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si ripetono in un’altra; e tutte le deduzioni corrette che è possibile dimostrare
attraverso i calcoli logici appaiono come tanta “aria fritta”: un esercizio tanto bello,
quanto inutile.
Tutto questo spinge a porsi due domande. Intanto, a che cosa serve la
Logica matematica. E poi, se questa mancata abbondanza di regole logiche che
riscontriamo nei ragionamenti matematici non sia un difetto della matematica
stessa, cioè se la matematica non sia povera dal punto di vista logico.
La risposta alla prima domanda è molto semplice. Essa avrebbe senso se
la Logica matematica si proponesse di insegnare a dimostrare. Ciò è invece ben
lontano dagli scopi di questa disciplina, che, rispetto alle dimostrazioni
matematiche, si pone come un fatto “a posteriori”. Come è noto, infatti, la Logica
non insegna a ragionare in modo corretto, ma ad analizzare i ragionamenti
corretti. In particolare, la Logica matematica si propone di definire rigorosamente
certi concetti che nella pratica matematica vengono largamente usati a livello
intuitivo (come il concetto di verità, o il concetto stesso di dimostrazione), per
poterli studiare poi a livello metateorico. E in tal senso i risultati ottenuti finora da
questa disciplina sono notevoli: basti pensare al secondo teorema (di
incompletezza) di Godel (1931), che, mostrando l’impossibilità di fornire una
dimostrazione assoluta di coerenza per l’Aritmetica, ha modificato radicalmente la
filosofia della matematica.
Per quanto riguarda invece la seconda domanda, si possono dare solo
risposte soggettive. Se per “povertà logica della matematica” si intende ciò che
abbiamo detto poc’anzi, allora viene da chiedersi se esista una disciplina che, da
questo punto di vista, sia più ricca della matematica. Di certo, è esagerato
affermare, come si diceva una volta, che con la matematica e il latino si impara a
ragionare: si tratta di affermazioni pretenziose che sono destinate ad essere
3
smentite (anche perché è tutto da vedere se sia possibile insegnare a ragionare).
Tuttavia la mia opinione è che le dimostrazioni matematiche costituiscano,
nonostante tutto, lo strumento migliore per allenare l’individuo al ragionamento.
Non metto in dubbio che questo strumento possa essere migliorato, specialmente
dal punto di vista didattico; e quindi non posso non apprezzare gli sforzi compiuti
in questo senso negli ultimi anni. Ma, nel contempo, ritengo pericolosi certi
atteggiamenti di alcuni addetti ai lavori che tendono a sminuire l’importanza delle
dimostrazioni (e per dimostrazioni intendo le dimostrazioni tradizionali) sia a livello
didattico che a livello di ricerca. Un esempio?
All’Università di Minneapolis (Minnesota) ha sede il Geometry Center, un
importante centro di ricerca nel campo della matematica sperimentale. Tra gli
obiettivi che esso si propone, vi è appunto quello di rifare la geometria senza
usare le dimostrazioni. I risultati di questi tentativi vengono pubblicati ogni mese
su una rivista, Experimental Mathematics, che, a detta di alcuni membri dello
stesso Centro, dovrebbe chiamarsi «la rivista dei teoremi non dimostrati».
Ma torniamo in Italia e vediamo in che modo si è affrontato il problema
dell’insegnamento della Logica negli ultimi vent’anni.
La parola logica compare ormai da tempo in tutti i programmi ministeriali
per la scuola: sia in quelli per la scuola elementare, sia in quelli per la scuola
media, sia, soprattutto, nelle proposte della commissione Brocca per i nuovi
programmi della scuola secondaria superiore. Fino agli inizi degli anni ‘80 questa
parola stava ad indicare un ramo della matematica. Oggi, invece, si pensa alla
Logica piuttosto come a un metodo da usare in matematica. In particolare si
vorrebbero esplicitare, fin dai primi anni di scuola superiore, le regole di inferenza
più usate nella pratica matematica; regole che oggi vengono praticamente
ignorate. Nella presentazione ipotetico-deduttiva di una teoria (si pensi, ad
4
esempio, alla Geometria euclidea) si enunciano gli assiomi o postulati, cioè le
verità di partenza della teoria stessa; ma quasi mai si parla esplicitamente delle
regole logiche, cioè degli strumenti che servono per la deduzione. Queste ultime
costituiscono semmai una conoscenza inconscia che va formandosi
gradualmente negli studenti e che neppure al termine degli studi viene mai
esplicitata. E’ un bene o un male?
