può raggiungere
delle conoscenze (rivelate dalla religione) caratterizzate da «una stabilità [...] superiore
all’uomo25», la quale offre pertanto «maggiori garanzie26», sia nelle proprie aspettative
per la vita futura, in quanto ha la possibilità di ricondurre alla «conoscenza delle verità
delle cose la salvezza eterna27».
Anche la morale risponde ad una analoga esigenza di sicurezza. Infatti, osserva Vattimo
commentando Nietzsche, l’individuo non solo non coglie la causalità relativa agli eventi
esterni, ma nemmeno quella inerente i propri stati interni. Come i primi sono attribuiti
all’azione della volontà divina, così i secondi sono ricondotti ad una «libera (cioè
miracolosa e inspiegata) decisione della volontà28». In questo modo si origina la
«nozione di responsabilità29», la quale svolge anch’essa una funzione «rassicurante […]
in quanto permette di attribuire con certezza a qualcuno una determinata azione, buona
o cattiva che sia30».
L’esito della funzione di rassicurazione svolto da metafisica, religione, morale e, con
modalità differenti, arte, è quello di consentire all’individuo di collocarsi nel mondo
come «all’interno di un quadro che […] tende a considerare come fisso: la sostanza è il
quadro, il mondo-ambiente; la libertà è la mobilità dell’organismo31».
I principi ultimi del pensiero occidentale, come l’idea di sostanza e l’idea di libertà,
trovano pertanto, nell'interpretazione della filosofia nietzscheana proposta da Vattimo,
la loro origine nell’esigenza di sicurezza che caratterizza l'esistenza umana.
2. LO SMASCHERAMENTO
L’opera di «smascheramento32» che Nietzsche, a giudizio di Vattimo, attua nei confronti
delle verità costruite dal pensiero occidentale, mostrando che queste ultime, pur
presentandosi come concetti eterni e assoluti, sono in realtà nozioni formulate in un
24
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.118
25
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.57
26
Ibidem
27
Ivi, p.42
28
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.120
29
Ivi, p.122
30
Ibidem
31
Ivi, p.120
32
Ivi, p.73
15
preciso contesto storico da determinati gruppi sociali, si concentra soprattutto sui
concetti elaborati dalla morale.
Etica, metafisica e religione, tuttavia, risultano strettamente correlate, non solo perché
trovano una comune origine nel medesimo bisogno di rassicurazione, ma anche perché
presentano tra loro influenze reciproche. Lo studioso torinese ricorda, come esempio di
questa reciproca influenza, «l’itinerario della morale kantiana33», al termine del quale vi
è il «recupero delle nozioni “ultime” della metafisica tradizionale: Dio, l’immortalità
dell’anima, la libertà34». Nella filosofia di Kant (e, più in generale, nell’intera storia del
pensiero occidentale), «tutto il discorso della morale ha un senso35» se hanno senso le
nozioni ultime della metafisica, alle quali «si è arrivati proprio attraverso la via
morale36». Nell’analisi della riflessione nietzscheana proposta da Vattimo, l’arte, invece,
occupa una posizione marginale, in quanto la risposta che essa fornisce al bisogno di
rassicurazione non è, come per metafisica, morale e religione, riconducibile alla ricerca
di verità e sicurezze durature, tramite le quali interpretare ed affrontare la realtà, ma è, al
contrario, caratterizzata dalla consolazione effimera della temporanea sospensione e
dimenticanza della realtà stessa.
La morale tradizionale, per rispondere al bisogno di sicurezza, riteneva possibile
individuare un soggetto responsabile del compimento di determinate azioni.
«L’intellettualismo etico degli antichi37» ipotizzava inoltre che la conoscenza del bene e
della virtù risultasse sufficiente per indirizzare correttamente il comportamento
dell’uomo. In realtà, osserva lo studioso torinese riproponendo le argomentazioni di
Nietzsche, «la conoscenza del dovere non determina mai di per sé l’azione morale38».
Infatti i comportamenti posti in atto da un determinato individuo non sono la
conclusione di una libera scelta del soggetto (che la metafisica ritiene, a torto,
appartenente al «regno della libertà39»), ma l’esito di un conflitto interiore nel quale,
«per ragioni a noi ignote40» la decisione spetta al «“motivo più potente”41». Tale motivo
si presenta spesso, anche all'individuo che compie l’azione, mascherato dal carattere
33
Ivi, p.111
34
Ibidem
35
Ibidem
36
Ibidem
37
Ivi, p.222
38
Ivi, p.122
39
Vattimo G., Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche ed Heidegger,
cit., p.190
40
Vattimo G., Introduzione in Nietzsche F., Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, Newton Compton,
Roma, 1990, p.12
41
Ivi, p. 58
16
dell’altruismo; in realtà, nota Vattimo commentando gli scritti del filosofo tedesco,
anche le azioni ritenute altruistiche sono finalizzate alla «ricerca del piacere proprio,
egoistico42». Ad esempio, il «“nemico interiore”43» dell’asceta, così come «la lotta tra
istinto e ragione44», spesso ritenuti, a torto, l’espressione di un elevato desiderio di
purezza, si rivelano essere, ad una analisi più profonda, l’esito di una
«spettacolarizzazione e drammatizzazione della vita interiore45», finalizzata all’obiettivo
egoistico del superamento della noia dell’esistenza. Anche il comportamento
dell’asceta, al pari di quello degli altri individui, obbedisce, pertanto, al «bisogno di
animazione e di eccitamento46» ed all'esigenza della ricerca del piacere.
La riflessione nietzscheana, a giudizio dello studioso torinese, non si limita ad osservare
che le azioni ritenute morali non siano in realtà tali. E’ lo stesso concetto di
conoscibilità di tali azioni e del soggetto che le compie ad essere messo in discussione.
Non solo perché risultano ignote le ragioni che determinano l’esito del conflitto
interiore (che precede il compimento dell’azione), ma anche perché sono tutti i concetti
tradizionalmente elaborati in ambito morale (e metafisico, spesso nella forma di un
«principio ultimo oltre il quale la conoscenza non va47») a presentare il carattere della
inconoscibilità. Ad esempio, la coscienza (o, con un’altra espressione equivalente, «lo
spirito48») non è «la suprema istanza egemonica della personalità49», il cui compito è
quello di stabilire «i principi della gerarchizzazione tra gli impulsi50». Infatti, osserva
Vattimo commentando Nietzsche, tali principi sono piuttosto «i risultati di una
gerarchia che si è stabilita dietro le spalle della coscienza stessa51». Lo spirito, pertanto,
non ha la possibilità di disporre di una piena consapevolezza e di un adeguato controllo
degli istinti, ma è, al contrario, «il risultato di una interpretazione che gli istinti danno
degli stimoli esterni che l’organismo via via riceve52». Gli stessi stimoli esterni, inoltre,
«non sono mai dati come degli immediati53», ma si presentano come l’esito di una
42
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.101
43
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.57
44
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.106
45
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.57
46
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p. 128
47
Ivi, p.101
48
Ivi, p.225
49
Ivi, p.52
50
Ivi, p.222
51
Ibidem
52
Ivi, p.225
53
Ivi, p.226
17
«selezione54» operata sulla base non di una «natura55» (la quale potrebbe, in qualche
modo, presentarsi come conoscibile), ma di «abitudini percettive56» (difficilmente
individuabili e descrivibili). L'analisi nietzscheana delle azioni morali, pertanto, mostra
che il pensiero non è nelle condizioni di poter «arrivare ad un referente ultimo57» (ad
esempio, la coscienza o gli stimoli). Neppure per il principio di piacere e l’istinto di
conservazione, ossia per i concetti introdotti dallo stesso Nietzsche per descrivere
l’origine dei comportamenti morali (come esito di una interpretazione non disinteressata
degli stimoli esterni), è possibile individuare una «nozione “ultima”58». Non si tratta,
secondo Vattimo, di una «“contraddizione”59» interna al pensiero del filosofo tedesco:
in Nietzsche questi concetti risultano volutamente «così formali […] da potersi riempire
di qualunque contenuto specifico60», confermando in questo modo la tesi della radicale
«inconoscibilità61» delle ragioni delle azioni umane.
La coscienza, nella riflessione nietzscheana, non è quindi una struttura stabile che possa
svolgere un ruolo fondativo; di conseguenza anche il soggetto, che proprio su di essa
fondava il «pregiudizio di una sostanziale unità dell’io62», si rivela come qualcosa che
«non è: è soltanto un gioco superficiale di prospettive, un’apparenza ermeneutica,
dunque nulla di ciò che la tradizione metafisica ha creduto che fosse, meno che mai il
centro di una consapevolezza e di una iniziativa originale63».
La scoperta della impossibilità, per il pensiero, di raggiungere una conoscenza oggettiva
e incontrovertibile delle motivazioni e delle strutture coinvolte nel proprio agire morale,
suggerisce che in merito a queste ultime è possibile proporre solo delle interpretazioni.
