Introduzione
Ogni periodo storico ci mette di fronte a certi problemi epocali, ai quali la
riflessione è chiamata a dare una risposta. Nel mondo contemporaneo, questioni del
genere riguardano la bioetica, la globalizzazione, il nichilismo, gli eccessi
dell'economia di mercato. In tutti questi campi, la filosofia potrebbe contribuire in
modo significativo, iniziando dal mettere a punto le domande, invece di allinearsi a
chi chiede facili risposte. Molte delle tematiche da affrontare erano state previste dai
maestri del pensiero passati, dunque non ci troviamo del tutto impreparati come larga
parte della cultura contemporanea. Tuttavia, è indispensabile focalizzare l'attenzione
sull'attualità dei problemi, che ci chiama a ridefinire gli stessi termini del discorso
filosofico.
In questo panorama, si accelerano i processi di trasformazione del linguaggio, di
riposizionamento dei contesti, di rinnovamento delle categorie tradizionali. Dei tanti
concetti che vengono in qualche modo riscoperti e portati all'attenzione del dibattito
generale, è particolarmente interessante la vicenda della categoria di persona . Dopo
anni di disintegrazione dell'individualità, moltiplicazione delle identità e morti del
soggetto, ci si è accorti che difficilmente si può fare a meno di parlare della persona e
delle persone.
Il progresso scientifico ci mette in condizione di influenzare l'evoluzione e
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selezione naturali, quindi di compiere scelte estremamente difficili sul destino delle
persone , come decidere quando lasciar morire un malato terminale, decidere se
impedire a un nascituro di poter contrarre una malattia genetica, o decidere di non
farlo nascere affatto. L'incontro-scontro tra sistemi etici e giuridici di differenti parti
del mondo pongono il problema di individuare norme universali mirate alla
salvaguardia dei diritti elementari delle persone , che si legano anche alle discussioni
su quali sistemi politici possano far valere al meglio tali diritti. L'economia imperante
deumanizza gli scambi, riducendo tutto a tabelle e funzioni matematiche, dove le
persone non sono altro che variabili come le altre, con risultati devastanti per la
stabilità stessa del mercato, come dimostrano le crisi di inizio XXI secolo. Si pone
allora il problema di come invertire tale tendenza, perché, ancora una volta, chi paga
il prezzo di questi eccessi sono le persone .
In tutti questi campi ed oltre, il ritorno ad un discorso sulla persona sembra
l'unica strada sensata. Non solo per arginare le derive della contemporaneità, vere o
presunte, ma per trovare un comune terreno di dialogo sul quale ragionare.
Altrimenti, la stessa diagnosi dei problemi diventa contraddittoria. Ancora una volta,
il primo compito della ricerca filosofica dev'essere quello di chiarire i termini del
discorso e definire le domande.
Ho scelto di affrontare la questione da una prospettiva poco consueta per la
nostra tradizione, ossia quella di un filosofo di scuola analitica come John Searle.
Egli proviene da una scena dove il legame con le scienze naturali è rimasto molto
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stretto, a volte anche di subordinazione, che ha alle sue origini progetti di
matematizzazione della realtà che hanno il loro riflesso in fenomeni quali i già citati
eccessi dell'economia, che considera l'analisi logico-linguistica degli enunciati come
la base del fare filosofia. Anche in questo ambiente si è verificato un simile
fenomeno di “ritorno alla persona”; tuttavia, come avvisa il professor Antonio
Pieretti nel saggio Persona: ascolto e reciprocità 1
, tali riscoperte vanno esaminate
con attenzione, in quanto le particolarità dell'approccio analitico angloamericano le
rendono ambigue, se ci si vuole limitare a sovrapporre le loro conclusioni a quelle a
noi familiari.
In questo lavoro si cercherà di esaminare il complesso della filosofia di Searle,
cercando le tracce di una filosofia del soggetto che, per quanto sotterranea e
frammentata, svolge un ruolo fondamentale. Il tentativo sarà allora di far emergere il
concetto di persona che raccoglie le riflessioni sulla coscienza, sugli atti, sulla libertà,
sulla società e così via. Da lì, si potranno dare idee su come sfruttare questo
patrimonio nascosto, anche con spunti di riflessione futuri.