Vi sono pareri discordi a riguardo. Alcuni ritengono che la Logica sia una
“droga”; altri, invece, che l’educazione a questa disciplina dovrebbe cominciare già
dal primo anno di scuola superiore ed essere condotta fino in quinta.
Personalmente non ho un’opinione ben precisa in merito (anche se,
naturalmente, ritengo la Logica tutt’altro che una “droga”). L’esplicitazione delle
principali regole logiche già al primo anno di scuola superiore potrebbe essere
prematura perché lo studente non ha un’esperienza matematica sufficente.
Tuttavia persistere nella non esplicitazione di queste regole mi sembra un errore;
specialmente se poi succede, come è accaduto al sottoscritto, di imbattersi in
una discussione tra studenti universitari (di Matematica) che fanno confusione tra
assiomi e regole di deduzione1. Forse la cosa migliore è quella che propone C.
Marchini in [ 5 ], il quale suggerisce « l’idea di un diario di logica da tener
aggiornato ogni tanto [ ... ] traendo spunto da passaggi di dimostrazioni». E’
proprio da un’idea del genere che si è sviluppato il presente lavoro.
Nel primo capitolo, dopo una parte iniziale dedicata alla nozione di
dimostrazione, introdurremo i concetti fondamentali della Logica matematica (in
particolare quello di regola logica) ed esporremo, in sintesi e senza alcuna
pretesa di completezza, i cosiddetti calcoli logici di tipo hilbertiano. Questi si
ispirano all’assiomatizzazione delle teorie matematiche e, come vedremo, si
5
allontanano non poco dal ragionamento naturale. Poiché quest’ultimo costituisce
comunque l’oggetto principale della nostra indagine, nel secondo capitolo
presenteremo un approccio alternativo ai calcoli logici alla Hilbert, tecnicamente
noto col nome di deduzione naturale, perché il suo obiettivo principale è appunto
quello di rispecchiare i ragionamenti reali.
Nel terzo capitolo, infine, passeremo in rassegna alcune delle principali
regole logiche, specialmente quelle di tipo proposizionale, cercando di vedere in
che modo esse intervengono nelle dimostrazioni matematiche. Nel fare ciò, ogni
volta che sarà possibile, considereremo le dimostrazioni di teoremi classici,
ovvero di teoremi che hanno fatto la storia della matematica e che, per essere
compresi, non necessitano di una preparazione specifica. In qualche caso,
inoltre, divagheremo sulle vicende storiche di talune regole; ciò ci servirà per
comprendere i motivi per cui alcune di esse sembrano essere preferite rispetto ad
altre. Tali motivi saranno discussi nel capitolo III.
Nello svolgere questo lavoro ho avuto spesso l’impressione che l’analisi
logica di una dimostrazione, se portata a fondo, rischia di ridimensionare o
addirittura di smentire certe valutazioni che in un primo momento sembravano
insindacabili. Ad esempio, l’intervento o meno di una regola in una dimostrazione
può dipendere, a volte, semplicemente dal modo in cui viene “letta” la
dimostrazione stessa. La delicatezza del problema è tale che, per non rischiare di
prendere le classiche “cantonate”, occorrerebbe limitarsi ad un’analisi acritica
delle dimostrazioni. Io non l’ho fatto. Pertanto alcune considerazioni di questa tesi
riflettono opinioni personali.
1
Questa confusione potrebbe generare situazioni davvero curiose, come quella
immaginata da Lewis Carroll, che riportiamo nel paragrafo II.1.
CAPITOLO I
DIMOSTRAZIONI E CALCOLI LOGICI
Le dimostrazioni matematiche sono divenute oggetto di studio solo alla
fine del secolo scorso, quando, a causa della ben nota crisi dei fondamenti, i
matematici sono stati costretti ad indagare sui metodi che essi stessi avevano
usato per più di duemila anni. Lo scopo era quello di fornire dimostrazioni assolute
di coerenza per le parti basilari della matematica, come l’Aritmetica e la
Geometria euclidea. Il risultato è stato invece la nascita di nuovi concetti di Logica
matematica.
