3
de la Raison Dialetique, la quale obbedisce alla necessità di
rendere intellegibile il divenire storico.
La meditazione sui temi più importanti della fenomenologia,
come il problema della validità del concetto di cogito
preriflessivo e del suo rapporto con l'intersoggettività, sono gli
spunti dai quali nascono l'esistenzialismo di Sartre e la
filosofia di Heidegger. Merito di Husserl è di aver posto questi
problemi in forma critica, sulla scorta dei suoi studi
l'esistenzialismo intende supplire alle insufficienze del metodo
fenomenologico, il quale si interroga sull'Essere, senza poter
fondare un'ontologia in grado di esaminare il suo rapporto con
l'ente.
3
Dal canto suo, Sartre reinterpreta metodi e problemi della
fenomenologia, riformulandoli nell'Etre, in cui al metodo
riduttivo husserliano si sostituisce il metodo progressivo-
regressivo sartriano, che non intende fermarsi alla sola analisi
dell'ente.
I primi lavori di Sartre ricalcano in un certo modo quelli di
Husserl e di Heidegger, soffermandosi sul problema della
conoscenza, e di quale prassi si inneschi nel soggetto in
seguito alla percezione, tanto che Sartre sentirà l'esigenza, sin
3
M. Heidegger, I problemi fondamentali della fenomenologia, Ge 1990
4
da L'immaginazione,
4
di cercare un metodo alternativo a quello
di Freud.
La critica contro lo psicologismo è condotta da Sartre sulle
orme di Husserl,
5
e riprende, a proposito del processo
immaginativo, temi come la noesis ed il noema.
Il problema della distinzione fra immagine e percezione è
ripreso nell'Etre nella distinzione tra percipiens e perceptum,
dalla quale si diparte la concezione sartriana dell'essere
dell'uomo, a testimonianza che la filosofia di Sartre non può
essere schiacciata al solo Essere e il nulla.
Con l'affermazione sintetica <<L'immaginazione è coscienza
di qualche cosa>>,
6
vengono anticipati temi posteriori, come
quello dell'intenzionalità, che reinterpreta il cogito cartesiano,
il quale era già concepito da Husserl come preriflessivo, ed
acquista un carattere nullificante, che sarà da Sartre portato
all'estremo.
La "potenza sintetica" dell'immagine condurrà Sartre a
teorizzare l'esistenza di un Essere in sé del tutto indipendente
dalla coscienza dell'uomo, interpretata come per-sé, per cui
l'essere umano si scontra con l'Essere senza poter intenderlo:
4
Cfr. J. P. Sartre, L’immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni, trad. di E. Bonomi, Mi 1962
5
E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura, trad. di A. Marini, To 1950
6
J. P. Sartre, L’immaginazione…, cit. p. 140
5
non si tratta del noumeno inteso da Kant, ma dell'Essere pieno,
massiccio, opaco descritto nelle prime pagine dell’Etre.
Nello studio sull'immaginazione si fa sempre più forte per
Sartre l'esigenza di una psicologia fenomenologica che sposti
l'attenzione dall'interiorità dell'uomo al suo essere nel mondo:
è ben presente l'influsso di Heidegger.
Anche gli studi fenomenologici successivi, come Immagine e
coscienza,
7
avrebbero dovuto far parte di una grande opera, dal
titolo La psyché,in seguito divenuto L'Essere e il Nulla, in cui
Sartre è uscito dall'ambito più vicino alla psicologia per
esprimere quella che è la sua idea di esistenzialismo.
Principale bisogno dello scrittore Sartre, come ha sottolineato
più volte Simone de Beaviour nei suoi libri, era quello
esprimere il mondo, rendere testimonianza dell'esperienza
dell'uomo, in virtù della sua posizione privilegiata di scrittore,
come sottolineerà in Che cos'è la letteratura.
È nell'articolo Un'idea fondamentale della fenomenologia di
Husserl: l’intenzionalità,
8
che egli si distacca da quella che
definisce "la filosofia alimentare professata alla Sorbona",
9
la
7
J. P. Sartre, Immagine e coscienza, trad. di E. Bottasso, To 1948
8
J. P. Sartre, Un’idea fondamentale della fenomenologia di Husserl: l’intenzionalità, in Materialismo e rivoluzione,
trad. di autori vari, Mi 1960
9
Ivi, p. 139
6
cui conseguenza era di dare la precedenza assoluta al cogito,
stabilendo nei confronti dell’in sé una inspiegata priorità.
La coscienza dell'uomo è caratterizzata dall'essere vuota, per
cui è connotata da una sorta di esplodere verso, mediante cui
incontra le cose, e si scontra con la faticità. Nell’esplodere
verso s’incontrano il razionalismo fenomenologico e
l'esistenzialismo ontologico, la coscienza si caratterizza come
nullificante, l’esperienza più difficile da gestire su queste basi
non è, per Sartre, solo quella dello scontro con la contingenza,
ma sopratutto l'incontro con l’Altro sul piano della fatticità.
Il taglio dato da Sartre rispecchia la prospettiva solipsistica
"ereditata" da Husserl, come è evidente nel saggio La
trascendenza dell'ego,
10
in cui egli reinterpreta l'io
trascendentale kantiano, coordinatore formale delle azioni
dell'uomo, il quale è immerso nel mondo delle cose, per l'ego
non è nulla al di fuori della totalità concreta degli stati e delle
operazioni che rappresenta. L'io non ha, per Sartre, alcuna
realtà ontologica indipendente, è una modalità riflessa della
coscienza, del tutto secondaria.
L’essere di fronte husserliano è insoddisfacente perché indica
una relazione irreversibile, non rispondente appieno alle
10
J. P. Sartre, La trascendenza dell’ego, trad. di R. Ronchi, Mi 1992
7
esigenze di Sartre che postula una coscienza vuota e
trasparente, mentre invece la psicoanalisi, mediante una
riflessione impura,
11
impone una artificiosa meditazione
sull'ego, ponendo una maschera sul vero volto dell'uomo.
L’immagine è stata da Sartre interpretata come l'argomento di
studio migliore per risalire alla coscienza, la quale deve essere
svuotata da qualunque contenuto fittizio impostole dalla scuola
freudiana.
La vita interiore è per Sartre <<Un modo particolare di
realizzare l'essere nel mondo della coscienza>>,
12
il mondo
può apparire alla coscienza come un complesso organizzato di
utensili col quale poter interagire, oppure come una totalità
soggetta alle leggi del determinismo a cui l'uomo è estraneo. In
questa prospettiva spunta l'esistenza dell'Altro, esistenza
anomala in un mondo di esistenti bruti.
Il cuore della filosofia sartriana nasce su queste basi, nella
prospettiva dell’incontro io/altro, permessa dalla libertà e
dall'intenzionalità della coscienza.
11
Ivi, p. 9
12
A. Papone, Esistenza e corporeità in Sartre, Fi 1969
8
L’ETRE, E L’IO COME NEANTISATION
Negli anni che vanno dall’inizio del secondo conflitto
mondiale al 1943, Sartre non abbandona i temi affrontati nelle
sue indagini pre e post universitarie, malgrado non avesse
completato il trattato La Psychè essendo impegnato nella
pubblicazione dei due libri La Nausea e Il Muro, ma ne
approfondisce intanto i fondamenti teorici.
Chiamato sotto le armi, viene inviato in uno dei luoghi dove
più infuria il conflitto, in Alsazia, finendo prigioniero de
nazisti che lo rinchiudono in uno stalag a Treves, ma malgrado
il suo status di prigioniero, riesce a non interrompere i suoi
studi e le sue letture, lavorando a quelle riflessioni filosofiche
che lo conducono alla stesura de L’Etre et le Neant,
pubblicato nel ’43. Il libro può essere considerato come lo
sviluppo e la sistematizzazione delle tesi che avevano animato
le sue ricerche psico-filosofiche precedenti, come la centralità
assoluta della coscienza o la sua natura irriflessa, e soprattutto
il tema dell’intenzionalità come modo attivo o atto costitutivo
della coscienza che lo porta a considerare il soggetto come
“esistenza mondana libera”.
9
Si tratta quindi di una sorta di riesame delle relazioni
Soggetto/Oggetto, coscienza/mondo, qual è stato delineato da
Sartre da Husserl e da Heidegger alla luce di nuove
acquisizioni filosofiche, ossia il tema dell’intersoggettività.
In realtà come nota Masullo l’intersoggettività <<[…] è cosi’
irreversibilmente stimolatore di tutta la sua ricerca, per lo
meno a partire dal tempo della guerra, da traboccare dai trattati
filosofici nei testi teatrali>>, un tema dunque fondamentale
nell’opera sartriana e di cui l’Etre è uno dei punti focali.
13
Stabilito che l’oggetto è essenzialmente fenomeno, anzi
fenomeno di coscienza, ed acquisito che la coscienza è
essenzialmente coscienza-di-qualcosa, Sartre deve affrontare il
problema se l’essere della coscienza si risolva tutto nell’atto
intenzionale.
Se l’essere del fenomeno oggettivo fosse semplicemente
dipendente dalla coscienza, si tratterebbe di una conclusione
destinata a sfociare nell’idealismo e nel creazionismo mentre,
se l’essere della coscienza dipendesse dall’oggetto, si cadrebbe
nel realismo e nell’oggettivismo: Sartre tra queste due opzioni
e, alla luce delle acquisizioni dei risultati precedenti, sceglie
per una interdipendenza: l’essere del fenomeno è irriducibile al
13
A. Masullo, La comunità come fondamento: Fichte, Husserl, Sartre, Na 1965
10
percipi fenomenico, e la coscienza si configura come
costitutiva capacità di trascendimento del fenomeno.
