INTRODUZIONE Questa tesi, come recita il titolo, è volta ad analizzare la satira, la lettera -
tura caricaturale e lo sperimentalismo linguistico nell’opera di Juó Bananere,
pseudonimo o alter ego di Alexandre Ribeiro Marcondes Machado (1892-
1933), figura tra le più eclettiche della cultura brasiliana – e, specificatamen -
te, paulista – degli anni venti e trenta, poiché, a un tempo, ingegnere, uomo
politico, scrittore e giornalista.
La tesi è strutturata in quattro capitoli.
Nel primo capitolo sarà preso in esame il processo immigratorio italiano
nello Stato di São Paulo tra il 1919 e il 1930, ossia, il periodo successivo
alla Prima guerra mondiale, caratterizzato sia da una ripresa dell’immigra -
zione, pur se in scala minore, che andrà avanti fino alla Rivoluzione di Otto -
bre del 1930, sia perché corrisponde grosso modo alla prima fase del Mo -
dernismo brasiliano. In questo capitolo introduttivo si cercherà di capire i
vari aspetti della presenza italiana a São Paulo, accennando un profilo so -
ciologico dei nostri immigrati a partire dal loro modus vivendi , in campo sia
lavorativo che culturale. Il tutto visto anche attraverso la “lente” di alcune im -
portantissime figure letterarie epocali, in particolare quella di António de Al -
cântara Machado, autore del famoso libro di racconti Brás, Bexiga e Barra
Funda , una delle sue opere più conosciute nonché vero e proprio reportage
sulla São Paulo immersa nell’esperienza dell’immigrazione, italiana in pri -
mis .
Nel secondo capitolo presenteremo sia un excursus biobibliografico su
Alexandre Ribeiro Marcondes Machado, sia una disamina particolareggiata
sul suo alter ego Juó Bananére, figura nata dal felice incontro tra lo stesso
scrittore, che oltre a tracciarne il carattere ne racconta le avventure, e il ca -
ricaturista Lemmo Lemmi, alias Voltolino, che ne disegna i tratti somatici .
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Tale personaggio fittizio finì per assumere dimensione e vita autonoma ri -
spetto al suo demiurgo, tanto da configurarsi come uno dei giornalisti pauli -
sti più popolari, in considerazione dei suoi commenti sarcastici e umoristici –
sia in prosa che in versi e ricorrendo a una lingua prettamente maccheroni -
ca, il paulistaliano – sugli accadimenti quotidiani della São Paulo epocale.
Il terzo capitolo sarà dedicato alla satira verbale, alle caricature e alla pa -
rodia maccarônica di Juó Bananére, il tutto scaturito dai suoi interventi sulle
pagine del settimanale paulista «O Pirralho» (1911-1918), una pubblicazio -
ne di certo irriverente, ma che non oltrepassò mai il limite del decoro, carat -
teristica che le avrebbe consentito di raggiungere e incuriosire tutti gli strati
sociali.
Nel quarto e ultimo capitolo concentreremo la nostra attenzione su La Di -
vina Increnca , moderna parodia bananeriana della Commedia dantesca e
opera di grande successo, come attestano le sue dieci edizioni, l’ultima del -
le quali, postuma, è del 1966. Di certo, con essa Alexandre R. M. Machado /
Juó Bananére raggiunse il massimo status di poeta e prosatore, nonché di
scrittore satirico. Classificata come un singolare non-libro, una sorta di rom -
picapo labirintico, La Divina Increnca , oltre a caratterizzarsi per le sue com -
posizioni e i suoi termini singolarissimi – i quali a loro volta rimandano a una
nuova terminologia, dando, così, un diverso significato al discorso –, si pre -
senta anche come un pannello unico costituito da cronache, musiche, poe -
sie e composizioni teatrali. Inoltre ha il merito di offrire un quadro fedelissi -
mo del Brasile epocale – e in particolare della Belle Epoque paulista – dal
punto di vista sia culturale e letterario che della critica ai valori allora vigenti.
Con il preciso intento di rivalutare un autore che è oggi nel suo Paese
quasi dimenticato o poco studiato, tenteremo di riproporre e analizzare i
suoi testi alla luce del contesto originario, storico oltreché culturale, in cui
questi stessi testi sono sorti. Cercheremo, quindi, di recuperare il contesto
referenziale della creazione di Juó Bananére iniziando proprio da «O
Pirralho» , poiché è lì che si esplicitano figure politiche e altri elementi che
servono a rendere più comprensibili i testi bananeriani al lettore di oggi.
