Capitolo I. Il retaggio fenomenologico. 
 
 
 
 
“Né del cielo né della terra, né                                                                                                               
mortale né immortale ti abbiamo creato, sicché potessi 
essere libero secondo la tua propria volontà e onore, per 
essere il tuo proprio creatore e costruttore. A te abbiamo 
dato crescita e sviluppo dipendenti dal tuo libero 
arbitrio. Tu porti in te i germi di una vita universale”.    
                                                                                                                 Pico della Mirandola. 
 
1. Introduzione  
 
Oltre a Nietzsche e Kierkegaard
1
 l’esistenzialismo ha un altro precedente storico di 
rilievo: la fenomenologia di Husserl. Heidegger  esplicitamente riconosce a Husserl il 
merito di aver visto nella ragione il manifestarsi delle cose così come esse sono; e di 
aver perciò concepito la fenomenologia come il metodo che consiste nel far sì che le 
cose stesse manifestino la propria essenza, cioè si rivelino per quello che sono. Solo 
perché la ragione è una siffatta manifestazione essa può poi anche esercitare la 
funzione dimostrativa che tradizionalmente le si attribuisce e che sostanzialmente 
consiste nel mostrare il fondamento di ciò che si dice nell’essenza stessa delle cose di 
cui si parla. “Adottando il metodo fenomenologico, l’esistenzialismo si avvicina a 
costituirsi come ontologia: giacché l’analisi dell’esistenza sarà allora il manifestarsi o 
il venire alla luce dell’essere che è proprio dell’esistenza o che ne è il fondamento
2
”. 
Dunque Husserl sarà di fondamentale importanza per i grandi esponenti 
dell’esistenzialismo, tra cui Sartre, tema di questa ricerca. In un passo della 
Cerimonia degli addii di Simone De Beauvoir, ma anche in Questioni di metodo, 
viene ricordato come le Università francesi dell’epoca fossero dominate 
filosoficamente dall’idealismo che, per il fatto di assimilare l’oggetto al soggetto – la 
“filosofia alimentare” – , era votato alla sconfitta costitutivamente.  Intorno agli anni 
Trenta, ricorda Sartre,  giunse voce a Parigi che in Germania un “certo Husserl”, 
                                                 
1
 Cfr. l’introduzione di PIETRO CHIODI, L’esistenzialismo, Loescher editore, Torino 1969, p. 15. 
2
 Voce Esistenzialismo curata da NICOLA ABBAGNANO per l’Enciclopedia del Novecento, p. 753. 
6
uomo solitario e silenzioso, aveva elaborato un filosofia che sfuggiva all’idealismo; il 
giovane Sartre non perse tempo e nel 33 iniziò a seguire le sue lezioni  e 
contemporaneamente, durante le fredde serate tedesche, iniziava la stesura della 
Melancholia, poi pubblicata come la Nausea. 
L’assimilazione della fenomenologia e del suo metodo, invero la fenomenologia è un 
metodo, sarà determinante per il filosofo francese; scriverà in un brevissimo 
intervento su Tempi Moderni che Husserl “ha ridato l’orrore e la grazie alle cose”, la 
realtà è qualcosa che sussiste di per sé a prescindere dalla coscienza con le sue varie 
determinazioni. Vedremo successivamente in maniera più approfondita queste 
tematiche. Per ora sarà d’uopo esporre brevemente, senza la pretesa di essere 
esaustivi, i capisaldi della fenomenologia per comprendere da dove prese avvio il 
giovane Sartre; qui infatti egli troverà alcuni concetti e movimenti di pensiero che 
saranno dei guadagni constanti nella sua ampia riflessione cosi come il punto, la retta 
ed il piano sono i fondamenti della geometria euclidea. 
“Il termine “fenomenologia” è entrato a far parte del vocabolario filosofico nel 1764. 
In quell’anno J.H. Lambert pubblicò a Lipsia il suo Neues Organon, la parte 4 del 
quale ha per titolo Phänomenologie oder Lehre von dem Schein. Pur essendo stato 
usato da Kant il termine ottenne il diritto di cittadinanza nella terminologia filosofica 
corrente solo nel 1807, dopo che in quell’anno Hegel pubblicò la Phänomenologie 
des Geistes. Si dovette però attendere la diffusione ed il crescente successo delle 
Logische Untersuchungen (1900-1901) di Husserl perché il vocabolo acquisisse, del 
resto lentamente, i valori caratteristici che attualmente vi annettono i lessicografi, in 
particolare quelli che si occupano di terminologia filosofica”
3
. La prima opera in cui 
Husserl parla del metodo fenomenologico sono le Logische Untersuchungen del 
1900. In questo testo egli scopre l’insufficienza radicale dello psicologismo, riscopre 
invece  il  valore della logica pura, proposta nel 1837  da Bernard Bolzano nella sua 
Wissenschaftslehre, e approfondisce le tesi di Franz Brentano. Di quest’ultimo 
Husserl aveva seguito vari corsi e fece sua sia la dottrina dell’intenzionalità che la 
                                                 
