3
INTRODUZIONE
Cosa si intende per disabilità e quali sono i problemi che le persone disabili devono
affrontare nel contesto scolastico?
Questo lavoro, pur dando una panoramica sulle molteplici definizioni date negli anni al
concetto di disabilità, non ha la pretesa di stabilire quale potrebbe essere quella più
appropriata, né indicare le soluzioni migliore ai problemi rilevati.
Il presente elaborato intende invece illustrare i risultati di una ricerca esplorativa che
indaga le percezioni, riguardo agli interventi specifici per gli studenti diversamente
abili, dei principali sistemi (insegnanti di classe, insegnanti di sostegno, famiglia del
soggetto portatore di handicap, assistenti ad personam1) coinvolti nel contesto
scolastico di alcuni istituti dell’area bresciana. Ci si chiede, in sostanza, se la scuola
risponda efficacemente ai bisogni di questi studenti e se la collaborazione tra i diversi
sistemi e la loro preparazione è tale da poter offrire risposte adeguate alle necessità degli
studenti diversamente abili. Oppure se i suoi interventi siano inadeguati al punto da
arrivare a massimizzare le differenze tra il soggetto portatore di disabilità e il resto degli
allievi, creando così ulteriori handicap e rafforzando la visione pregiudizievole ancora
molto permeata nella società.
Questo lavoro intende mettere in evidenza quali siano le difficoltà principali percepite
dai diversi sistemi coinvolti negli interventi con e per il disabile.
Infine ci si chiede come potrebbe essere possibile trasformare i vincoli percepiti in
risorse da utilizzare per ottimizzare gli interventi e la situazione nella sua globalità.
1
Assistente ad personam: figura professionale che affianca gli insegnanti curriculari e gli insegnanti di
sostegno e che si occupa prevalentemente dello sviluppo dell’autonomia e delle competenze
comunicative.
4
CAPITOLO 1. L’EVOLUZIONE DELLE
VISIONI SULLA DISABILITÀ E SULLA
PRESENZA DEL SOGGETTO
DIVERSAMENTE ABILE NELLA SCUOLA
"Viviamo in base
alla supposizione ingenua che
la realtà stia nel modo in cui
noi vediamo le cose e che
chiunque le veda diversamente
debba per forza essere
folle oppure cattivo."
(Watzlawick, 1976)
1.1. COME SI PUÒ DEFINIRE LA DISABILITÀ? DALL’ ICIDH ALL’ICF
I termini “diversamente abile”2, disabile e disabilità, accanto al termine handicap
storicamente più datato, sono diventati ormai da molti anni vocaboli di uso comune non
solo nei diversi ambiti specialistici di studio (giuridico, pedagogico, psicologico,
medico, ecc.), ma anche nel linguaggio quotidiano dei non addetti ai lavori.
Per meglio chiarire i concetti sottostanti a tale terminologia e per inquadrare
storicamente l’evoluzione del lessico utilizzato in questo campo, può essere utile partire
dalla definizione proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1980
tra i tre concetti di “impairment” (menomazione o danno), “disability” (disabilità) e
“handicap” che sono alla base della prima classificazione internazionale delle
menomazioni, delle disabilità e degli handicap (Zanobini & Usai, 2005).
L’OMS (1980) pubblicò un primo documento dal titolo “International Classification of
Impairments, Disabilities and Handicaps” (ICIDH) in cui veniva introdotta l’importante
distinzione tra:
2
Esistono tante accezioni per definire il soggetto con disabilità. In questo lavoro verrà utilizzato il
termine di “diversamente abile”, in quanto l’avverbio “diversamente” permette di porre l’enfasi sulla
differenza qualitativa nell’uso delle abilità.
5
-impairment (menomazione) definita come "perdita o anomalia a carico di una struttura
o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica che può avere carattere
permanente o transitorio";
-disability (disabilità) intesa come "qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a
menomazione) della capacità di compiere un’attività nei tempi e nei modi considerati
normali per un essere umano";
-handicap inteso come la "condizione di svantaggio, conseguente a una menomazione o
a una disabilità, che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo
normale per tale soggetto in relazione all’età, al sesso e ai fattori socioculturali".