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La ricerca minuziosa del materiale, svoltasi nel corso di circa cinque
mesi, ci ha consentito di ritrovare molte delle pubblicazioni che portano la
firma di Juó Bananére – nonché delle altre di Alexandre Ribeiro Marcondes
Machado firmate da pseudonimi diversi, ma sempre di origine italo-brasilia -
na – reperibili presso varie biblioteche e archivi dello Stato di São Paulo.
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In
queste istituzioni, pubbliche e private, abbiamo avuto l’opportunità di esami -
nare le copie originali e i microfilm di molti periodici pubblicati tra il 1910 e il
1933 sia nello Stato di São Paulo che in quello di Rio de Janeiro. In totale,
tra originali e materiale microfilmato, abbiamo ritrovato oltre 400 testi a firma
di Juó Bananére.
Il processo di recupero di ogni pagina o testo bananeriano è stato minu -
zioso, quasi “artigianale”. Per essere un materiale in qualche modo raro e
formato da scritti redatti in un linguaggio maccheronico – inventato di sana
pianta da Alexandre R. M. Machado e, quindi, non normativo – si è resa ne -
cessaria una trascrizione attenta cosi da non incorrere in errori.
I testi, alquanto dispersi, riportati nei capitoli della presente tesi si riferi -
scono soprattutto alla produzione satirica di tono sociale e politico, tema che
identifica parte considerevole della produzione bananeriana. Quel che li ren -
de per così dire “speciali” è il fatto che da essi si può estrapolare lo scenario
socio-culturale brasiliano, più specificatamente paulista, dei primi anni del
XX secolo.
Juó Bananére, «poete futuriste, giurnaliste, barbiére, cidadó do Abax’o Pi -
ques, capitò-tenento inda a briosa, primiére sinfoniste da banda musigale
du Fieramosca, membaro da Gademia Bualista de Letteras, socio da Bale -
stra Intalia», costituisce, oltre che un registro della Belle Epoque paulista,
anche un traduttore che travalica la sua stessa epoca, poiché autore di sati -
re, parodie, poemi, cronache, saggi, ecc., ossia, di un’intera opera che rap -
presenta una specie di allegoria del Brasile di sempre.
1 È il caso: delle biblioteche della Universidade Estadual Paulista, sia a São Paulo che ad
Assis, presso il campus della Faculdade de Ciências e Letras; della Biblioteca Municipal
“Mário de Andrade”; della Biblioteca da Escola de Comunicação e Artes da Universidade
de São Paulo; dell’Arquivo do Estado; dell’Instituto Histórico e Geográfico de São Paulo.
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Alexandre R. M. Machado / Juó Bananére per il tramite di questa allego -
ria si divide tra arte e gioco, tra lo spazio del detto e del non detto, dell’im -
pensabile. Si sforza di smascherare il reale e di cogliere l’indicibile. Tale rap -
presentazione allegorica, più che come un sentimento di rottura o di contra -
rietà, si presenta come l’epifania dell’emozione diluita nella vita quotidiana,
una forma di luce che illumina, ricorrendo al riso e all’allegria, la routine dei
ritmi ripetitivi della quotidianità.
Tutto questo a dimostrazione anche di come la rappresentazione umori -
stica brasiliana in genere rappresenti un forte contenuto di emozioni, non -
ché la “chiave” che, nell’esplorare i contrasti, riesce a riportare all’attenzione
dell’opinione pubblica i problemi sociali.
Vale la pena leggere questi testi – offuscati nel tempo, ma “dal sapore ge -
nuino” – poiché ancora oggi mantengono l’originaria arguzia comica della
loro critica e quello sperimentalismo linguistico che ne fanno qualcosa di
unico nella letteratura brasiliana d’ogni tempo.
L’espressività di tali testi affonda le sue radici in quel riso che sempre ren -
de fertile e arricchisce la letteratura, quella brasiliana in particolare, in consi -
derazione della grande importanza data alle rappresentazioni carnevale -
sche.
Forse il massimo tocco umoristico scaturito della penna di Juó Bananére
lo si ritrova nel suo Manifestu Nazionale :
– U Brazile é único e invisive – U tipu sociali brasiliano é uma mistura di terra, di ingonomia i di storia – U Brasile stá sito dado nu meio do O Mondo – U uómo brasiliêere è filgio di tuttas razza: negro, indio, macaco, intaliano,
ingreiz, turco, ceearensi, parnanbugano, gauxo, afrigano i allamó ( Nota du
traduttore- Grazias a deuse io sô intaliano i só figlio di mio paio i di mia máia
i di maise ningué).