3
 Voce Fenomenologia curata da HERMAN L. VAN BREDA per l’Enciclopedia del Novecento, p. 936. 
7
convinzione che la spiegazione filosofica di un dato deve chiarirne la genesi e, da un 
punto di vista formale, costituirsi come scienza rigorosa. Il nuovo metodo 
corrispondeva anche ad una nuova funzione che la filosofia doveva assumere, non più 
metodologia della scienza come voleva il positivismo, ma essa “fondazione 
assolutamente radicale della scienza”.  
Infatti, le scienze moderne in genere si sono rese autonome senza essere in grado di 
soddisfare  pienamente lo spirito dell’autolegittimazione critica; hanno creato metodi 
altamente differenziati, la cui fecondità era certa sul terreno pratico, ma le cui 
operazioni non potevano vantare la piena chiarezza razionale. In altri termini, nella 
progressiva autonomia della scienza dalla filosofia erano venuti a mancare i 
fondamenti e l’unità del sapere: “il radicarsi del principio” e “l’unificazione a partire 
dalle radici”. Con ciò la scienza moderna aveva lasciato cadere l’ideale di un’ 
autentico sapere e, nello stesso tempo, sul piano della prassi, ha perduto il 
radicalismo di un sapere responsabile di sé.  
Il metodo fenomenologico vuole essere una reazione a questa malattia che come un 
acido corrode le scienze europee. E’ ormai noto come il procedimento essenziale del 
metodo fenomenologico consista nell’analisi e descrizione discorsiva dei fenomeni, 
cioè dei dati coscienti intenzionali, così come ci si presentano. Quest’analisi deve 
essere compiuta in atteggiamento riflessivo – abbiamo un io che osserva i fenomeni e 
li descrive – e tende ad identificare le strutture caratteristiche del tipo dei fenomeni, 
cioè della loro essenza
4
.  Le essenze sono colte da un atto conoscitivo sui generis che 
si chiama intuizione eidetica (eidetische Anschauung) o ideazione. Tale intuizione è 
mediata dal procedimento metodico della variazione eidetica. Poiché nel suo processo 
verbale dovrà redigere la descrizione esatta delle cose stesse nella sua originarietà, il 
fenomenologo dovrà, nella riduzione, astrarre scrupolosamente da ogni prenozione 
teorica. Da ciò deriva l’atteggiamento antiteoretico e asistematico della 
fenomenologia pura. Dufrenne dà un eccellente definizione della fenomenologia pura 
                                                 
4
  E’ necessario fare molta attenzione all’accezione della parola “fenomeno” per non scivolare in ambiguità nella 
comprensione.  Possiamo infatti distinguere due sensi fondamentali del vocabolo  per via dell’essenziale correlazione 
fra l’apparire e ciò che appare. Fenomeno vuol dire propriamente ciò che appare, e tuttavia è usato di preferenza per 
l’apparire stesso, per il fenomeno soggettivo: essere e essere per una coscienza. 
8
come “una descrizione che mira a un’essenza, essa stessa definita come significato 
immanente al fenomeno e data con esso”
5
. Definizione che coglie in pieno l’esigenza 
di Husserl non solo di studiare l’atto intenzionale (noesis), ma anche il contenuto che 
esso coglie (noema). La coscienza diverrà l’oggetto degli sguardi più profondi, più 
curiosi ed indagatori da parte della coscienza stessa per riuscire ad ostentare le sue 
strutture più intime. “Conosci te stesso e guarda come lo fai”, ecco il principio primo 
e supremo della filosofia per Fichte; Husserl lo farà proprio
6
.  
 
