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Questo lavoro si propone di analizzare le forme di scrittura collaborativa e il
problema dell’autorialità presentati in questi undici testi, i primi esempi di quella che
è stata definita come una letteratura nascente
1
al cui interno si comprende un
materiale assai vasto e soprattutto estremamente eterogeneo, vivo, a volte
difficilmente classificabile e attraversato da un costante flusso di mutamento.
Di questi testi solo due sono stati scritti dalla medesima coppia, due da coppie
di sole donne, due sono stati scritti in carcere; vi è una sola firma famosa, quella di
Ben Jelloun; ma vi sono tante storie, tanta ordinaria discriminazione, ma anche una
chiara volontà di accoglienza e di comprensione reciproca; e c’è sicuramente in
questi testi poca retorica, e comunque solo da parte di coloro che dietro a essa si
nascondono per rifiutare il contatto, l’ibridazione, la contaminazione della cultura
italiana, e non comprendono come essa non solo sia inevitabile ma come essa
rappresenti l’unica ricchezza veramente inesauribile.
La scrittura a più mani implica, in ciascuno dei casi analizzati, diverse forme
di collaborazione che vanno a influenzare in maniera più o meno diretta l’opera
stessa. Da un punto di vista prettamente teorico, la circostanza della compresenza di
più firme in calce a un testo, pone notevoli problemi riguardo al concetto di
autorialità di cui ognuno di questi testi propone una diversa concezione.
L’ipotesi di fondo di questo lavoro è che attraverso le diverse soluzioni
fornite dai diversi testi ai problemi dell’autorialità, così come essi vengono posti
dalle esigenze di un scrittura a più voci, si celino diversi approcci alla realtà
dell’immigrazione da parte della cultura italiana. Approcci che individuano diverse
dimensioni e diverse modalità attraverso le quali la cultura nazionale riflette sui suoi
margini, interni ed esterni.
InevHassanilmente nel nuovo “spazio di riflessione” creato da queste opere,
dimensione politica e culturale si toccano, non sono più due sfere completamente
separate. Come ha scritto Foucault:
1
Ho volutamente usato in questa breve introduzione entrambe le definizioni di "letteratura della
migrazione" e "letteratura nascente": come sarà chiarito in seguito, i due termini pur indicando il
medesimo fenomeno culturale, partono da presupposti leggermente diversi. Il primo termine sottolinea
la condizione di migrante come determinante ai fini della classificazione in ambito letterario, mentre
la seconda definizione pone l’accento sulla novità di questo fenomeno rispetto alla tradizione culturale
italiana.
7
Ogni nazione è una costruzione di tipo testuale e ideologico, che permea
di sé il canone letterario e insieme i discorsi critico scientifici. (Foucault, in
Bhabha, 1997, p. 57)
Ma cosa succede dunque quando i confini di questa “costruzione” di cui parla
Foucault si dilatano, entrando in contatto con idee e individui provenienti da altri
territori, da altre tradizioni, come, appunto, nel caso preso in considerazione in
questo lavoro? Quali sono i limiti e i confini di questa nuova ed emergente
situazione? Come si adattano le nuove comunità al loro inevitabile farsi
“multiculturali” e come modificano le tipologie di comunicazione?
Il linguaggio (inteso nel suo significato più ampio, come insieme di elementi
atti alla comunicazione) di ogni singola cultura ospitante risulta in bilico: sarà infatti
protagonista del presente (quindi colto in fieri, nel suo continuo divenire e
trasformarsi), ma allo stesso tempo costituito su figure retoriche appartenenti a un
ben delineata eredità culturale passata che trova le sue radici nel concetto stesso di
nazione moderna.
Secondo la tesi di Julia Kristeva, ripresa da Homi Bhabha nelle sue riflessioni
sul rapporto tra nazione e narrazione, la produzione narrativa di una nazione è un
processo dinamico risultante dalla costante dialettica tra la temporalità continua e
cumulativa del pedagogico con la strategia ripetitiva e ricorsiva del performativo.