1.LE DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE:
UN PRESENTE COMPLESSO E UN FUTURO INCERTO.
Da sempre le dimostrazioni costituiscono l’unico mezzo generale e
affidabile che i matematici posseggono. Esse hanno avuto il merito non solo di
innalzare la matematica al grado di scienza, ma di farla diventare, almeno
nell’opinione della gente comune, la “scienza delle certezze assolut
negli ultimi anni proprio il concetto di dimostrazione è stato al centro di polemiche
che mettono in dubbio la sua stessa sopravvivenza; e - quel che è peggio - ciò è
avvenuto sia a livello scolastico, sia a livello di ricerca.
A livello scolastico è venuta meno la fiducia nel valore didattico della
dimostrazione. Secondo i più accaniti accusatori, la massacrante esposizione di
Dimostrazioni e calcoli logici
7
dimostrazioni che tradizionalmente accompagna l’insegnamento della
matematica, indurrebbe nello studente una sorta di “assuefazione al
ragionamento preconfezionato”. In questo modo risulterebbero mortificate
importanti capacità intellettive dei giovani, quali l’induzione e l’analogia, che la
scuola dovrebbe invece sviluppare. Queste critiche, quindi, non riguardano tanto
la dimostrazione in se stessa, quanto il modo in cui essa è presentata nella
scuola, e investono più in generale il problema del formalismo in matematica.
Esse hanno contribuito alla nascita di un nuovo tipo di dimostrazioni in cui le
immagini svolgono il ruolo di protagoniste; in alcuni casi, addirittura, le figure si
sostituiscono completamente all’argomentazione (proofs without words), come
nell’esempio illustrato in figura 1).
- La media geometrica di due numeri reali positivi è sempre minore o
uguale alla loro media aritmetica.
fig. 1)
a b+
2
ab
a b
ab
a b
≤
+
2
I vantaggi offerti da queste dimostrazioni sono evidenti: a parte
l’internazionalità del linguaggio utilizzato, esse rispondono bene alla necessità del
persuadere, che, come è intuibile, costituisce uno dei requisiti essenziali di una
Dimostrazioni e calcoli logici
8
“buona dimostrazione”.
A livello di ricerca matematica, invece, la crisi della nozione tradizionale di
dimostrazione è più profonda. In buona parte essa è dovuta alla crescente
complessità delle dimostrazioni. La speculazione matematica ha raggiunto infatti
livelli tali che, sempre più spesso, le dimostrazioni di teoremi interessanti
occupano decine o addirittura centinaia di pagine: ciò ne rende difficile, se non
impossibile, il controllo. Ad esempio, la dimostrazione della famosa congettura di
Fermat, ottenuta nel Giugno del ’93 dal matematico inglese Andrew Wiles, è
talmente lunga (circa 200 pagine) che, per essere controllata, ha richiesto diversi
mesi di lavoro. Si ritiene che non più di un matematico su mille sia in grado di
darne una valutazione.
D’altra parte, proprio a proposito della dimostrazione di Wiles è stata
avanzata l’ipotesi che essa possa costituire l’ultimo atto di una cultura ormai
morente». Ciò è almeno quanto si legge nell’articolo [ 10 ] apparso sulla rivista Le
scienze nel Dicembre del ’93. In esso l’autore osserva che sono sempre più rari i
casi, come quello di Wiles, in cui un teorema semplice e interessante viene
dimostrato senza l’aiuto del calcolatore. Questa macchina, che da diversi
entrata di prepotenza nella nostra vita, sta modificando il modo stesso in cui i
matematici scoprono e dimostrano i teoremi. Per esempio, nel 1992 alcuni
ricercatori dell’ Università di Bonn guidati da A. Hoffmann, sono riusciti a
dimostrare l’esistenza di alcune superfici da loro ipotizzate solo dopo averle
rappresentate al computer. «Se non avessimo potuto vedere una figura grosso
modo corrispondente a ciò che immaginavamo - ha commentato lo stesso
Hoffmann - non saremmo mai riusciti nell’impresa».
Ma l’utilità del computer non si esaurisce nel “suggerire” la dimostrazione.