Così, nel primo capitolo si affronterà il filosofare di Searle nel suo complesso,
cercando di individuare delle linee guida che ritorneranno in tutta l'analisi successiva.
Dunque, si renderà conto del suo metodo, si formulerà un'ipotesi sull'unità
concettuale del suo lavoro in qualcosa di analogo ad un sistema e si anticiperanno le
aree tematiche in cui tale sistema si dirama.
Nel secondo capitolo si tratterà la teoria dell'Intenzionalità di Searle, che occupa
1 A. PIERETTI, Persona, ascolto e reciprocità , in Hermeneutica , 2006
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un posto di primo piano in tutta la sua opera. Si esaminerà cosa egli intenda con
questo termine, quale ruolo debba svolgere e quale sia la sua struttura interna.
Particolare attenzione sarà dedicata alla categoria di Sfondo, che sarà estremamente
importante e peculiare. In rispetto delle convenzioni usate dall'Autore stesso, userò la
maiuscola per designare Rete, Sfondo e Intenzionalità: nell'ultimo caso, la maiuscola
serve soprattutto a distinguere l' Intenzionalità come fenomeno mentale
dall' intenzione nel senso di “ho intenzione di fare qualcosa”.
Nel terzo capitolo si affronterà il resto della filosofia della mente, soprattutto
l'approccio di Searle al problema mente-corpo, all'esistenza della coscienza e della
causalità mentale. Tutti questi elementi saranno la base per la prima idea esplicita di
soggetto che troveremo.
Il quarto capitolo sarà dedicato all'esame della struttura della razionalità pratica
e dell'ontologia sociale. Si prenderanno in considerazione solo gli elementi funzionali
al presente lavoro. Quindi, nel caso della razionalità si esaminerà cosa Searle intenda
per “ragioni per l'azione” e quale sia la struttura Intenzionale che soggiace alle
decisioni del soggetto. Nel caso dell'ontologia sociale, si presenterà la genesi dei fatti
istituzionali a partire dai semplici fatti bruti. Questo processo è l'emblema della
dipendenza di larga parte di ciò che consideriamo “la nostra realtà” dall'azione e
cooperazione di soggetti liberi, senza con ciò dare spazio serio a forme deteriori di
relativismo.
Infine, si esamineranno le conclusioni a cui saremo arrivati per dare una risposta
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circa il nostro quesito iniziale su quale idea di persona emerga in Searle. Con ciò non
si intende affatto dire che la categoria di persona possa essere costruita dalla
semplice giustapposizione di proprietà: anzi, quel che si cercherà di fare sarà proprio
coglierla nella sua globalità, dare uno sguardo al suo statuto originario; il tutto
restando fedeli al filosofare di Searle. Il tentativo, infatti, è proprio mostrare quale sia
la visuale sulla persona che possiamo avere dal punto di osservazione offerto da
Searle, non da altri, convinti che tale vista possa essere interessante e proficua al
dibattito generale.
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1.Dialogare con Searle <<Noi viviamo in un mondo, non in due, tre o diciassette. Per quanto sappiamo
oggi, le caratteristiche fondamentali di questo mondo sono descritte dalla fisica, dalla
chimica e dalle altre scienze naturali. Ma l'esistenza di fenomeni che non sono fisici
o chimici in modo evidente dà luogo a perplessità. […] Molti dei problemi filosofici
che più mi interessano hanno a che fare con il modo in cui le varie parti del mondo
sono reciprocamente correlate – in che modo il mondo le tiene assieme? - e gran
parte del mio lavoro in filosofia è stato rivolto a tali questioni.>>
2
. John Rogers
Searle apre con questa ricognizione del proprio percorso una delle sue opere
principali, La costruzione della realtà sociale . E' particolarmente significativa per
dare l'idea della vastità dei temi che ha trattato, specie alla luce della sua anomala
ricezione. Mi riferisco alla semplificazione spesso subita dalla sua filosofia, ridotta a
qualche formula. Per molti studenti, Searle è il filosofo degli atti linguistici, un
epigono statunitense di Austin, del quale non fa altro che sviluppare l'idea
fondamentale.