(Kristeva, in Bhabha, 1999, p. 198) In particolare, per Bhabha la nazione non è più il
segno della modernità all’ombra del quale le differenze culturali sono rese totalmente
omogenee in una visione “orizzontale “ della realtà. (Bhabha, 1997). In seguito al
crollo dei grandi imperi coloniali la nazione moderna nella sua ormai vacillante
condizione di entità monoculturale diviene territorio di passaggio, di incontro, di
scontro di svariate culture.
Queste nuove identità emergenti (le chiamerò di minoranza, senza
ovviamente attribuire al termine alcuna connotazione negativa, ma solo per
distinguerle da quelle nazionali tradizionalmente intese) si inseriscono nel processo
dialettico tra momento pedagogico e performativo, senza per forza dover generare
all’interno di esso alcuna contraddizione, ma contribuendo piuttosto a delineare
l’esistenza di ciò che si definisce “terzo spazio” (Bhabha, 1997).
8
Il risultato è la creazione di una nuova realtà culturale che trova il suo motivo
di sviluppo nella differenza e nella contaminazione, grazie alla presa di coscienza
dell’esistenza di spaccature all’interno dei sistemi semiotici delle lingue nazionali e
del modo in cui tali fratture creano una nuova geografia di luoghi ibridi .
È il processo che Bhabha definisce di “DissemiNazione” (con un aperto
riferimento a Derrida), in seguito al quale si può riuscire a superare il silenzio dell’
“io narrativo” dei popoli coloniali, postcoloniali, migranti, erranti, di minoranza.
Questo discorso, che ho fin qui legato esplicitamente alle dinamiche della
produzione letteraria, si inserisce all’interno di problematiche dal respiro
notevolmente più ampio divenendo parte di una sfida con forti connotazioni
politiche/sociali di strettissima attualità: anche la narrazione è fondamentale per
esprimere il proprio diritto alla diversità. E le modalità narrative che vengono scelte
per l’espressione e la rivendicazione di questo diritto non sono mai neutrali, ma
rappresentano opzioni cariche di implicazioni che vale la pena di indagare nelle loro
peculiarità.
Ovviamente nazioni europee quali Francia, Inghilterra, Spagna che hanno
avuto nel passato vasti possedimenti coloniali, si sono trovate a affrontare, nel
momento storico del loro progressivo sgretolamento, l’emergere di nuove identità
nazionali, anche attraverso la presa di coscienza della nuove e ibride realtà culturali e
letterarie che tale movimento aveva prodotto. (non a capo). Per quanto riguarda il
nostro paese il discorso, a mio avviso, risulta particolarmente interessante e
stimolante per la mancanza di un vissuto storico di potenza coloniale. Allo stesso
tempo l’Italia è stata nell’ultimo secolo terra di grandi spostamenti migratori, sia
interni al territorio nazionale sia diretti verso paesi stranieri, che ebbero come
protagonisti i suoi stessi cittadini e che determinarono un profondo mutamento
nell’assetto sociale della nazione.
Nonostante però il nostro passato prossimo, strettamente collegato a
esperienze di emigrazione, i massicci flussi immigratori durante l’ultimo ventennio
del Novecento sono stati colti dall’opinione pubblica con un sentimenti di diffusa
diffidenza.
Il processo di piena integrazione nella realtà sociale e produttiva di questi
gruppi di nuovi cittadini è stato e continua ancora a essere difficile e limitato.
9
Sicuramente il desiderio di denuncia da parte degli immigrati della propria
condizione di emarginazione e la rivendicazione di un ruolo più attivo all’interno
della comunità civile hanno contribuito alla creazione e all’ “emergenza” di una
nuova dimensione culturale, specificamente letteraria, grazie alla quale poter
finalmente dare espressione alla propria voce. La lingua italiana si è posta come
primo ostacolo da superare sul percorso d’integrazione; difficoltà rispetto alla quale
la collaborazione a più mani e a più livelli, tra stranieri e italiani dalla quale sono nati
le prime opere figlie di una nuova dimensione letteraria, è sembrata la soluzione più
immediata e significativa.