1.2. Il metodo fenomenologico 
 
Dopo questa veloce introduzione  cerchiamo di avvicinarci al cuore del discorso di 
Husserl, ma per fare ciò riprendiamo la cosa da principio. 
Egli distingue due atteggiamenti dello spirito fondamentali: l’atteggiamento naturale 
e l’atteggiamento filosofico. Il primo è quello della coscienza che vive in presa diretta 
rispetto alle cose, è immersa nelle cose che utilizza e con cui intrattiene 
costantemente commerci, ne è stordita e assorbita come una spugna imbevuta 
d’acqua. Essa è ignara del problema della critica della conoscenza, non si preoccupa 
del “come” le cose ci siano e mi vengono date
7
. Il secondo atteggiamento si chiede 
“come” mi è dato il mondo
8
 e si impone un’analisi genetica
9
 di questo avere 
costitutivo che è avere il mondo. Le scienze naturali si fondano sul primo 
atteggiamento, la fenomenologia o scienza filosofica sul secondo. Quest’ultima dovrà 
allora configurarsi come una critica alla conoscenza naturale cercando di chiarire 
                                                 
5
 Voce Fenomenologia curata da HERMAN L. VAN BREDA per l’Enciclopedia del Novecento, p. 938.  
6
 “La fenomenologia si presenta come un metodo nuovo, fondante da un lato la presa di coscienza scientifica della 
soggettività trascendentale, e dall’altro una filosofia universale che può fornire un organon per la revisione metodica di 
tutte le scienze”( Voce Filosofia curata da EUGENIO GARIN per l’Enciclopedia del Novecento, p. 996).  
     
7
 Scrive Husserl: “Nell’atteggiamento naturale dello spirito noi siamo rivolti, sia nell’intuire sia nel pensare, verso le 
cose che ci sono date di volta in volta, e date in modo del tutto ovvio, anche se in diversa guisa e diversi modi d’essere, 
a seconda della fonte conoscitiva e del piano conoscitivo in questione”(EDMUND HUSSERL, L’idea della 
fenomenologia, Laterza, Bari  1992 , p.37-38). 
8
 Vedremo come il concetto di mondo sarà fondamentale per la riflessione  dei filosofi esistenzialisti, ma avrà delle 
determinazioni molto diverse dagli uni agli altri. 
9
 Genetico, ossia che cerca di mostrare come un dato, una percezione individua semplice, ad es. un tono di rosso, o 
articolata, ad es. la percezione di una casa, siano il risultato, il punto di arrivo di una serie di operazioni gnoseologiche. 
L’oggetto non è l’originario, esso è il dato, ma un derivato. 
9
l’essenza della conoscenza e dell’oggettualità di conoscenza. Abbiamo secondo 
Husserl una crisi del pensiero scientifico, una crisi di fondamento
10
; esso si trascina 
claudicante. A questa crisi si deve porre rimedio con una nuova metafisica, metafisica 
che nascerà attraverso una critica della conoscenza scientifica e con una generale 
riflessione sulla natura essenziale del conoscere nelle sue varie forme
11
 e nei suoi 
criteri di oggettività e verità. Questa nuova gnoseologia “deve bollare a fuoco le 
assurdità in cui cade inevitabilmente la riflessione naturale sul rapporto fra 
conoscenza, senso e oggetto della conoscenza, e quindi confutare le teorie scettiche, 
palesi o nascoste, sull’essenza del conoscere, dimostrando il loro controsenso”
12
.  
Sicché Husserl affida alla gnoseologia un compito di estrema importanza che consiste 
nell’analisi della corrispondenza fra forme conoscitive e strutture dell’essere. La 
filosofia, come riflessione seconda su ciò che è, mira ad esibire strutture aprioriche, 
principi, e non può partire dalle scienze della natura e i loro risultati: su di essi grava 
come un macigno un indice di questionabilità. Come un uomo che finisce col 
camminare su di una superficie coperta di piccole biglie tenta di non perdere 
l’equilibrio portando il busto avanti e indietro e aprendo e richiudendo le braccia 
freneticamente nel tentativo di riconquistare quella sicurezza del terreno saldo, così 
ad Husserl appaiono le scienze della natura prive di una filosofia che renda loro 
adeguate fondamenta. La fenomenologia si configura come un nuovo metodo ed 
atteggiamento di pensiero; Husserl ne parla nei toni di una conversione religiosa: si 
tratta di vedere le stesse cose con uno sguardo diverso e più puro
13
. Egli insiste molto, 
con toni accesi e di grande entusiasmo, sulla novità del nuovo metodo; basta leggere 
l’articolo che egli presentò per L’Enciclopedia Britannica sulla nuova disciplina 
                                                 
10
 Cfr.  anche l’introduzione di Essere e tempo di Heidegger (1927). 
11
 Questo programma ricorda la “critica della ragione” kantiana. A proposito ascoltiamo Husserl :“Prescindendo dalle 
finalità metafisiche della critica della conoscenza e attenendoci puramente al suo compito, che è quello di chiarire 
l’essenza della conoscenza e dell’oggettualità di conoscenza, allora essa è fenomenologia della conoscenza e 
dell’oggettualità di conoscenza, e rappresenta la parte prima e fondamentale della fenomenologia”. (E. Husserl, L’idea 
della fenomenologia, cit., p.49). Per quanto riguarda il valore finale del conoscere, le scienze della natura non possono 
rispondere per via del loro regionalismo, è una domanda metafisica per eccellenza. La fenomenologia non dovrà 
chiedere conto solo del come della conoscenza, ma anche del suo senso e del suo perché. Sartre scriverà ne l’Essere e il 
nulla che la metafisica è una problematizzazione delle strutture messe in luce dalla ricerca ontologica, la quale non può 
non concludersi con delle constatazioni, cioè con una serie di proposizioni del tipo “l’essere è..”. Di certo la questione 
del senso è una questione in ogni caso metafisica.  
12
 EDMUND HUSSERL, L’idea della fenomenologia, cit., p.47. 
13
 Cfr. l’introduzione di Essere e Tempo. 
10
“L’antica concezione della filosofia come scienza universale, la filosofia in senso 
platonico, la filosofia in senso cartesiano che abbraccerà  tutta la conoscenza, viene 
ancora una volta reinsediata al posto che le spetta”
14
.  
Osserviamo come Husserl procede nell’impostazione di questa critica della 
conoscenza. In primo luogo applica un indice di questionabilità al mondo intero; essa 
è una sottile nebbia interrogativa che ammanta ogni cosa sciupandone l’evidenza 
esistenziale.  Ma allora come e da cosa cominciare? La critica della conoscenza vuole 
conoscere la conoscenza, ma se ogni conoscenza viene sospesa in forza dell’indice di 
questionabilità o epoché, la critica della conoscenza sospende se stessa. Essa si 
autovanifica, è come un uomo che dall’alto di un albero sega il ramo su cui è seduto; 
la critica corre il rischio di fare un bel capitombolo in un circolo vizioso. Sicché tale 
critica, se vuole fondarsi, non può far leva su qualcosa di già dato dall’esterno, perché 
esso è soggetto al dubbio, ma  su qualcosa che essa si dà da sé in piena evidenza. 
Scrive Husserl che “se non è lecito presupporre nulla come già dato, essa deve 
cominciare con una conoscenza, qualunque sia, non raccolta inavvertitamente altrove, 
ma che piuttosto essa dia a se stessa, che ponga se stessa per prima”
15
 . E’ cosi aperta 
la via cartesiana che mette capo ad una sfera di datità assoluta, la soggettività o 
l’insieme di ogni vissuto in generale
16
, che sarà oggetto di una coscienza riflessa tesa 
a chiarirla ed esplicarla in discorsi
17
. “Ogni vissuto dell’intelletto e ogni vissuto in 
generale può essere ridotto all’oggetto di un puro guardare e afferrare, e in questo 
                                                 
