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La Cina onomico, ma
anche, e forse soprattutto, filosofico e teoretico . La fine del secolo passato ha ormai
aese, e il secondo millennio dovrà
cinese non si limita però solo al lato economico o politico, ma si impone come
ridefinizione necessaria della cultura cinese, spesso bistrattata nel secolo passato,
ridotta a simulacro di presunti antichi pensieri primitivi occidentali, nulla a che
vedere con la supposta
Così è stato ad esempio della poesia cinese, ritenuta infantile o futile dalle
letterature europee, o del pensiero filosofico, etichettato anche da grandi mostri
sacri del pensiero quali Hegel come rozzo ed elementare, incapace di poter astrarre
, privo di «alcunché di sensato»
1
. Tale pregiudizio si
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Cfr. Hegel Georg W.F., Lezioni sulla storia della filosofia , La Nuova Italia, Firenze, 1967, pag. 140. Sui
rapporti tra Hegel e il pensiero orientale cfr. Hulin Michel, , Vrin, Parigi, 1979; e
Pasqualotto Giangiorgio, ,
nei rari casi in cui
è stato affrontato seriamente, ha mantenuto in linea generale il pregiudizio hegeliano, alcune
Yijing anni, della sua aritmetica binaria (cfr. Leibniz G. W., Prefazione al libro intitolato «Le ultime novità
della Cina» , in Id., La Cina , a cura di Carlo Sini, Spirali, Milano, 1987). Egli riconobbe inoltre alla Cina
una superiorità nelle filosofia pratica, pur ritenendo il pensiero occidental enza dei Patriarchi, direttamente ispirati da Dio. « Anche qui Leibniz
infaticabilmente si applicò per volgere al meglio la filosofia e la religione dei cinesi, sforzandosi di
dimostrare che essa non è, nei suoi principi, lontana da una concezione platoni co-‐cristiana
dell'universo, la quale poté presumibilmente derivarle da quella originaria e incorrotta sapienza
dell'età dei Patriarchi, direttamente ispirati da Dio, della cui esistenza storica (si pensi anche al
nostro Vico) nessuno allora dubitava. Sicché il leggendario Fohi, mitico iniziatore della civiltà cinese,
altri forse non era che Zoroastro, o Ermete Trismegisto, o Enoc, e magari non aveva mai calcato
suolo cinese (come qualcuno arrivò a supporre, con devoti propositi)» (Sini Carlo, Presentazione, in
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è talmente radicato in Occidente da ricostruire retroattivamente anche la storia
della Cina, cercando di giustificare fatti in questo senso apparentemente
sconcertanti, come o
della bussola. Secondo questa visione, fu il caso a donare alle popolazioni cinesi tali
prodigi della scienza, ma solo in Occidente essi poterono essere utilizzati
correttamente. Ora, però, tutto ciò non regge. Non regge fosse anche per il
semplice motivo che la Cina si è imposta con forza come occasione obbligata, anche
sul lato tecnologico e produttivo. Ora la sua popolazione non può più sembrare così
essere in qualche modo superati, comandati, subordinati da una nuova potenza .
considera pregiudizialmente il
grande Oriente, ora non più così lontano e inoffensivo, come una vera occasione
. La mancanza di comprensione profonda della cultura cinese non è però
solamente dovuta a una cecità pregiudiziale occidentale. La sua saggezza si mostra,
a un primo approccio, effettivamente come oscura ai nostri occhi. Strane e bizzarre
sembrano certe tradizioni, lontana e incomprensibile la sua scrittura, banale la sua
poesia.
Ivi, pag. 5). Diverse furono invece le intenzioni di Schopenhauer, che cercò di ridare in pieno dignità
al pensiero orientale, ma analoghi purtroppo furono gli esiti. Egli riconobbe addirittura il debito agli
antichi Veda a opera: «il mondo è la mia rappresentazione» fu
Vedanta attribuita a Vyasa» (Schopenhauer Arturo, Il mondo come volontà e rappresentazione ,
traduzione e cura di Paolo Savj-‐Lopez e Giovanni di Lorenzo, Laterza, Bari, 1968, vol I, paragrafo I,
pag. 30) altrettanto fuorviante, di un pensiero orientale come philosophia perennis, in cui la verità si è rivelata
da sempre e per sempre, e che si rivela in tempi e luoghi tra loro lontani: Eraclito, Platone, i Maya, il
buddhismo ecc. finirono per essere depauperati della propria originalità e delle corrispettive
differenze, riducendosi ad un unico principio metafisico.