– Inzizti uma tradiçó morale brasiliana chi è preciso adiscobri. Vamos apricu -
rá . (B ANANÉRE , 1991-1918, n° 90: 2)
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Quale è lo scopo di questo Manifesto e il suo significato? Probabilmente
Alexandre R. M. Machado / Juó Bananére ha voluto con esso sottolineare
come, a fronte de lle effimere costruzioni, delle enormi divergenze regionali,
delle cronache quotidiane e delle espressioni caricaturali, la ricerca del
“tipo” in Brasile si rivelasse, e si riveli tuttora, un esercizio inutile. E questo a
fronte del fatto che non solo il nostro poeta futurista e giornalista-barbiere
ma tutti gli scrittori satirici e umoristi d’ogni luogo e d’ogni tempo considerino
i “tipi” delle pseudo identità o delle identità fittizie per così dire trascurabili, in
virtù del fatto che tanto la Storia quanto la stessa Vita sono naturalmente
sempre in movimento e, quindi, cambiabili. D’altronde, il riso è proprio del -
l’uomo, il quale, a sua volta, è parte inseparabile della stessa “mobilità” della
Storia.
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CAPITOLO I Inquadramento generale sull’immigrazione italiana nello Stato di São Paulo I. 1. L’immigrazione italiana nello Stato di São Paulo tra il 1919 e il
1930.
Dei tre milioni di immigrati che sbarcano in Brasile tra il 1871 e il 1920 più
di un milione e mezzo sono italiani – di cui circa 571.000 rientreranno poi in
Italia –, stabilendosi in maggioranza nello Stato “latifondista” di São Paulo.
Tale processo migratorio ufficialmente inizia nel 1877, allorquando il
governo brasiliano acquisisce, dai padri benedettini, le terre di Tijucuçu
(oggi São Caetano do Sul, città situata nella Grande São Paulo), che,
trasformate in colonia, vengono assegnate a un centinaio di coloni,
provenienti dalla provincia di Treviso. ( A LVIM, 1986: 47-50)
Questa colonia perdura in maniera sporadica fino alla grande
immigrazione del 1888, anno dell’abolizione della schiavitù in Brasile e
“anno nero” per l’economia italiana.
Nel 1884, viene creata a São Paulo la “Sociedade Central de Imigração”,
un’agenzia governativa il cui scopo è organizzare i viaggi per gli immigrati,
nonché occuparsi della loro sistemazione, provvedendo al loro
sostentamento solo nel corso del primo anno di permanenza:
Atraídos pelo sonho de uma vida melhor na capital do café, longe da
e nxada, dos baixos salário, livres dos mandos e desmandos de capatazes e
de barões muitos vieram se fixar em São Paulo. ( I DEM , 11)
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A ogni famiglia viene assegnato un lotto di terreno per la coltivazione di
caffè e un altro lotto per coltivare prodotti necessari al loro sostentamento.
Gli immigrati devono pagare solo una piccola somma per l’affitto della casa
e cedere al proprietario della terra la sua parte di caffè.
Il flusso migratorio è sostenuto con decisione anche dal governo italiano,
che ne comprende subito i vantaggi. Tant’è che la prosperità dell’Italia alla
vigilia della prima Guerra Mondiale discende in maggioranza proprio dalle
rimesse degli emigranti. Questa situazione avrà un risultato paradossale,
come constata Giulio Romano: gli emigranti italiani finiranno per creare
«uma Itália fora da Itália». (Cit. in C ARELLI , 1985¹ : 24)
A São Paulo, dove molti immigrati, ancora sovvenzionati, tentano «di fare
l’America», cominciano a sorgere preconcetti contro gli « italianos » .Nascono
reazioni collettive, spesso sfociate in scontri di piazza. Da qui le varie
espulsioni di elementi indesiderati dal Paese ospitante, principalmente
rivoluzionari politici.
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Questi e altri accadimenti spiegano il perché un terzo
degli italiani, che sbarcano in Brasile, tornano indietro subito. Coloro che
decidono di restare si integrano pienamente, con la possibilità di arrivare a
godere una buona vita e di fare fortuna. Alcune famiglie (i Materazzo ed i
Crespi, ad esempio) riescono tra l’altro a raggiungere l’apice della scala
sociale ed economica.
Nel 1907, il senatore Adolfo Gordo, membro dell’oligarchia paulista,
emana la prima legge che regola l’espulsione di stranieri dal Paese. Dopo lo
sciopero generale del 1912, la legislazione repressiva è alleggerita, con
l’introduzione di un articolo che proibisce l’espulsione di immigrati che
vivono in Brasile da più di due anni, degli uomini sposati con donne
brasiliane o di coloro che hanno figli brasiliani.