La lista dei principali raggruppamenti nella definizione di ciascuno dei tre termini,
riportata nella tabella di seguito, può meglio aiutare a capire la distinzione.
Menomazioni della capacità intellettiva, altre menomazioni psicologiche, del
linguaggio e della parola, auricolari e/o oculari, viscerali,
scheletriche, deturpanti, generalizzate, sensoriali e di altro tipo.
Disabilità
nel comportamento, nella comunicazione, nella cura della
propria persona, locomotorie, dovute all’assetto corporeo, nella
destrezza, circostanziali, in particolari attività, altre restrizioni
all’attività.
Handicap
nell’orientamento, nell’indipendenza fisica, nella mobilità,
occupazionali, nell’integrazione sociale, nell’autosufficienza
economica, altri handicap.
TABELLA 1: raggruppamenti nella definizione di “menomazione”, “disabilità”, “handicap” secondo
l’ICIDH.
Volendo fare un esempio, in base alla definizioni di cui sopra, un non vedente è una
persona che soffre di una menomazione oculare che gli procura disabilità nella
comunicazione e nella locomozione e comporta handicap, ad esempio, nella mobilità e
nell’occupazione (per citare solo i principali).
6
Quindi un unico tipo di menomazione può dar luogo a più tipi di disabilità e implicare
diversi handicap. Analogamente un certo tipo di handicap può essere collegato a diverse
disabilità, che a loro volte possono derivare da più tipi di menomazione.
Mentre per un individuo la menomazione ha carattere permanente, la disabilità dipende
dall’attività che egli deve esercitare e l’handicap esprime lo svantaggio che ha nei
riguardi di altri individui ( i cosiddetti “normodotati”). Un paraplegico, ad esempio, avrà
certamente un handicap quando si tratta di giocare a calcio, ma non ne avrà
praticamente nessuno nel far uso di un personal computer.
L’aspetto significativo del primo documento dell’OMS è stato quello di associare lo
stato di un individuo non solo a funzioni e strutture del corpo umano, ma anche ad
attività a livello individuale o di partecipazione nella vita sociale.
I principali limiti dell’ICIDH sono evidenziabili come segue:
- le categorie relative a menomazioni, disabilità e handicap appaiono scarsamente
definite;
- le categorie appaiono spesso inadeguate quando l’interesse è quello di descrivere le
disabilità di anziani, bambini e/o di persone con disturbi psichiatrici;
- i criteri di valutazione proposti appaiono troppo grossolani e non sensibili nei
confronti dei piccoli progressi che faticosamente con queste persone si riescono a
ottenere;
- il sistema di classificazione proposto è, secondo alcuni, legato a negative influenze
sociali e crea ulteriori ostacoli ai processi di integrazione;
- nell’ ICIDH non vengono affatto analizzate le variabili contestuali
(www.ritardomentale.it).
È perciò possibile affermare che i limiti fondamentali dell’ICIDH consistono,
innanzitutto, nel sostenere una visione prettamente lineare delle tre situazioni,
rappresentando quindi un modello causale con una consequenzialità temporale (Buono
& Zagaria, 1999).
Il secondo documento pubblicato dall’OMS (2001) è intitolato “International
Classification of Functioning, Disability and Health” (ICF).
Già questo titolo è indicativo di un cambiamento sostanziale nel modo di porsi di fronte
al problema di fornire un quadro di riferimento e un linguaggio unificato per descrivere
7
lo stato di una persona. Non ci si riferisce più a un disturbo, strutturale o funzionale,
senza prima rapportarlo a uno stato considerato di "salute".
La sequenza “Menomazione - Disabilità – Handicap” (alla base dell’ICIDH), nell’ICF
viene superata da un approccio multiprospettico relativo alla classificazione del
funzionamento e della disabilità, secondo un processo interattivo ed evolutivo.
La classificazione integra in un approccio di tipo “biopsicosociale” (in cui la salute
viene valutata complessivamente secondo tre dimensioni: biologica, individuale e
sociale) la concezione medica3 e sociale4 della disabilità. Segna in sostanza il passaggio
da un approccio individuale ad uno socio-relazionale nello studio della disabilità.
La disabilità viene intesa, infatti, come la conseguenza o il risultato di una complessa
relazione tra la condizione di salute di un individuo, i fattori personali e i fattori
ambientali che rappresentano le circostanze in cui egli vive. Ne consegue che ogni
individuo, date le proprie condizioni di salute, può trovarsi in un ambiente con
caratteristiche che possono limitare o restringere le proprie capacità funzionali e di
partecipazione sociale.
L’ICF, correlando la condizione di salute con l’ambiente, promuove un metodo di
misurazione della salute, delle capacità e delle difficoltà nella realizzazione di attività
che permette di individuare gli ostacoli da rimuovere o gli interventi da effettuare
perché l’individuo possa raggiungere il massimo della propria auto-realizzazione
(www.handicapincifre.it).
Come si può vedere dalla tabella di seguito riportata, il nuovo documento sostituisce ai
termini impairment, disability e handicap (che indicano qualcosa che manca per
raggiungere il pieno "funzionamento") altri termini nella nuova prospettiva. Essi sono:
-funzioni corporee: funzioni fisiologiche dei sistemi corporei, incluse le funzioni
psicologiche;
-strutture corporee: parti anatomiche del corpo come organi, arti e loro componenti;
-attività: è l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo;
3
L’approccio medico considera la disabilità come un problema della persona (causato direttamente da
malattie, traumi o altre condizioni di salute) ed è su di essa che, esclusivamente, si deve intervenire nei
termini di cura dell’individuo, o di adattamento della persona alla propria condizione o di cambiamento
comportamentale.
4
L’approccio sociale ritiene che la disabilità sia principalmente un problema creato dalla società. La
disabilità, quindi, non è un caratteristica dell’individuo, ma il risultato di una complessa interazione di
condizioni, molte delle quali create dall’ambiente sociale. Questa nuova concezione della disabilità
richiede interventi che migliorino le condizioni di salute, ma che determino anche cambiamenti nel
contesto sociale.
8
-partecipazione: è il coinvolgimento di un individuo in una situazione di vita;
-fattori ambientali: sono caratteristiche del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti,
che possono avere impatto sulle prestazioni di un individuo in un determinato contesto.
Funzioni corporee
1. Funzioni mentali, sensoriali e dolore, della voce e dell’eloquio,
del sistema cardiovascolare, ematologico, immunologico e
respiratorio, del sistema digestivo, metabolico ed endocrino,
genitourinarie e riproduttive, neuro-muscolo-scheletriche e
collegate al movimento, funzioni cute e strutture associate.
Strutture corporee
1. Strutture del sistema nervoso, occhio, orecchio e strutture
collegate, strutture collegate alla voce e all'eloquio, dei sistemi
cardiovascolare, immunologico e respiratorio, strutture
collegate al sistema digestivo, metabolico ed endocrino,
strutture collegate al sistema genitourinario e riproduttivo,
strutture collegate al movimento , cute e strutture collegate.
Attività e
partecipazione
1. Apprendimento e applicazione della conoscenza, compiti e
richieste di carattere generale, comunicazione, mobilità, cura
della propria persona, vita domestica, interazioni e relazioni
interpersonali, principali aree della vita, vita di comunità,
sociale e civica.
Fattori ambientali
1. Prodotti e tecnologia, ambiente naturale e cambiamenti
apportati dall’uomo all’ambiente, supporto e relazioni,
atteggiamenti, servizi, sistemi e politiche.
TABELLA 2: raggruppamenti relativi alle diverse categorie proposte dall’ICF.
Da questo breve excursus, si può notare come le recenti disposizioni si allontanino dai
modelli prettamente sanitari, favorendo rappresentazioni della disabilità più legate alle
implicazioni sociali della stessa (Scorretti, 2002).
Il percorso verso il riconoscimento della disabilità è stato faticoso ed è tuttora in corso.