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altro della Cina, que Occidente, non è però solo fonte di smarrimento. È certo che la Cina antica non
abbia mai avuto propriamente una Filosofia, ma se mai una forma di Saggezza. La
nostri segni astratti funzio essa preferisce simboli
ricchi di suggestioni pratiche e rimandi indefiniti. Pare bizzarro che talvolta per
comprendersi si debba ancora, dopo millenni di gloriosa storia culturale, scrivere sul
palmo di una mano ciò che si vuole esprimere in una banale conversazione.
I due piani di confronto sono traversi, e non paralleli. è in prima istan za
una misura che soppesi la distanza in quanto semplicemente diverso da. Questa è però e, inteso anche come compiuto, totale e
radicale insieme di pratiche lontane dai nostri punti di riferimento, è un vantaggio
teorico preziosità. Ci viene offerta una mentalità che si stacca dalle
concezioni definite efficacia. La Cina è per noi filosofi soprattutto uno spazio di pensiero.
Essa ci dà la possibilità di ricreare un punto esterno alla nostra visione del
mondo, che possa realmente sia mettere in luce i limiti e i pregi del nostro pensiero,
sia porre le basi di stessa
possibilità di interrogazione: dalla rivalutazione di una cultura a noi così lontana e
stranamente non ancora conformata al nostro modo di vivere e pensare possiamo
domandare le nostre evidenze, ciò che costituisce il nostro impensato.
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Il raggiungimento di una prospettiva estranea al nostro fare quotidiano passa
in prima istanza assimilazione, per quanto possibile, di pratiche e
strumenti cognitivi ed estetici difformi dal nostro. Il primo incedere della nostra
analisi ha quella inevitabile e infondata dose di fiducia di un primo passo nel buio:
fidandosi, sulla base di semplici dati storici, della validità e della portanza di ciò che
andiamo leggendo e analizzando, dobbiamo però poi anche riabituare i nostri occhi
a una luce diversa sulle cose, in parte dimentichi di ciò che ci siamo lasciati alle
spalle. Il primo capitolo cercherà di immergere il lettore nello sfondo del pensiero
cinese, nei suoi grandi fondali culturali, negli affreschi cosmologici che ancora
trovano spazio vitale nel suo immaginario, nella sua massima di vita.
Trattandosi di un vero e proprio mondo, alla cui conoscenza si dovrebbe
, abbiamo ristretto la nostra attenzione su di
un oggetto particolare, il Taijitu circondano. Questo ci ha portato al Taoismo, uno tra gli apici culturali riconosciuti e
i ese, secondo forse solo al confucianesimo. Che sia la
ricerca di un pacifico isolamento, come in Zhuangzi, o il tentativo di un uomo
minacciato (ovvero, come vedremo, di uno Stato e di un Cosmo) di sopravvivere e
agire nel mondo, come in Laozi, la razionalità mobile del pensiero cinese trova in
entrambi forme scritte sintetico-‐estetiche di rara efficacia e bellezza. Ciò dà ragione
sia al successo storico in Cina dei loro scritti, sopravvissuto a decine di rivoluzioni,
sia, cosa più importante per noi in quanto filosofi, di un tra il loro modo
di argomentare e La porta
aperta sul mondo dal Taijitu sarà quella della domanda che cerca di comprendere i l
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movimento del mondo stesso, non per attribuirne valori di verità, ma per
assecondarlo, per coglierne la dinamica intrinseca .
Dao delle cose in-‐forma il pensiero configurandolo
spontanea concentrazione: per dirla con le parole di un cuoco, si cerca di
stare al mondo in maniera che «la facoltà sensoriale e la conoscenza si sono
arrestate, e lo spirito desidera muoversi»
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. rsi del reale ha una
cadenza, un ritmo, intreccio di ritensione e protensione, traccia e presagio. Il
simbolo del Taiji non fa che figurare questa dinamica, cercando consapevolmente di
non tradirla per lo stesso fatto di costituirsi come figura scritta.
