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1.2- Tappe diacroniche rapporto tra italiano e dialetto dall’ Unità
d’Italia ad oggi
Come abbiamo già detto precedentemente, il processo di diffusione dell’italiano
a livello nazionale è stato un processo estremamente lento e disomogeneo: la
vera lingua usata da tutti per la comunicazione orale continuava ad essere il
dialetto e l’italiano era alla stregua di una lingua straniera.
Una notevole accelerata si è avuta a partire dal 1861, anno di unificazione politica
dell’Italia. Va da sé che dalla questione della lingua al 1861 molte cose siano
successe: ci sono state figure illustri che hanno dato il loro contributo alla
faccenda, altre edizioni del Vocabolario della Crusca, correnti che hanno
appoggiato la scelta dell’italiano standard nel corso degli anni ed altre che l’hanno
rifiutato, ma includere questo lasso temporale in questa sede significherebbe
rendere il tutto molto dispersivo e perdere il focus della tesi, per cui ci
soffermeremo su quello che di rilevante è accaduto, giustappunto, dopo
l’unificazione nazionale.
Una figura che ha fatto sentire la sua voce sulla questione linguistica è stato
Alessandro Manzoni: lui stesso, in una lettera del 1806, aveva definito l’italiano
una lingua morta dal momento che solo il 2,5% della popolazione la conosceva
(secondo Tullio De Mauro). Nel 1868 scrisse la Relazione sull’unità della lingua e
i mezzi per diffonderla - che inviò all’allora ministro della Pubblica Istruzione - in
cui indicava le strategie necessarie perché il fiorentino vivo si diffondesse al posto
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dei dialetti, una fra le quali era la stesura di un vocabolario in cui fossero presenti
le traduzioni dei vocaboli fiorentini nei relativi vocaboli dei vari dialetti. Il progetto
prese vita dopo un lungo lavoro di quasi trent’anni e nacque il Novo vocabolario
della lingua italiana secondo l’uso di Firenze.
Manzoni pose l’accento anche sul ruolo della scuola per il processo di unificazione
linguistica, sottolineando la necessità di istruire a dovere gli insegnanti che
avrebbero avuto il compito di diffondere la lingua viva e di avere a disposizione
un’editoria ad hoc: importantissimi furono infatti, seguendo questa scia, testi
come Pinocchio di Collodi, Cuore di Edmondo de Amicis e vari testi che
diffondevano i termini di arti e mestieri.
Graziadio Isaia Ascoli, uno dei più importanti linguisti italiani, a proposito delle
condizioni ottimali necessarie per la diffusione della lingua italiana sosteneva che
nella situazione italiana queste condizioni fossero lontane dall’essere concrete,
che la cultura fosse troppo scarsa e l’alfabetizzazione troppo arretrata (si parla di
una condizione che riguardava circa il 75% della popolazione) e che non si
potesse imporre una lingua dall’alto come una «manica da infilare»
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.
Il sistema scolastico ha dunque avuto un ruolo determinante per l’avanzata di
questa lingua unitaria: i sempre più numerosi allievi (giacché l’alfabetizzazione ha
subito un processo di incremento arrivando a circa il 60% della popolazione nel
1911) imparavano l’italiano attraverso manuali in cui venivano elencati gli errori
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S. Morgana, Profilo di storia linguistica, in Elementi di linguistica italiana, Roma, Carocci
editore S.p.a., 2010.
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tipici dell’italiano parlato in determinate aree, le esercitazioni di traduzione dal
dialetto alla lingua, i programmi ministeriali in generale.
Oltre alla scuola, è chiaro che anche la nuova situazione socioeconomica ha
influito sul processo di diffusione dell’italiano, caratterizzata da diversi aspetti
come il fatto che l’apparato amministrativo fosse ormai centralizzato e che,
quindi, in un certo senso emanasse un italiano burocratico e giuridico che arrivava
a tutti gli strati sociali, oppure l’introduzione del servizio militare obbligatorio che
costringeva i ragazzi ad attingere ad una lingua comune per comprendersi,
l’industrializzazione e la conseguente urbanizzazione che induceva grandi masse
a spostarsi dalle campagne alle città, la stampa, eccetera
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: l’italiano a questo
punto si stacca rapidamente dall’uso esclusivamente scritto da parte di poche
élite ed avanza nell’uso quotidiano sia familiare che fuori casa.
Un’altra forte spinta si è avuta nella prima metà del Novecento: durante il
ventennio fascista, fra i tanti aspetti presi in considerazione per definire l’identità
nazionale, c’è anche, ovviamente, quello della lingua. La politica linguistica
puntava essenzialmente all’oppressione di lingue straniere, forestierismi e dialetto
che venne perseguita attraverso l’inseguimento di un’autarchia linguistica che
reprimeva le minoranze etniche ed il dialetto dalle scuole e propugnava
l’italianizzazione dei forestierirmi.
La stampa, che abbiamo citato poco fa, merita una menzione a parte perché si
inserisce in quell’elenco di strumenti che hanno dato un’importantissima, decisiva
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T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza, 1963.
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propulsione alla diffusione capillare della lingua nazionale, ossia i mezzi di
comunicazione di massa:
l’esordio dei programmi televisivi nazionali, insieme alla già esistente
programmazione radio, ha contribuito in maniera decisiva all’apprendimento
dell’italiano da parte degli utenti, si pensi solo che «alla fine del '54 la televisione
raggiunge il 58% della popolazione (nel 1961 raggiungerà il 97% degli
italiani).»
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È determinante dunque il contributo dato da questi mass-media che riescono,
come niente era mai riuscito a fare, ad avere una pervasività massiccia ed un
inequiparabile potere di irradiazione della lingua e che si offrono come mezzi
complementari all’educazione scolastica: l’italiano è dunque concretamente
accessibile a tutti ed è data la possibilità a chiunque di conoscerlo, impararlo ed
inserirlo nel proprio quotidiano, disincastrarlo dunque dai contesti d’uso ufficiali
e formali e trasportarlo nell’uso familiare, confidenziale ed informale.
Non bisogna però pensare che a questo punto della storia l’italiano fosse
diventato la lingua di tutti e per tutti e che la questione di avere una lingua
unitaria fosse risolta: oltre al fatto che fino alle metà del Novecento la percentuale
di persone oltre i 14 anni che non possedevano un titolo di studio rappresentava
più della metà della popolazione - il che creava una frattura fra la capacità di
utilizzare la lingua e quella di scriverla e faceva di queste persone dei parlanti non
pienamente in grado di padroneggiare l’italiano - occorre considerare il fatto che
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Rai, https://www.rai.it/dl/rai/text/ContentItem-20844e48-74d8-44fe-a6f4-
7c224c96e8e4.html?refresh_ce, consultato il 12/10/2021.
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le lingue non sono dei sistemi finiti che restano invariati ed integri a prescindere
da condizioni come il tempo ed il contesto ma risentono di ogni variabile e si
modificano, evolvono, si mescolano agli strati di lingua preesistente e ne
acquisiscono delle caratteristiche, si contaminano le une con le altre, soprattutto
a livello del parlato. Esistono dunque in contemporanea altre versioni della lingua
ufficiale come le varietà regionali (diversificate per lo più da tratti di pronuncia ed
intonazione caratteristici), l’italiano neostandard che include il recupero di forme
soprattutto morfosintattiche che erano caratteristiche dei sistemi di base della
comunità italiana ma che sono state escluse dalla grammatica tradizionale, le
lingue speciali che riguardano dei settori specifici (informatica, economia…), il
linguaggio giovanile che attinge a varie fonti come le lingue straniere (quella
inglese in particolare), eccetera.
Ma che ne è a questo punto del dialetto?
Già un centinaio di anni dopo l’Unità d’Italia, Italo Calvino si interrogò sul destino
di queste lingue manifestando la sua preoccupazione a riguardo. Nel 1965 scrisse,
sul quotidiano il Giorno:
Finché l’italiano è rimasto una lingua letteraria, non professionale, nei dialetti (quelli toscani
compresi, s’intende) esisteva una ricchezza lessicale, una capacità di nominare e descrivere
i campi e le case, gli attrezzi e le operazioni dell’agricoltura e dei mestieri che la lingua non
possedeva. La ragione della prolungata vitalità dei dialetti in Italia è stata questa. Ora
questa fase è superata da un pezzo: il mondo che abbiamo davanti, – case e strade e
macchinari e aziende e studi, e anche molta dell’agricoltura moderna, – è venuto su con
nomi non dialettali, nomi dell’italiano, o costruiti su modelli dell’italiano, oppure d’una
interlingua scientifico-tecnico-industriale, e vengono adoperati e pensati in strutture logiche
italiane o interlinguistiche. Sarà sempre di più questa lingua operativa a decidere le sorti
generali della lingua.
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Affresco della lingua italiana, https://affrescodellalinguaitaliana.com/2016/05/17/lantilingua-
italo-calvino/, consultato il 13/10/2021.
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L’espansione dell’italiano implica inevitabilmente un minore utilizzo dei dialetti,
ma questo non significa che essi stiano scomparendo: vengono tutt’ora spesso
percepiti come segno di inferiorità ma i dati dicono che il suo uso sia ancora vivo
sebbene, naturalmente, nettamente diminuito.
I dati presentati nel dicembre del 2017 dall’Istat, risultato di un’indagine dal titolo
l’uso della lingua italiana, dei dialetti e delle lingue straniere svolta nel 2015 su
un campione di circa 24.000 famiglie distribuite in circa 850 comuni italiani di
diversa ampiezza demografica, mostrano come il 45,9% della popolazione di età
maggiore di sei anni parli prevalentemente italiano in famiglia, percentuale che
aumenta nello scambio con gli amici (49,6%) ed ancora di più con gli estranei
(79,5%); di conseguenza, soltanto il 14,1% parla esclusivamente il dialetto in
famiglia, il 12,1% con gli amici ed il 2,2% con gli estranei. C’è anche chi fa un
uso misto delle due lingue, ossia rispettivamente (nei contesti analizzati) il 32,2%,
il 32,1% ed il 13%.
Si è notato anche che queste percentuali risentono di diverse variabili quali l’età,
le consuetudini in ambito familiare, il sesso, il livello di istruzione e la
localizzazione geografica:
riguardo l’età, l’uso prevalente dell’italiano diminuisce con il suo aumentare e,
specularmente, aumenta l’utilizzo esclusivo del dialetto, differenza meno marcata
in contesti lavorativi; l’uso del dialetto aumenta inoltre se entrambi i genitori del
soggetto parlano il dialetto in ambito familiare.