Dopo una forte contrazione nel corso della Prima guerra mondiale, il
movimento migratorio italiano in Brasile riprende alla fine del conflitto. La
1 Il Caso dos protocolos porta alla luce le tensioni accumulate da tempo. Il conflitto inizia
nel 1892 con il primo scontro tra italiani e poliziotti di Santos. Le lotte si susseguono con
vari morti e numerosi feriti. Dopo vari accordi diplomatici si arriva al protocollo del
19/11/1896, in base al quale il Brasile si impegna a pagare quattro mila reais all’Italia.
( C ENNI, 1975: 249-251)
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spiegazione è dovuta al fatto che si aggrava la situazione critica in cui versa
l’Italia. Alla pesante frattura a livello internazionale si aggiunge un cospicuo
deficit economico e un forte indice di inflazione. Inoltre, pesano le difficoltà
in agricoltura e l’aumento della disoccupazione. (A LVIM, 1986: 11-19) Vi
metterà un freno, tuttavia, il governo fascista dell’epoca, che vede
l’emigrazione di massa come un male per l’Italia stessa, bisognosa di mano
d’opera per una sua ripresa economica.
Nel tentativo di non far bloccare il flusso migratorio verso il Brasile,
l’italiano Francesco Matarazzo, uno dei grandi industriali di São Paulo, si
reca in Italia per incontrare Mussolini. L’incontro avrà degli effetti positivi, pur
se parziali: a partire dal 1928, all’atto della richiesta del passaporto, viene
concesso l’espatrio ai soli capifamiglia.
Nello stesso periodo, l’amministrazione dello Stato di São Paulo cessa di
finanziare i costi dei viaggi. ( I DEM : 22) Così, intorno al 1930, l’immigrazione
italiana in Brasile è contrastata sia dall’Italia sia dal governo di Getúlio
Vargas.
Nonostante tali impedimenti, tra il 1919 e il 1930 gli arrivi in Brasile
dall’Italia sono più numerosi rispetto al periodo precedente alla Prima guerra
mondiale, cosicché il governo paulista è costretto a migliorare le strutture
ricettive.
Possiamo dire che, in generale, gli italiani vengono preferiti agli altri
stranieri.
Scrive a questo riguardo Mário Carelli:
Agora que a corrente de imigração italiana está parada, os próprios
pa ulistas concordam em declarar que o italiano é o mais desejável dos
colonos não só pela sobriedade e coragem no trabalho como porque ele é
facilmente assimilável, além de parente próximo do brasileiro pela língua e
pelo espírito . ( C ARELLI , 1985² : 7-9)
In particolare, vengono preferiti gli italiani del Nord rispetto a quelli
meridionali. La spiegazione di tale fenomeno la si ritrova anche in alcune
«motivazioni “razziste” da parte del governo brasiliano, portato a favorire
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l’arrivo di europei dalla pelle chiara – una “caratteristica” che
contraddistingueva, allora molto più di oggi, gli italiani settentrionali rispetto
a quelli del Sud, dalla pelle più scura – al fine di branquear il Brasile
epocale» ( D E C USATIS , 2008: xii).
Nel corso degli anni Venti, le due culture si mescolano a tal punto che il
“carattere” italiano comincia ad attenuarsi. La presenza italiana inizia a
perdere il suo aspetto “monolitico”:
Aqui estamos em nossa casa. Todo mundo compreende a nossa língua.
Nossos hábitos entraram nessa populações. Nossos gostos são os gostos
dessa gente. (Cit. in C ARELLI , 1985² : 11)
Gli aspetti sociali e storici dell’emigrazione italiana in Brasile si dividono in
due momenti: prima e dopo l’atto migratorio. Sono due realtà solo in
apparenza disconnesse e quasi antagoniste. Il fenomeno riveste particolare
importanza se si tiene conto che l’emigrazione dei “diseredati” italiani verso
il Brasile comporta la sostituzione della mano d’opera, prima costituita da
schiavi ora da uomini liberi, anche se condizionati dalla povertà e dal
bisogno. Ne risulta, quindi, un processo di sviluppo economico e sociale di
portata fondamentale:
Não è possível em nenhum momento separá-los do modo pelo qual os
homens se articulam para viver, assim como do seu ambiente material. Nem
é possível separá-los das gírias, sendo as relações recíprocas entre os
homens expressa no momento mesmo em que se abre a boca para falar.
( A LVIM, 1986: 45)
Fino al 1885 le famiglie che lasciano l’Italia appartengono in gran parte
all’universo dei piccoli proprietari terrieri (tutti provenienti dal Nordest, dal
Veneto, soprattutto), poiché lo sviluppo del capitalismo italiano impone loro
alte imposte e ricavi inferiori ai prezzi del mercato. Viene eliminata la
concorrenza del piccolo agricoltore e la trasformazione della mano d’opera
per l’industria nascente. Dal lato ospitante, il Brasile ha spazio per questo
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