A volte esso interviene nella dimostrazione stessa, nel senso che diversi
Dimostrazioni e calcoli logici
9
passi di questa rimandano all’uso del calcolatore, o addirittura l’intera
dimostrazione viene affidata al calcolatore. Nei test di primalità, ad esempio,
l’abilità del matematico si unisce alla potenza dei moderni calcolatori per “scoprire”
numeri primi sempre più grandi. Queste dimostrazioni consentono di ottenere
to della macchina, sarebbero impensabili, ma, al tempo
stesso, esse presentano almeno due problemi: intanto, sono scarsamente
persuasive; e soprattutto risultano difficilmente controllabili perché ciò
richiederebbe, tra l’altro, il controllo del relativo programma, una questione che in
generale è indecidibile1.
Come se non bastasse, a tutto questo si è aggiunta ultimamente una
nuova moda che avrebbe fatto inorridire i matematici di qualche decennio fa. Per
superare le difficoltà dovute alla complessità delle dimostrazioni, si rinuncia talvolta
alla certezza assoluta della proposizione che si vuole dimostrare,
accontentandosi di un alto grado di probabilità della sua verità. In questo modo i
risultati della matematica perdono quel carattere di assoluto che li ha sempre
contraddistinti e assomigliano sempre più alle aquisizioni empiriche della fisica o
delle altre scienze sperimentali.
Il preoccupante quadro generale che abbiamo appena descritto spinge a
chiedersi che cosa accadrà in futuro della dimostrazione tradizionale.
Personalmente non mi stupirei se tra cinquant’anni le vecchie dimostrazioni di
Geometria euclidea scarabocchiate sulla lavagna, che tanto hanno dato alla
nostra formazione matematica, divenissero solo un lontano ricordo. Anzi, non è
da escludere che nelle aule scolastiche di domani non ci sarà neppure una
1
La certificazione di un programma, cioè la dimostrazione del fatto che il programma
faccia in ogni caso ciò che si desidera, è divenuta negli ultimi anni una vera e propria
disciplina. Il problema è che, come osserva D. Mundici in [ 5 ], il rigore della certificazione
del software è paragonabile al rigore monetario ... Certuni ritengono che la (segue)
Dimostrazioni e calcoli logici
10
lavagna, e che gli studenti seguiranno lo svolgersi delle dimostrazioni sullo
schermo di un computer, rispondendo alle domande che la macchina gli porrà di
volta in volta. Se ciò dovesse accadere, al rischio dell’ “assuefazione al
ragionamento preconfezionato” potrebbe aggiungersi quello dell’ “impigrimento
intellettuale”; e allora il problema di come proporre le dimostrazioni matematiche
nella scuola si ripresenterebbe in tutta la sua complessità.
Ma, fortunatamente, queste sono soltanto ipotesi (che speriamo non si
verifichino mai). Di certo c’è solo il fatto che, in un modo o nell’altro, i matematici
non potranno mai fare a meno delle dimostrazioni, contrariamente a quanto si va
farneticando ormai da qualche tempo. E’ vero, infatti, che esistono importanti
centri di ricerca, come il Geometry Center dell’Università del Minnesota, in cui si
cercano di sviluppare parti della matematica senza fare dimostrazioni; è altresì
vero che esiste una rivista, Experimental Mathematics, che ogni mese pubblica
articoli dedicati alla nuova matematica senza dimostrazioni. Ma questi tentativi,
anche se avranno successo, sono destinati a rimanere esempi più o meno isolati
che non potranno mai sostituirsi completamente alla classica impostazione
ipotetico-deduttiva. Con tutta probabilità le dimostrazioni continueranno a svolgere
un ruolo fondamentale nell’attività dei matematici perché la loro necessità si
impone in modo naturale nello sviluppo di una qualunque teoria matematica. C’è
solo da sperare che le nuove tecniche dimostrative legate all’uso del computer
siano usate con consapevolezza e cautela per evitare che venga intaccato il
valore scientifico dei risultati matematici.
Per quanto riguarda poi il presunto “livello di saturazione” raggiunto dalla
ricerca matematica - l’impossibilità cioè di trovare ancora teoremi interessanti
(come quello di Wiles) che possano essere dimostrati con i metodi classici - in un
certificazione dei programmi quando serve è impossibile, e quando è possibile o non serve
.