La collaborazione si è posta come dialogo tra la cultura italiana e la realtà
degli immigrati, come utopia di comunicazione e di contatto. In realtà, tutto questo
suscita diversi interrogativi: è stata sempre armonica la collaborazione? È stata
sempre fruttuosa? Quali sono state le diverse modalità di incontro tra i diversi autori?
Ci sono stati dei contrasti, degli scontri? Sono riusciti questi testi a evitare il rischio
di un paternalismo della cultura italiana che faceva parlare gli immigrati con la voce
degli italiani? E poi: chi è considerato di volta in volta l’autore del testo? A chi viene
attribuita, anche attraverso gli elementi paratestuali, la responsabilità ultima dei testi
stessi?
Questo mio lavoro intende, dunque, proporre una chiave di lettura dei primi
testi della cosiddetta “letteratura italiana della migrazione” incentrata sullo studio
delle modalità di collaborazione tra immigrati e italiani, cercando di evidenziare
come e perché in ogni singolo caso si modifichino e si adattino diverse concezioni
dell’autorialità. In questo senso, ho assunto il problema dell’autorialità non solo
come una questione teorica fine a se stessa, ma come il nodo cruciale attraverso cui
la cultura e la società italiana hanno articolato, nella prima metà degli anni Novanta,
la possibilità di parlare dell’immigrazione come un fenomeno con cui dialogare e da
considerare più o meno centrale, più o meno ai margini del sistema culturale
nazionale e, conseguentemente, della società nel suo complesso.
Sulla base di queste considerazioni, questo lavoro intreccia l’illustrazione di
alcuni dati di ordine statistico, legislativo e sociologico relativi alla realtà e alle
peculiarità del fenomeno immigratorio in Italia con una delineazione della storia
10
recente della letteratura italiana della migrazione e con un percorso attraverso i
problemi teorici e le discussioni sorte attorno alla questione dell’autorialità.
Il mio lavoro è diviso in due parti.
La prima parte è dedicata all'illustrazione dei temi e dei problemi generali, la seconda
all'analisi specifica del corpus di testi preso in considerazione
All'interno della prima parte, il primo capitolo fornisce una presentazione e
un'analisi complessiva della prima fase della letteratura italiana della migrazione. Il
secondo capitolo tenta di fornire una contestualizzazione del fenomeno: accennerò
qui infatti brevemente ad alcuni rilievi statistici che ritengo indispensabili per una
adeguata comprensione della portata del recente fenomeno immigratorio da paesi
extracomunitari, completando la mia illustrazione con l’inserzione di brevi
riferimenti a flussi emigratori che contribuirono, durante il secolo scorso, a delineare
le basi della società civile italiana quale essa oggi si presenta. Poi, la mia analisi si
concentrerà nel terzo capitolo, sul problema dell’emergenza della voce, prima da un
punto di vista linguistico e poi da una prospettiva più specificamente letteraria,
legando tutto questo a esperienze di altre letterature nazionali e agli sviluppi della
letteratura italiana della migrazione fino ai nostri giorni. La storia di questa
letteratura non si è certo conclusa con quei primi testi che costituiscono l'oggetto di
questa analisi. E malgrado il fatto che la collaborazione, caratteristica esclusiva della
prima produzione della letteratura della migrazione, abbia suscitato grande
entusiasmo in molti dei suoi artefici, essa ha contribuito, assieme al ricorrente tema
autobiografico a cercare di fornire una chiave interpretativa di questi testi
prettamente sociologica, limitando il riconoscimento di una loro autonoma validità
artistica. In realtà, tali linee di analisi che pure furono, come illustrerò in seguito,
sostenute da molti “addetti ai lavori”, non impedirono a questa nuova dimensione
letteraria di evolversi. Il processo di “integrazione letteraria” iniziato attraverso la
scrittura a più mani non si è arrestato e grazie a una progressiva consapevolezza
linguistica e culturale ha portato nuovi migranti alla scrittura autonoma e alla
creazione di personalità artistiche di notevole profilo. Il quarto capitolo proporrà una
breve rassegna delle principali posizioni teoriche relative al problema dell’autorialità
con la discussione della loro pertinenza rispetto al caso da me preso in
considerazione e con la presentazione di alcuni modelli di scrittura collaborativi.
11
Nella seconda parte del lavoro, analizzerò e discuterò i casi specifici che
costituiscono il corpus di riferimento delle mie riflessioni; come ho già avuto modo
di accennare analizzerò undici opere ognuna della quali risulta essere “figlia” della
collaborazione tra scrittori migranti e autori italiani. La mia attenzione si rivolgerà
sia all’analisi della personalità degli autori e delle tematiche che emergono dalle
pagine dei loro scritti, sia alla tentativo di individuare le dinamiche proprie della
scrittura a quattro mani e cioè di come, materialmente, le volontà di due personalità
differenti e spesso in contrasto tra loro si fondano in un unico testo ponendo
particolare attenzione alle problematiche di autorialità e cercando di volta in volta di
trovare risposta al fatidico quesito “E’ possibile rintracciare una singola funzione
autore all’interno di questi testi?”. E questo aderendo alle posizioni di Michel
Foucault (riprese da Antoine Compagnon) secondo cui tale funzione sarebbe
indispensabile all’esistenza stessa di un testo
Il mio lavoro di ricerca e la mia analisi sono state supportate, quando è stato
possibile, dalle testimonianze dirette degli autori da me personalmente contattati (e a
volte incontrati) e intervistati: i dati e le informazioni così raccolti costituiscono, io
credo, la parte più vera e viva del mio lavoro, anche quando essi si sono rivelati
scarsi, o quando hanno contraddetto le mie previsioni e le mie aspettative
Questo percorso, spesso difficile ma estremamente affascinante, mi ha dato la
possibilità di conoscere in presa diretta le dinamiche di scrittura e vita dei primi
immigrati scrittori in italiano e di coloro che li hanno aiutati, ma anche di venire in
contatto con un mondo polifonico e notevolmente.
12
PARTE PRIMA
13
1.
LA PRIMA FASE DELLA LETTERATURA ITALIANA DELLA
MIGRAZIONE: TEMI, FORME, PROBLEMI GENERALI
E' stato Armando Gnisci a coniare la definizione di “letteratura italiana della
migrazione” intendendo con questo specificamente “la letteratura scritta in italiano
dai recenti immigrati nel nostro paese”(Gnisci, 1998 a, p.17).
La definizione di Gnisci non è, ovviamente, l’unica possibile. Raffaele
Taddeo
2
, per esempio, preferisce parlare di “letteratura nascente” o di “letteratura
della creolizzazione”: l’aggettivo 'nascente' sposta l’attenzione del lettore sulla novità
di questo fenomeno e sulla sua fresca forza eversiva che ne determina la capacità di
adattarsi al continuo mutare della nostra società; il sostantivo creolizzazione invece
vuole sottolineare il carattere di pluralismo culturale tipico di questo tipo di scrittura,
che giunge a essere l’unico spazio ove le culture si mescolano. (Di Sapio, 2000) .
Graziella Parati ha introdotto invece la metafora del “crocevia” (nel suo testo,
originalmente scritto in inglese, crossroads) per definire il contesto letterario al quale
appartiene questa nuova produzione letteraria, giustificando così la sua scelta:
L’italiano come lingua nella quale vengono espresse le testimonianze
degli immigrati occupa il centro di un incrocio e diviene contemporaneamente
strumento di visibilità e oggetto di appropriazione. (Parati, 1999, p.15)
Questo centro temporaneo, rimodellato dagli stessi scrittori immigrati
permette che vi sia la possibilità di espandere gli sforzi creativi in direzioni
differenti, che si estendono al di là dei rigidi confini nazionali; così l’Italia e
l’italiano diventano uno dei centri degli incroci culturali d’Europa.
2
Raffaele Taddeo,studioso e insegnante, presidente del centro culturale multietnico “La tenda”di
Milano; cfr. http://www.digilander.libero.it/LATENDA/index.html
14
Il primo testo che possa essere annoverato tra quelli della letteratura italiana
della migrazione
3
è una raccolta di poesie dal titolo Foglie vive calpestate. Riflessioni
sotto il baobab, scritta da Ndiock Ngana (detto Teodoro: questo è il nome che egli
offre ai suoi interlocutori, con il preciso scopo di metterli a proprio agio, di farsi
ospite) originario del Camerun e appartenente all’etnia Baasa.
Questo primo testo passò però quasi inosservato e purtroppo si dovette
aspettare la triste vicenda dell’uccisione di Jerry Masslo (di cui parlerò più
diffusamente in seguito) perché si potesse finalmente sentire la voce letteraria degli
immigrati: l’anno di svolta è proprio il 1990.
E' questo l'anno in cui uscirono Io venditore di elefanti di Khouma-Pivetta,
Immigrato di Mathnani-Fortunato e Chiamatemi Alì di Bouchane-De Girolamo-
Miccione. Poi nel 1991 vennero pubblicati Dove lo Stato non c’è. Racconti italiani di
Ben Jelloun-Volterrani, il primo libro della coppia Moussa Ba-Micheletti La
promessa di Hamadì e La tana della iena, firmato da Hassan-Curcio. A questi titoli
seguirono, nel triennio 1992-1995 le opere nate dalla collaborazione di donne, Con il
vento nei capelli di Salem-Maritano e Volevo diventare bianca di Chora-Atti di
Sarro, il difficile testo di Farías de Albuquerque-Jannelli, Princesa, la traduzione
dall’arabo del racconto Pantanella, canto lungo la strada a opera di Melliti-Ruocco e
la seconda fatica letteraria della coppia Moussa Ba- Micheletti, La memoria di A.
A una prima, sommaria analisi, risulta evidente come questi testi presentino
una serie di elementi comuni: tutti (fatta eccezione per il testo di Ben Jelloun)
affrontano problematiche autobiografiche.
Più precisamente le opere di Bouchane, Methnani, Khouma, possono
considerarsi a tutti gli effetti della autobiografie in quanto rappresentano secondo
quanto codificato da Philip Lejeune, "un racconto retrospettivo in prosa che una
persona fa della propria esistenza quando mette l’accento sulla sua vita individuale,
in particolare sulla storia della sua personalità" (Lejeune, 1986, p.12)
Tuttavia, bisogna riconoscere che questi testi non tengono strettamente fede al
così detto “patto autobiografico” e cioè all’identità sostanziale di autore, narratore e
3
D’ora in avanti utilizzerò la definizione di Gnisci, poiché mi sembra la più appropriata (nonostante il
fatto che quella di Taddeo possa forse risultare più completa) in virtù del suo costante riferimento alla
figura dell’autore come migrante.
15
protagonista (Lejeune, 1986, pp.12-23), proprio perché la definizione stessa
dell'autore diventa un problema.
Inoltre, i testi di Melliti e Moussa Ba non possono rientrare di diritto in questa
particolare griglia di interpretazione poiché non rispettano i punti del patto
autobiografico anche se l’autore può facilmente individuare strettissimi legami tra le
vicende narrate e le travagliate esperienze di vita degli autori come migranti .
4
Unico testo che non affronta una tematica specificamente autobiografica è
quello frutto della collaborazione tra Tahar Ben Jelloum e il giornalista Egi
Volterrani: Dove lo Stato non c’è è una raccolta di racconti inventati, ma
assolutamente verosimili, frutto di un viaggio di ricerca e documentazione che i due
scrittori compirono attraverso l’Italia meridionale alla fine degli anni Ottanta. In
questo testo, oggetto d’analisi è senza ombra di dubbio la situazione di palese
carenza di autorità e controllo statale in vaste zone del nostro territorio nazionale, ma
la tematica del viaggio, della ricerca e della riflessione è presente qui come negli altri
testi sopra ricordati.
La seconda evidente particolarità che accomuna tutte queste opere è il fatto
che siano state scritte a quattro mani o più mani, cioè risultino essere frutto della
collaborazione (come vedremo meglio in seguito più o meno felice) tra un immigrato
e un coautore/curatore/traduttore italiano.
La motivazione a questa particolare scelta editoriale risulta facilmente
intuibile: durante questa prima fase gli stranieri non padroneggiano ancora in
maniera autonoma le strutture morfologiche e sintattiche della nostra lingua e quindi
si appoggiano a un intermediario/aiutante quando hanno l’intenzione di scrivere in
italiano, persona direttamente ed emotivamente coinvolta nel progetto e che spesso si
rivelerà come colui o colei che materialmente gestirà i contatti con l’editore.
La pratica della scrittura a quattro mani dunque, si presenta come
caratteristica saliente di questa prima produzione e porta con se non pochi problemi
di interpretazione se, come scrive Foucault, “nella critica moderna l’autore è ciò che
permette di spiegare tanto bene la presenza di alcuni elementi all’interno di un’opera
4
L’opera prima di Moussa Ba –Micheletti può rientrare nella definizione di romanzo autobiografico:
“Chiamerò così tutti i testi di finzione nei quali il lettore può sospettare, dalle somiglianze che crede di
scoprire, che vi sia una identità tra autore e personaggio, mentre proprio l’autore ha scelto di negare
questa identità o almeno di non affermarla” (Lejeune, 1986, p. 25)
16
quanto le loro trasformazioni, deformazioni e modifiche” (Foucault, 1969, p. 2)
Anche se dobbiamo ricordare come il teorico francese affermi anche che “il nome
d’autore non si situa nello stato civile degli uomini, ma non è neppure situato nella
finzione dell’opera; esso è situato nella rottura che dà vita ad un certo gruppo di
discorsi e al suo modo particolare di essere.” (Foucault, 1969, p. 9)
Ecco allora che si delinea all’orizzonte uno dei problemi teorici che hanno
stimolato la mia attenzione durante tutta la ricerca e cioè quello di individuare, caso
per caso, le diverse pratiche di scrittura che caratterizzarono le prime opere della
produzione letteraria della migrazione, interrogandomi di volta in volta sul diverso
approccio al problema dell’autorialità che tali scelte comportavano.
Per poter condurre questa analisi con il supporto delle adeguate basi teoriche,
nei capitoli successivo cercherò di proporre una panoramica almeno parziale delle
principali posizioni teoriche sull’argomento attorno alle quali la critica si è a lungo
soffermata, soprattutto durante questo ultimo secolo e cercherò in seguito e caso per
caso di sciogliere l’arcano su chi sia considerato l'autore di questi testi appartenenti
alla prima fase e su quali siano state verosimilmente le modalità di scrittura.
È comunque interessante già da ora fare alcune considerazioni generali sui
testi che poi analizzerò singolarmente e notare come quasi tutti i coautori italiani
siano giornalisti. Nella fattispecie, Oreste Pivetta all’epoca della sua collaborazione
con Pap Khouma era direttore della pagina culturale dell’ “Unità”, Egi Volterrani è
editorialista del “Mattino”, Carla De Girolamo e Daniele Miccione sono entrambi
giornalisti (l’una è editorialista del settimanale “Panorama”, l’altro lavora per il
gruppo editoriale Rcs), Mario Fortunato è editorialista dell’ "Espresso Alessandra
Atti di Sarro è giornalista per la sede regionale del Lazio della RAI.
Indubbiamente la scelta di una collaborazione giornalistica porta come
conseguenza il fatto che l’attenzione del lettore tende a essere guidata, attraverso le
vicende personali, a cogliere una dimensione “cronachistica” della narrazione.
Questo processo non implica necessariamente una distorsione dell’originale
fine narrativo dei testi, anzi ne sottolinea ed enfatizza il potenziale ibrido: risultano
sempre racconti di specifiche esperienze di vita ma possono divenire, grazie a una
scrittura semplice e diretta, valido stimolo per approfondire la conoscenza
dell’universo di migranti.
17
Ma questo primo gruppo di libri non ha ancora finito di fornire interessanti
spunti di riflessione: molti testi risultano infatti editi da grandi case editrici, di
diffusione nazionale quali Einaudi, Istituto Geografico de Agostini, o Garzanti. A
questo proposito Gnisci sottolinea:
Alcune importanti case editrici hanno, al passaggio drammatico tra gli
anni Ottanta e Novanta , interpretato e sfruttato (lodevolmente? vallo a sapere)
con tempestività l’ondata di interesse culturale per il mondo–problema
rappresentato dagli immigrati (Gnisci, 1998 a, p. 39)
Quale è stato dunque l’intento di questa politica editoriale?
Certamente il tentativo di sfruttare la nuova corrente letteraria e il fatto che
questa fase sia stata definita come “esotica” può essere collegato al tentativo di
esorcizzare la portata dirompente e quasi incontrollata dei flussi migratori. La
curiosità attorno a questi testi (ritenuti da certa miope critica semplicemente virtuosi
esempi di “buoni selvaggi” scrittori dei giorni nostri), fu notevole se comparata a
quella destinata alla produzione nostrana contemporanea, e la velleità di
pubblicizzare una sorta di svolta interculturale e multietnica della cultura in chiave
politically correct, sottintese all’epoca notevoli interessi economici.
Le case editrici di diffusione nazionale appena ricordate, probabilmente
aspettandosi notevoli vantaggi economici da questa “nascente” produzione letteraria,
investirono capitali notevoli che poi ritirarono non appena si accorsero che i rientri
non erano pari a quanto programmato.
Fortunatamente la storia della letteratura italiana della migrazione non si è
fermata qui e anzi come scrive il suo primo “padre adottivo”, “è come un fiume
primordiale che sta scavando la sua strada”. (Gnisci, 1998 a, p. 56).
Durante il triennio successivo il fiume primordiale abbandona il suo alveo
“ufficiale” e si inabissa: inizia la fase carsica.
Per quanto personalmente diffidente rispetto ai tentativi di fornire delle
periodizzazioni ai movimenti letterari, in quanto ritengo che la produzione culturale
in genere sia quanto di più eterogeneo e difficilmente classificabile esista, intendo
qui seguire la suddivisione temporale proposta da Gnisci poiché penso sia abbastanza
18
funzionale alla comprensione delle successive, veloci, tappe evolutive del giovane
fenomeno culturale preso in considerazione.
Nel 1993, con la pubblicazione del libro dell’algerina (ma nata a Marsiglia)
Nassera Chora, Volevo diventare bianca, ha avuto inizio la produzione femminile. Il
testo si inserisce pienamente nei criteri che ho individuato come fondamentali e che
accomunano tutte le opere che costituiscono il corpus della prima fase: si tratta di un
racconto autobiografico ed è stato scritto a quatto mani, grazie alla collaborazione di
un’altra giornalista, Alessandra Atti di Sarro
5
.
Nello stesso anno escono anche altri romanzi scritti da donne tra i quali i
racconti di Ribka Sibhatu, Aulò: canto–poesia dall’Eritrea: il testo scritto in italiano
presenta la traduzione in lingua eritrea a fronte ed è un gustoso e interessante viaggio
attraverso un mondo assai lontano dal nostro, raccontato in maniera semplice e
diretta e del quale riusciamo a cogliere bene alcuni momenti di vita quotidiana dai
vestiti alle pietanze ai rituali che accompagnano le donne di quella comunità
attraverso le varie fasi della vita. Anche il riferimento presente nel titolo al canto e
alla poesia rimanda ai modi di vita della comunità eritrea e all’importanza della
trasmissione orale delle proprie radici.
Sempre durante il 1993 viene pubblicato un altro testo scritto a più mani Con
il vento tra i capelli, è il percorso di vita di Salwa Salem una giovane donna
palestines, orgogliosa e fiera delle proprie origini, che lascia la propria patria prima
per studiare e poi per seguire l’uomo che ama, fino a giungere in Italia dove nascono
e crescono i suoi figli.
Salwa si è spenta in un letto di una clinica americana nel 1991, stroncata da
un male incurabile, prima di veder conclusa e stampata la propria fatica letteraria che
è stata raccolta ed edita grazie all’impegno di altre tre donne: Laura Maritano, colei
che compare come coautrice del testo, Giovanna Calciati
6
, ed Elisabetta Donini che
5
Alessandra Atti di Sarro è stata allieva di Armando Gnisci, professore di Letteratura Comparata
all’Università La Sapienza di Roma e ha dedicato la sua tesi di laurea in filosofia ad una analisi dei
primi testi della letteratura italiana della migrazione(Bouchane, Khouma, Moussa Ba, Methnani)
concentrando la sua attenzione sulle problematiche filosofiche e sociali che essi inevitabilmente
proponevano (concetto di straniero, problema dell’alterità, modi possibili di contatto e integrazione).
6
Giovanna Calciati ha scritto Donne a Gerusalemme: incontri tra italiane, palestinesi, israeliane,
Torino, Rosenberg &Sellier, 1989.Il testo è frutto delle esperienze del gruppo “Visitare luoghi
difficili”il cui progetto era quello di stabilire un contatto tra donne italiane, palestinesi e israeliane, per
intraprendere una via di reciproca conoscenza e scambio; Salwa Salem incontrò durante questi
riunioni tutte le donne che poi parteciparono alla stesura del suo libro.
19
nell’appendice al testo racconta esplicitamente i vari e difficili momenti di
costruzione ed elaborazione del materiale narrativo. La quarta donna alla quale si fa
riferimento è Ruba, figlia di Salwa che alla morte della madre ha contribuito alla
correzione e analisi dell’intero materiale narrativo prima che venisse pubblicato.
Tra il 1994 e il 1996 escono altri due testi, sempre scritti da donne, ma questa
volta in completa autonomia, si tratta dei testi di Shirin Razanali Fazel, Lontano da
Mogadiscio e Racordai, vengo dall’isola di Capo Verde di Maria Lourdes De
Jesus
7
.
Ovviamente si moltiplicano anche i testi scritti da uomini e, a parte il secondo
libro scritto dalla coppia Saidou Moussa Ba-Alessandro Micheletti La memoria di A.
e il durissimo e straziante racconto di Fernanda/Fernando Farías de Albuquerque e
Maurizio Iannelli dal titolo Princesa, storia cruda, profondamente tragica e allo
stesso tempo bellissima della travagliata vita di un transessuale brasiliano, sempre in
viaggio, alla ricerca di nuove avventure e soprattutto della propina identità sessuale,
tutti sono ormai pubblicati dall’autore immigrato autonomamente.
Tutti questi testi presentano ancora, a parte la seconda opera dalla ormai
collaudata coppia Moussa Ba-Micheletti sulla cui tematiche e prospettive ci
soffermeremo più avanti, come tema centrale e portante la dimensione
autobiografica.
Vi sono però delle eccezioni sulle quali intendo soffermare la mia attenzione
tra le quali vorrei ricordare la seconda fatica letteraria di Moshen Melliti, scritta
direttamente in italiano e senza alcuna collaborazione da parte di terzi, dal titolo I
bambini delle rose, breve e delicatissimo racconto le cui pagine non lasciano
trapelare nulla di autobiografico ma propongono ancora una volta tematiche
universali sulle quali è bene riflettere.
Ma le considerazioni su questa seconda fase sono molteplici. In primo luogo
salta subito agli occhi un fatto abbastanza evidente: le grandi case editrici si sono
quasi del tutto ritirate da questo nuovo e interessante settore letterario perché non
rappresentava più per loro un buon investimento.
7
Maria de Lourdes Jesus è stata la conduttrice del programma televisivo Non solo nero, presente nel
palinsesto di Rai Uno fino al 1994; attualmente è conduttrice del programma radiofonico Permesso di
soggiorno in onda su Radio Uno Rai nella fascia oraria del primissimo mattino, uno dei pochi
programmi dedicati alla presenza degli immigrati nel nostro paese.