Lo s(pro) coscientemente paradossale del tratto scritto è
testimoniato d Yijing, opera tanto controversa e lontana da noi quanto colonna
di tale lontananza, basti solo pensare che al fondo della cultura cinese, a costituire
una Bibbia, non È
porta la nostra analisi a comprendere come la scrittura sia
la fonte continua della peculiarità del mondo cinese, la sua causa e il suo effetto, il
supporto delle sue pratiche.
secondo capitolo, il quale è
volutamente impostato, come una rima alternata, tra riflessioni sulla nostra
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Zhuangzi, Zhuangzi, a cura di Leonardo Vittorio Arena, Rizzoli, Milano, 2009, pag. 88. Famoso
passaggio nello Zhuangzi dove si narra la vicenda del cuoco Ding e del principe Wenhui da noi ripreso
nel primo capitolo (cfr. poi pag. 24).
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scrittura alfabetica e analisi della pratica scrittoria ideogrammatica cinese. viene introdotta dal e impostata sul concetto di figura, postura teoretica della
nostra prospettiva. Da questo punto di vista, stilizzatosi astraendosi verso il fine della comunicazione informa linguistica, per nulla casuale ma per questo non necessariamente visibile, lascia le
sue tracce nel segno alfabetico, se pur esso si concentri oggi per lo più in direzione
della sua : la comunicazione del significato.
Dall evoluzione, la quale però ha mantenuto quel carattere figurativo che diede vita alle
pitture rupestri, se pur ora stilizzato e giocato consapevolmente. può essere assoc saussuriano poiché inteso in questo modo ci
sembrerà ovviamente e inevitabilmente impreciso e confusionario. La sterminata
quantità di omo loro complessità
di esecuzione non devono essere visti come ostacoli alla conoscenza ma, partendo
dalla pratica cinese stessa della scrittura, saranno le naturali espressioni di un
linguaggio radicalmente altro operazioni mentali, non si fonda su naturalismo immanente e totalizzante.
Il nostro segno linguistico porta con sé le proprie conseguenze teoretiche, a
-‐ onto-‐graphia). La
sere delle cose non è quindi un interrogativo innocente rispetto ai
propri presupposti e alle proprie pratiche, ma è pienamente coinvolto nel gesto
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alfabetico socratico. Emerge così che
la pratica linguistica non ha in sé la definizione, come necessità ineludibile.
Viceversa, non si può definire nulla senza scrivere. Contemporaneamente,
a dover colmare lo iato tra sé e il mondo,
tra pparenza, tra il significante e il significato.
un piano di
confronto con le modalità della pratica scrittoria cinese, il cui mondo viene se mai
In Cina non si crede di poter accedere alla verità delle cose, ma si
cerca di circumnavigarle, di contornare il loro movimento con un segno altrettant o
dinamico (internamente, nella composizione, ed esternamente, tra i caratteri) :
eoretiche e non semplicemente
grammaticali . Esso è se mai tendini composto
vivificato dal gioco tra pieni e vuoti, ritmato da una precisa ratio. Anche il più
per cui nulla, nel
gesto scrivente, può essere lasciato al caso. La configurazione cinematica del segno
semplice inedita forma di sapere. La
saggezza dello scrivere cinese cerca di radicarsi nella stessa essenza del movimento
del Nulla è fermo
poiché tutto è manchevole, ogni presenza è una figurazione del vuoto (e non una
assenza, possibile principio di inattività interno alla stessa onto-‐logia).
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Il tratto-‐ regola, e apre a un cosmo in-‐azione, ncora oggi
fonda quella efficace saggezza pratica che colpisce lo spettatore occidentale e
informa la cultura cinese anche nelle sfere più alte del sapere . La scrittura supporta
forma peculiare.
graphico è
la concreta realizz Il sommo
-‐agire, o wu wei . In esso il vuoto funziona,
come limite interno, come sostanza e come orizzonte . Il campo su cui la cultura
coltiva le proprie idee sembra essere più adatto a zione che a formulare
concetti. . Con il wu wei è io a dover essere interrogata, e a
rilevare i propri limiti.
Il come -‐azione, non può essere in ultima istanza
spiegato, ovvero detto . Il senso
de di traverso , per vie
mediane, indirette e concrete. È un sapere, quello della Cina, che non aspira
saper vivere . Sul piano strettamente etico poi, vedremo da
una part ritiene altro da sé e Dalla parte del pensiero cinese
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invece a svilupparsi sarà reattiva spontanea
inserita nella circostanza reale, intesa come configurazione dinamica e cadenzata di
principi universali.
E così la Cina, intesa come occasione filosofica, fa emergere non tanto ciò che
penso, ma ciò a partire da cui penso (e che, quindi, non penso): evento teoretico
per eccellenza.