Dimostrazioni e calcoli logici
11
primo momento verrebbe quasi voglia di crederlo. Ma poi, pensando alla lunga
storia della matematica, viene da chiedersi se lo stesso problema non se lo
posero anche i Pitagorici quando, duemilacinquecento anni fa, scoprirono il
famoso teorema. Probabilmente nessuno di loro immaginava quali importanti
conseguenze avrebbe avuto quella scoperta. Eppure noi oggi quasi sorridiamo
pensando alla concezione monadica della scuola pitagorica, concezione che
andò in crisi proprio a causa di quel teorema. Chissà se tra altri
duemilacinquecento anni qualcuno sorriderà di noi ...
2. CHE COSA SIGNIFICA DIMOSTRARE ?
Sembra impossibile dare una definizione rigorosa di dimostrazione che
non risulti in qualche modo tautologica o addirittura inesatta. Se infatti provassimo
a spiegare a un non matematico che cos’è una dimostrazione, probabilmente
finiremmo col dare solo esempi di dimostrazioni senza mai arrivare allo scopo. E,
naturalmente, nemmeno i logici sono riusciti in questo. Tuttavia essi hanno
introdotto una nozione astratta, quella di dimostrazione formale, che, almeno a
prima vista, sembra catturare il concetto.
A questo proposito riportiamo di seguito un dialogo immaginario tra uno
studente di filosofia e un matematico ideale, tratto da [ 7 ]. Esso mette bene in
evidenzia l’imbarazzo di fronte al quale si trova il matematico quando tenta di
definire cos’è una dimostrazione matematica.
S. Professore, che cos’è una dimostrazione matematica?
M.I. Non lo sa? Che anno fa?
S. Il terzo.
Dimostrazioni e calcoli logici
12
M.I. Incredibile! Una dimostrazione è quello che lei mi ha visto fare alla lavagna
tre volte alla settimana per tre anni! Ecco cos’è una dimostrazione.
S. Scusi, professore, non mi sono spiegato bene. Sono uno studente di
filosofia, non di matematica. Non ho mai seguito i suoi corsi.
M.I. Oh! Beh, in tal caso ... ha seguito qualche corso di matematica, no?
Conosce la dimostrazione del teorema fondamentale del calcolo infinitesimale o
del teorema fondamentale dell’algebra?
S. Ho visto ragionamenti in geometria e algebra e calcolo infinitesimale che
venivano chiamate dimostrazioni. Quel che le chiedo non sono esempi di
dimostrazioni, ma la definizione di dimostrazione. Altrimenti come faccio a dire
quali esempi sono corretti?
M.I. Bene, l’intera faccenda è stata chiarita dal logico Tarski, suppongo, e da
qualche altro, Russell e Peano può essere. Ad ogni modo, quel che si deve fare è
questo: trascrivere gli assiomi della teoria in un linguaggio formale con una data
lista di simboli o alfabeto. Poi, nello stesso simbolismo, scrivere l’ipotesi del
teorema. Poi mostrare che è possibile trasformare passo passo l’ipotesi usando
le regole della logica sino ad ottenere il teorema. Questa è una dimostrazione.
S. Davvero? Che strano! Ho seguito Analisi 1 e 2, Algebra e Topologia e non
ho mai visto fare una cosa del genere.
M.I. Oh, naturalmente nessuno fa davvero così. Ci vorrebbe una vita!
Semplicemente, si fa vedere che si può farlo, è sufficente.
S. Ma anche così non è come quel che ho visto nei corsi o sui manuali. Così i
matematici alla fin fine non fanno davvero dimostrazioni.
M.I. Certo che le facciamo! Se un teorema non è dimostrato non è niente!
S. E allora, che cosa è una dimostrazione? Se è questa cosa con linguaggio
formale e trasformazioni di formule, nessuno in realtà dimostra niente. Bisogna
Dimostrazioni e calcoli logici
13
sapere tutto sui linguaggi formali e la logica formale prima di fare dimostrazioni
matematiche?
M.I. Naturalmente no! Quella è tutta aria fritta!
S. Allora in realtà che cos’è una dimostrazione?
M.I. Bene, è un argomento che convince chi conosce l’argomento.
S. Chi conosce l’argomento? Allora la definizione di dimostrazione è soggettiva,
dipende da particolari persone. Prima di decidere se qualcosa è una
dimostrazione, devo decidere chi sono gli esperti. Che cosa ha a che fare questo
col dimostrare?