Sartre intende procedere ad una descrizione di quell’essere
della coscienza e del fenomeno cui è pervenuto, e questo suo
intento sembra dichiararlo sin da subito il sottotitolo de
L’essere e il nulla è infatti Saggio di ontologia fenomenologica
ed il titolo dell’introduzione è Alla ricerca dell’essere.
Tutto L’essere e il nulla è costituito, conformemente alla
pratica fenomenologica, da una grandiosa descrittiva
ontologico-esistenzialista, che, secondo Moravia, si snoda su
due piani distinti: dapprima la descrizione teorica dei modi e
delle condizioni generali dell’essere, poi la descrizione di
quelle che sono le incarnazioni ed i modi paradigmatici
dell’essere in quanto concreta esistenza nel mondo, tema
centrale, questo, in tutti gli autori che si rifanno
all’Esistenzialismo.
14
Sin dalle prime pagine si assiste ad una marcata
differenziazione tra l’essere del fenomeno e l’essere della
coscienza; il primo è presentato in una prospettiva anti
idealistica, prefigurando qualcosa di massiccio, opaco,
esistente brutalmente, in una definizione esso è essere in sé:
14
S. Moravia, Introduzione…, cit.
11
<<L’essere non è rapporto a sé, è sé. L’essere è
opaco…massiccio…L’essere è. L’essere è in sé. L’essere è ciò
che è.>>
15
All’essere del fenomeno si oppone l’essere per sé della
coscienza, mentre l’uno è increato ed atemporale, il per-sé si
autocrea continuamente nel tempo. Quello è statico ed inerte,
questo è azione e movimento; il per-sé, assolutamente
antitetico all’in-sé, si configura come non-sé, come nulla, ma
non si tratta di quella determinazione positiva di cui ha parlato
Hegel. Il Nulla è la condizione necessaria ed assoluta del per-
sé, esso è intrinsecamente legato all’essere: <<Il Nulla non si
può annullare che sulla base dell’essere; se del Nulla può
essere dato, ciò non avviene né prima né dopo l’essere, né, in
senso generale, al di fuori dell’essere, ma nel seno stesso
dell’essere.>>
16
Già la semplice interrogazione dell’essere, infatti, rivela che
siamo circondati dal nulla, in quanto qualsiasi risposta è una
limitazione, un annullamento rispetto all’indeterminata totalità
del reale che è.
L’Etre dunque sin dall’inizio raccoglie l’eredità degli studi
precedentemente da Sartre intrapresi nel tentativo di porsi
15
J. P. Sartre, L’Essere…, cit. p. 33
16
Ivi, p. 51
12
come un’opera organica che giunga a cogliere gli uomini
concreti, realmente esistiti ed esistenti e non fermarsi astratto
dell’uomo e dell’essenza umana troppo in generale,
prendendo insomma le mosse dal concetto di “uomo in
situazione”, attorno al quale è costruita la parte più
interessante del libro.
Non si può parlare di intenzionalità che si trascende in Sartre
senza tener presente La Trascendenza dell’Ego, saggio che
viene comunque superato nell’analisi del cogito preriflessivo
compiuto nell’Etre, che permette alla coscienza di essere
coscienza-non-tetica-di-sé, ossia di aver coscienza della
propria esistenza, sempre però in riferimento all’oggetto verso
cui si protende, questo per mettersi al riparo dal realismo.
La coscienza esiste attraverso i suoi atti, che sono definiti
come atti di annullamento (neantisatiòn), ogni approccio con
l’essere in sé è dunque un annullamento, che non significa
distinzione, ma è, per riprendere Husserl, un “mettere tra
parentesi” l’essere in-sé.
L’antitesi en soi/pour soi non è data a priori, essa è esperita
dalla coscienza, e Sartre la rileva mediante una applicazione
personale del metodo riduttivo fenomenologico: l’anelito della
coscienza verso l’in-sé porta l’uomo a misurarsi con l’altro, e
13
lo fa in modo problematico; secondo Ceroni <<Il problema
dell’Altro è il problema stesso della filosofia di Sartre>>,
17
che
questa non sia una questione marginale lo indica il titolo che
Sartre dà alla parte terza dell’Etre: Il Per Altri.
Le problematiche con cui il filosofo francese si misura si
intrecciano inoltre col concetto di sostanza, retaggio della
cultura francese impregnata di cartesianismo, sia per quanto
riguarda il soggetto che l’oggetto, ma l’Altro non è un oggetto
come gli altri, il rapporto da instaurare col prossimo è del tutto
particolare.