14
 I medesimi toni li ritroviamo in Kreisis “la grande novità è costituita dalla concezione di quest’idea di una totalità 
infinita dell’essere, e di una scienza razionale che lo domina razionalmente. Questo mondo infinito, questo mondo di 
idealità, è concepito in modo tale che i suoi oggetti non possono essere attinti singolarmente, imperfettamente e come 
casualmente dalla nostra conoscenza: esso  può essere raggiunto soltanto da un metodo razionale, sistematicamente 
unitario – nel procedere infinito, infine, di ogni oggetto verso il suo primo essere in.sé”. Come ha giustamente detto 
Heidegger la fenomenologia è un’ontologia, cioè comprensione dell’essere dell’ente e del suo senso. 
15
 EDMUND HUSSERL, L’idea della fenomenologia, cit., p. 54. 
16
 Ascoltiamo anche Cartesio: “Che non sapremmo dubitare senza essere, e che questa è la prima conoscenza certa che 
si può acquistare. Mentre che rigettiamo in questo modo tutto ciò di cui possiamo dubitare, e fingiamo anzi che sia 
falso, facilmente supponiamo che non v’ha né Dio, né cielo, né terra, e che noi non abbiamo corpo; ma non sapremmo 
supporre in egual modo che noi non esistiamo mentre dubitiamo della verità di tutte queste cose: poiché non abbiamo 
tanta repugnanza a concepire che quello che pensa non esiste veramente nel tempo stesso che pensa, che, nonostante 
tutte le più stravaganti supposizioni, non sapremmo evitar di credere che questa conclusione: Io penso, dunque sono, 
non sia vera, e, per conseguenza, la prima e la più certa che si presenti a chi conduce i suoi pensieri per ordine”( RENE’ 
DESCARTES, I principi della filosofia, Laterza, Roma-Bari 2000, p.32).  
17
 “ Husserl conserva come dati irrefutabili, dopo la riduzione, oltre all’ego di Cartesio, le cogitationes. Queste ultime 
non sono altro che contenuti significanti nella e per la coscienza”, cfr. Van Breda cit., in Enciclopedia del novecento, p. 
939. 
11
guardare esso costituisce datità assoluta”
18
. Per “intuito” si deve intendere ciò che è 
presente alla coscienza direttamente, senza mediazioni di precedenti conoscenze.  
Approfondendo la tematica della conoscenza Husserl si impiglia nel problema dalla 
“trascendenza”, considerata come “qualcosa di enigmatico e che ci trascina 
nell’imbarazzo”. La trascendenza
19
 investe il fatto fondamentale dell’intenzionalità 
della coscienza: ogni coscienza è coscienza di qualche cosa (intende oltre sé). Questa 
è la struttura di ogni atto di coscienza, di ogni tipo di noesis (percezione, 
immaginazione, ricordo, riflessione). Essa è il colore della coscienza, ciò che la 
definisce. Di trascendenza ne individuiamo due tipi: la materiale e l’indiretta. La 
prima consiste nel fatto che ogni cogitatio ha in sé una materialità, che però è altra da 
quella dell’oggetto
20
. La seconda concerne ciò che non è direttamente dato in un 
vissuto e inavvertitamente viene assunto come se fosse dato. Scrive infatti Husserl  
che “in essa noi andiamo oltre ciò che di volta in volta è dato in senso proprio, oltre 
ciò che è da guardare e da cogliere direttamente”
21
. Cammino per strada, ci sono degli 
alberi e tra questi, ben nascosta, scorgo una casa. Pur non entrandovi, non 
avvicinandomi, suppongo in essa delle stanze, dei letti, delle persone che l’abitino e 
la vivano. Trascendo così il contenuto della mia noesis percettiva che avrebbe dovuto 
darmi solo il noema una-casa-rossa-con-tre-finestre-etc… E’chiaro come uno studio, 
o comunque una riflessione sulla trascendenza non può dare per scontato il 
trascendente, l’intuito, l’oggetto e dunque sarà necessaria una riflessione sul rapporto 
fra oggetto e coscienza. Affinché sia possibile dare una risposta, Husserl porrà il 
                                                 
18
  EDMUND HUSSERL, L’idea della fenomenologia, cit., p. 50. 
19
 Come ben si sa Husserl si formò inizialmente nell’ambito delle scienze matematiche e non filosofiche. Questo 
comporta che l’uso che fa del lessico filosofico non tiene molto conto della tradizione, ma si aggancia per lo più al 
senso etimologico. E’ il caso di “trascendenza”, che non si rifà all’uso kantiano, che è comunque non univoco, ma al 
senso letterale come “ciò che sta oltre, al di là”. 
20
 Anticipando un po’  alcune questioni che affronterò, questo concetto di trascendenza ci permette di capire la 
definizione di Sartre dell’immagine come un’intuizione di un oggetto assente. L’intuizione di qualcosa è legata, 
pensiamo a Kant,  alla percezione, laddove non si considera quel particolare modo di intuire che è l’intuizione 
intellettuale (cfr. Kant e Fichte). Sembrerebbe dunque scorretto affermare che l’immaginazione lavori con l’intuizione, 
ma, una volta accettata la concezione della coscienza fenomenologica, quell’affermazione acquista una legittima 
pregnanza: l’immaginazione, alla stessa guisa dalla percezione o ricordo, è un atto intenzionale che ha un proprio 
oggetto, un proprio contenuto che per la coscienza è qualcosa di intuito. L’immagine avrà per Sartre un proprio spessore 
e una sua legittimità assolutamente diversa da quella della percezione. Dunque rifiuterà la tesi che vede nell’immagine 
una “percezione rinascente” e la definirà come un rapporto che concerne nella sua corporeità un oggetto assente o 
inesistente attraverso un contenuto fisico o psichico che non si dà in proprio, ma a titolo di rappresentante analogico 
dell’oggetto.  
21
 EDMUND HUSSERL, L’idea della fenomenologia, cit., p. 64. 
12
rapporto sotto lo sguardo riflessivo, dacché se è certo che la coscienza si rapporta ad 
oggetti, enigmatico rimane il come del rapporto. 
Abbiamo osservato che la sfera delle cogitationes, ossia la sfera degli atti 
intenzionali, è qualcosa di certo da cui poter partire. Se io immagino qualcosa è certo 
il fatto che la immagino. Siamo arrivati a ciò attraverso l’epoché che non è un 
annullamento del mondo, ma una sua messa fra parentesi in vista di una 
problematizzazione. Il mondo resta, ma come fenomeno, è il mondo immanente alla 
coscienza. La coscienza fenomenologica è sempre coscienza-mondo
22
, ed essa è la 
sfera dei fenomeni di coscienza di cui  dunque ho sempre una certa coscienza
23
; la 
sfera della conoscenza è una sfera di autodatità, di autocoscienza
24
. 
Husserl si preoccupa di distinguere fra percezione e appercezione: la prima nomina 
un qualsivoglia contenuto di coscienza direttamente vissuto in relazione al mondo, è 
un atto diretto e possiamo chiamare questo piano psicologico; la seconda nomina 
questi contenuti resi oggetto all’attenzione riflessiva
25
, ed è un atto riflesso 
(autocoscienza). 
L’epoché costringe la percezione ad essere oggetto dell’appercezione sciogliendo la 
prima dal trascendente, mettendo fra parentesi che ciò che è percepito sia reale, vero, 
esistente in sé come spontaneamente suppongo e credo; questo non si dà e va 
sospeso. Husserl cerca di vedere ogni vissuto psichico come qualcosa d’immanente, 
di assoluto, sciolto dalla connessione con il mondo, esso va considerato come evento 
fenomenologico; si cerca il puro dato. Se la conoscenza come modo della coscienza è 
una relazione fra una trascendenza (coscienza) e un trasceso (mondo), nella riduzione 
si cerca di tematizzare e purificare il primo lato del rapporto cercando di osservarlo 
nelle sue strutture più genuine ed originarie, prima che la coscienza vi aggiunga delle 
                                                 
22
 Coscienza e mondo sono termini interdipendenti perché cooriginari in quanto si dà mondo si dà coscienza e 
viceversa. Mondo è già un portato della coscienza, è infatti un concetto sintetico: è l’essere superato alla luce di 
un’irreale. 
23
 E’ certo che i gradi di coscienza sono diversi, ma la coscienza è qualcosa di trasparente a sé, Sartre dirà che l’essere 
della coscienza è coscienza dell’essere. Con questa asserzione è evidente il rifiuto della nozione psicoanalitica di 
inconscio. L’idea di una coscienza incosciente è contraddittoria. 
24
 E’evidente come Husserl valorizza moltissimo la coscienza anche come terreno privilegiato da cui muoveranno le 
indagini; col tempo ciò gli procurerà l’accusa di aver operato una svolta idealistica. 
25
 Grosso modo questo tipo di distinzione sarà presente nei due concetti sartriani di coscienza irriflessa e riflessa; ma 
questo lo affronteremo meglio nelle parti successive. 
13
determinazioni ulteriori e che obnubili l’essenza. Per fare una metafora possiamo dire 
che si cerca quella sottile striscia di sabbia fra soggetto e oggetto, il punto in cui 
l’essere si comprende come mondo per la prima volta. E’un esigenza metodologica
26
.   
Detto questo possiamo distinguere fra oggetti trascendenti e fenomeni immanenti. Per 
oggetto trascendente si intendono le “quasi-datità”; sono datità intenzionali 
presuntive del fenomeno, ad es. “percezione di x”; ma la loro trascendenza, la 
trascendenza a cui alludono, in se stessa non si dà, si dà solo come fenomeno 
presuntivo. I fenomeni immanenti sono i dati intuitivamente evidenti, ossia la sfera 
della coscienza, più precisamente la coscienza con i suoi contenuti colti 
dall’appercezione o intenzionalità riflessiva; questi sono i puri fenomeni. Questa è il 
fondamento inconcussum, stabile, incontrovertibile da cui muove l’indagine che mira 
a snodare questo livello di evidenza; si cercherà di indagare le cogitationes nella loro 
struttura intenzionale. 
Husserl a questo punto enuclea una difficoltà. La fenomenologia vuole configurarsi 
come una scienza, vuole dare vita ad un’insieme di proposizioni vere, dunque vuole 
formulare giudizi universali e necessari, vuole giudizi sintetici apriori. Ciononostante 
c’è da ricordare come le cogitationes a cui perveniamo sono fenomeni puri, perché 
residui dell’epoché; ma allora come passare all’oggettività, come uscire da questo 
cerchio chiuso che è la soggettività? “Noi ci muoviamo nel campo dei fenomeni puri. 
Anzi perché dico “campo”? Esso è piuttosto un eterno flusso eracliteo dei fenomeni. 
Quali asserzioni posso fare in quest’ambito? Ebbene, guardando, posso dire: “Questo 
qui! Esso è, indubbiamente”. Posso forse dire perfino che questo fenomeno include 
quell’altro come sua parte, o è connesso con quello, o trapassa in quello passando 
per…, e così via”.
27
Soffermiamoci su questo passo. 
Siamo giunti ad impostare una fenomenologia attraverso la via cartesiana. Cosa 
troviamo? La sfera della soggettività che ha i caratteri dell’impermanenza, è 
                                                 