M.I. No, no. Non c’è niente di soggettivo! Tutti sanno che cos’è una
dimostrazione. Basta leggere qualche libro, seguire i corsi di un matematico
competente ed è fatta.
S. E’ sicuro?
M.I. Beh, è anche possibile che uno non ci riesca se non ha attitudine. Può
anche capitare.
S. Quindi è lei che decide che cos’è una dimostrazione e se io non imparo a
decidere nello stesso modo, lei decide che non ho attitudine.
M.I. Se non io, chi altri?
Il finale del dialogo segna la resa del matematico ideale e, allo stesso
tempo, mette in evidenza l’aspetto soggettivo, psicologico dell’attività del
dimostrare. Quasi in antitesi rispetto alla posizione del matematico ideale,
leggiamo in che modo G. H. Hardy sottolinea questo aspetto nell’articolo [ 8 ] del
1929 tratto dalla rivista Mind.
«Se volessimo spingerci alle estreme conseguenze, saremmo condotti ad
una conclusione davvero paradossale: che non esiste, a rigori, un oggetto come
la dimostrazione matematica; che possiamo, in ultima analisi, non fare
Dimostrazioni e calcoli logici
14
altro che “indicare”; che le dimostrazioni matematiche sono ciò che io e Littlewood
chiamiamo “fumo”, ghirigori retorici per colpire la psicologia, disegni sulla lavagna
durante la lezione, espedienti per stimolare l’immaginazione degli studenti».
Il tono è volutamente provocatorio. Ma, come vedremo in seguito, questa
descrizione delle dimostrazioni matematiche non è poi così lontana dalla realtà.
3. IL CONCETTO DI REGOLA LOGICA.
L’idea che sta alla base della nozione di dimostrazione forma
assimilare le dimostrazioni matematiche a sequenze di proposizioni, ove per
proposizione si intende una qualunque affermazione della quale ha senso
chiedersi se è vera o falsa. Ciascuna proposizione ha un motivo di esistere
dimostrazione: essa può essere un’ipotesi; può essere un
assioma della teoria; oppure, ancora, può non essere né l’uno, né l’altro. In
quest’ultimo caso diciamo che la proposizione è conseguenza logica di una o più
proposizioni che la precedono. Cosa vuol dire?
Consideriamo il seguente ragionamento:
4 è primo o 5 è primo
4 non è primo
5 è primo
Esso è un ragionamento corretto perché - si dice - la conclusione (cioè
l’affermazione scritta sotto la linea orizzontale) è conseguenza logica delle
premesse, ovvero ogni volta che le premesse sono vere, lo è anche la
conclusione. Ma quest’ultima affermazione, se riferita al ragionamento riportato
Dimostrazioni e calcoli logici
15
sopra, è completamente priva di senso. Infatti le premesse sono vere e la
conclusione è vera. Dunque che senso ha dire «ogni volta»?
Orbene, consideriamo quest’altro ragionamento:
3 divide 6 o 4 divide 6
3 non divide 6
4 divide 6
In questo caso la prima premessa è vera, ma sia la seconda premessa che la
conlusione sono false. Si tratta di un ragionamento corretto?
Si potrebbe obiettare che la domanda non ha senso o che, comunque, ha
poca importanza visto che la seconda premessa è falsa. Ma in questo modo si
sottovaluterebbe il significato di quel «ogni volta» di cui parlavamo poc’anzi. Infatti,
se confrontiamo i due ragionamenti, notiamo che essi hanno qualcosa in comune:
è la loro forma logica, cioè ciò che rimane di essi una volta che le frasi sono state
“svuotate” del loro significato matematico. Le parole hanno, infatti, tutte un
significato che noi conosciamo bene. Se però non lo conoscessimo, cioè se non
sapessimo nulla di matematica, dire «4 è primo» sarebbe come dire «3 divide
6 , e dire «5 è primo» sarebbe come dire «4 divide 6». In entrambi i casi non
potremmo stabilire se le premesse sono o non sono vere e se la conclusione è o
non è vera. Eppure in ciascuno di essi ci sentiremmo autorizzati ad affermare che
il ragionamento è corretto perché se le premesse sono vere, allora lo è anche la
conclusione.
Lo “svuotamento semantico” ci porta dunque a riconoscere la stessa
forma logica nei due ragionamenti precedenti: