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INTRODUZIONE
Nel parlare di Rodari, molto spesso ci si limita a considerarlo esclusivamente come uno
scrittore di filastrocche e racconti per i più piccoli, rinchiudendolo in quella che è la vasta
produzione letteraria rivolta all’infanzia. Questa diffusa tendenza trova riscontro nella ormai
consolidata presenza, all’interno dei testi scolastici, di alcuni passi di sue opere che offrono
un’immagine incompleta dello scrittore che ha fatto dell’impegno politico e sociale uno degli
obiettivi essenziali della sua carriera da intellettuale a tutto tondo: scrittore, maestro, pedagogista
e giornalista.
Leggendo gli scritti, soprattutto quelli appartenenti agli anni Cinquanta contrassegnati dalla
rivoluzione laica dei principi educativi e culturali diffusi dal Movimento di Cooperazione
Educativa, è possibile avere un quadro più minuzioso per quello che concerne la figura di
Rodari. Se in un primo momento l’interesse verso l’infanzia risponde ad esigenze più
prettamente partitiche, con l’avvento della riforma scolastica degli anni Sessanta il focus
rodariano si sposta su un terreno prettamente pedagogico. Ed è proprio a partire da questo
aspetto che prende corpo il mio lavoro di tesi.
L’elaborato si concentra, in maniera dettagliata, a descrivere le peculiarità che caratterizzano la
pedagogia dell’intellettuale di Omegna la quale ha il merito di mettere al centro della riflessione
il rispetto per l’infanzia e la diffusione di un’idea di bambino consapevole e partecipe alla vita
della società.
In particolare, il lavoro vuole dimostrare come quest’ultimo obiettivo, che caratterizza
significativamente la sua pedagogia, trova concretezza attraverso tre elementi – legati tra loro da
un fil rouge – considerati fondamentali dallo scrittore-pedagogista: la creatività, la parola e
l’errore.
La prima, così, è intesa come quel pensiero divergente capace di arricchire l’esperienza verso
soluzioni nuove e originali mediante la parola, strumento di emancipazione e liberazione per il
bambino (ma anche degli adulti). È attraverso la lingua, infatti, che il fanciullo entra in relazione
con la realtà, costruisce e modifica il proprio punto di vista su di essa. Da questa considerazione,
l’errore – inteso come uno dei “giochi” che la parola consente su di essa – con Rodari viene a
ricoprire un ruolo di prim’ordine; esso, difatti, si fa voce di quel suo messaggio secondo il quale
le regole non vanno abolite, bensì sono da confrontare in maniera continua con la realtà per
verificarne la fondatezza poiché: «Il mondo si può guardare ad altezza d’uomo, ma anche
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dall’alto di una nuvola (con gli aeroplani è più facile). Nella realtà si può entrare dalla porta
principale o infilarvisi – è più divertente – da un finestrino»
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La scelta di analizzare la figura di Rodari per il mio lavoro di tesi è nata, dunque,
dall’interesse sviluppato, durante il corso di Teoria e storia della letteratura dell’infanzia, di
approfondire il ruolo che l’intellettuale ha avuto e segnato in campo educativo e la conseguente
portata innovativa che ha introdotto in una realtà, quella degli anni del secondo dopoguerra,
ancora fortemente legata ai dettami della religione cattolica e dell’ormai decaduto regime
fascista.
Egli rappresenta, difatti, una fondamentale voce nel panorama pedagogico del secondo
Novecento che ha inquadrato i propri studi e ricerche sulla carica rivoluzionaria della creatività
come elemento principale su cui fondare i paradigmi educativi. In un contesto sociale e
scolastico ancora rigidamente organizzati, essa ha rappresentato lo stimolo per indurre la scuola
a “svecchiarsi” e basare i metodi di insegnamento-apprendimento non più sulla semplice
acquisizione e riproduzione meccanica dei contenuti di conoscenza, ma sulla stimolazione alla
scoperta, all’immaginazione e alla fantasia. Ne consegue, allora, che “educare” equivale a fornire
al bambino gli strumenti per prendere coscienza della propria fantasia ponendolo nelle
condizioni di poter sperimentare e agire sulla realtà a partire da punti di vista differenti.
Ho organizzato il mio elaborato in quattro capitoli che ripercorrono i momenti storici,
formativi, politici e lavorativi all’origine della riflessione pedagogica rodariana che ha origine
nella letteratura per l’infanzia.
Nel primo capitolo, ho tracciato un quadro storico della vita personale e formativa dell’autore
influenzata dalle vicende familiari – perde il padre, a cui è legatissimo, prematuramente – e dal
clima politico e culturale, quello del fascismo, che determinano la sua formazione magistrale da
privatista e l’entrata alla GIL (Gioventù italiana del Littorio) esclusivamente per motivi
economici. Qui, il focus è incentrato sulla ricostruzione del suo impegno politico e giornalistico
(vanno di pari passo) che lo vedono farsi carico dell’ideale di liberare le masse proletarie dallo
stato di sopraffazione in cui hanno vissuto, fino ad allora, poiché privi di quei mezzi culturali in
grado di rendere l’uomo libero ed emancipato. È da sottolineare, infatti, che Rodari si rivolge ad
un pubblico, quello del dopoguerra, prevalentemente analfabeta e avvezzo a parlare unicamente
in dialetto. L’uso della lingua, come mezzo di riscatto sociale e di appropriazione dei propri
diritti, è l’obiettivo che l’intellettuale si prefigge educando la massa proletaria alla lettura del
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G. Rodari, Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, Torino, Einaudi Ragazzi, 1973, p.
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giornale e all’uso consapevole della parola. Lo fa in maniera didascalica e semplice rivolgendosi
a tutti, senza distinzioni di sesso ed età. Durante il primo periodo dell’impegno giornalistico,
infatti, Rodari – anche grazie alla sua formazione che ha le sue radici nelle letture di filosofi
romantici e nel marxismo di Gramsci – inizia a rivolgersi, altresì, ai figli dei proletari che vede
come il futuro su cui puntare per la costruzione di un mondo migliore. Grazie all’impegno con Il
Pioniere, infatti, inizia a parlare ai più giovani e a costruire il suo ideale di bambino attivo e
autonomo, in grado di far sentire la sua voce all’interno della società a partire dal contesto più
ristretto della famiglia. Rodari educa ai valori democratici mediante la parola la quale, se in
questo momento risponde più ad esigenze ideologiche, in un secondo momento tende ad
abbandonarle per abbracciare una valorizzazione della parola più prettamente estetica. Pur non
abbandonando il suo scopo educativo, lo scrittore individua nella letteratura quel locus in cui
gettare le basi per un futuro utopico.
Nel secondo capitolo, ho analizzato l’impegno pedagogico di Rodari che trova le sue basi,
principalmente, in due aspetti: da un lato, la formazione intellettuale di stampo marxista che lo
vede interessato in prima linea nelle trasformazioni della società; dall’altro, il ruolo di direttore
de Il Pioniere che lo guida ad avvicinarsi ai problemi reali dell’infanzia del suo tempo.
Argomento centrale è, dunque, la sua idea di pedagogia che trova attuazione in un progetto volto
ad un modello educativo in cui a dominare è una forma di ragione che si apre all’immaginazione,
alla fantasia diventando il paradigma sul quale costruire la nuova società. Questa “rivoluzione
pedagogica” può avere un seguito, secondo Rodari, solo se la scuola è in grado di cambiare rotta
da una istituzione rigida e selettiva, ad una che riconosce la personalità del bambino in quanto
persona a tutti gli effetti. Fondamentale, in questo caso, è il passaggio ad una scuola laica,
democratica e aperta in grado di accogliere tutti. Qui, il ruolo dell’insegnante si trasforma da
controllore e trasmettitore di sterili concetti, a colui che si pone sullo stesso piano del fanciullo
per costruire, mediante la didattica del fare, nuove conoscenze, nuovi saperi che affondano le
radici nel pensiero critico e divergente di stampo rodariano.
Il terzo capitolo è costruito sull’analisi di tre elementi – infanzia, gioco e fantasia – i quali
rappresentano i cardini sui quali poggia l’innovazione educativa del pedagogista di Omegna.
In primis, cambia il punto di vista, rispetto al passato, riguardo questa fase della vita che, con
Rodari, acquista una valenza particolare in materia di rispetto del bambino in modo universale, a
prescindere dal periodo storico. In questo ambito, il merito del pedagogista è quello di non
banalizzare questa età dell’uomo, considerazione che vien fuori dall’immagine complessa che
egli ha di questa “fase primitiva” che trae spunto dalla moltitudine di influssi che riceve durante
la vita e la formazione. Il suo modello d’infanzia, come qualsiasi altro ambito di suo interesse,
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affonda le sue radici nella cultura romantica e marxista che, seppur in modo diverso, guidano
l’autore ad individuare le radici del fanciullo nel gioco, nella coscienza etica e nell’utopia quali
presupposti fondamentali per la nascita dell’uomo nuovo (vale a dire, di un rinnovato modo di
essere, di esistere, di agire, di lavorare dell’individuo).
Da questa considerazione, appare chiaro come il gioco rappresenta una caratteristica dominante
nella rappresentazione d’infanzia rodariana. Nel dettaglio, è importante sottolineare come il
pedagogista intravede nel binomio gioco-fantasia le dimensioni essenziali per lo sviluppo e la
trasformazione cognitiva del bambino verso una formazione della mente sempre più divergente,
aperta al pensiero critico e al dissenso. Egli opera un collegamento tra questi due elementi che
trovano il loro posto d’onore nella parola, negli usi e nei mutamenti che essa consente al fine di
sviluppare quel pensiero divergente che è sinonimo, in qualche modo, di appropriazione della
realtà. Egli stila le regole della Fantastica, un insieme di tecniche che consentono di giocare e
fantasticare con la parola, e sulla parola, dando la possibilità al bambino di creare altri mondi.
Qui, nello specifico, l’attenzione si ferma a descrivere la visione che Rodari ha dell’errore: una
ulteriore modalità di esperienza, di gioco e di creazione con la lingua.
Il filo trainante del mio lavoro di tesi è quello, difatti, di analizzare e descrivere la valenza
pedagogica, in termini di creatività, dell’errore. Se per Rodari questo è fonte inesauribile di una
moltitudine di altre storie, di altre realtà che il bambino viene a costruire (diventando
protagonista attivo della sua conoscenza), è ben risaputo che le teorie didattiche e pedagogiche in
uso fino agli anni Settanta sono ben lontane da questa concezione dell’errore.
Su questa scia, ho voluto concludere il lavoro “sperimentando sul campo” quanto la pedagogia
rodariana sia conosciuta e messa in atto dai docenti di oggi. Pertanto, ho progettato una lezione
sull’errore creativo che ho avuto modo di mettere in atto durante il tirocinio formativo basata,
quindi, sul gioco e la creatività che possono aver origine da un errore ortografico. L’esperienza
mi ha fatto comprendere quanto nella scuola contemporanea ci si ostini ancora, almeno nel mio
caso, a ritenere l’errore come una fonte di “scandalo”, fattore da eliminare per concorrere ad un
processo di apprendimento ancora abbastanza lineare. Sebbene l’attività da me proposta sia stata
accolta positivamente dai bambini che l’hanno valutata come originale e divertente, ho
riscontrato da parte loro una certa titubanza a lasciarsi andare nel libero gioco fantastico che
l’errore consente sulla lingua.
A distanza di quarant’anni dalla prematura scomparsa, il modello di Rodari è ancora attuale e
risponde perfettamente alle esigenze educative contemporanee segnate anch’esse, come quelle di
qualche decennio fa, dalla necessità di riportare l’attenzione sul bambino.
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L’immagine che ho costruito riguardo la scuola di oggi, grazie all’esperienza di tirocinio svolta
in questi anni, si discosta ancora dal messaggio educativo che Rodari ha avuto cura di lasciarci
attraverso i suoi scritti, le sue interviste, le sue “incursioni sul campo” direttamente nelle aule
sperimentando con i bambini le sue tecniche di fantasia.
L’ultima parte del mio elaborato, infatti, riguarda un questionario che ho somministrato ad un
campione di docenti della scuola primaria per indagare quanto l’autore sia conosciuto nella
totalità del panorama culturale ed educativo che rappresenta.
Nonostante i risultati registrati, che delineano una discreta conoscenza e padronanza dei concetti
a cui fa riferimento il pedagogista, mi permetto di sottolineare che nella “pratica” sono pochi
ancora gli insegnanti che si lasciano guidare dal modello rodariano nella propria didattica. La
mia riflessione non è generalizzata, bensì rispecchia una minima parte di quella che è la realtà
scolastica contemporanea che ho avuto modo di osservare. I motivi, altrettanto, non sono né
generalizzabili, né tantomeno definibili in modo semplicistico e frettoloso. Probabilmente, però,
manca la voglia o la capacità di mettersi al pari del bambino come faceva Gianni Rodari.
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CAPITOLO 1
GIANNI RODARI: UNA VITA TRA GIORNALISMO E
LETTERATURA
1.1 L’infanzia e la giovinezza
«La valle [Val Strona], per un bambino di Omegna quale io sono stato, tutta casa, scuola e
oratorio, era un luogo di favole aeree …»
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È l’ambiente, insieme alla religione e all’immagine del padre, uno dei tre elementi che segnano
dapprima l’infanzia, e poi l’intera vita, dello scrittore piemontese.
Gianni Rodari nasce a Omegna, sul lago d’Orta, il 23 ottobre del 1920 da una famiglia semplice.
Fin dalla tenera età, egli sente molto forte il rapporto con il lago che confina la sua abitazione e i
luoghi da lui frequentati: da qui sente i rumori e gli odori del paesaggio lacustre che scandiscono
la vita dell’intera cittadina. Ma Omegna e il lago non rappresentano solo i luoghi di osservazione
della natura e della scoperta del mondo. È qui che Rodari prende coscienza e sperimenta la sua
abilità a giocare con la fantasia e a diventare lo scrittore che pensa con la propria testa.
Un’attitudine questa che il futuro autore, e non solo, apprende dalla passione per la lettura.
Rodari bambino è infatti un fanciullo, a differenza dell’amato fratello, minuto e schivo che
trascorre la maggior parte del tempo in solitudine rifugiandosi tra le pagine del Corriere dei
Piccoli:
Il fratello Cesare rammenta che spesso, la sera, quando faceva buio, usciva di casa e si sedeva nel
cortile, sotto un lampione, per poter leggere i suoi giornaletti senza essere disturbato. Forse è proprio
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M. Argilli, Gianni Rodari. Una biografia, Torino, Einaudi, 1990, p.4.