Sartre si dedica prima alla risoluzione dei problemi posti dalla
res cogitans, dal soggetto, sin dal suo “periodo
fenomenologico”, per andare ad esaminare in un secondo
momento il problema dell’alterità, pervenendo ad una analisi
del rapporto (conflittuale) interpersonale che ha fatto epoca,
con le immagini dello sguardo e della carezza, in seguito
ripresa da Levinàs, che elaborerà addirittura un’etica della
carezza, pervenendo a risultati del tutto opposti a quelli di
Sartre.
La prima parte dell’Etre è dunque “dominata” dal problema
del rapporto della coscienza col nulla, nulla che non è generato
17
A. Ceroni, L’alterità in Sartre, Mi ’74, p. 20
14
dall’essere, ma dallo stesso soggetto, Sartre afferma che
<<L’essere per cui il Nulla si produce nel mondo è un essere
nel quale, nel suo essere, si fa questione del suo essere>>,
18
quindi ciò per cui il Nulla viene al mondo. L’uomo deve essere
libero, altrimenti, se appartenesse al regno dell’in-sé, in cui
domina il determinismo, non potrebbe manifestare quel non-
essere che il Nulla è.
Questa libertà non si manifesta all’uomo in modo
incondizionato: per essere ciò attraverso cui il Nulla viene al
mondo la libertà deve essere, nell’uomo, angoscia; è
l’esperienza dell’esistenza del nulla che è il mio futuro come
serie delle mie azioni possibili, che in quanto tali non-sono e
che dunque l’Io deve decidere autonomamente. L’uomo non fa
dunque parte della determinatezza dell’in-sé, ma si scontra con
un indeterninato, con un vuoto, un non essere che non è fuori,
ma dentro l’uomo.
“Quando guardi nell’abisso anche l’abisso guarda in te”
afferma Nietzche, l’abisso in questo caso è proprio dentro
l’uomo, sembra aggiungere Sartre, l’inquietante libertà è
quella che l’uomo davanti all’abiso sente dentro di sé: libertà
anche di saltarvi dentro, ed anche di fuggire da esso, di cercare
18
J. P. Sartre, L’Essere…
15
scampo all’angoscia del non essere. Nascono così le pagine
sulla fuga da sé stessi con la “malafede”, che consiste nel
mentire a sé stessi costruendo un’immagine di sé o una
situazione, anche intersoggettiva, che non è.
Su questo argomento Sartre si scontra con la psicoanalisi,
soprattutto col concetto di inconscio, che ignora il fatto che la
coscienza umana è sostanzialmente una, come dimostrato nelle
sue opere precedenti.
Per meglio spiegare cosa la malafede sia, e quanto sia
profonda, complessa, fuori da ogni riprovazione moralistica,
Moravia si sofferma su due esempi tratti dall’Etre e che ritiene
particolarmente illuminanti.
Il primo esempio è quello dell’omosessuale, che, sollecitato
da domande e prove, rifiuta di essere considerato o condannato
come pederasta, cercando scuse o tentando interpretazioni che
possono risultare ridicole o riprovevoli. E’ il tentativo di
disidentificarsi da un certo essere, di sottrarsi ad un certo
destino univoco: <<Egli non si vuole considerare come una
cosa: ha l’oscura ma forte comprensione che un omosessuale
non è un omosessuale come questo tavolo è un tavolo o come
quest’uomo roso è rosso>>, <<Attraverso la propria malafede
l’omosessuale esprime insomma la fondamentale verità che il
16
per sé non è l’in sé, che l’uomo non è una passiva o univoca
cosa>>.
19
E’ un esempio della costante evasione dell’uomo, il tentativo
di trascendere il suo essere.
Il secondo esempio è quello del cameriere che “gioca ad
essere cameriere”, recita la sua parte mostrandosi ossequioso,
efficiente e preciso con i clienti che serve, sforzandosi di
entrare il più possibile nella sua funzione perché sente di
essere sempre sul punto di smarrirne l’in sé. La sua malafede
rivela la “teatralità” dell’essere umano: l’assunzione libera del
ruolo (sociale) è un tentativo di entrare a far parte dell’in sé, di
dominarlo in qualche modo, ed è un tentativo destinato ad
essere frustrato.
L’uomo anela alla consistenza, alla presenza dell’essere, non
riuscendo ad accettarsi come trascendenza ed essenza, come il
Sisifo di Camus, destinato a non trovare alcuna quiete,
ponendo sempre un limite e trascendendolo di volta in volta.
La malafede del cameriere rivela ancora più di quella
dell’omosessuale l’infelicità dell’essere umano, costretto ad
una vita incompleta in quanto costituzionalmente esso è per sé,
19
S. Moravia S., Introduzione…, cit. p. 95