La «teoria dell'interpretazione64», la quale afferma che «non ci sono fatti, solo
interpretazioni; e anche questo, certo, è un'interpretazione65», è proprio uno dei
contenuti della riflessione nietzscheana ritenuti più importanti da Vattimo.
I concetti elaborati dal pensiero occidentale in ambito morale, e la stessa idea di azione
morale, non sono, tuttavia, soltanto errori nell’interpretazione della natura umana,
54
Ibidem
55
Ibidem
56
Ibidem
57
Ivi, p.310
58
Ivi, p.112
59
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.50
60
Ivi, p.51
61
Ibidem
62
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.106
63
Vattimo G., Introduzione in Nietzsche F., Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, cit., p.11
64
Vattimo G., Oltre l'interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 1994, p.10
65
Ibidem
18
«professati in buona fede66». Essi si presentano anche come delle costruzioni finalizzate
a consentire l’esercizio del dominio su parte della società. Nel pensiero di Nietzsche,
nota lo studioso torinese, la morale è un «sistema di concetti67» inventato dai deboli per
«esigere dai forti che non esercitino la loro forza68». Le norme dettate dalla morale,
pertanto, non giovano «al singolo, bensì al gruppo o a coloro che nel gruppo
dispongono del comando69». Per questo motivo, ad essere sanzionati dalla morale sono
soprattutto quei comportamenti che, come la lussuria, pongono a rischio «la stabilità
della cellula fondamentale della società proprietaria, la famiglia70», mentre risultano
quasi dimenticati «peccati come quello di superbia71», ritenuti meni pericolosi per il
mantenimento del potere da parte della classe dominante.
Anche l’analisi sociale della morale, in analogia a quella proposta a livello individuale,
riconduce l’origine ultima dell'etica in «ragioni pratiche, di utilità72». Tali ragioni sono
state dimenticate con il passare del tempo, facendo sì che i comportamenti morali
fossero ripetuti per altri motivi, ad esempio, per abitudine o per paura. L’esito ultimo di
questa ripetizione, osserva Vattimo commentando Nietzsche, è il sorgere della
coscienza, la quale, di conseguenza, «non appartiene propriamente all’esistenza
individuale73» e non rappresenta nemmeno «la voce di Dio o della ragione74», ma è, al
contrario, «la presenza in noi dell’autorità della comunità in cui viviamo75» (allo stesso
modo anche l'«autocoscienza76», cioè «l'immagine che l'io si fa di sé77», «è in realtà solo
l'immagine di noi stessi che gli altri ci trasmettono78»). Inoltre, il «desiderio di essere
accettati dal gruppo sociale79» (una delle modalità in cui si manifesta il bisogno di
rassicurazione), la circostanza per cui i sottomessi sono in numero maggiore dei
governanti, la quale fa sì che l’obbedienza sia la virtù più esercitata, e l’argomentazione
diffusa che dimostra la validità dei precetti morali in quanto «la loro osservanza è utile,
66
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.49
67
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.236
68
Ibidem
69
Vattimo G., Introduzione in Nietzsche F., Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, cit., p.11
70
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.171
71
Ibidem
72
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.100
73
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., pag. 231
74
Ivi, p.287
75
Ivi, p.103
76
Vattimo G., Etica dell'interpretazione, Rosenberg & Sellier, Torino, 1989, p.82
77
Ibidem
78
Ivi, p.83
79
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit.112
19
fa bene80», favoriscono il rispetto delle norme sociali e l’interiorizzazione delle stesse
nella coscienza. Nell’interpretazione della filosofia nietzscheana proposta dallo studioso
torinese, la coscienza presenta quindi «una totale e irrimediabile compromissione con le
strutture del dominio81». L’analisi del comportamento morale svolta da Nietzsche si
conclude, a giudizio di Vattimo, col riconoscimento del «nesso necessario che lega
morale e società82». La dimensione etica non può, infatti, sussistere senza quella sociale,
in quanto «non c’è “impulso” che appartenga al singolo come tale, che non sia la
presenza in lui del passato e delle esigenze presenti del gruppo in cui è nato83».
Lo smascheramento dell’origine pratico-utilitaristica e sociale della morale è esteso
anche all'origine della metafisica e della religione. Infatti, nella tradizione occidentale,
la riflessione in ambito etico è stata spesso sviluppata utilizzando concetti, come quelli
di libertà, verità, coscienza, Dio, elaborati dal pensiero filosofico e religioso. Pertanto, il
nesso in precedenza evidenziato tra morale e società (e strutture di dominio) coinvolge
anche metafisica e religione (in particolare, nota Vattimo, alla «ricerca del
responsabile84» in ambito etico-sociale corrisponde, nella riflessione filosofica, la
«ricerca del fondamento85»).
Nietzsche, osserva lo studioso torinese, individua nel linguaggio lo strumento tramite il
quale le strutture di potere impongono la propria «visione egemonica del mondo86». La
parola, infatti, «non disponendo di un legame necessario e garantito con l'essere delle
cosa87», è «solo una metafora88», in cui, in origine, «ognuno associa liberamente a un
oggetto un'immagine mentale e un suono89». La nascita della società impone invece di
adottare un sistema di comunicazione comune, nel quale la verità, non potendo
presentarsi come “oggettiva” (in quanto la parola non ha un legame necessario con la
cosa), coincide con il «mentire seguendo le regole del linguaggio predominante90», che
è quello di «chi domina sugli altri91». Inoltre, poiché l'«orizzonte92» in cui agisce il
80
Ivi, p.265
81
Ivi, p.234
82
Ivi, p.103
83
Ivi, pp.103-104
84
Ivi, p.122
85
Ibidem
86
Vattimo G., Introduzione in Nietzsche F., Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, cit., p.14
87
Vattimo G., Tecnica ed esistenza: una mappa filosofica del Novecento, Paravia Scriptorium, Torino,
1997, p.39
88
Ibidem
89
Vattimo G., Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso, Garzanti, Milano, 2002, p.20
90
Vattimo G., Tecnica ed esistenza: una mappa filosofica del Novecento, cit., p.39
91
Ibidem
92
Vattimo G., Filosofia al presente, Garzanti, Milano, 1990, p.98
20
linguaggio (la «forma di vita93», la cultura di una società) «non è indifferente o
eterogeneo rispetto al linguaggio, [ma], al contrario, è plasmato da linguaggio stesso94»,
«il sorgere di una “verità” e di una menzogna socialmente riconosciute e definite nelle
regole del linguaggio95», condizionano, come un «invisibile incantesimo96»,
l’evoluzione della filosofia e delle stesse strutture sociali.
La verità («tutto ciò che si spaccia per alto e trascendente97»), pertanto, non presenta
caratteristiche assolute ed eterne (non è «disinteressata e obiettiva98»), ma è, in realtà,
«un fatto sociale99», una costruzione elaborata dall’uomo («l’“essere” è stato introdotto
solo da noi100», osserva Vattimo), spesso inconsapevolmente, per tutelare «gli interessi
propri e del gruppo a cui appartiene (epoca, classe sociale, ecc.)101». L’evidenza della
verità, infatti, è «solo segno della corrispondenza di una certa proposizione a una
determinata forma di vita102», a «certi schemi pratico-utilitari103», riguardo ai quali la
stessa verità svolge una funzione di «sostegno e promozione104».
L'evoluzione della cultura occidentale ha quindi risposto all’originario bisogno di
sicurezza che caratterizza l'esistenza con un «eccesso di difesa105», in conseguenza del
quale il tentativo di governare e sottomettere la natura è stato esteso al «dominio
dell’uomo sull’uomo106». Il pensiero tradizionale si presenta così come un pensiero non
solo forte, ma anche «“violento”107», in quanto finalizzato al conseguimento e
all'esercizio del potere. La metafisica, secondo lo studioso torinese, è infatti «un modo
[...] violento di reagire ad una situazione di pericolo108» e di insicurezza, in quanto
93
Ibidem
94
Ibidem
95
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.83
96
Ivi, p.232
97
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.49
98
Vattimo G., Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche ed Heidegger,
cit., p.52
99
Vattimo G., Tecnica ed esistenza: una mappa filosofica del Novecento, cit., p.39
100
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit. p.100
101
Vattimo G., Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche ed Heidegger,
cit., p.52
102
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.179
103
Vattimo G., Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche ed Heidegger,
cit., p.51
104
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.48
105
Vattimo G., Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche ed Heidegger,
cit., p.10
106
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.336
107
Vattimo G., Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche ed Heidegger,
cit., p.10
108
Vattimo G., La società trasparente, Garzanti, Milano, 1989, p.15
21
«cerca [...] di impadronirsi della realtà con un “colpo di mano” cogliendo (o illudendosi
di cogliere) il principio ultimo da cui tutto dipende109».
La «novità110» della ricostruzione della storia del razionalismo proposta da Nietzsche
consiste, a giudizio di Vattimo, nello smascheramento del legame che metafisica e
morale presentano con l'egoismo individuale e con la «struttura del dominio111», un
legame «che continuamente si ripete ripresentandosi [...] in sempre nuovi e mutevoli
travestimenti e variazioni112» (tra le quali, ad esempio, la «violenza dell’integrazione
sociale, della fissazione dei ruoli113»). La riflessione nietzscheana, secondo lo studioso
torinese, «invita proprio a dubitare di ciò che appare più evidente, certo,
incontrovertibile114», come i principi elaborati dalla filosofia e dalla cultura occidentale,
i quali, anziché presentare una validità assoluta, sono al contrario caratterizzati da
parzialità e storicità, in quanto formulati per tutelare gli interessi di un determinato
gruppo sociale.
3. LA MORTE DI DIO
La scoperta dell’origine pratico-utilitaristica della morale, dell’esistenza del nesso che
lega etica, metafisica, violenza e società, e, di conseguenza, della falsità della
trascendenza e dell’oggettività dei presupposti della riflessione morale è,
nell’interpretazione di Nietzsche proposta da Vattimo, l’esito paradossale della «logica
interna del discorso morale-metafisico115». E' infatti il rispetto verso il «dovere di verità
sempre predicato dalla morale metafisica e poi cristiana116» a determinare la scoperta
dell’origine utilitaristica dell’etica, e, pertanto, a non rendere più possibile credere in
quelle realtà («Dio, virtù, verità, giustizia, amore del prossimo117») dalle quali si
pensava invece che la morale stessa derivasse, e che ora sono «riconosciute come errori
insostenibili118» o, più semplicemente, come concetti non più necessari (in quanto, ad
109
Ivi, pp.15-16
110
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.260
111
Ibidem
112
Ivi, p.330
113
Ivi, p.60
114
Vattimo G., Oltre l'interpretazione, cit., p.106
115
Vattimo G., Introduzione a Nietzsche, cit., p.60
116
Ivi, p.59
117
Ibidem
118
Ibidem
22
esempio, l’uomo ha la possibilità di poter «pensare, scegliere, ricordare ecc.119» anche
senza «quella consapevolezza riflessa che è la coscienza di sé120»).
La «dissoluzione121» dei principi della metafisica è anche una conseguenza dei risultati
raggiunti dal pensiero scientifico, il cui sviluppo è stato stimolato proprio
dall’elaborazione delle nozioni “forti” caratteristiche della filosofia occidentale. Infatti,
sia la scienza che la tecnica interpretano la realtà (in analogia a quanto effettuato dalla
metafisica) in termini di strutture stabili, allo scopo di individuare principi primi,
uniformi e generalizzanti. In questo modo le conoscenze scientifiche possono essere
organizzate in modo razionale, permettendo l’accumulo e l’accrescimento del sapere, e,
tramite la tecnica, l’intervento sulla realtà esterna al fine di modificarla. L’uomo ha così
la possibilità di «dominare, o almeno affrontare in condizioni di relativo vantaggio, le
varie situazioni dell’esistenza122». I successi ottenuti dalla «visione “scientifica”123»
della realtà (che ha reso il mondo «abitabile, non più temibile124») consentono all’uomo
di attribuire a scienza e tecnica quella funzione di rassicurazione dell’esistenza in
precedenza svolta dalla verità metafisiche, le quali risultano così non più necessarie.
Inoltre, la risposta concreta ed immediata offerta dal pensiero scientifico ai bisogni
dell’individuo appare maggiormente efficace rispetto sia alla presunta sicurezza della
razionalità del tutto, proposta dalla metafisica ma non accompagnata «da una effettiva
possibilità per il singolo di possedere tale razionalità nel proprio sapere125», sia alla
speranza della salvezza futura, promessa dalla religione, ma mai resa «presente e
tangibile126». I limiti evidenziati da metafisica e religione, osserva ancora Vattimo
commentando Nietzsche, sono addirittura tali da far sì che le nozioni ultime, da esse
proposte, «non solo non eliminano l’insicurezza, ma anzi la perpetuano127» (ad esempio,
la redenzione, ovvero la salvezza operata da Dio stesso, appare «sempre incerta, legata
alle opere e all’osservanza della legge morale128»).
La conoscenza scientifica risulta a sua volta coinvolta nel processo di dissoluzione della
cultura occidentale.
119
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.229
120
Ivi, p.230
121
Vattimo G., La fine della modernità, Garzanti, Milano, 198, p.12
122
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p.115
123
Vattimo G., Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso, cit., p.16
124
Vattimo G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche ed il problema della liberazione, cit., p 37
125
Ivi, p.157
126
Ibidem
127
Ibidem
128
Ivi, p.129
23