Un esame anche rapido della sua opera rende evidente che la situazione è ben
diversa. Certamente influisce la diffidenza consueta che si tende ad avere per la
cosiddetta filosofia analitica. Eppure, Searle è uno degli autori che più mettono in
2 J. SEARLE, La costruzione della realtà sociale , tr. it. A. Bosco, Einaudi, Torino 2006, p. 3.
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crisi quest'etichetta. La sua opera si pone spesso in aperta critica con molte delle tesi
classiche della filosofia angloamericana, dal materialismo alla teoria della ragione
come calcolo; d'altra parte, non nega mai la sua appartenenza all'area analitica, anzi
mostra di considerarla il ramo adulto della filosofia 3
.
Un altro elemento che lo rende eccentrico rispetto alla sua tradizione è il carattere
sistematico della sua opera. Proprio questo ha permesso ai commentatori di darne
spesso una lettura subordinata ad uno degli aspetti considerati dominanti, sia esso la
filosofia del linguaggio o la teoria degli oggetti sociali 4
. Ciò a cui si assiste, però, è
più una rete di rimandi interni. Così in Atti linguistici compare una certa teoria
dell'intenzionalità, teoria che verrà sviluppata in Della intenzionalità , che a sua volta
si serve degli atti linguistici; così in La costruzione della realtà sociale si fa
riferimento ai risultati delle analisi sugli atti linguistici e sull'intenzionalità, ma anche
a questioni riguardanti la coscienza che verranno sviluppati in opere come La mente
e così via .
Ciò che mostra di più la sua appartenenza alla tradizione anglosassone è
sicuramente lo stile, il metodo d'indagine. Lo studio del linguaggio, in particolar
modo quello ordinario, svolge sempre un ruolo preponderante nei suoi lavori, così
come l'uso della logica e dei risultati delle scienze naturali. Di conseguenza, anche la
3 Cfr. in modo esplicito J. SEARLE, Mente, linguaggio, società , tr. it. E. Carli, M. V: Bramè,
Raffaello Cortina, Milano 2000, cap. I; cfr anche J. SEARLE, La mente , tr. it. C. Nizzo, Raffaello
Cortina, Milano 2005, pp. 247-248; J. SEARLE, La razionalità dell'azione , tr. it. E. Carli, M. V.
Bramè, Raffaello cortina, Milano 2007, pp. 7, 75-76.
4 Ad esempio, cfr. per la lettura linguistica E. CARLI, Naturalismo e realismo in John R. Searle , in
J. SEARLE, Libertà e neurobiologia , tr. it. E. Carli, Y. O. Celso, Bruno Mondadori, Milano 2005,
pp. XXIX-XXX; per l'interpretazione sociale, M. FERRARIS, Ontologia sociale e documentalità ,
in Rivista di Estetica anno 47, n. 36, 2007.
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stessa scelta dei campi d'indagine segue questa impostazione: i temi trattati sono
quelli che è possibile trattare nei limiti dell'analisi logico-linguistica o, comunque, se
ne esamina la parte che può adattarsi ad essa.
Tutte queste caratteristiche fanno capire che Searle è un autore che non può esser
catalogato rapidamente in uno dei filoni della cosiddetta filosofia analitica. Sarà utile
cercare di affrontare la struttura del suo pensiero in modo più dettagliato, così da
poter comprendere meglio i problemi e le soluzioni che propone.
1.1. Il metodo: linguaggio, logica e fattualità Searle si è formato all'università del Wisconsin e all'università di Oxford, a cui
arrivò con una borsa di studio e nella quale studiò per sette anni, dal 1952 al 1959,
fino al dottorato di ricerca. Studiare filosofia ad Oxford negli anni '50 significava
trovarsi immersi in quella che viene comunemente chiamata Ordinary language
philosophy , la filosofia del linguaggio ordinario che ha come referente primario il
Wittgenstein delle Ricerche filosofiche .
<< In the 1930s Wittgenstein's influence in Oxford was confined to Ryle and to the
young Ayer's interest in the Tractatus and in logical positivism. A decade later, the
scene was transformed .>>
5
. Wittgenstein aveva dunque acquistato una centralità
sempre crescente; in più, questa centralità era legata alla cosiddetta seconda fase del
5 <<Negli anni '30 l'influenza di Wittgenstein a Oxford era limitata a Ryle a all'interesse del giovane
Ayer per il Tractatus ed il positivismo logico. Una decade più tardi, la scena era trasformata>>
(traduzione mia), PETER MICHAEL STEPHAN HACKER, Wittgenstein's Place in Twentieth-
century Analytic Philosophy , Blackwell, Oxford 1996, p. 148.
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suo pensiero. Questo significava anche una minore influenza del neopositivismo, in
cui rientrava anche il citato Ayer, che si era tradizionalmente concentrato sulla prima
parte.
A quest'influenza si accompagna ovviamente quella dei suoi maestri nella Oxford
di quegli anni: John Austin, da cui deriva la base della teoria degli Atti linguistici, ma
anche Paul Grice e Peter Strawson.
E' importante notare come Searle non faccia quasi mai esplicito riferimento ai
risultati raggiunti dai suoi maestri o da altri autori. Uno dei suoi tratti stilistici più
evidenti è la tendenza a ritenere che i problemi filosofici, specie quelli classici,
vadano affrontati sempre da capo , ossia partendo da quelli che ama chiamare i fatti ,
invece che dalla storia del problema e dalle soluzioni che altri hanno cercato di dare.
Paradigmatica a questa proposito è la dichiarazione d'intenti che troviamo nelle
prime pagine di Della intenzionalità : <<Interi movimenti filosofici sono stati
costruiti intorno a teorie dell'Intenzionalità. Che cosa bisogna fare di questo insigne
passato? La mia scelta è stata semplicemente di ignorarlo, in parte per ignoranza di
gran parte degli scritti tradizionali, e in parte nella convinzione che la mia sola
speranza di risolvere i problemi che che hanno portato a questo studio stia in primo
luogo nell'inflessibile proseguimento delle mie ricerche.>>
6
.
Certo non troviamo in lui un totale rifiuto della problematica storica,
semplicemente essa ha un ruolo peculiare. Si pensi a come Searle inizia il primo
paragrafo del primo capitolo de La mente : <<In filosofia non si può prescindere dalla
6 J. SEARLE, Della intenzionalità , tr. it. D. Barbieri, Bompiani, Milano 1985, p. 9
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storia. Sarebbe bello, mi capita di pensare, spiegare ai miei studenti la verità su un
problema e rimandarli a casa. Ma questo approccio completamente storico tende a
produrre superficialismo filosofico. Dobbiamo sapere per quali sviluppi storici
abbiamo ereditato certi problemi e quali risposte i nostri antenati davano ad essi>>
7
.
Vorrei porre l'accento sulla penultima frase. La frase successiva sembra infatti una
spiegazione di questa, ossia che la storia va studiata innanzitutto perché è chi deve
affrontare il problema, il lettore, lo studente o lo studioso che vi si affaccia, a
rischiare il superficialismo filosofico. Sembra proprio che Searle ritenga che quello
che troviamo nella tradizione sono soprattutto i problemi , più che le soluzioni. E' la
comprensione del problema, quindi, che rischia di essere superficiale. Si potrebbe
obiettare che fa anche riferimento alle risposte degli antenati, ma non dobbiamo
dimenticare che poche pagine prima Searle dichiarava: <<Scrivo partendo dalla
convinzione che la filosofia della mente sia l'argomento più importante della filosofia
contemporanea e che le posizioni correnti […] siano false>>
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. Quindi le posizioni
degli antenati andranno anche studiate, ma rimane la convinzione che siano
irrimediabilmente false; la storia diventa allora importante affinché si comprenda la
falsità delle risposte che ci ha lasciato, così che gli errori non vengano ripetuti.
Questo sembra essere il massimo di spazio che Searle concede alla storia e alla
tradizione. Non è difficile vedere in ciò una radicalizzazione delle posizioni di
Wittgenstein sullo statuto dei problemi filosofici: essi nascono più dall'elaborazione
7 Ibidem .
8 Ivi , p. 9.
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