26
 “Intendo appunto questo qui [ questo fenomeno che si manifesta, preso nel suo puro manifestarsi] , non ciò che esso 
intenziona in direzione trascendente, ma ciò che esso è in se stesso, ciò come cui esso è dato”. (E. Husserl, L’idea della 
fenomenologia, cit., p.76). 
27
EDMUND HUSSERL, L’idea della fenomenologia, cit., p.79. Le cogitationes non sono un campo poiché “campo” 
esprime l’idea dello stabile, del radicato; al contrario la coscienza è pura spontaneità e quindi attività e questo sarà 
mostrato benissimo dalle analisi del per-sé in Sartre. 
14
mutevole, fluida, è un passare da un fenomeno all’altro; in essa tutto ha una certa 
istantaneità,  senza cristallizzazioni
28
, le intenzionalità danzano, liquefacendosi, 
rimodellandosi; essa è l’originario esplodere della coscienza nell’essere. Registriamo 
reazioni soggettive, ma nessuna dottrina oggettiva del conoscere e dei suoi oggetti. 
Come individuare qualcosa di statico che non permetta a questo metodo di scivolare 
nel solipsimo, ossia qualcosa che oltrepassi la soggettività? Cerchiamo l’apriori, 
cerchiamo le strutture del porsi della coscienza. Husserl è consapevole della 
vicinanza della sua indagine con alcuni aspetti della critica della ragione sviluppata 
da Kant. Qui egli si riferisce in particolare all’Analitica dei principi della Critica 
della ragion pura, là dove Kant si propone di mostrare in che modo le forme 
soggettive del conoscere (intuizioni pure, cioè spazio e tempo, e categorie dell’intel-
letto) possano di principio dar luogo a delle conoscenze oggettive. Come si vede, il 
problema di Husserl è analogo a quello di Kant: come possono dei fenomeni percepiti 
in forma unicamente soggettiva (immanente) dar luogo a un’esperienza valida 
oggettivamente (trascendente), cioè a conoscenze universalmente valide? La via di 
Kant è, in ultima analisi, quella espressa dalla celebre distinzione tra fenomeni e 
noumeni o cose in sé: l’oggettività del conoscere vale solo per il mondo fenomenico, 
in quanto questo è sempre relativo alle modalità umane di conoscenza; come però le 
cose stiano in se stesse, cioè fuori dal rapporto con l’umanità senziente, giudicante e 
conoscente (cioè indipendentemente dalle forme soggettive del sentire, del giudicare 
e del conoscere), questo non è possibile dire; ogni pretesa in questa direzione 
conduce alle proposizioni «dialettiche» della metafisica, cioè ad asserzioni 
indecidibili, controvertibili e contraddittorie. Husserl obbietta che in tal modo Kant 
resta preda (nonostante la sua famosa “rivoluzione copernicana”) di pregiudizi psi-
cologisti (il mondo in sé è altra cosa dai contenuti psichici della coscienza), nonché di 
un certo “antropologismo” (il mondo in sé è altra cosa dal mondo «umano»). Questo 
residuo dogmatico permane in Kant in quanto egli non è potuto pervenire a un’au-
tentica epochè fenomenologica che ponga fuori causa ogni «in sé» (che neutralizzi 
                                                 
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 Sarà molto interessante osservare la posizione di Sartre ne La trascendenza dell’Ego. 
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l’idea che solo ciò che è «in sé», indipendentemente dal soggetto, è assolutamente 
oggettivo e reale). La rivoluzione kantiana rovescia il rapporto tradizionale io-mondo 
(incentrandosi sull’io, che non è più mero rispecchiamento conoscitivo del mondo in 
sé); tuttavia mantiene dogmaticamente la distinzione stessa, che nell’epochè invece si 
cancella: il mondo, come residuo puro della riduzione, fa tutt’uno col manifestarsi 
fenomenico della coscienza intenzionale
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. 
Abbiamo ripetuto più di una volta come in molti aspetti il metodo fenomenologico 
ricordi il procedere di Cartesio e lo stesso Husserl riconosce il proprio debito con lo 
scopritore del cogito. Tuttavia egli non segue l’intero percorso di Cartesio e non 
manca di muovergli alcune critiche. In primo luogo non condivide il passare 
dall’evidenza con cui si dà una cogitatio alla sua esistenza sostanziale, egli applica 
l’inferenza “cogito ergo sum” ad ogni evidenza. In secondo luogo, Husserl non può di 
certo seguire il percorso delle Meditazioni, che a partire dalle idee di infinito e 
perfezione che troviamo in noi, ma di cui non siamo gli autori in quanto esseri 
razionali ma finiti, giunge ad affermare l’esistenza di un essere perfetto e infinto che 
riabiliterà, perché non mendace, l’esistenza del mondo esterno. Qui Cartesio 
smarrisce i suoi criteri di chiarezza ed evidenza e fa leva su alcune inferenze che dà 
per scontate, ad es. che chi inganna è cattivo e dunque imperfetto. L’epochè 
cartesiana è spuria rispetto a quella fenomenologica, molto più rigorosa e dal volto 
più severo ed altero. Resta ferma la posizione di Husserl: all’appercezione un atto 
intenzionale si dà solo come atto intenzionale, il suo contenuto, l’oggetto della sua 
intenzionalità - il trascendente - è presunto, ma la presunzione non  è dato 
fenomenologico puro.  
Tra le mani abbiamo solo il residuo dell’epoché, la sfera purificata della soggettività. 
L’universale ci pare precluso
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. Ascoltiamo Husserl: “Ma come! L’ovvietà assoluta, 
la guardante datità diretta, è presente soltanto nel singolo vissuto e nei suoi singoli 
                                                 
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 Nella Krisis Husserl argomenterà ampiamente questa critica a Kant, mettendo sotto accusa anche il soggetto 
trascendentale kantiano: soggettività «miticamente» costruite, anziché colte concretamente tramite la riduzione e la 
descrizione fenomenologiche.  
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 In realtà questa difficoltà nasce da un pregiudizio: che l’universale non possa mai essere un «dato», una «datità 
fenomenica» o un’»apparizione fenomenologica intuitiva» (ma sempre solo il frutto astrattivo di un’operazione logica); 
e, per converso, che ciò che è dato o datità debba essere sempre e solo un che di individuale e contingente.  
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momenti e parti, si riduce cioè al porre, guardando, il questo-qui? Non dovrebbe 
essere possibile porre, guardando, altre datità come datità assolute, per esempio 
universalità, in modo che un universale possa venire, guardando, a ovvia datità, 
dubitare della quale sarebbe daccapo un controsenso?”
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1.3. L’apriori e la trascendenza 
 
A questo punto facciamo delle osservazioni. Se la fenomenologia attingesse solo 
dalle pure cogitationes esse non potrebbero neppure essere definite  tali, ovvero come 
la sfera indubitabile. Abbiamo dunque qualcosa d’altro e precisamente l’utilizzo di 
alcune forme logiche apriori che ci consentono di formulare semplici giudizi che 
costituiscono un universalità, cioè superano la singolarità della noesis e  danno 
carattere oggettivo all’asserzione. Sono seduto su di una sedia e sto ricopiando i miei 
appunti al calcolatore. L’agenda su cui ho scritto le mie cose è illuminata da una 
piccola lampada. Applichiamo il metodo fenomenologico ai dati che ho, rifletto sul 
mio vissuto. Husserl prima ha definito la coscienza un eterno flusso eracliteo di 
fenomeni; è vero ma quella è la coscienza irriflessa. La coscienza riflessa o atto 
intenzionale appercettivo non si limita a passare da un questo vissuto qui ad un altro. 
Essa non lo può assolutamente poiché è un tipo di coscienza diversa. In effetti il 
vissuto non sarà mai articolabile in concetti, fa parte del pre-ontologico: quando la 
riflessione arriva esso è già passato e solo questo può essere colto della coscienza 
riflessiva; il vissuto è azione e non riflessione, è un farsi non un essere definito. La 
coscienza riflessa formula dei giudizi, cioè delle connessioni di un soggetto e di un 
predicato, quantanche fosse solo una constatazione di esistenza, del tipo  “x è”. Il 
noema ha delle determinazioni, ad es. “il foglio è illuminato”. In questo giudizio ho 
svolto una connessione di un soggetto e di un predicato – ho già superato la noesis -  
e questo qualifica la singola cogitatio-percezione. La singolarità della cogitatio è 
oltrepassata, trascesa in un predicato (essere illuminato) che le conferisce un carattere 
                                                 
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EDMUND HUSSERL, L’idea della fenomenologia, cit., p.85. 
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